VIA D’AMELIO – 13 ottobre 2011 PROCURA GENERALE DELLA REPUBBLICA  di CALTANISETTA RICHIESTA DI REVISIONE – RICHIESTA DI SOSPENSIONE DELLA ESECUZIONE DELLA PENA CONDANNATI BORSELLINO UNO E BORSELLINO DUE

13 ottobre 2011 PROCURA GENERALE DELLA REPUBBLICA  di CALTANISETTA RICHIESTA DI REVISIONE – RICHIESTA DI SOSPENSIONE DELLA ESECUZIONE DELLA PENA CONDANNATI BORSELLINO UNO E BORSELLINO DUE


In particolare lo SCARANTINO dichiarava:
che era stato il proprio cognato PROFETA Salvatore ad attribuirgli l’incarico di procurare all’organizzazione mafiosa un’auto rubata, da impiegarsi nel successivo attentato;
che era stato il carrozziere OROFINO Giuseppe a fornire la targa apposta alla Fiat 126 poi utilizzata come autobomba e che la vettura era stata imbottita di esplosivo proprio all’interno della sua autofficina;
che era stato Pietro SCOTTO a manomettere i fili dell’utenza telefonica presso l’abitazione della madre del dr. Borsellino onde procedere ad intercettazione delle telefonate al fine di conoscere i movimenti del magistrato ed in particolare quelli relativi alle visite periodiche che questi effettuava presso l’abitazione dell’anziana madre;
– che GAMBINO Natale era stato il soggetto che, il venerdì precedente alla strage, lo aveva avvisato di rendersi disponibile per il trasporto della macchina all’interno dell’officina di OROFINO;
che, sempre il GAMBINO, era stato presente, la mattina del sabato 18 luglio 1992, presso il bar Badalamenti in occasione dell’incontro con i fratelli Gaetano e Pietro SCOTTO con i quali aveva scambiato battute sulla riuscita dell’impresa, nonché come la persona che, nel pomeriggio dello stesso giorno, lo aveva nuovamente avvisato di portarsi presso l’officina di OROFINO, al cui esterno, unitamente allo stesso SCARANTINO ed a Gaetano MURANA, era stato poi impegnato nell’attività di controllo della via Messina Marine, mentre si procedeva all’approntamento dell’autobomba;
che LA MATTINA Giuseppe ed URSO Giuseppe, uomini d’onore della Guadagna, erano stati presenti al caricamento dell’esplosivo sulla Fiat 126 all’interno dell’officina dell’OROFINO e che il primo, unitamente al GAMBINO Natale, aveva anche partecipato, la domenica mattina, alle operazioni di trasferimento dell’autobomba dall’officina suddetta a piazza Leoni, con il ruolo di “vedetta”;
che gli stessi LA MATTINA Giuseppe e GAMBINO Natale, unitamente a VERNENGO Cosimo e MURANA Gaetano erano stati, in precedenza presenti alla riunione organizzativa della strage, tenutasi presso la villa del CALASCIBETTA, anche se tutti e quattro, in compagnia dello stesso SCARANTINO, erano rimasti all’esterno del salone dove si teneva la riunione; -che i predetti VERNENGO e MURANA si erano attivati, assieme allo stesso SCARANTINO, per portare la Fiat 126 nel garage di OROFINO il venerdì prima della strage;
-che il VERNENGO era, altresì presente, il sabato mattina, presso il bar Badalamenti al già menzionato incontro con i fratelli SCOTTO, nonchè al caricamento dell’autobomba presso l’officina di OROFINO, all’interno della quale era entrato a bordo di un fuoristrada Suzuki Vitara di colore bianco;
-che anche il MURANA aveva partecipato al trasferimento dell’autobomba a piazza Leoni, la mattina della domenica in cui fu eseguita la strage, a bordo della sua autovettura, con compito di battistrada.
Con riferimento alla posizione di SCOTTO Gaetano, lo SCARANTINO, come già accennato, aveva riferito di un incontro presso il bar Badalamenti alla Guadagna, avvenuto verso le ore 10,30-11,00 del sabato precedente la strage, in occasione del quale lo SCOTTO, giunto a bordo di una autovettura, forse una Fiat 127, guidata dal fratello Pietro, aveva nella sostanza comunicato a Natale GAMBINO ed a Cosimo VERNENGO, in compagnia dei quali era lo SCARANTINO, il buon esito della intercettazione abusiva eseguita dal germano Pietro sull’utenza attestata nell’abitazione di via D’Amelio.

Ad analogo incontro lo SCARANTINO asseriva di aver assistito la settimana precedente, tra le stesse persone e nello stesso bar, stavolta presente anche SCOTTO, senza aver avuto modo, tuttavia, di percepire il contenuto della conversazione occorsa nella circostanza.
Come si vede, un racconto, quello del “collaboratore”, avente ad oggetto una conoscenza asseritamente diretta dei fatti, con il coinvolgimento di personaggi indicati come uomini d’onore del mandamento di S.Maria di Gesù.
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Il suddetto scenario descritto dallo SCARANTINO nel corso dei processi viene radicalmente messo in discussione dalla collaborazione di Gaspare SPATUZZA.
