IL DEPISTAGGIO e la “VERITÀ della MENZOGNA”


In corso a CALTANISETTA le fasi conclusive dell’APPELLO del “PROCESSO DEPISTAGGIO”


AUDIO UDIENZA 23 aprile 2024 


Depistaggio Borsellino: FABIO TRIZZINO, legale famiglia, ‘disegno criminale devastante, sconcertante superficialità pm’

 

“Attraverso la mia voce vorrei dare oggi voce al giudice Paolo Emanuele Borsellino. E fra i tanti frutti avvelenati di quello che è stato opportunamente definito uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana, alla parte che rappresento è spettata una verità della menzogna, agevolata dalla sconcertante superficialità di tutti i magistrati della Procura allora retta da Giovanni Tinebra”.
Inizia con queste parole l’arringa difensiva dell’avvocato Fabio Trizzino, legale della famiglia del giudice Paolo Borsellino nonché genero del magistrato, perché marito di Lucia Borsellino, nel processo d’appello sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio.
Alla sbarra tre poliziotti, Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, accusati di concorso in calunnia aggravata dall’avere favorito Cosa nostra.
In primo grado era caduta l’aggravante mafiosa per due dei tre poliziotti imputati del processo. Prescritti i reati per Mario Bo e Fabrizio Mattei mentre Michele Ribaudo era stato assolto “perché il fatto non costituisce reato”.
“E se è dimostrato, come risulta dalle loro stesse dichiarazioni, di non essere stati all’altezza della funzione di coordinamento e direzione delle indagini, il primo e più importante argine da opporre alla illecita e abnormi inquinamento probatori realizzati nelle indagini e nei processi Borsellino uno e bis – dice ancora il legale – hanno inoltre abdicato alla loro funzione di controllo e vigilanza sull’operato degli investigatori, lasciati liberi di scorrazzare nel campo dell’illegalità facendo macerie e strame dei protocolli investigativi della legge”.
E poi parla delle “persone che hanno sfortunatamente incontrato nel loro percorso” i magistrati che fecero le prime indagini “mi riferisco a chi ha patito il carcere il 41 bis e quei poveri disgraziati stritolati e coinvolti in un disegno criminale devastante”. Poi aggiunge: “La quasi totalità dei magistrati di questo paese lavora in silenzio sentendo il peso della funzione e non avendo tempo per scrivere libri, per parlare davanti al pubblico di indagini in corso, è a questo ordine giudiziario e in questo ordine che la nostra fede rimane incrollabile nonostante tutto quello che ci è successo”. 23.4.2024  (Adnkronos) –

23.4.2024 Processo depistaggio, il legale dei Borsellino: “Sconcertante superficialità dei giudici di allora”

 

VIDEO

 

A Caltanissetta imputati tre poliziotti per calunnia aggravata. Oggi le arringhe delle parti civili. L’Avvocato FABIO TRIZZINO punta il dito anche sulla Procura guidata da Giovanni Tinebra

 

Parola alle parti civili nel processo d’Appello sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio. Imputati tre agenti della polizia di Stato. Sono accusati di calunnia aggravata. Dure accuse anche ai magistrati che indagarono. Roberto Ruvolo RAI NEWS

 

 

 


Borsellino, il legale Trizzino: “Uno dei più gravi depistaggi della storia

 

 “Mi associo ai sentiti, e non solo doverosi, ringraziamenti per come si è svolto il processo in secondo grado. Vorrei dare voce in questa sede al dottore Paolo Borsellino oltre che alle parti che rappresento. Perché tra i tanti frutti avvelenati di quello che è stato definito uno dei più gravi depistaggi della storia italiana vi è la verità della menzogna. Agevolata dalla sconcertante superficialità di tutti i magistrati della Procura allora guidata da Giovanni Tinebra“.
Lo ha detto l’avvocato Fabio Trizzino, legale dei figli di Paolo Borsellino, Lucia, Manfredi e Fiammetta, parti civili nel processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio in corso a Caltanissetta dinanzi alla corte d’Appello. Nel processo sono imputati Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, poliziotti appartenenti all’ex gruppo di indagine Falcone- Borsellino guidato da Arnaldo La Barbera.

Le parole di Trizzino

“Questi magistrati hanno abdicato alla loro funzione di controllo e di vigilanza sull’operato degli investigatorilasciati liberi di scorrazzare nel campo della illegalità. Facendo macerie dei protocolli investigativi, della legge e della dignità delle persone che hanno sfortunatamente incrociato il loro percorso. Mi riferisco a coloro che hanno fatto il carcere ingiustamente ma anche a quei poveri disgraziati di tre collaboratori”.
“Le condotte dei pubblici ministeri si collocano al di fuori dell’errore fisiologico ma semmai esprimono il corto circuito di un sistema, lo sfacelo di un sistema, con effetti devastanti sul piano dell’immagine di un ordine giudiziario che non meritava tutto questo. E di cui il dottore Borsellino era uno dei più importanti esponenti. Quello stesso ordine giudiziario che però ha mostrato di raccogliere l’eredità morale di Paolo Borsellino. Perché deve essere chiaro che la quasi totalità dei magistrati di questo paese lavora in silenzio. Non avendo il tempo di scrivere libri e parlare in pubblico. E nei confronti di questi magistrati la nostra fede rimane incrollabile”.

I misteri dopo 32 anni

Trizzino è un fiume in piena: “Ancora oggi a distanza di ben 32 anni non sappiamo, al netto dell’agenda rossa, quali fascicoli, quali carte avesse nella borsa il dottore Paolo Borsellino e cosa è avvenuto nell’ufficio del dottore Borsellino? Non sappiamo quali fascicoli ci fossero sulla sua scrivania. Non sappiamo per esempio se ci fossero dei fascicoli sugli appalti perché non abbiamo mai visto un verbale di sequestro dei documenti. Eppure Borsellino era uno che lavorava tanto e ancora, il dottore Borsellino viene ucciso alle 16.58. Sappiamo che i sigilli sono stati apposti alle 23.28 del 19 luglio 1992″.

