Mafia e appalti, si indaga anche sull’ex procuratore Giammanco
Tanti anni fa, era il 2011, il tenente Carmelo Canale raccontò: «Dopo la strage Falcone, Paolo Borsellino mi disse che voleva arrestare il procuratore Giammanco».
Non sa il motivo, ma di certo quelli erano giorni convulsi. «Una settimana prima che lo uccidessero, lo vidi scrivere in maniera convulsa sulla sua agenda rossa – ha proseguito il collaboratore dell’allora procuratore aggiunto di Palermo – non so cosa stesse appuntando, ma mi disse, arrabbiatissimo, che ce n’era per tutti e che era finito il tempo di scherzare».
Trentadue anni dopo la strage di via D’Amelio, la procura di Caltanissetta ha ripreso queste dichiarazioni e altri tasselli che raccontano dell’allora procuratore della repubblica di Palermo Pietro Giammanco, figura al centro di tante polemiche: in quella drammatica estate del 1992, otto sostituti procuratori firmarono un documento di dimissioni dal pool antimafia in segno di protesta contro il capo dell’ufficio, accusato di non garantire un’adeguata condizione di sicurezza per i magistrati. E lui andò via da Palermo.
Ora, l’ex procuratore Pietro Giammanco, morto nel 2018, viene definito «l’istigatore» di un «disegno criminoso» volto a insabbiare l’inchiesta mafia e appalti. Se fosse ancora vivo, anche lui avrebbe ricevuto dalla procura di Caltanissetta un avviso a comparire che contesta l’accusa gravissima di favoreggiamento alla mafia, lo stesso atto ricevuto dall’ex sostituto procuratore Gioacchino Natoli, che verrà interrogato questa mattina.
Maria Falcone lo difende: «Conosco Gioacchino Natoli da una vita, so perfettamente che uomo è e che magistrato è stato e ne conosco la rettitudine e l’amore per le istituzioni. Natoli ha lavorato a fianco di mio fratello Giovanni e di Paolo Borsellino e io non posso dimenticare quei momenti. Sono certa che saprà dimostrare la sua estraneità alle accuse». In difesa di Natoli, anche i membri dem della commissione antimafia: «Ha speso la sua vita per la lotta a Cosa nostra».
L’indagine di Caltanissetta si presenta complessa. Peraltro, non è la prima volta che Giammanco viene chiamato in causa sul tema mafia e appalti. Nel 1995, l’ex procuratore era addirittura finito sotto inchiesta a Caltanissetta dopo le dichiarazioni del pentito Giuseppe Marchese, il figlioccio di Totò Riina, che lo accusava di avere intascato una mazzetta da due miliardi delle vecchie lire per ammorbidire le posizioni di alcuni indagati. Dichiarazioni a cui Giammanco rispose subito con una denuncia per calunnia. L’inchiesta per corruzione venne poi archiviata, non emerse alcun riscontro alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia.
Ora, anche le parole di Marchese sono un altro tassello da riesaminare. Come il racconto dell’ex pm Vittorio Teresi che nel 2013, al Borsellino Quater, riferì una confidenza molto particolare di Borsellino. Questa: «Una fonte molto attendibile mi ha parlato di rapporti fra un noto esponente politico e alcuni indagati di mafia». E aggiunse: «Non farne parole con nessuno, la notizia non deve arrivare a Giammanco». Cosa c’era dietro quella soffiata? Il mafioso Angelo Siino si sarebbe rivolto a Salvo Lima,perché “sensibilizzasse”, tramite un altro importante esponente Dc, Mario D’Acquisto, il procuratore Giammanco. Questo diceva la fonte. Siino puntava ad “alleggerire” la sua posizione? L’allora ministro dei Lavori pubblici di Cosa nostra fu però poi rinviato a giudizio per associazione mafiosa.
Siino, diventato anche lui collaboratore di giustizia, ha detto invece che fu Pino Lipari, non lui, a muoversi «sull’onorevole D’Acquisto, affinchè si attivasse nei confronti di Giammanco». Di questo tema si parlò nel processo per la strage di Capaci, nel 1995.
L’allora pm Luca Tescaroli chiese: «Senta Siino, sa dire se l’organizzazione Cosa nostra si sia attivata per neutralizzare le prevedibili conseguenze giudiziarie scaturite dalle indagini cosiddette mafia e appalti?». Risposta: «Mah, praticamente in parecchi modi. Lipari e Buscemi cercarono di ovviare alle conseguenze di queste indagini».
Il magistrato tornò ad insistere: «Lei sa se questa attivazione di Lipari tramite Mario D’Acquisto sul procuratore Giammanco sia effettivamente avvenuta?».
Risposta di Siino: «Io ritengo di sì, però… e l’ho detto, l’ho detto a voi, l’ho detto dovunque… la cosa non è stata ben provata». Siino ha parlato pure del rapporto di parentela fra il procuratore Pietro Giammanco e l’imprenditore Enzo Giammanco, rampollo di una famiglia che a Bagheria ha sempre offerto protezione e complicità al boss Bernardo Provenzano: «Mi veniva detto che doveva restare una cosa segretissima», ha spiegato Siino. «Anzi, mi si specificava che era stata messa in giro una voce ad arte che il procuratore non parlava con i suoi parenti di Bagheria».
Misteri su misteri. Fra tante polemiche, oggi rilette alla luce delle ultime indagini.
Giammanco non informò Paolo Borsellino dell’informativa del Ros che annunciava l’arrivo del tritolo a Palermo, nel mese di giugno 1992. Borsellino si arrabbiò molto col procuratore, con il quale continuava ad avere rapporti tesi.
Solo il giorno in cui fu ucciso, alle 7 del mattino, Giammanco telefonò per dire che gli avrebbe affidato il coordinamento delle indagini su Palermo. Quel coordinamento che Borsellino invocava da mesi. Per quelle indagini che facevano paura alla mafia e a qualcun altro. 05 Luglio 2024 SALVO PALAZZOLO – La Repubblica
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