Lo SPATUZZA (soprannominato “u tignusu” ), decisosi a parlare dopo numerosi anni di dura detenzione carceraria, spiegava che la propria decisione era frutto di un sincero pentimento basato su una autentica conversione religiosa e morale, oltre che sul desiderio di riscatto.
Egli, già condannato all’ergastolo per le stragi del 1993 e per altri numerosi e gravissimi delitti, tra i quali l’omicidio di padre PUGLISI e l’omicidio del piccolo DI MATTEO, iniziava a rendere le sue dichiarazioni il 26 giugno 2008 alle Procure di Caltanissetta, Firenze e Palermo.
Il collaboratore si attribuiva la responsabilità, unitamente ad altri soggetti inseriti in “cosa nostra” (tra i quali persone rimaste fino a questo momento estranee ai processi su quella vicenda) di un importante segmento della fase esecutiva della strage di Via D’Amelio (vedi memoria della Procura della Repubblica di Caltanissetta, pag. 126 e segg.).

In particolare, sintetizzando appresso la mole enorme delle sue propalazioni, lo SPATUZZA confessava:
– di avere eseguito, in concorso con Vittorio TUTINO, uomo d’onore della famiglia di Corso dei Mille, su richiesta di Cristofaro “Fifetto” CANNELLA, uomo d’onore della famiglia di Brancaccio, il quale, a sua volta, era latore di un ordine proveniente dal capo di quel mandamento, Giuseppe GRAVIANO, il furto della autovettura Fiat 126 di proprietà di VALENTI Pietrina, successivamente imbottita di esplosivo ed utilizzata come autobomba;
– di avere, dopo il furto, provveduto alla custodia della suddetta vettura all’interno di un locale nella sua disponibilità;
-di avere curato il ripristino di un minimo di efficienza della vettura rubata (che si presentava in pessime condizioni al momento del furto, tanto che gli autori avevano avuto parecchie difficoltà a portarla via) provvedendo egli stesso a contattare un meccanico di sua fiducia e pagando il conto dell’intervento;
– di aver reperito il materiale necessario ad innescare l’ordigno e di essere l’artefice del reperimento di notevoli quantità di sostanze esplosive utilizzate per le stragi mafiose degli anni ‘92 e ’93;
di avere partecipato allo spostamento della vettura, dal locale dove egli la teneva in custodia ad un altro locale (in Via Villasevaglios) più prossimo alla Via D’Amelio, dove poi sarà imbottita di esplosivo;
di avere operato, su mandato diretto di Giuseppe GRAVIANO e sempre in concorso con Vittorio TUTINO, il furto delle targhe di un’altra autovettura della stessa tipologia e marca custodita presso l’autofficina di OROFINO Giuseppe, all’interno della quale si erano introdotti furtivamente la sera del sabato precedente la strage; degno di nota il fatto che SPATUZZA sottolinea che solo per caso arrivarono all’officina dell’Orofino, dopo che erano andati a vuoto altri due tentativi presso esercizi diversi della zona (vedi memoria della Procura della Repubblica di Caltanissetta, pag. 504 e segg.);
di avere, dopo il furto, consegnato le targhe personalmente a Giuseppe GRAVIANO il quale, nell’occasione, raccomandò allo SPATUZZA di allontanarsi, l’indomani, quanto più possibile dalla città di Palermo;

Va subito sottolineato che lo SPATUZZA, come dallo stesso dichiarato, pose in essere tutte queste operazioni senza che mai nessuno lo mettesse al corrente di quale sarebbe stato l’epilogo di quella sua attività, ma nella piena coscienza di stare arrecando il proprio contributo a “cosa nostra” per la perpetrazione di un fatto grave ed eclatante; non dimentichiamo al riguardo che si era nel pieno della stagione stragista inaugurata da “cosa nostra” già nel 1991.
E’ di tutta evidenza come le suddette dichiarazioni dello SPATUZZA mettevano necessariamente in discussione l’esito di processi consacrati in sentenze passate in giudicato con le quali erano stati inflitti numerosi ergastoli e centinaia di anni di reclusione per gravissimi delitti.
Come è agevole cogliere dalla lettura delle sentenze contenenti le condanne che si assumono viziate da errore, uno dei “punti di forza” su cui queste si basano, sono le dichiarazioni di soggetti asseritamente portatori di una conoscenza diretta sulla strage perché, secondo le loro stesse dichiarazioni autoaccusatorie, si erano resi protagonisti, all’epoca dei fatti, di segmenti dell’azione criminosa poi sfociati nella strage di Via D’Amelio.

Questi personaggi, come detto, erano SCARANTINO Vincenzo e CANDURA Salvatore (supportati ab externo da ANDRIOTTA Francesco) che, secondo quanto dagli stessi concordemente dichiarato nei processi, sarebbero stati, rispettivamente il mandante e l’esecutore materiale del furto alla signora VALENTI Pietrina dell’autovettuta Fiat 126, poi approntata ad autobomba e quindi usata per la strage.
Quindi, come si vede, una presunta credibilità dei due suddetti collaboratori ampiamente spesa nelle sentenze di condanna e derivante dal fatto che quelle di SCARANTINO e di CANDURA venivano considerate, prima dell’avvento di SPATUZZA, come le dichiarazioni di soggetti direttamente coinvolti nella strage.