Il falso pentito

Poi Trizzino, riferendosi al falso pentito Vincenzo Scarantino, che secondo l’accusa sarebbe stato imbeccato dai tre poliziotti imputati per costruire una falsa verità sulle stragi, ha aggiunto: “Si è deciso di ‘scarantinizzare’ le indagini. Perché quel depistaggio non si può spiegare solo con qualcosa che riguarda Cosa Nostra. Come puoi pensare che lo Stato non reagisse? Ci si concentrava su Vincenzo Scarantino sui suoi sbalzi d’umore e non su elementi fondamentali delle indagini”.

Bruno Contrada

Il legale parla anche di Bruno Contrada, “che non era in via D’Amelio. Ma è stato il classico agnello sacrificale da mettere sull’altare”. Poi Trizzino riferendosi ai tre poliziotti imputati nel processo ha detto: Ho compassione per il momento attuale ma non per il comportamento di allora. Perché – ha aggiunto riferendosi al capo del gruppo di indagine Falcone-Borsellino Arnaldo La Barbera – è assurdo che se una figlia chiede ‘dov’è l’agenda di papà?’ Tu, anziché approfondire le dichiarazioni di una persona che appartiene a una famiglia distrutta, dici ‘perché non la fate curare’?”

Quella scelta di La Barbera

Trizzino parla ancora di Arnaldo La Barbera, che “volle Mario Bo al suo fianco. Lo richiamò dall’anonimo commissariato di provincia di Volterra.
Il dottore Bo non poteva che essere grato a La Barbera, per questo suo trasferimento a Palermo con un incarico prestigioso, e gli offrì fedeltà incondizionata. Ai giudici di primo grado forse è sfuggita questa natura dinamica del depistaggio. Ciascuno entra in un determinato momento e da quel momento dà il suo contributo”.
“Il dottore Bo – ha riferito Trizzino – decise consapevolmente di fornire il proprio contributo ad Arnaldo La Barbera. La cosa che più di altre lo dimostra è l’intercettazione di San Bartolomeo a Mare, quando Vincenzo Scarantino parla con Bo e, riferendosi a La Barbera, si capiscono al volo. E questo è l’elemento che unisce nel disegno criminale il dottore Bo al dottore La Barbera. Hanno avuto il coraggio di prendere in giro il popolo italiano”.
“D’altra parte il dottore La Barbera aveva bisogno di fedeli esecutori che non dicessero una parola.
Quella che emerge è la figura di una persona forte con i deboli e debole con i forti”. E ancora rivolgendosi all’altro imputato Fabrizio Mattei, oggi presente in aula, Trizzino ha aggiunto: “Lei ha detto che ha partecipato alle indagini sulla strage di Capaci e allora a maggior ragione doveva capire che Vincenzo Scarantino era solo uno ‘scassapagliaro’”. LIVE SICILIA



23.4.2024 Depistaggio Borsellino: al processo la parola passa alle parti civili

Parola alle parti civili oggi nel processo d’appello sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio. Imputati tre esponenti della polizia di Stato: Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. Sono accusati di calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa Nostra. Secondo la procura di Caltanissetta avrebbero costretto il falso pentito Vincenzo Scarantino a rendere false dichiarazioni sulle stragi per fare condannare persone estranee ai fatti. Nella scorsa udienza il procuratore generale Fabio D’Anna ha chiesto la condanna a 11 anni e 10 mesi per Mario Bo e 9 anni e 6 mesi per Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo.
“In Cosa nostra tutti parlavano del mandante esterno ma nessuno sapeva chi fosse. Sappiamo anche che Riina fece un patto con questa entità esterna. Che le due stragi del ’92 siano stragi di mafia è indiscutibile. E’ chiaro. Ma chi è questa mafia che agisce? Fu una nuova mafia diversamente composta con due componenti: una istituzionale e una mafiosa stragista. Quindi agiscono insieme. Dall’ideazione fino all’esecuzione. Il dottore Arnaldo La Barbera fece il lavoro che ha fatto per depistare le indagini e lo fa perché consapevole della presenza di una nuova forma associativa”. Lo ha detto l’avvocato Rosalba Di Gregorio,legale di parte civile di Cosimo Vernengo, Giuseppe La Mattina e Gaetano Murana, (assolti nel processo di revisione per la strage di via D’Amelio) al processo sul depistaggio delle indagini sulla strage del 19 luglio 1992 a Palermo, in cui furono uccisi Paolo Borsellino e 5 agenti della polizia di Stato, che si celebra a Caltanissetta dinanzi alla Corte d’Appello presieduta da Giovanbattista Tona.
Arnaldo La Barbera era a capo del gruppo di indagine Falcone-Borsellino della Squadra Mobile di Palermo di cui facevano parte i tre esponenti della Polizia di Stato imputati nel processo.

Mi associo ai sentiti, e non solo doverosi, ringraziamenti per come si è svolto il processo in secondo grado. Vorrei dare voce in questa sede al dottore Paolo Borsellino oltre che alle parti che rappresento. Perché tra i tanti frutti avvelenati di quello che è stato definito uno dei più gravi depistaggi della storia italiana vi è la verità della menzogna. Agevolata dalla sconcertante superficialità di tutti i magistrati della Procura allora guidata da Giovanni Tinebra”. Lo ha detto l’avvocato Fabio Trizzino, legale dei figli di Paolo Borsellino, Lucia, Manfredi e Fiammetta, parti civili nel processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio in corso a Caltanissetta dinanzi alla corte d’Appello.

