Quegli strani rapporti tra Scarpinato e il dottor Montante
Nel nuovo libro intervista “Lobby e Logge”, Palamara rivela il perché scattò l’operazione “salviamo il soldato Scarpinato” e, a detta sua, per logica conseguenza, tutti gli altri. Dagli appunti emerge che Montante ebbe rapporti molto intensi con Scarpinato e compaiono diverse richieste di raccomandazione da parte di quest’ultimo. Ma, fra gli appunti di Montante,salta all’occhio quello datato 3 maggio 2012 con la dicitura: «Scarpinato mi consegna composizione del Csm con i suoi iscritti per nuovo incarico, procura generale Palermo più Dna». E c’è pure la stampa del documento con la composizione del Csm con appunti manoscritti, in cui per ciascun componente è indicata la corrente di appartenenza, e per quelli eletti dal Parlamento il partito di appartenenza, e sul margine sinistro del foglio annotata la seguente scritta: «Due alternative, o Lari procuratore generale a Caltanissetta e non fa concorrenza».
Alla domanda di Alessandro Sallusti sul fatto che tale richiesta di Scarpinatosa tanto di richiesta di raccomandazione a una persona esterna alla magistratura – che poi si scoprirà essere a capo di una lobby mafiosa – ritenuta in grado di interferire con le decisioni del Csm, Palamara rivela come si è attivato il meccanismo di protezione nei confronti del magistrato ritenuto membro del Gotha dell’antimafia siciliana. La procura di Catania è quella deputata ad indagare i magistrati di Caltanissetta. Ma archivia tutto. La parte più interessante che rivela Palamara nel libro, è il finale delle motivazioni: « (…) In conclusione resta accertato che in ambito di rapporti più o meno istituzionali del presidente di Confindustria di Caltanissetta con molti magistrati del distretto nisseno, questi ultimi hanno chiesto l’interessamento dell’imprenditore per una possibile sistemazione lavorativa di parenti e amici, o l’interessamento per la propria carriera, e ciò sia in considerazione delle amicizie altolocate di Montante, numerose sono le annotazioni di incontri con ministri o altri soggetti politici di vertice, sia in relazione al suo ruolo di imprenditore e presidente degli imprenditori, ma tale condotta, in assenza di altri elementi di difficile accertamento, per quanto discutibile, non può certo ritenersi illecita».
In sintesi, emerge chiaramente che solo se ci sono di mezzo alcuni magistrati, i fatti sono difficili da accertare. «E nessuno fiata», aggiunge Palamara. Ma non solo. A differenza dei politici o cittadini normali, a distanza di un anno dallo scoppio del caso Montante, della vicenda dei magistrati l’opinione pubblica non sapeva nulla.
«Quando c’è da mantenere un segreto in Sicilia sanno bene come fare», chiosa Palamara. Poi accade che la pratica arriva al Csm e prontamente, in un articolo del 22 dicembre del 2016 a firma di Giovanni Bianconi, esce la notizia dei magistrati coinvolti nel fascicolo. Cosa accade? Entra in gioco la “ragion di Stato”.
Palamara rivela che scoppia il panico, perché «se un collega importante come Scarpinato o uno come Lari, tanto per essere chiari, dovesse apparire vicino a un imprenditore legato ad ambienti mafiosi, travolgerebbe tutto, e lo Stato non se lo può permettere». A detta di Palamara, a facilitargli il lavoro di archiviazione sarebbero stati gli allora capi della procura di Catania e Caltanissetta stessi. «Facciamo – rivela sempre Palamara -, come è ovvio che sia, le audizioni dei due procuratori, quello di Catania Carmelo Zuccaro e quello di Caltanissetta Amedeo Bertone. Tra imbarazzi e frasi di circostanza non si cava un ragno dal buco, ma anche perché nessuno in realtà vuole cavarlo».
Ma non è tutto. Palamara mette in campo una ipotesi sconvolgente. Lui stesso è testimone del fatto che, su forte pressione della corrente di sinistra, le nomine dei nuovi procuratori di Catania e Caltanissetta sarebbero state funzionali alla gestione del «problema dei colleghi coinvolti nel caso Montante, che evidentemente loro sapevano sarebbe scoppiato ben prima che diventasse noto non solo all’opinione pubblica, ma anche al Csm».
E sempre nel libro, emerge che è la stessa “ragion di Stato” per cui Palamara – da direttore dell’ufficio studi del Csm – decise di non rendere pubblici i verbali del Csm del 1992, dove si riportano le audizioni fatte nei confronti dei magistrati della procura di Palermo subito dopo la strage di Via D’Amelio. «Questo avrebbe potuto riaccendere vecchie e mai sopite polemiche, e io in quella fase ero fermamente convinto che si dovesse evitare. Quel verbale non verrà mai inserito nella pubblicazione fatta in memoria di Paolo Borsellino», rivela Palamara.
Quei verbali non sono mai stati secretati, ma mai resi pubblici appositamente. Solo dopo quasi 30 anni, sono stati tolti dai cassetti grazie alla richiesta dell’avvocato Basilio Milio, legale del generale Mario Mori, nel processo d’appello sulla trattativa, e depositati dall’avvocato Simona Giannetti nel processo per diffamazione avviato su querela di Lo Forte e Scarpinato per una serie di articoli pubblicati sul Dubbio sulla vicenda dell’archiviazione dell’indagine mafia e appalti dopo la morte di Borsellino. Anche nel libro intervista si fa cenno alla vicenda del dossier archiviato. A detta di Palamara, si tratta di una vicenda devastante che ci portiamo dietro ancora oggi. IL RIFORMISTA 9 febbraio 2022 Leonardo Berneri