Da considerare, ancora, che alle dichiarazioni dei due si erano aggiunte anche quelle di ANDRIOTTA Francesco che aveva riferito sulle confidenze che asseritamente SCARANTINO Vincenzo gli avrebbe fatto durante alcuni periodi di codetenzione ed aventi quale oggetto proprio la partecipazione di quest’ultimo alla strage di Via D’Amelio; dichiarazioni dell’ANDRIOTTA che avevano contribuito alla decisione di collaborare da parte dello SCARANTINO prima, ed a contrastare, poi, i propositi di ritrattazione che il “picciotto della Guadagna” aveva manifestato nei processi, allorquando, in alcuni momenti di “crisi”, aveva dichiarato di non sapere nulla sulle stragi e di avere accusato in realtà delle persone innocenti.
Gli accertamenti espletati, quindi, come appare chiaro dalla lettura della memoria trasmessa a questo Ufficio dalla Procura della Repubblica di Caltanissetta, non si limitano alla acquisizione di riscontri alle dichiarazioni dello SPATUZZA, ma si sforzano di dare una risposta agli inquietanti interrogativi che si pongono sulle cause, ragioni e modalità della diversa ricostruzione di quei tragici avvenimenti che era stata offerta all’epoca nei processi inerenti la strage di Via D’Amelio denominati “Borsellino uno” e “Borsellino bis”.
Occorre, tuttavia, evidenziare che le nuove acquisizioni non travolgono una parte del processo “Borsellino bis”, e precisamente quella relativa ai mandanti della strage e non intaccano minimamente il processo “Borsellino ter”, anch’esso relativo alle responsabilità dei cd. mandanti interni a cosa nostra: vale a dire, dei rappresentanti provinciali, dei capimandamento e/o dei loro rappresentanti che avevano contribuito alla deliberazione della campagna stragista di “cosa nostra”.
I problemi nascono quindi, a ben vedere, con riferimento ai primi due processi e precisamente a quelle parti delle relative sentenze fondate sulle dichiarazioni rese da Salvatore CANDURA, Francesco ANDRIOTTA e soprattutto da Vincenzo SCARANTINO, il quale, pur attraverso un percorso dichiarativo disseminato di contraddizioni ed anche ritrattazioni, aveva accusato della partecipazione alla strage di Via D’Amelio, oltre che sé stesso, numerose persone, molte delle quali appartenenti al mandamento mafioso di Santa Maria di Gesù (capeggiato da Pietro AGLIERI).
E appena il caso di ricordare che le dichiarazioni del CANDURA, dell’ANDRIOTTA e dello SCARANTINO riguardavano lo stesso segmento esecutivo della strage (furto dell’auto; imbottitura con l’esplosivo; reperimento delle targhe da apporre all’auto rubata; indicazione dei soggetti responsabili di queste azioni) e gli stessi argomenti di cui parla, autoaccusandosi, Gaspare SPATUZZA che, peraltro, chiama in correità per le condotte in questione, soggetti appartenenti alla famiglia mafiosa di Brancaccio (quindi, uomini di Giuseppe GRAVIANO), e non soggetti appartenenti alla famiglia mafiosa della Guadagna (mandamento di S. Maria di Gesù) e quindi uomini di Pietro AGLIERI (come invece aveva fatto SCARANTINO con le sue dichiarazioni).
E’, pertanto, evidente come una delle due ricostruzioni non può che essere falsa e bisogna comprendere quale, cercando di trovare, al contempo, una spiegazione a quanto è accaduto.
Inoltre, se lo SPATUZZA ha detto la verità, bisogna comprendere se la diversa versione dei fatti consacrata nelle indagini del gruppo Falcone–Borsellino, all’epoca diretto dal dr. Arnaldo LA BARBERA, fosse stata il frutto di un clamoroso errore investigativo prima, e giudiziario poi, magari determinato dall’ansia di dare una pronta risposta all’opinione pubblica allarmata e disorientata dall’escalation stragista, ovvero il risultato di un vero e proprio depistaggio.
Ed in questa seconda inquietante ipotesi, occorre cercare di capire se si fosse voluta coprire la responsabilità di “soggetti esterni a cosa nostra” astrattamente riconducibili, secondo un ventaglio di ipotesi suggerito anche da spunti investigativi contenuti in altri procedimenti, ad apparati deviati dei servizi segreti ovvero ad altre istituzioni od, ancora, ad organizzazioni terroristico- eversive.
Ciò spiega perché non è possibile limitarsi all’esame dei riscontri alle inedite dichiarazioni rese dallo SPATUZZA, ma è necessario rivisitare integralmente gli atti d’indagine ed i processi svoltisi negli anni novanta sulla strage di Via D’Amelio, ed in particolare, ma non soltanto, i processi Borsellino “uno” e “bis” e le sentenze emesse a conclusione di quei processi, sottoponendo il tutto a nuova verifica.