Questi magistrati – ha dichiarato Trizzino – hanno abdicato alla loro funzione di controllo e di vigilanza sull’operato degli investigatori lasciati liberi di scorrazzare nel campo della illegalità. Facendo macerie dei protocolli investigativi, della legge e della dignità delle persone che hanno sfortunatamente incrociato il loro percorso. Mi riferisco a coloro che hanno fatto il carcere ingiustamente ma anche a quei poveri disgraziati di tre collaboratori”.

Le condotte dei pubblici ministeri si collocano al di fuori dell’errore fisiologico ma semmai esprimono il corto circuito di un sistema, lo sfacelo di un sistema, con effetti devastanti sul piano dell’immagine di un ordine giudiziario che non meritava tutto questo. E di cui il dottore Borsellino era uno dei più importanti esponenti. Quello stesso ordine giudiziario che però ha mostrato di raccogliere l’eredità morale di Paolo Borsellino. Perché deve essere chiaro che la quasi totalità dei magistrati di questo paese lavora in silenzio. Non avendo il tempo di scrivere libri e parlare in pubblico. E nei confronti di questi magistrati la nostra fede rimane incrollabile” ha aggiunto.

“Ancora oggi a distanza di ben 32 anni non sappiamo, al netto dell’agenda rossa, quali fascicoli, quali carte avesse nella borsa il dottore Paolo Borsellino”.

Così continua l’avvocato Fabio Trizzino, legale dei figli di Paolo Borsellino, nel corso della sua discussione nel processo d’appello sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio.
“E cosa è avvenuto nell’ufficio del dottore Borsellino? Non sappiamo quali fascicoli ci fossero sulla sua scrivania. Non sappiamo – ha continuato Trizzino – per esempio se ci fossero dei fascicoli sugli appalti perché non abbiamo mai visto un verbale di sequestro dei documenti. Eppure Borsellino era uno che lavorava tanto. E ancora il dottore Borsellino viene ucciso alle 16.58. Sappiamo che i sigilli sono stati apposti alle 23.28 del 19 luglio 1992″.

Poi Trizzino riferendosi al falso pentito Vincenzo Scarantino, che secondo l’accusa sarebbe stato imbeccato dai tre poliziotti imputati per costruire una falsa verità sulle stragi, ha concluso: Si è deciso di ‘scarantinizzare’ le indagini. Perché quel depistaggio non si può spiegare solo con qualcosa che riguarda Cosa Nostra. Come puoi pensare che lo Stato non reagisse? Ci si concentrava su Vincenzo Scarantino sui suoi sbalzi d’umore e non su elementi fondamentali delle indagini”. IL SICILIA


Depistaggio Borsellino: “Figli traditi da Stato in cui credevano

“Il danno subito dai figli del giudice Paolo Borsellino è un danno da verità negata e l’impossibilità di elaborare un lutto”, “Sono stati traditi da uno Stato in cui credevano”, dice l’avvocato Vincenzo Greco che rappresenta la famiglia Borsellino.
Il nome del magistrato viene citato all’inizio dell’intervento anche del genero di Borsellino, l’avvocato Fabio Trizzino. “Vorrei dare voce in questa sede al dottor Paolo Borsellino oltre che alle parti che rappresento. Perché tra i tanti frutti avvelenati di quello che è stato definito uno dei più gravi depistaggi della storia italiana, vi è la verità della menzogna”, dice senza nascondere la sua emozione. “Agevolata dalla sconcertante superficialità di tutti i magistrati della Procura allora guidata da Giovanni Tinebra”. Trizzino rappresenta i figli del giudice, Lucia – sua moglie -Manfredi e Fiammetta.
“Questi magistrati hanno abdicato alla loro funzione di controllo e di vigilanza sull’operato degli investigatori lasciati liberi di scorrazzare nel campo della illegalità. Facendo macerie dei protocolli investigativi, della legge e della dignità delle persone che hanno sfortunatamente incrociato il loro percorso”, dice l’avvocato Trizzino. “E mi riferisco a coloro che hanno fatto il carcere ingiustamente ma anche a quei poveri disgraziati di tre collaboratori”, dice il legale. “Le condotte dei pubblici ministeri si collocano al di fuori dell’errore fisiologico ma semmai esprimono il corto circuito di un sistema, lo sfacelo di un sistema, con effetti devastanti sul piano dell’immagine di un ordine giudiziario che non meritava tutto questo. E di cui il dottor Borsellino era uno dei più importanti esponenti. Quello stesso ordine giudiziario che però ha mostrato di raccogliere l’eredità morale di Paolo Borsellino. Perché deve essere chiaro che la quasi totalità dei magistrati di questo paese lavora in silenzio. Non avendo il tempo di scrivere libri e parlare in pubblico. E nei confronti di questi magistrati la nostra fede rimane incrollabile”, ha aggiunto l’avvocato.

I legali, ‘scarantinizzazione delle indagini da parte dei magistrati’

