Neopensionato e richiamato per altri 6 mesi
Tra gli otto ufficiali dei carabinieri richiamati quest’anno dalla riserva, cioè dalla pensione, c’è Giovanni Arcangioli.
Ha maturato i 60 anni lo scorso novembre e con il pensionamento, come prevede la legge, da colonnello è diventato generale di brigata.
Il suo nome è noto da quando fu coinvolto – e prosciolto tra mille dubbi, “non so” e “non ricordo” – in una delle vicende più oscure della storia della Repubblica: quella della scomparsa dell’agenda rossa di Paolo Borsellino, l’agenda che il magistrato aveva sempre con sé e su cui annotava le cose più importanti, anche nelle terribili settimane dopo la strage di Capaci in cui erano stati uccisi Giovanni Falcone, sua moglie e gli uomini della scorta.
Non fu mai ritrovata dopo l’esplosione del 19 luglio 1992 in via D’Amelio a Palermo che portò via Borsellino con quattro uomini e una donna della sua scorta.
Si chiama Agende rosse il movimento fondato da suo fratello, Salvatore Borsellino.
Dell’importanza dell’agenda rossa recentemente ha parlato anche Salvatore Baiardo, già condannato per favoreggiamento dei boss stragisti Graviano, nelle sue inquietanti apparizioni a Non è l’Arena di Massimo Giletti, prima e dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro.
Una foto comparsa nel 2005 ritraeva Arcangioli, che nel 1992 era un capitano meno che 30enne del nucleo operativo di Palermo, nell’inferno di via D’Amelio.
Aveva la valigetta di Borsellino in mano.
Disse di averla presa e poi rimessa nell’auto.
I filmati lo mostrano mentre si allontana con la borsa, poi mentre sembra osservarne da lontano il successivo “rinvenimento”, come evidenziato nell’analisi dei fotogrammi da Angelo Garavaglia Fragetta delle Agende rosse.
Promosso fino all’incarico non banale di comandante del Nucleo operativo di Roma, Arcangioli per l’agenda rossa fu accusato di furto aggravato, anche per il favoreggiamento a Cosa nostra.
E nel 2008 il giudice dell’udienza preliminare di Caltanissetta, Paolo Scotto di Luzio, dichiarò il non luogo a procedere, evitandogli il pubblico dibattimento.
Al di là delle contraddizioni sue e di molti altri, per il giudice non c’erano prove del furto e neppure di come l’eventuale furto avrebbe favorito la mafia.
Solo “deduzioni – scrisse – che, a ben vedere, riconducono i reali scopi dell’azione alla agevolazione di mai precisati apparati istituzionali infedeli e deviati, al cui servizio avrebbe agito Arcangioli”. La pubblica accusa non propose appello.
Dopo il coinvolgimento nella vicenda, la sua carriera procedette meno bene e così Arcangioli è andato in pensione da colonnello.
Lo mandarono al battaglione degli allievi, poi in un ufficio logistico, fino all’incarico tutt’altro che operativo di responsabile del personale al Comando unità mobili e specializzate “Palidoro”, in cui sono formalmente incardinati i battaglioni per l’ordine pubblico, i reggimenti che vanno all’estero e i i reparti speciali: Ris, Nas, Tpc, Ros… Lì rimarrà almeno fino a giugno, richiamato “senza assegni”.
È tutto legittimo: al comando dell’Arma spiegano di essere a corto di colonnelli, il richiamo di Arcangioli costa zero mentre trasferire un collega aprirebbe buchi altrove.
Ma è anche legittimo interrogarsi sull’opportunità di richiamare, tra centinaia di validi ufficiali della riserva pronti a rendersi ancora utili,
proprio chi fu coinvolto in una vicenda così oscura e, seppure scagionato, dimostrò di ricordare ben poco del più grave accadimento in cui si trovò a operare.
Ieri abbiamo provato a parlare con Arcangioli, ma non ci ha risposto
LA BORSA DEI MISTERI E LA SPARIZIONE DELL’AGENDA ROSSA
FIAMMETTA BORSELLINO: “Perché via D’Amelio, la scena della strage (video) , non fu preservata consentendo così la sottrazione dell’agenda rossa di mio padre? E perché l’ex pm allora parlamentare Giuseppe Ayala, fra i primi a vedere la borsa, ha fornito versioni contraddittorie su quei momenti?”