L’analisi di tale documentazione, a dir poco imponente, viene effettuata con la consapevolezza che molte delle fonti di prova e delle acquisizioni effettuate  nell’ambito dei vari processi celebrati in passato mantengono la loro validità, poiché soltanto una parte degli elementi acquisiti in quei processi vengono travolti dalle rivelazioni dello SPATUZZA e, soprattutto dai riscontri che sembrano effettivamente attestare la genuinità di quest’ultimo.
Ad essere travolte, come già si è anticipato, sono quelle decisioni e quelle valutazioni basate direttamente o indirettamente sulle dichiarazioni di Salvatore CANDURA, Francesco ANDRIOTTA e Vincenzo SCARANTINO, oltre che sulle acquisizioni investigative e sulle analisi di polizia giudiziaria basate sull’erroneo presupposto della loro veridicità.
Di contro, vi sono, tra le fonti di prova all’epoca acquisite, quelle della cui genuinità non vi è alcun motivo di dubitare (dichiarazioni di altri collaboratori di giustizia, accertamenti tecnico scientifici, esito di deleghe d’indagine, verbali di s.i.t. etc.) e che, anzi, vengono ulteriormente rivalutati alla stregua delle nuove acquisizioni investigative provenienti, come si vedrà, non soltanto dalle dichiarazioni dello SPATUZZA, ma anche da altre fonti dichiarative (alcune delle quali recentissime) e tra queste Fabio TRANCHINA, e dalle altre tipologie di indagini espletate.
Nella rivalutazione di quelle acquisizioni processuali, un grande rilievo assumono anche le dichiarazioni rese alla Corte d’Assise d’Appello di Catania (nel processo “Borsellino ter”) dai collaboratori di giustizia Antonino Giuffrè, Giovanni Brusca, Ciro Vara, Leonardo Messina e delle motivazioni della sentenza (depositata in data 12.09.2007) in ordine alle accertate responsabilità dei mandanti interni a cosa nostra delle stragi di Capaci e via D’Amelio.
Questa Procura Generale condivide e fa proprie le risultanze della sentenza in questione (che ha ricostruito tutta la fase deliberativa delle stragi del 1992 con foglio n. 40 insuperabili argomentazioni passate al vaglio della Suprema Corte) e da quella analisi prende le mosse per le successive valutazioni che saranno svolte. ——————
Come si è evidenziato, dopo che lo SPATUZZA aveva messo in discussione molte delle verità acquisite sulla strage di Via D’Amelio, è stato necessario avviare indagini finalizzate a ricostruire ex novo tutta la fase deliberativa ed esecutiva della strage stessa.
Nell’ambito di questa ricostruzione investigativa la Procura di Caltanissetta non si è limitata a sottoporre a verifica quei segmenti della fase preparatoria ed esecutiva della strage direttamente interessati dalle propalazioni di Gaspare SPATUZZA e da quelle recentissime di Fabio TRANCHINA (di cui si dirà in appresso); ma ha sviluppato gli accertamenti a 360 gradi, nel doveroso tentativo di colmare quei “vuoti di conoscenza” di cui si è detto in precedenza, nell’intento di trovare ulteriori e puntuali riscontri alle dichiarazioni di Gaspare SPATUZZA.
La consapevolezza che, essendo trascorsi ormai quasi vent’anni da quei tragici avvenimenti, si era giunti “all’ultima spiaggia“ ha reso obbligata la rivisitazione di tutto il precedente compendio probatorio, e non solo, quindi, lo sviluppo di quanto di nuovo riferito dai più recenti collaboratori di giustizia.
Nell’ottica di questa esigenza di completezza, sono state compulsate tutte le fonti di possibile prova, perfino personaggi irriducibili di “cosa nostra” come Salvatore RIINA, Pietro AGLIERI, Carlo GRECO e Salvatore BIONDINO, e ciò, come appare evidente, nella esistenza di un preciso dovere giuridico e morale di creare le premesse per consentire la revisione, e comunque, nella immediatezza, la sospensone della esecuzione della pena inflitta con le sentenze di condanna emesse nei confronti di non pochi soggetti che, come si è già
foglio n. 41 evidenziato, sulla base delle nuove emergenze di cui si sta trattando, risultano estranei all’esecuzione della strage di Via D’Amelio.