Nella sua lunga arringa difensiva, l’avvocato Trizzino ha ripercorso i momenti successivi all’attentato di via D’Amelio, fino alla “scarantinizzazione delle indagini”, come la definiscono gli avvocati di parte civile.
Fu proprio Vincenzo Scarantino, il falso collaboratore, ad accusare ingiustamente i sette innocenti. “Sarà stato psicolabile ma non era cretino”, dice l’avvocata Rosalba Di Gregorio, che rappresenta tre dei sette innocenti, Cosimo Vernengo, Giuseppe La Mattina e Tanino Murana. “Si è deciso di ‘scarantinizzare’ le indagini. Perché quel depistaggio non si può spiegare solo con qualcosa che riguarda Cosa Nostra. Come puoi pensare che lo Stato non reagisse? Ci si concentrava su Vincenzo Scarantino sui suoi sbalzi d’umore e non su elementi”, dice Trizzino. Che poi torna a parlare dell’ex 007 Bruno Contrada, accusato in un primo momento, da più parti, di essere sul luogo della strage. “Il dottore Bruno Contrada non era in via D’Amelio. Ma è stato il classico agnello sacrificale da mettere sull’altare”, ha detto.
E sui tre imputati – oggi l’unico presente è Fabrizio Mattei – ha detto: “Io ho compassione per il momento attuale ma non per il comportamento di allora”. E ricorda un aneddoto raccontato da Lucia Borsellino in aula. Quando fu rinvenuta la borsa del giudice Borsellino e lei chiese che fine avesse fatto l’agenda rossa “Arnaldo La Barbera rispose alla madre Agnese Piraino Leto: ‘Signora, faccia curare sua figlia”. “E’ assurdo”, ha sottolineato Trizzino. “Tu, anziché approfondire le dichiarazioni di una persona che appartiene a una famiglia distrutta, dici ‘perché non la fate curare?”. E più volte ha ribadito quanti punti oscuri ci siano ancora sulla strage di via D’Amelio: “Ancora oggi a distanza di ben 32 anni non sappiamo, al netto dell’agenda rossa, quali fascicoli, quali carte avesse nella borsa il dottore Paolo Borsellino”. “Non sappiamo cosa è avvenuto nell’ufficio del giudice dopo la strage. Non sappiamo quali fascicoli ci fossero sulla sua scrivania. Non sappiamo, ad esempio, se ci fossero dei fascicoli sugli appalti perché non abbiamo mai visto un verbale di sequestro dei documenti. Eppure Borsellino era uno che lavorava tanto”. Non solo. 

“Il giudice Borsellino viene ucciso alle 16.58. Sappiamo che i sigilli sono stati apposti alle 23.28 del 19 luglio 1992”. L’avvocata Di Gregorio, nel suo intervento, ha ribadito più volte che “il depistaggio sulla strage di via d’Amelio continua ancora oggi”. “Nell’agenda grigia che oggi abbiamo, dopo il 23 maggio, giorno in cui è morto il giudice Giovanni Falcone, il giudice Borsellino inizia ad annotare non solo le spese personali, ma anche appuntamenti lavorativi”. “Mi ha fatto impressione la minaccia di Bo che avrebbe mandato Scarantino in un carcere peggiore di Pianosa dopo la sua ritrattazione”, ha aggiunto “Non si notizia il servizio centrale di protezione il fatto che Scarantino chiamò Mediaset per ritrattare la sua collaborazione”.

La sentenza d’appello forse il 4 giugno

La legale ha parlato anche delle carte rinvenute solo poco tempo fa. “Le carte del poliziotto Zerilli sui sopralluoghi di Scarantino apparse stranamente dopo 30 anni. E’ veramente strano. Noi avvocati non ne possiamo più di queste strane apparizioni, dopo anni, di documenti che la procura della Repubblica neanche aveva. Tutto questo ancora oggi appare strano”. I legali di parte civile hanno parlato anche dei mandanti esterni alla strage di via D’Amelio.
Come spiega l’avvocata Di Gregorio: “In Cosa nostra tutti parlavano del mandante esterno ma nessuno sapeva chi fosse. Sappiamo anche che Riina fece un patto con questa entità esterna. Che le due stragi del ’92 siano stragi di mafia è indiscutibile. E’ chiaro. Ma chi è questa mafia che agisce? Fu una nuova mafia diversamente composta con due componenti: una istituzionale e una mafiosa stragista. Quindi agiscono insieme. Dall’ideazione fino all’esecuzione. Il dottore Arnaldo La Barbera fece il lavoro che ha fatto per depistare le indagini e lo fa perché consapevole della presenza di una nuova forma associativa”.
I legali di parte civile non nascondono ulteriori critiche ai magistrati che si occuparono delle indagini subito dopo la strage Borsellino: “Se fossi garbata come lo è stato il Procuratore generale direi che i magistrati che fecero le indagini sulla strage di via D’Amelio sono stati ‘distrattini’, ma siccome non sono garbata non dico niente… Diciamo che c’è stata una certa incuria nelle indagini…”, ha spiegato l’avvocata Di Gregorio.
Che poi ha attaccato: “La nostra toga, nei processi precedenti, è stata profondamente offesa, anche da testi qualificati”. “Ringrazio il collegio – ha esordito l’avvocata Di Gregorio – perché la serenità con cui è stato condotto il secondo grado di giudizio per noi, che siamo stati abituati a udienze più turbolenti, come il processo Borsellino, ci ha dato la serenità del secondo grado. Vi ringrazio anche per la conoscenza degli atti”. “La sentenza di primo grado mi ha deluso perché dopo avere fatto un’analisi precisa in alcuni punti, ha concluso dimenticando certe premesse che aveva fatto”, prosegue la legale di pare civile. “Abbiamo vissuto i vecchi processi e chiaramente non siamo tecnicamente parte offesa, ma siamo parte offesa. La nostra toga è stata profondamente offesa e da parte di testi qualificati – dice ancora la legale – prendo una teste a caso, la dottoressa Anna Palma (ex pm dell’inchiesta sulla strage di via D’Amelio ndr), sentita in questo processo nel controesame, ci ha accusato di essere stati nei vecchi processi difensori di imputati. Continuando a non ammettere il depistaggio”. Adesso la parola passerà alla difesa dei tre imputati, che sarà impegnata per le prossime due udienze, il 30 aprile e il 7 maggio. La sentenza potrebbe essere emessa il 4 giugno. (dall’inviata Elvira Terranova ADNKRONOS  –

 

 
 
