Intervista a tutto campo con l’ex presidente della Camera: «Sciatteria nella protezione a Borsellino? La Sicilia non è terra di distratti. Le intercettazioni Consip? Un uso immorale della questione morale»
Giovanni Falcone muore esattamente 24 anni fa, ucciso con cinque quintali di tritolo dalla mafia insieme a sua moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta. Sulla sua morte e su quella di Paolo Borsellino sappiamo molto, ma certamente non sappiamo tutto. Così è anche per molte vicende degli anni di piombo, a cominciare dal caso Moro.
Se c’è una persona cui chiedere se siamo una Repubblica dei Misteri questa persona è Luciano Violante: «Non userei quella espressione – spiega a Linkiesta – Anche se va detto che su alcuni episodi drammatici della nostra storia ci manca la verità. Penso, in particolare, a tre vicende, cioè l’omicidio di Aldo Moro, le stragi di piazza Fontana a Milano e di piazza della Loggia a Brescia. Vale per molte altre tragedie come ad esempio l’omicidio Kennedy e quello di Lee Oswald accusato di aver ucciso il presidente degli Stati Uniti. Aggiungo che noi siamo l’unico Paese d’Europa che ha riconosciuto ai terroristi la dissociazione, prendere le distanze dal terrorismo senza accusare altri. Nicolò Amato (allora a capo delle carceri italiane, ndr) ci propose di creare le aree omogenee fra detenuti. La Dc si rimise alle nostre decisioni, del gruppo dirigente del Pci. Ne discutemmo e alla fine molti si convinsero. Introducemmo questa importante novità e ottenemmo la dissociazione di molti brigatisti. Possibile perché di fronte c’è uno Stato che accetta la loro ammissione di avere sbagliato rispettando la volontà di non collaborare con la giustizia. Quella è una prova di democrazia che altri Paesi, dalla Spagna alla Germania alla Gran Bretagna, non hanno osato sostenere.
Hai accennato al caso Moro. Cosa non torna in quella storia drammatica dei 55 giorni?
Quella è una vicenda assai più tragica e complessa della pur angosciante battaglia tra lo Stato le Brigate Rosse. La verità giuridica che ci hanno consegnato le aule giudiziarie spiega molto, ma certamente non spiega tutto. Credo che la commissione parlamentare d’inchiesta presieduta dal senatore Fioroni ci rivelerà particolari di grande interesse.
Moro poteva essere liberato?
Penso di si, come qualsiasi sequestrato in un paese moderno. Il suo omicidio rispondeva a interessi nazionali ed anche sovranazionali. Non sto dicendo che i brigatisti erano agenti al servizio di potenze straniere. Loro potrebbero aver agito senza sapere per conto di chi portavano a termine la loro missione di morte. Io sono stato nella prima commissione d’inchiesta. Abbiamo indicato tutte le contraddizioni e le incongruenze. Non può essere tutto spiegabile con disattenzione o sciatteria. Facciamo un esempio. A un certo punto arriva la pista “Gradoli”. Perché le forze dell’ordine vanno al paesino con quel nome e non alla via di Roma (dove più avanti sarà ritrovato un covo delle BR, ndr)? Il Capo della Polizia del tempo ci dice che la colpa è dell’elenco telefonico troppo vecchio, che non riporta la nuova via Gradoli di recente istituzione. È chiaro che in quella storia c’è qualcosa, e non di poco conto, che non torna.
E sulle due stragi di Brescia e Milano?
Il problema è nelle indagini. Troppi depistaggi, troppe mancanze. Non può essere un caso.
Torniamo a Falcone. La Repubblica è venuta a patti con la mafia? Abbiamo capito cosa è successo davvero?
La trattativa politica, a mio avviso, non c’è mai stata. C’è che la mafia considera intollerabili le proprie sconfitte e uccide chi “esagera”, chi colpisce troppo o troppo a lungo. Chi turba gli equilibri non può essere tollerato a lungo. Falcone, Borsellino, Chinnici, Livatino, La Torre, Mattarella, Dalla Chiesa rompevano gli equilibri mafiosi e la antica convivenza tra mafia e poteri pubblici. Perciò sono uccisi.