A tal proposito, ed a riscontro della scrupolosità dell’indagine che non ha lasciato nulla di intentato per approfondire le conoscenze di quella vicenda, si rappresenta, a titolo meramente esemplificativo e senza pretese di completezza, che si è proceduto al compimento delle seguenti attività istruttorie:
riesame integrale della ingente documentazione riguardante le precedenti acquisizioni investigative e processuali inerenti la strage di Via D’Amelio ; -svolgimento di un notevolissimo numero di interrogatori di soggetti indagati a vario titolo tra i quali: Maurizio Costa, Salvatore Candura, Vincenzo Scarantino, Francesco Andriotta, Vittorio Tutino, Salvatore Riina, Pietro Aglieri, Carlo Greco, Salvatore Biondino, Bruno Contrada e molti altri;
interrogatori di numerosi collaboratori di giustizia tra i quali (oltre lo Spatuzza): Mario Santo Di Matteo, Antonino Giuffrè, Giovanni Brusca, Pietro Romeo, Agostino Trombetta, Salvatore Grigoli, Tullio Cannella, Angelo Fontana, Gaspare Mutolo, Leonardo Messina, Vincenzo Sinacori, Angelo Siino, Giovanbattista Ferrante, Giuseppe Ferone, Angelo Mascali, Rosario Naimo, Fabio Tranchina ed altri ancora;
esecuzione di numerosi confronti (quasi tutti rigorosamente video-registrati): tra Maurizio Costa e Gaspare Spatuzza; tra Maurizio Costa e Agostino Trombetta; tra Gaspare Spatuzza e Vincenzo Scarantino; tra Gaspare Spatuzza ed Agostino Trombetta; tra Salvatore Candura e Vincenzo Scarantino; tra Gaspare Spatuzza e Vittorio Tutino; tra Gaspare Spatuzza e Fabio Tranchina; tra Massimo Ciancimino e Lorenzo Narracci; tra alcuni dei funzionari di Polizia (indagati per concorso in calunnia) ed i loro accusatori (Scarantino, Andriotta e Candura) ed altri ancora;
esecuzione di diversi atti di ricognizione di album fotografici oltre che personali;
esecuzione, direttamente ovvero tramite la D.I.A., di una quantità elevatissima di esami testimoniali di soggetti che, a vario titolo e nel contesto dei vari filoni di indagine, si è ritenuto fossero in grado di fornire informazioni utili all’accertamento della verità alla luce dei nuovi elementi di prova acquisiti; -esecuzione di numerosi sopralluoghi videoregistrati: molti con Gaspare Spatuzza per ricostruire anche sui luoghi il contenuto delle sue dichiarazioni; due rispettivamente con Valenti Pietrina e con Salvatore Candura con specifico riferimento alla esatta individuazione del luogo in cui era parcheggiata l’autovettura Fiat 126 al momento del furto altri ancora con Fabio Tranchina a riscontro delle sue dichiarazioni etc. (l’esito di alcuni accertamenti è stato riportato sul supporto informatico allegato alla memoria trasmessa dalla Procura di Caltanissetta, sicché, attraverso un collegamento ipertestuale, è consentita la visione delle immagini videoregistrate);
affidamento di complessi accertamenti tecnico-scientifici alla Polizia Scientifica di Roma e di consulenze ad esperti di fiducia del P.M. (per il ritrovamento di residui di sostanze esplosive, sui resti della Fiat 126 adoperata come autobomba; su una impronta digitale a suo tempo rilevata sull’autovettura custodita nella officina di Orofino Giuseppe da cui furono asportate le targhe poi applicate sull’auto-bomba usata per la strage di Via D’Amelio; sui resti dell’impianto frenante della Fiat 126 utilizzata come autobomba; su tutti i filmati relativi alla Via D’Amelio per meglio ricostruire le dinamiche dell’attentato e verificare la presenza del blocco motore della Fiat 126 sui luoghi della strage già in data 19 luglio 1992 ed altro ancora );
esecuzione, a cura della D.I.A. di Caltanissetta, di imponente attività di intercettazione telefonica ed ambientale (inerente numerosi soggetti coinvolti a vario titolo nelle indagini);
L’ attendibilità di Gaspare Spatuzza;
le ritrattazioni di Salvatore CANDURA, Francesco ANDRIOTTA e Vincenzo SCARANTINO;
la recente collaborazione con la giustizia di Fabio TRANCHINA.
Le dichiarazioni di SPATUZZA sono, dunque, l’elemento probatorio centrale su cui si impernia la presente richiesta di revisione e di sospensione della esecuzione della pena, e ciò non solo per il loro peso intrinseco, non solo per la mole notevolissima di riscontri che, partendo da dette dichiarazioni, è stato possibile acquisire, ma anche perché, grazie alla spontanea decisione di questi di collaborare con la giustizia, dette dichiarazioni hanno rappresentato la stessa scaturigine da cui ha preso le mosse l’indagine, nella prospettiva, che in questa sede più interessa, di rivisitare quelli che fin da subito sono apparsi come gli elementi che hanno portato alla infondata condanna di molti soggetti nel corso dei processi, ma anche nella prospettiva, in questa sede meno interessante, della focalizzazione delle responsabilità per la strage di nuovi soggetti mai toccati dai processi in precedenza; aspetto quest’ultimo da tenere comunque in massima considerazione poiché contribuisce a fugare ogni dubbio (all’inizio dell’indagine come si è detto legittimo e persino doveroso) sul fatto che SPATUZZA non è sicuramente un collaboratore animato dallo scopo di operare in “bonam partem” rispetto a qualche personaggio di “cosa nostra” già condannato per la strage.
Nel verbale del 03-07-2008 che segna l’inizio della sua collaborazione, lo SPATUZZA, ponendosi subito in insanabile contraddizione con le dichiarazioni “storiche” di SCARANTINO e CANDURA, si attribuisce, chiamando in correità Vittorio TUTINO, la paternità del furto della Fiat 126 poi allestita in autobomba. Furto che afferma avere operato su incarico di “Fifetto”  CANNELLA il quale gli aveva riferito che quell’azione criminosa era voluta dal capo mandamento di Brancaccio, Giuseppe GRAVIANO.