“Le condotte” dei tre poliziotti imputati nel processo d’appello sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio di concorso in calunnia aggravata dall’avere agevolato Cosa nostra “costiuiscono la perfetta conoscenza dell’agevolazione a Cosa nostra”.
A dirlo, proseguendo la discussione in aula al processo d’appello per il depistaggio sulla strage Borsellino è l’avvocata ROSALBA DI GREGORIO, legale di parte civile di Cosimo Vernengo, Giuseppe La Mattina e Tanino Murana, tre delle vittime innocenti accusate ingiustamente dal falso collaboratore Vincenzo Scarantino.
Alla sbarra tre poliziotti, Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, accusati di concorso in calunnia aggravata dall’avere favorito Cosa nostra. In primo grado era caduta l’aggravante mafiosa per due dei tre poliziotti imputati del processo. Prescritti i reati per Mario Bo e Fabrizio Mattei mentre Michele Ribaudo era stato assolto “perché il fatto non costituisce reato”. (Adnkronos)

Strage di via d’Amelio, le parti civili: “Il depistaggio continua ancora adesso. Strane apparizioni di carte dagli archivi”

 

“Il soggetto criminale è unico, la condotta di Arnaldo La Barbera prima e di Mario Bo poi, insieme agli altri imputati, agevolò la nuova consorteria nata dal patto tra Cosa nostra stragista e le istituzioni. Il depistaggio continua ancora adesso”. Sono le parole dell’avvocata Rosalba Di Gregorio, nel giorno delle arringhe delle parti civili nel processo di appello sul depistaggio delle indagini sulla strage di via d’Amelio. Gli imputati sono i poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. Gli ex componenti del gruppo d’indagine, guidato da Arnaldo La Barbera, sono accusati di calunnia aggravata per aver favorito Cosa nostra, perché avrebbero costretto Vincenzo Scarantino e altri finti pentiti a rendere dichiarazioni che sarebbero servite a sviare le indagini sulla strage in cui venne ucciso il giudice Paolo Borsellino. In primo grado, caduta l’aggravante mafiosa, Bo e Mattei sono stati prescritti, mentre Ribaudo è stato assolto perché il fatto non costituisce reato.
I vertici di Roma – Come emerso nel corso del dibattimento, ricostruito anche dalla testimonianza di Gioacchino Genchi, La Barbera dopo essersi recato nella capitale per alcuni incontri istituzionali, avrebbe ricevuto l’input di chiudere le indagini, spingendo sul “pupo” Scarantino. “Da Roma arriva l’ordine di risolvere la fase esecutiva e non solo, con il verbo di Scarantino. Secondo quanto riferito da Genchi, i referenti romani che hanno impartito quest’ordine sono il prefetto Luigi Rossi, gli uomini del Nucleo centrale anticrimine, poi diventato Sco, oltre a Pansa (Alessandro, ndr), De Gennaro (Gianni) e Manganelli (Antonio)”, dice Di Gregorio, che difende Giuseppe La Mattina, Cosimo Vernengo e Gaetano Murana. L’avvocata chiama ripetutamente gli imputati “badanti”, termine usato dagli stessi agenti durante il processo di primo grado per descrivere il loro ruolo di supporto a Scarantino. “La nostra toga è stata profondamente offesa, e continua ad esserlo. I magistrati sono stati ‘distrattini’, diciamo che c’è stata una certa incuria per alcuni argomenti”, spiega Di Gregorio puntando il dito su chi ha istruito le indagini e i processi a Caltanissetta, prima che Gaspare Spatuzza sconfessasse Scarantino e gli altri pupi.
L’Agenda rossa e il telefono scomparso –Poi il riferimento ad altre figure istituzionali, mai imputate nel processo. “Elementi che ci portano alla presenza operativa di soggetti esterni sono molteplici: la scomparsa dell’agenda rossa non riguarda Cosa nostra ma una presenza istituzionale, come il lancio Ansa sulla scomparsa della 126, e la nota del Sisdedell’agosto ‘92, che contiene il canovaccio fatto recitare ai pentiti. Tutte presenze istituzionali”, aggiunge l’avvocata. “L’agenda grigia di Borsellino dopo il 23 maggio contiene annotazioni di incontri istituzionali con Parisi, Rossi, e poi De Gennaro, e ripetute con la Dia. Ho chiesto a Lucia (Borsellino) se il telefono del padre gli fosse stato restituito, lei mi ha detto no. Noi non sappiamo che fine ha fatto questo telefono. Non c’è un verbale o annotazione di servizio. Non sappiamo se ci sono stati neppure sviluppi sugli accessi sul suo computer, sequestrato dalla procura e portato a Caltanissetta. Non credo che Borsellino non scrivesse nulla sul pc”, dice Di Gregorio. Infine un passaggio sui tanti testimoni giunti in “soccorso” degli imputati. “La negazione, l’amnesia collettiva, queste menzogne vere e proprie, servono per difendere gli imputati, per i sopralluoghi, per i colloqui a Pianosa, per i fatti di San Bartolomeo – aggiunge Di Gregorio -. Le carte di Zerilli (Maurizio, ndr) apparse miracolosamente, a me non hanno convinto, apparizioni strane da strani archivi. Non è possibile vedere che spuntano carte che la Procura che non ha mai avuto”.
“Il Depistaggio continua” – “Il depistaggio dura anni, forse ancora oggi. Questa vicenda ci sta distruggendo quotidianamente. Sono stato definito depistatore, pur avendo subito il depistaggio”. È un fiume in piena l’avvocato Fabio Trizzino, legale difensore di Lucia Borsellino, che nel corso della sua arringa rivolge duri attacchi al pool guidato all’epoca da Gianni Tinebra. “Voglio dirlo ai magistrati di allora, Paolo Borsellino a parti invertite avrebbe consumato se stesso pur di raggiungere la verità come sapeva fare lui – dice Trizzino -. Colpa della superficialità di tutti i magistrati della procura allora retta da Tinebra, hanno ampiamente dimostrato di non essere stati all’altezza della funzione di coordinamento nei processi Borsellino uno e bis, abdicato la loro funzione di controllo sull’operato degli investigatori, lasciati liberi di scorrazzare nell’illegalità”. Un depistaggio investigativo e giudiziario che ha preso “in giro il popolo italiano”, secondo Trizzino non sarebbe stato “concepito dalla mente sanguinaria di Totò Riina”, e che “eliminando le condotte sotto forma di omissioni, dei pubblici ministeri” della procura nissena dell’epoca, “sarebbe venuto meno” perché “maldestro”.
Chi aveva paura di Falcone e Borsellino? –“Sull’agenda rossa voglio denunciare la negligenza della procura di Tinebra che non se ne è occupata, nonostante la famiglia e la moglie Agnese avesse dato degli spunti. Solo Rocco Liguori ha indagato”, aggiunge Trizzino. Il legale della figlia di Borsellino pone numerose riflessioni sotto forma di domande. “Chi aveva paura delle indagini che avrebbe fatto Falcone con la super procura? Non certo Riina, che aveva sempre avuto paura del giudice. Chi aveva paura delle indagini che avrebbe potuto fare Borsellino? A distanza di 32 anni, possibile che non abbiamo contezza dell’agenda di Falcone, non sappiamo il contenuto. Quante sono le annotazioni? Tutto fa pensare che Falcone rimandi al nido di vipere. I magistrati avevano un elemento fondamentale, la testimonianza di Borsellino a Casa Professa è un atto notorio, il 25 giugno 1992, il giudice disse di essere testimone privilegiato, ma non sarà mai interrogato”, aggiunge Trizzino. Un passaggio viene fatto anche sulle perquisizioni nelle ore successive alla strage di via d’Amelio. “Oltre alla scomparsa dell’agenda, cosa è avvenuto nell’ufficio di Borsellino? – chiede l’avvocato- Non sappiamo cosa sia successo tra le 18 e le 23 di quel giorno. Cosa hanno prelevato dallo studio del giudice? Quali fascicoli c’erano sulla scrivania? E se tra questi ci fossero stati quelli sugli appalti?”. Infine la chiusura sul superpoliziotto, definito uno degli strumenti del depistaggio. “La Barbera diventa questore di Palermo, stessa città del gruppo investigativo guidato da Bo, suo fedele collaboratore. Ecco perché ci hanno nascosto le intercettazioni e le telefonate di Scarantino, altrimenti tutto il castello di sabbia sarebbe caduto miseramente”. di Saul Caia| 23 Aprile 2024FQ