La coincidenza tra stragi mafiose (’92-’93) e fine della Prima Repubblica è casuale?
La caduta del muro di Berlino cambia radicalmente gli equilibri internazionali e muta altrettanto radicalmente il ruolo dell’Italia. I partiti non reggono l’urto, in particolare non reggono Dc e Pci. La mafia avverte che il mondo sta cambiando e capisce anche che i suoi referenti storici non sono più in grado di garantirli. Falcone e Borsellino capiscono che Cosa Nostra si avvia a cambiare strategie e interlocutori e per questo vengono uccisi. Perciò dietro quei due omicidi c’è un’intelligenza “politica”, ancorché messa al servizio della criminalità organizzata. Non a caso nella stessa stagione vengono assassinati anche Lima e Salvo. Cosa Nostra fa fuori il garante dei contatti politici e il garante dei contatti finanziari, insieme ai due magistrati più capaci e coraggiosi. Così la mafia taglia i ponti con il passato, preparandosi alla Seconda Repubblica. La mafia si occupa sempre del futuro, non del passato.
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino vengono ammazzati a meno di due mesi di distanza l’uno dall’altro. Poteva andare diversamente?
Rispondo con gli occhi di chi guarda tanti anni dopo a quelle drammatiche settimane. E debbo purtroppo dire che avevano ragione loro quando dicevano, con impressionante lucidità, “siamo due morti che camminano”. Ero amico di Giovanni Falcone; lo sono diventato di Paolo Borsellino dopo Capaci. L’idea della morte, un’idea tutta siciliana della morte, era spesso presente nei loro ragionamenti.
Il 23 maggio del 1992 muore Falcone. Come è possibile che non riusciamo a salvare almeno Paolo Borsellino? A quel punto l’evidenza del pericolo non ha certo bisogno di altri elementi.
Ma se non fu disposto nemmeno il divieto di parcheggio sotto casa della madre? Tutti sapevano che la domenica andava lì. Mi torna alla mente un episodio. Borsellino viene a trovarmi a Roma, dopo la morte di Falcone. In quel momento telefona Piero Vigna, Procuratore della Repubblica a Firenze. Gli dico che c’è Paolo e gli passò la cornetta per un saluto. Vigna non era certo tenero con le parole e infatti si lamenta subito con Borsellino, dicendogli che invece di girare a fare comizi nelle scuole dovrebbe leggere i fax che lui gli manda. Borsellino cade dalle nuvole e allora Vigna gli rivela che c’è a Firenze un pentito di nome Mutolo (Gaspare Mutolo, sarà di lì a poco la voce più importante tra i pentiti di Cosa Nostra a sostenere le forti contiguità tra mafie e esponenti di spicco dello Stato, ndr) a che vuole parlare con lui. Ma Borsellino non ne sa nulla perchè il suo capo, il dottor Giammanco, non lo ha informato. Inizia così una defatigante trattativa, perché Borsellino viene autorizzato ad incontrare il pentito ma soltanto in presenza di altri magistrati della Procura di Palermo. Ma il pentito vuole parlare solo con lui. La mattina del 19 luglio 1992, domenica, alle sette, ha riferito Agnese Borsellino alla Corte d’Assise di Caltanissetta, mio marito ricevette a casa una telefonata del procuratore Giammanco che gli comunicava di aver deciso di affidargli le inchieste sulla mafia a Palermo. “Così la partita é chiusa”, dice il procuratore Giammanco. “Così la partita è aperta “ risponde Paolo Borsellino. Verrà ucciso nel pomeriggio dello stesso giorno.
Insomma non poteva andare diversamente, anche se è molto doloroso ammetterlo. Ma il parcheggio libero consentito davanti a casa della madre, dove Borsellino si reca ogni domenica, è solo un caso di sciatteria, una falla nel sistema di protezione?