SPATUZZA afferma poi, e ribadisce in decine di successivi verbali, che, fino al giorno della strage, non seppe mai che la sua attività fosse funzionale all’attentato al dr. Borsellino ma di avere comunque intuito subito, che l’epilogo di quello che si stava preparando sarebbe stato certamente tragico.
In tutto il racconto dello Spatuzza manca ogni riferimento a qualsiasi presenza anche meramente casuale del CANDURA che in precedenza si era accusato del furto della macchina, e dello SCARANTINO che si era accusato di essere il mandante di quel furto.
Una complessiva valutazione dell’attività di riscontro alle dichiarazioni di Gaspare SPATUZZA, consente di affermare che questi è un collaboratore di giustizia dotato di piena attendibilità intrinseca ed estrinseca.
Le sue dichiarazioni hanno, innanzitutto, trovato importante “riscontro indiretto” nelle ritrattazioni intervenute innanzi ai pp.mm. di Caltanissetta da parte di:
-Salvatore CANDURA, in data 10 marzo 2009 (vedi memoria della Procura della Repubblica di Caltanissetta, pag. 802 e segg.);
-Francesco ANDRIOTTA, in data 17 luglio 2009 (vedi memoria della Procura della Repubblica di Caltanissetta, pag. 913 e segg.);
-Vincenzo SCARANTINO, 28 settembre 2009 (vedi memoria della Procura della Repubblica di Caltanissetta, pag. 820 e segg.);
Costoro, infatti, dopo vari tentennamenti, posti di fronte all’evidenza degli elementi di prova acquisiti in riscontro alle propalazioni di SPATUZZA, hanno infine ammesso di avere reso dichiarazioni del tutto false e calunniatorie (nel caso di SCARANTINO e CANDURA, anche autocalunniatorie) ed hanno cercato di giustificare il proprio rispettivo operato accusando alcuni funzionari della Polizia di Stato che, sotto la guida del dr. Arnaldo LA BARBERA, li avevano asseritamente sottoposti ad indebite pressioni ed indottrinamenti, accompagnati da promesse di benefici di varia natura, cui non sarebbero stati capaci di sottrarsi.
Come può immaginarsi, siffatte dichiarazioni hanno aperto un altro fronte d’indagine nel cui contesto la Procura della Repubblica di Caltanissetta ha effettuato l’iscrizione di alcuni funzionari di Polizia, all’epoca appartenenti al gruppo Falcone-Borsellino (per concorso in calunnia aggravata con Candura, Andriotta e Scarantino).
I funzionari, sottoposti prima ad interrogatorio e successivamente anche a confronti con i loro accusatori, hanno respinto gli addebiti formulati nei loro riguardi, sostenendo la correttezza delle indagini da loro svolte sotto la direzione del dr. Arnaldo La Barbera (deceduto alcuni anni orsono).
Le indagini svolte al riguardo, basate anche su una certosina ricostruzione di tutti gli atti di P.G. in cui gli stessi hanno avuto un qualsivoglia ruolo, non hanno consentito allo stato, secondo quanto comunica la Procura di Caltanissetta, di trovare comunque sufficienti elementi di riscontro alle accuse formulate nei loro confronti dai tre ex collaboratori .
In ogni caso, assai opportunamente la D.D.A. di Caltanissetta, nella memoria trasmessa a questo Ufficio, offre un ampio resoconto di tutte le indagini svolte su questo allarmante capitolo, per la evidente importanza che esso assume per fare luce sulle reali ragioni per cui Salvatore Candura, Francesco Andriotta e Vincenzo Scarantino resero all’epoca dei fatti, dichiarazioni false e calunniatorie nei confronti di sé stessi e di numerose altre persone.
Ma non è certamente nella ritrattazione di tre personaggi squalificati come SCARANTINO e gli altri due che va ricercata la prova della attendibilità dello SPATUZZA.
In realtà, sono intervenuti, nel corso delle indagini, importantissimi elementi di “risconto diretto” scaturiti sia da indagini tecnico-scientifiche sui reperti dell’autovettura utilizzata per la strage, sia dagli accertamenti svolti dalla D.I.A, su delega della Procura di Caltanissetta, sia da dichiarazioni rese da testimoni sia da collaboratori di giustizia di ben altro spessore e reputazione dei nostri tre (vedi memoria della Procura della Repubblica di Caltanissetta, pag. 150 e segg.).
Così, nel corso di un sopralluogo svolto dalla Procura di Caltanissetta, veniva verificata l’esatta identità tra il luogo indicato dallo SPATUZZA come quello in cui era parcata la Fiat 126 al momento del furto e quello indicato dalla persona offesa VALENTI Pietrina.
Il CANDURA, condotto nei luoghi, accertamento mai svolto nel corso delle indagini precedenti, indicava un posto irrimediabilmente diverso da quello descritto e poi puntualmente individuato dallo SPATUZZA (e confermato dalla VALENTI). Seguirà da lì a poco la ritrattazione del “collaboratore”.
Parimenti, sulla base delle indicazioni dello SPATUZZA e di successivi laboriosi accertamenti, veniva individuato il garage, sito nel quartiere di Brancaccio, dove era stata ricoverata la Fiat 126 di Valenti Pietrina immediatamente dopo la perpetrazione del furto (vedi memoria della Procura di Caltanissetta, pag. 179 e segg.).