Caltanissetta, al processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio parola alle parti civili: “Gli imputati hanno negato il diritto ai figli di Paolo Borsellino di ottenere la verità”

Parola alle parti civili oggi nel processo d’appello sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio. Imputati tre esponenti della polizia di Stato: Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. Sono accusati di calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa Nostra. Secondo la procura di Caltanissetta avrebbero costretto il falso pentito Vincenzo Scarantino a rendere false dichiarazioni sulle stragi per fare condannare persone estranee ai fatti. Nella scorsa udienza il procuratore generale Fabio D’Anna ha chiesto la condanna a 11 anni e 10 mesi per Mario Bo e 9 anni e 6 mesi per Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo.
“In Cosa nostra tutti parlavano del mandante esterno ma nessuno sapeva chi fosse. Sappiamo anche che Riina fece un patto con questa entità esterna. Che le due stragi del ’92 siano stragi di mafia è indiscutibile. E’ chiaro. Ma chi è questa mafia che agisce? Fu una nuova mafia diversamente composta con due componenti: una istituzionale e una mafiosa stragista. Quindi agiscono insieme. Dall’ideazione fino all’esecuzione. Il dottore Arnaldo La Barbera fece il lavoro che ha fatto per depistare le indagini e lo fa perché consapevole della presenza di una nuova forma associativa”. Lo ha detto l’avvocato Rosalba Di Gregorio, legale di parte civile di Cosimo Vernengo, Giuseppe La Mattina e Gaetano Murana, (assolti nel processo di revisione per la strage di via D’Amelio) al processo sul depistaggio delle indagini sulla strage del 19 luglio 1992 a Palermo, in cui furono uccisi Paolo Borsellino e 5 agenti della polizia di Stato, che si celebra a Caltanissetta dinanzi alla Corte d’Appello presieduta da Giovanbattista Tona. Arnaldo La Barbera era a capo del gruppo di indagine Falcone-Borsellino della Squadra Mobile di Palermo di cui facevano parte i tre esponenti della Polizia di Stato imputati nel processo.
“Mi associo ai sentiti, e non solo doverosi, ringraziamenti per come si è svolto il processo in secondo grado. Vorrei dare voce in questa sede al dottore Paolo Borsellino oltre che alle parti che rappresento. Perché tra i tanti frutti avvelenati di quello che è stato definito uno dei più gravi depistaggi della storia italiana vi è la verità della menzogna. Agevolata dalla sconcertante superficialità di tutti i magistrati della Procura allora guidata da Giovanni Tinebra”. Lo ha detto l’avvocato Fabio Trizzino, legale dei figli di Paolo Borsellino, Lucia, Manfredi e Fiammetta, parti civili nel processo.
 “Questi magistrati – ha continuato Trizzino – hanno abdicato alla loro funzione di controllo e di vigilanza sull’operato degli investigatori lasciati liberi di scorrazzare nel campo della illegalità. Facendo macerie dei protocolli investigativi, della legge e della dignità delle persone che hanno sfortunatamente incrociato il loro percorso. Mi riferisco a coloro che hanno fatto il carcere ingiustamente ma anche a quei poveri disgraziati di tre collaboratori. Le condotte dei pubblici ministeri si collocano al di fuori dell’errore fisiologico ma semmai esprimono il corto circuito di un sistema, lo sfacelo di un sistema, con effetti devastanti sul piano dell’immagine di un ordine giudiziario che non meritava tutto questo. E di cui il dottore Borsellino era uno dei più importanti esponenti. Quello stesso ordine giudiziario che però ha mostrato di raccogliere l’eredità morale di Paolo Borsellino. Perché deve essere chiaro che la quasi totalità dei magistrati di questo paese lavora in silenzio. Non avendo il tempo di scrivere libri e parlare in pubblico. E nei confronti di questi magistrati la nostra fede rimane incrollabile”.
“Ancora oggi a distanza di ben 32 anni – ha continuato Trizzino – non sappiamo, al netto dell’agenda rossa, quali fascicoli, quali carte avesse nella borsa il dottore Paolo Borsellino. E cosa è avvenuto nell’ufficio del dottore Borsellino? Non sappiamo quali fascicoli ci fossero sulla sua scrivania. Non sappiamo – ha continuato Trizzino – per esempio se ci fossero dei fascicoli sugli appalti perché non abbiamo mai visto un verbale di sequestro dei documenti. Eppure Borsellino era uno che lavorava tanto. E ancora il dottore Borsellino viene ucciso alle 16.58. Sappiamo che i sigilli sono stati apposti alle 23.28 del 19 luglio 1992”.
Poi Trizzino riferendosi al falso pentito Vincenzo Scarantino, che secondo l’accusa sarebbe stato imbeccato dai tre poliziotti imputati per costruire una falsa verità sulle stragi, ha aggiunto: “Si è deciso di ‘scarantinizzare’ le indagini. Perché quel depistaggio non si può spiegare solo con qualcosa che riguarda Cosa Nostra. Come puoi pensare che lo Stato non reagisse? Ci si concentrava su Vincenzo Scarantino sui suoi sbalzi d’umore e non su elementi fondamentali delle indagini”.