La mia opinione è che non c’è sciatteria da quelle parti su temi così importanti. Conosco Palermo, ho lavorato per vent’anni laggiù. Non è terra né di stupidi né di distratti. «L’ultimo venerdì prima di morire Paolo interroga ancora Mutolo e ne esce sconvolto, come racconterà sua moglie Agnese. Dà appuntamento al pentito per il lunedì successivo, ma proprio quella domenica lo ammazzano. Il tema di quel colloquio mai avvenuto sarebbe stato proprio sui rapporti tra Cosa Nostra e pezzi dello Stato»
Voltiamo pagina e guardiamo allo scenario politico internazionale. Abbiamo avuto le elezioni francesi, che arrivano dopo quelle americane. Cos’è la sinistra? Cosa ne rimane? La vittoria di Macron è la morte della sinistra come l’abbiamo conosciuta oppure no? E Trump che batte la Clinton?
Prima di pronunciare sentenze definitive, mi riferisco alla Francia, attenderei le elezioni legislative. Le presidenziali sono certo importanti, ma il risultato socialista è stato certamente influenzato dal fatto che il Presidente uscente, cioè Hollande, ha deciso di non candidarsi. In ogni caso pongo un tema: Melenchon è di sinistra oppure no? Difficile non dire di si. Ma di quale sinistra? Il tema su cui ci si divide non è il conflitto tra capitale e lavoro, grande classico del ‘900; è il conflitto tra europeisti e nazionalisti o sovranisti come oggi si autodefiniscono pudicamente i nazionalisti. Melenchon è di sinistra ma è antieuropeo; Forza Italia è di destra ma é filoeuropea. E ancora. Guardiamo ai comportamenti di chi vive di rendita e chi vive di lavoro. In passato avremmo detto che i primi sono di destra e i secondi di sinistra. Ma qualche grande rentier non disdegna di dichiararsi di sinistra, fa più elegante. Oggi tutto va sottoposto a nuove analisi e nuove riflessioni. E poi l’America. Vado a sentire un comizio di Trump e uno della Clinton. Di Trump capisco si e no la metà dei concetti espressi. Allora mi volto verso un vicino e gli chiedo di aiutarmi. Mi dice “don’t worry”, sono parolacce. Della Clinton capivo tutto, concetti chiari e di buon senso. Ma confondeva il politicamente corretto con il principio di eguaglianza. Parlava dei neri, dei messicani, delle donne, dei gay. Tutto giusto ma non parlava ai bianchi americani poveri e disoccupati. Trump parlava solo a loro. Un esempio per capirci. Mi trovo in Calabria qualche mese fa. Dentro un bar di un piccolo paese. Prendo un caffè e vedo un gruppo di ragazzi di colore che chiacchierano, sembra per passare il tempo. Si avvicina un signore anziano e mi rivolge questa domanda: ” Puo’ spiegarmi perché quelli lì prendono due euro e mezzo al giorno e mio nipote disoccupato niente?”. Il dramma è che la risposta non c’è. E qui si torna alla Clinton. Nel suo ineccepibile “politically correct” i bianchi schiacciati dalla globalizzazione non trovano risposte. E votano Trump. Lo stesso in Gran Bretagna, dove i conservatori della May si fanno carico dei dimenticati dalla sinistra. E attenzione che in Italia il fenomeno è già in atto, tanto è vero che il Pd ha, sinora, più consenso nei quartieri benestanti delle città e meno consenso in quelli più popolari.
Ma se cerchiamo di andare più a fondo, troviamo una spiegazione di perché tutto questo è accaduto e continua ad accadere?
A mio avviso la risposta è nel 1989, con la caduta del muro. La sinistra perde il suo riferimento planetario e si ritrova a dover scendere a patti con il capitalismo, magari scegliendo quello meno peggio. Mi verrebbe da dire provando a dialogare con la “migliore” finanza, che però resta pure sempre finanza, con le sue logiche. Le idee di solidarietà, di socialismo e così via ne escono clamorosamente indebolite e quasi dimenticate dalla sinistra, o almeno dalla sinistra prevalente. Torniamo a Hegel: “ciò che è razionale è reale”. E questo è la sinistra. Ma se leggiamo al contrario, cioè “ciò che è reale è razionale”, troviamo la destra. La sinistra ha un progetto in testa e quindi si batte per realizzarlo. La destra chiede innanzitutto di prendere atto che se le cose sono in certo modo un motivo ci sarà. Adesso, almeno a mio avviso, si vede una impressionante inversione, perché molti a sinistra, sulla scia del “politically correct” tendono ad assumere ciò che “è” come punto di riferimento, mentre a destra apparentemente c’è più aria di cambiamenti drastici.