Veniva effettivamente riscontrata l’affermazione dello SPATUZZA secondo cui non era tecnicamente possibile operare il furto di una Fiat 126 utilizzando uno “spadino” (come invece aveva dichiarato CANDURA nel corso dei processi), ma occorreva un’altra procedura consistente nella forzatura del bloccasterzo (vedi memoria della Procura di Caltanissetta, pag. 209 e segg.)

Veniva individuato il garage dove furono effettuate le riparazioni della 126 (che come dichiarato da SPATUZZA aveva problemi alla frizione ed all’impianto frenante) per garantirne un minimo di efficienza nel corso dei tragitti dentro la città di Palermo che dovevano portarla, prima nel garage di Via Villasevaglios per l’imbottitura con l’esplosivo e, successivamente, in Via D’Amelio.
Inoltre, il collaboratore di giustizia Agostino TROMBETTA forniva formidabili riscontri alle dichiarazioni di Gaspare SPATUZZA a proposito dell’incarico da questi dato al meccanico COSTA Maurizio per la sostituzione delle ganasce della Fiat 126 di cui si è detto (vedi memoria della Procura di Caltanissetta, pag. 326 e segg.).
Ulteriori importanti riscontri oggettivi emergono dall’ attività di consulenza tecnica effettuata che ha dimostrato l’effettivo intervento sull’impianto frenante della vettura.
Al riguardo, con relazione tecnica del 09-06-2009, i due esperti incaricati per gli accertamenti dalla Procura di Caltanissetta concludevano che “è molto probabile sia stato eseguito un intervento che ha riguardato il lato Dx della vettura. Tale intervento è stato costituito da sostituzione cilindretto e ganasce guarnite di materiale d’attrito. Le condizioni superficiali del materiale d’attrito e le misurazioni condotte sulle ganasce fanno supporre una percorrenza molto limitata dopo l’intervento di cui sopra. A livello di ipotesi riteniamo di poter aggiungere che l’intervento sul lato Dx sia stato fatto a seguito di difetto del freno, in particolare bloccaggio del cilindretto, tale difetto potrebbe spiegare la sostituzione delle ganasce freno ed il relativo cilindretto stesso” (vedi memoria della Procura di Caltanissetta, pag. 406 e segg.).
Trattasi, com’è evidente, di uno dei riscontri più significativi alle dichiarazioni dello SPATUZZA, poiché la circostanza dell’intervento al sistema frenante della Fiat 126 costituisce un elemento di assoluta novità, mai introdotto, prima della collaborazione del nominato, nell’ambito dei processi celebrati per la Strage di Via D’Amelio. Un particolare così specifico, infatti, non poteva che essere conosciuto soltanto da colui che, effettivamente, aveva commissionato l’esecuzione dei lavori di ripristino dell’efficienza della “126”.
Ulteriori importanti accertamenti intervengono a rafforzare la credibilità del collaboratore sulla vicenda.
Sulla base delle indicazioni dello stesso è stato individuato l’esercizio commerciale ove vennero acquistate le batterie per auto utilizzate per approntare il congegno esplosivo all’interno della Fiat 126. Trattasi di un’officina di elettrauto sita in Corso dei Mille nr. 474 intestata a tale PERNA Settimo (deceduto nel 2004).
Veniva inoltre individuato il luogo dove venne spostata la vettura il giorno prima della strage: trattasi di un garage sito in Via Villasevaglios nr. 17, all’epoca in uso a SCARDAMAGLIA Giovanni, personaggio di Brancaccio, vicino ai fratelli GRAVIANO.
In relazione alle prove dichiarative, si segnala fin da ora il recentissimo ed inaspettato contributo fornito, a partire dall’aprile di quest’anno, dal neo collaboratore di giustizia Fabio TRANCHINA, il quale, dopo essere stato sottoposto a fermo di indiziato di delitto da parte della Procura di Caltanissetta, attualmente si trova in stato di detenzione a seguito di accoglimento di richiesta della custodia cautelare in carcere per partecipazione alla strage di Via D’Amelio (vedi memoria della Procura della Repubblica di Caltanissetta, pag. 637 e segg.).
Anche il TRANCHINA, conosciuto in “cosa nostra” con il soprannome di “capello fermo”, è stato un soggetto inserito nella famiglia di Brancaccio ed è parente di personaggi influenti nel gotha dell’organizzazione mafiosa (è cognato del capofamiglia Cesare LUPO), ed ha nel passato scontato una congrua pena detentiva per il reato di cui all’art. 416 bis. c.p. (“commesso in Palermo fino al 1996”).