“Il dottore Bruno Contrada non era in via D’Amelio. Ma è stato il classico agnello sacrificale da mettere sull’altare” Ha detto Trizzino che poi, riferendosi ai tre poliziotti imputati nel processo, ha detto: “Ho compassione per il momento attuale ma non per il comportamento di allora. Perché – ha aggiunto riferendosi al capo del gruppo di indagine Falcone-Borsellino Arnaldo La Barbera – è assurdo che se una figlia chiede ‘dov’è l’agenda di papà?’ Tu, anziché approfondire le dichiarazioni di una persona che appartiene a una famiglia distrutta, dici ‘perché non la fate curare’?”
“Arnaldo La Barbera volle Mario Bo al suo fianco. Lo richiamò dall’anonimo commissariato di provincia di Volterra. Il dottore Bo non poteva che essere grato a La Barbera, per questo suo trasferimento a Palermo con un incarico prestigioso, e gli offrì fedeltà incondizionata. Ai giudici di primo grado forse è sfuggita questa natura dinamica del depistaggio. Ciascuno entra in un determinato momento e da quel momento dà il suo contributo. Il dottore Bo – ha continuato Trizzino – decise consapevolmente di fornire il proprio contributo ad Arnaldo La Barbera. La cosa che più di altre lo dimostra è l’intercettazione di San Bartolomeo a Mare, quando Vincenzo Scarantino parla con Bo e, riferendosi a La Barbera, si capiscono al volo. E questo è l’elemento che unisce nel disegno criminale il dottore Bo al dottore La Barbera. Hanno avuto il coraggio di prendere in giro il popolo italiano. D’altra parte il dottore La Barbera aveva bisogno di fedeli esecutori che non dicessero una parola. Quella che emerge è la figura di una persona forte con i deboli e debole con i forti”.
 E ancora rivolgendosi all’altro imputato Fabrizio Mattei, oggi presente in aula, Trizzino ha aggiunto: “Lei ha detto che ha partecipato alle indagini sulla strage di Capaci e allora a maggior ragione doveva capire che Vincenzo Scarantino era solo uno ‘scassapagliaro’”.
“Ci avete nascosto le intercettazioni perché sapevate che tutto il vostro castello di sabbia sarebbe crollato miseramente. Fabrizio Mattei sapeva che quando faceva ‘studiare’ Vincenzo Scarantino aveva davanti un uomo stanco, debilitato, distrutto, perché gli avevano assegnato una parte che non poteva reggere. Scarantino disse a Mattei che non ce la faceva più”. Ha affermato l’avvocato Fabio Trizzino. Secondo la tesi dell’accusa Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, imputati nel processo insieme a Mario Bo, tutti appartenenti alla Polizia di Stato, avrebbero fatto “studiare”, imbeccandolo, il falso pentito Vincenzo  Scarantino per costruire una falsa verità sulle stragi. Diverse persone furono accusate di aver preso parte alla strage, pur non avendo nulla a che fare, e condannate per poi essere assolte durante il processo di revisione. Ecco perché l’accusa per gli imputati è quella di calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa Nostra. Aggravante che nel processo di primo grado non è stata riconosciuta. “Nella casa di San Bartolomeo a Mare, dove fu portato Vincenzo Scarantino nel periodo della sua collaborazione – ha continuato Trizzino – c’era un telefono e ce lo hanno negato. Fabrizio Mattei c’era dentro fino al collo per una parte che era chiamato a recitare. Eravate voi – ha detto rivolgendosi agli imputati – la sovrastruttura che agiva negli interessi dell’anti-Stato”. E infine Trizzino ha concluso: “Per accreditare un falso pentito lo stavano facendo passare come un uomo d’onore. Ecco perché siamo convinti che abbiano favorito la mafia ed ecco perché mi associo alle richieste del procuratore generale”.
A prendere la parola anche gli avvocati Flavio Centineo, Giuseppe Crescimanno e Vincenzo Greco. Tutti legali di parte civile. “Il mio intervento riguarda i danni che i figli del giudice Paolo Borsellino hanno subìto. Il loro è un danno da verità negata e l’impossibilità di elaborare un lutto”, ha detto l’avvocato Vincenzo Greco, legale, insieme a Fabio Trizzino, dei figli del giudice Paolo Borsellino. “Al concetto di verità negata – ha continuato l’avvocato Greco – si aggiunge quello di tradimento. Dobbiamo considerare come i tre figli del giudice Borsellino siano cresciuti con il concetto di senso assoluto del rispetto dello Stato e delle istituzioni. Principi trasmessi dal padre. Il padre muore e chi sono quelli che negano loro la verità? Sono proprio i servitori dello Stato. Gli imputati e altri soggetti hanno impedito che i veri responsabili possano essere scoperti. Viviamo in una sorta di muro di gomma infinito. Ma cosa può limitare questo danno? Cosa può fare l’autorità giudiziaria? Nel momento in cui verranno condannati coloro che, attraverso un depistaggio hanno impedito l’elaborazione di questo lutto, proprio in questo momento si mitigherà un danno che non potrà mai più essere eliminato. Pertanto ci associamo alle richieste della procura generale”. Nella scorsa udienza il procuratore generale Fabio D’Anna ha chiesto la condanna a 11 anni e 10 mesi per Mario Bo e 9 anni e 6 mesi per Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. La prossima udienza è fissata per il 30 aprile quando la parola passerà alla difesa.