E allora i partiti? Quelli di sinistra, italiani e non, sono gli interpreti di questo ribaltamento di ruoli?
La sinistra è erede dell’illuminismo e ha sempre usato la ragione come strumento per leggere la realtà. Ma da un po’ di anni la ragione é diventata un comodo divano, sul quale sdraiarsi, non più un bisturi per aprire i problemi e guardarci dentro. Inoltre tutti i partiti, anche quelli di sinistra, si sono “statalizzati”. L’intero gruppo dirigente è composto di persone che stanno in Parlamento o nei consigli regionali. Con il risultato di rendere sempre più di palazzo la loro sensibilità, lontani dai problemi, che stanno invece fuori dal palazzo. Ancora una volta è il politicamente corretto che trionfa, imponendo anche di abbandonare i toni della protesta, che per sua natura unifica, mobilita e indica obbiettivi. La sinistra é ancora in tempo per tornare alla società, per maturare ed esplicitare un proprio punto di vista sul mondo e sul futuro. Ma deve far presto.
E infatti il Pd è sostanzialmente un partito-Stato in Italia…
Il peso del Pd lo hanno deciso i cittadini tramite libere elezioni. Questa è la sfida che ha davanti il PD: riorganizzarsi nella società. Ci sono le condizioni, pensi solo alle migliaia di volontari che hanno permesso l’organizzazione delle primarie. E molti sono giovani. Quale altro partito può farlo? Ma, ripeto, bisogna far presto.
È anche vero che non ci sono più le classiche “cinghie di trasmissione” come i sindacati o le cooperative.
Come dice Papa Francesco siamo dentro un cambiamento epocale, mutano gli elementi portanti del mondo occidentale. Qualche giorno fa abbiamo presentato il nostro rapporto annuale di Italiadecide. E come sempre abbiamo invitato un italiano capace di distinguersi sul fronte dell’innovazione e del pensiero. Ruggero Grammatica arriva e ci presenta la sua piattaforma digitale, capace non di elaborare semplicemente dei testi, ma in grado di sviluppare concetti. Siamo cioè di fronte al pensante non umano, che si affianca a quello umano. Le vecchie categorie sono quindi nostalgia allo stato puro. Oggi la questione fondamentale è reinventarsi una nuova antropologia e questo vale anche per la politica. O forse soprattutto.
Certo, il problema è abbastanza chiaro. Come risolverlo molto meno però…
Dobbiamo capire che siamo alla crisi dell’Illuminismo, della ragione come strumento supremo di comprensione della realtà. Mi capita di scriverlo nella mia rubrica sull’Osservatore Romano. Da un’altra parte arriva alla stessa conclusione Julián Carrón, il presidente di Comunione e Liberazione. In fondo siamo di fronte ad una stagione neo romantica, proprio come quella che viene dopo l’Illuminismo. Guardiamoci intorno. L’emozione prende il posto della ragione. La patria come valore prevalente rispetto all’internazionalismo. E poi il leader, il capo, nei confronti del quale scatta un processo di immedesimazione. Nessuno parla più di uomo di Stato, ma tutti invocano il leader, cioè l’espressione romantica per eccellenza, la figura del capo, del trascinatore. Insomma prevalgono meccanismi emotivi, più basati sulla somiglianza che sulla rappresentanza.
Perché Papa Francesco si inserisce con tanta facilità in questa modernità tanto nuova e per molti versi sconvolgente?
Perché non è europeo. Viene dalla fine del mondo, come dice lui. Pensiamo al tema dell’eguaglianza, alla questione dei poveri. Da noi sono spesso posti in modo retorico. Ma lui non fa così, perché li ha visti da vicino. È vissuto dentro la dittatura, è vissuto con la miseria accanto. Ecco perché lui riesce a trovare un modo nuovo di essere e di proporre un cammino.
Quindi è lui il vero capo della sinistra nel mondo?
Sbagliato metterla così. Occorre rispetto. «Prendiamo il caso Consip. È molto grave se, come assai probabile, un funzionario pubblico di qualsiasi tipo passa a un giornalista materiale che deve restare riservato. Ma non meno grave è come la politica usa tutto ciò nei propri dibattiti, perché questo finisce per essere un uso immorale della questione morale»
Torniamo all’Italia. Come aggiustiamo gli assetti istituzionali della Repubblica? Dure referendum hanno fallito miseramente.