Egli, dal maggio del 1991 al gennaio del 1994, ha svolto il ruolo di autista e persona di fiducia di Giuseppe GRAVIANO (di cui ha anche curato la latitanza) e, proprio in virtù delle conoscenze acquisite nello svolgimento di questo delicato ruolo, ha fornito, una volta intrapresa la decisione di collaborare con la giustizia, importanti dichiarazioni inerenti un rilevante segmento della fase preparatoria ed esecutiva della strage di Via D’Amelio di cui è stato partecipe insieme a Giuseppe GRAVIANO, ammettendo la propria responsabilità ed il contributo a quest’ultimo fornito, pur nei limiti del ruolo rivestito all’interno della associazione mafiosa (vedi memoria della Procura della Repubblica di Caltanissetta, pag. 660 e segg.). E’ bene precisare, fin da adesso, che si tratta di un segmento preparatorio ed esecutivo della strage diverso da quello che ha visto protagonista Gaspare SPATUZZA ed i suoi complici e quindi un segmento meno importante rispetto al capitolo degli errori giudiziari che in questa sede interessa. Le dichiarazioni complessivamente rese dal TRANCHINA, come si dimostrerà, oltre a fornire, però, ulteriori positivi elementi di riscontro alle rivelazioni dello SPATUZZA (e tra queste il fatto che Giuseppe GRAVIANO è stato il vero dominus di tutta la fase esecutiva della strage), hanno consentito di fare luce su alcuni aspetti ulteriori di cui lo SPATUZZA non era neppure al corrente, come il fatto che lo stesso GRAVIANO è stato, probabilmente, la persona che ha premuto il telecomando, appostato all’interno di un agrumeto abbandonato nei pressi del luogo dell’attentato ( vedi memoria della Procura di Caltanissetta, pag. 991 e segg. ).
Va ancora aggiunto che, successivamente alla trasmissione della memoria a questo Ufficio da parte della Procura di Caltanissetta, la Corte di Assise di Firenze, con sentenza resa il 05-10-2011, ha condannato all’ergastolo TAGLIAVIA Francesco in relazione all’accusa di partecipazione alle stragi del 1993-1994, proprio sulla base del fondamentale contributo dello SPATUZZA le cui dichiarazioni, in precedenza, avevano determinato l’applicazione a carico del TAGLIAVIA della custodia cautelare in carcere per le suddette tragiche vicende delittuose. Ne viene, quindi, ulteriormente rafforzata la credibilità dello SPATUZZA quale uno dei protagonisti più attivi nell’ambito di quella stagione stragista (vedi atti trasmessi in data 06-10-2011 dalla Procura della Repubblica di Caltanissetta).
Inoltre, di recente, con provvedimento emesso in data 07-09-2011 dalla Commissione Centrale per i collaboratori di giustizia, veniva adottato lo speciale programma di protezione nei confronti dello SPATUZZA (vedi sempre atti trasmessi in data 06-10-2011 dalla Procura della Repubblica di Caltanissetta).
Certamente, la recente attività investigativa non ha sgombrato definitivamente il campo da tutti gli interrogativi che hanno riguardato la strage del 19 luglio 1992, ma ha notevolmente contribuito al reperimento di alcuni importanti “ pezzi mancanti” ed alla individuazione di quelle “tessere false” del mosaico che avevano portato alle condanne che con la presente richiesta si mettono in discussione.
Gli atti che si sottopongono alla valutazione di Codesta Corte, sono, allo stato, rappresentativi, a parere di questo Ufficio, della estraneità ai fatti di undici soggetti già condannati per la strage di via D’Amelio, sulla scorta delle acquisizioni derivanti dalle false collaborazioni di CANDURA Salvatore, ANDRIOTTA Francesco e SCARANTINO Vincenzo.
Addirittura otto delle undici persone, nei cui confronti sono state pronunciate condanne, si ritiene viziate da errore giudiziario, ed esattamente:
PROFETA Salvatore GAMBINO Natale
LA MATTINA Giuseppe URSO Giuseppe VERNENGO Cosimo MURANA Gaetano
SCOTTO Gaetano
SCARANTINO Vincenzocontinuano, attualmente, a scontare la pena dell’ergastolo (tranne lo SCARANTINO, condannato a pena temporanea) per la strage di Via D’Amelio e reati satelliti; circostanza questa che rende particolarmente urgente e pressante la richiesta di sospensione dell’esecuzione della pena formulata da questo Ufficio, fermo restando le considerazioni che appresso si esporranno in tema di ammissibilità della richiesta di revisione.
Quanto allo SCARANTINO ed al CANDURA, vien da sé che le ritrattazioni effettuate dagli stessi rendono superfluo qualsivoglia commento in relazione alla loro estraneità ai fatti per i quali riportavano condanna (lo SCARANTINO in relazione al delitto di strage ed a quelli allo stesso connessi; il CANDURA in relazione al reato di furto aggravato dall’art. 7 legge 203 del 1991).
Così come, il complesso delle acquisizioni procedimentali evidenzia, del pari, l’estraneità alla strage di via D’Amelio di TOMASELLI Salvatore, la cui condanna, comunque relativa soltanto al furto della Fiat 126 utilizzata come autobomba ed al reato associativo, si fondava sulle chiamate in correità degli stessi SCARANTINO e CANDURA.
Parimenti, si ritiene che OROFINO Giuseppe sia estraneo ai fatti di Via D’Amelio, anche a quei protagonismi più limitati per i quali era stato condannato nel corso del processo, dopo che, comunque, era stato riconosciuto il suo mancato coinvolgimento nel più grave reato di strage.
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13 ottobre 2011 – RICHIESTA SOSPENSIONE DELLA PENA