Caltanissetta, Borsellino. Trizzino: “Il depistaggio dura anni e ancora oggi”

“Il dottor La Barbera si mosse con spregiudicata autonomia perche’ era consapevole di non condividere con altra forza di polizia le acquisizioni sulla pseudo indagine che ha condotto. Sulle indagini per la morte di Borsellino si scelse la strada autonoma”. Lo ha detto l’avvocato Fabio Trizzino, legale dei figli di Paolo Borsellino, al processo d’appello sul depistaggio delle indagini di via D’Amelio, a Caltanissetta, a carico di tre ex poliziotti accusati di calunnia aggravata per aver agevolato Cosa nostra.
“Tutto il processo si gioca sull’aggravante agevolativa – ha detto Trizzino – ritenendo che a muovere l’azione depistatoria siano state ragioni privatistiche di progressioni di carriera che vi e’ stata. La Barbera diventa questore nella stessa citta’ in cui opera lo stesso nucleo investigativo. Qui sovrintende a tamponare i momenti di fibrillazione del falso collaboratore Vincenzo Scarantino, che viene elevato al Buscetta di turno. Dobbiamo chiederci le vere ragioni che spinsero questi investigatori a una capitalizzazione immediata di spunti evanescenti e controversi.
Dobbiamo considerare il depistaggio come una forma progressiva. Il depistaggio e’ come una rappresentazione teatrale in cui ognuno interviene e in cui nello spartito e’ previsto il loro ingresso. Il depistaggio dura anni, forse dura ancora oggi”.
“I comportamenti erano perfettamente sovrapponibili all’atteggiamento di quel criminale che avete combattuto”, ha continuato l’avvocato Fabio Trizzino. “Il punto dolente e’ l’accelerazione anonima – ha detto il legale – Paolo Borsellino, lo voglio dire ai magistrati di allora, avrebbe consumato se stesso pur di raggiungere la verita’ come sapeva fare lui. Riina non era un pazzo. Siamo stanchi di formule vuote che non dicono nulla. Mettono sul ruolo della strage il dottor Bruno Contrada che avrebbe avuto interesse nell’esecuzione immediata della morte di Paolo Borsellino che stava interrogando Leonardo Messina che gli dice che la Calcestruzzi di Panzarotti e’ in mano a Salvatore Riina. Io sono stato definito depistatore pur avendo subito noi il depistaggio. C’e’ una proiezione di chi fa le cose sporche sugli altri per tirarsi fuori”.
E ha proseguito: “Mi preme evidenziare alcuni profili di attendibilita’ al confezionamento di alcune note del Sisde. In un momento di guerra come quello, che avrebbero dovuto prevenire gli atti di guerra, si sono sentiti persi. Fu un attacco al cuore dell’Italia. Che ci potesse essere il coinvolgimento del Sisde ci poteva stare, ma non nei termini in cui e’ avvenuto”. Secondo il legale, Contrada non era in via D’Amelio. “Se lascio Palermo qua a Palermo nessuno fa indagini”, ha detto Borsellino dopo la strage di Capaci del 23 maggio del ’92. “A Casa professa Borsellino dice di essere testimone privilegiato che ha visto alcune annotazioni di Falcone”, ha ricordato.
“Compassione per il momento attuale, ma nessuna pieta’ per l’atteggiamento di allora”, ha ricordato Trizzino. Dopo 32 anni “non conosciamo le annotazioni di Giovanni Falcone sotto segreto istruttorio, non sappiamo quali fascicoli e documenti avesse Borsellino dentro la sua borsa. Dai verbali del Csm trovate la fotografia fedele e diversi magistrati parlano del fascicolo Mutolo e di altri documenti che erano nella borsa. Non ci sono verbali di questi documenti. Cosa e’ avvenuto all’interno dell’ufficio di Borsellino. Sappiamo che i sigilli sono stati apposti la sera. Non sappiamo cosa sia successo dalle 18 alle 22 e cosa hanno prelevato dallo studio del giudice Borsellino. Vogliamo sapere quali fascicoli avesse sulla scrivania Borselllino. Non sappiamo se Borsellino avese dei fascicoli che riguardavano gli appalti”. IL FATTO NISSENO 23.4.2024


SPECIALE “ Processo depistaggio”

 

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