Non possiamo arrenderci. Il referendum del centro-destra del 2006 impatta e fallisce sul tema del federalismo, che appare troppo costoso al nord e svantaggioso al sud. Altra storia è quella dello scorso dicembre, dove il risultato si spiega con il netto prevalere nel voto dell’avversione al governo e a Matteo Renzi, senza considerare più di tanto il merito delle modifiche proposte. Proprio per questo considero sbagliato il silenzio calato sul risultato dell’anno scorso. Chi ha votato NO dovrebbe comprendere di essere corresponsabile del disordine che abbiamo sotto gli occhi e chi ha condotto la campagna del SI dovrebbe ammettere di aver ecceduto in personalizzazione e anche di aver messo troppi temi in un solo testo. Ma questo è il senno del poi, con tutti i suoi limiti, sia chiaro.
Tornando indietro Lei confermerebbe il suo SI?
Assolutamente. Ne sono convinto. E quello che accade in questi mesi ne è la prova.
Insomma ci dobbiamo rassegnare?
Decisamente no. A breve presenteremo noi di Italiadecide una serie di proposte molto concrete per agire sul fronte dei regolamenti parlamentari. Faccio tre esempi. In materia di maxi-emendamenti, conversione dei decreti legge e sfiducia costruttiva si può intervenire per quella via, senza passare dalla modifica costituzionale. Sono riforme di grande portata raggiungibili in questa legislatura.
Tra politica e giustizia ci sarà mai pace?
Il punto di fondo riguarda il modo di condurre la lotta politica e come funziona l’informazione. Prendiamo il caso Consip. È molto grave se, come assai probabile, un funzionario pubblico di qualsiasi tipo passa a un giornalista materiale che deve restare riservato. Ma non meno grave è come la politica usa tutto ciò nei propri dibattiti, perché questo finisce per essere un uso immorale della questione morale, tema che riguarda anche i media, sia chiaro. Per abbattere l’avversario vale tutto ormai. Si prenda la telefonata tra Renzi e il padre. A un certo punto dice “non fare il nome di mamma”: qui i casi sono due. O la telefonata era organizzata sapendo di essere intercettati, ma allora non si capisce quel riferimento, che diventa un autogol. Oppure la telefonata è una telefonata e basta, ma allora non si può dire che è stata confezionata ad arte. Non possiamo continuare ad usare tutto contro tutti anche nel modo più scorretto. Così non se la cava nessuno. Ricordiamoci che le democrazie muoiono sempre per suicidio, mai per omicidio.
In Italia abbiamo esagerato nell’utilizzo delle intercettazioni?
E l’uso nella battaglia politica che é incivile. Campagne di stampa di giorni e giorni sono assolutamente fuori da ogni logica democratica, che fa scivolare l’informazione verso la diffamazione. E sia chiaro, non è questione di norme. Come diceva Machiavelli, le leggi funzionano se ci sono buoni costumi.
Quale legge elettorale ci serve per uscire dal guado?
Sono stato eletto in Parlamento con tutti i sistemi. Ma quello che considero migliore è quello che utilizza collegi uninominali, magari non per l’intero numero degli eletti. Dubito però che ci si arrivi. Sento in giro una gran voglia di proporzionale.
Cosa deve fare la sinistra?
Oggi molti si definiscono di sinistra senza esserlo. Ci sono snodi ineludibili. Il primo è definire un atteggiamento verso l’Europa. Poi chiarire le politiche per le fasce più deboli e per il riconoscimento del merito. Oggi continuiamo ad usare sinistra con categorie vecchie. In qualche modo Barack Obama si è applicato a questo. E lo stesso Macron, nel formare un governo così politicamente composito, ci indica che dobbiamo smontare tutte le impalcature cui siamo abituati.
Un consiglio finale non richiesto a Matteo Renzi?
La sua missione è riunificare il Paese, in primo luogo nello scollamento tra le generazioni.
Roberto Arditti 23 maggio 2017 LINKIESTA