Il libro “Ti racconterò tutte le storie che potrò” di Salvo Palazzolo e Agnese Borsellino è un’opera toccante che racconta la vita di Paolo Borsellino attraverso gli occhi di sua moglie, Agnese. Pubblicato nel 2013, il libro è stato descritto come un testamento emotivo e un ricordo di una vita di sacrifici, ma anche di amore.
Agnese Borsellino condivide le sue esperienze personali e familiari, offrendo una prospettiva intima su suo marito, non solo come giudice ma anche come uomo, marito, padre e amico. Il libro è stato elogiato per la sua capacità di trasmettere la dedizione di Paolo Borsellino alla lotta contro la mafia e per il suo impegno per la giustizia.
I lettori hanno trovato “Ti racconterò tutte le storie che potrò” un libro forte, uno schiaffo in pieno viso e un pugno nello stomaco, che lascia un segno profondo.
“Ti racconterò tutte le storie che potrò” è più di un semplice libro di memorie; è un manifesto sulla giustizia e un invito a non mollare mai, un tributo all’amore che può sconfiggere il male e un appello a guardare al mondo cercando le cose belle.
Racconti di AGNESE BORSELLINO tratti da ”TI RACCONTERÒ TUTTE LE STORIE CHE POTRÒ”
I commenti dei LETTORI
“Ti racconterò tutte le storie che potrò”. Un insieme di appassionati racconti e ricordi affidati alla brillante penna del giornalista e scrittore Salvo Palazzolo. Agnese Borsellino, scomparsa il 5 maggio del 2013 dopo una lunga malattia, prima di morire volle lasciare una sorta di testamento autobiografico, “un regalo alla famiglia”, la cronaca di vita di due persone che si sono incontrate ed innamorate, di un’unione coronata dalla nascita di tre figli, di una quotidianità semplice, fatta di piccole cose.Il titolo del libro è tratto da una frase che Paolo Borsellino amava ripetere alla sua Agnese: “Io ti sollecito, ti stuzzico, ti racconto la lieta novella che sta dentro tante storie di ogni giorno. Ti racconterò tutte le storie che potrò. Così il nostro sarà un romanzo che non finirà mai, sino a quando io vivrò. La lieta novella manterrà sempre fresco il nostro amore. Perché l’amore ha bisogno di mantenersi fresco.” Ed è l’amore verso suo marito il filo conduttore di tutto il “testamento” della vedova Borsellino, un amore tanto grande da portarla ad accettare di buon grado il fatto che il suo Paolo non avesse orari, non potesse essere come quelli che nel pomeriggio escono con le proprie mogli. Sono passati 28 anni dalla strage di Via D’Amelio e ancora non si è fatta luce sulle responsabilità dell’attentato e, ancor meno, sul mistero dell’agenda rossa scomparsa.
QUANDO la signora AGNESE decise di RACCONTARE di SALVO PALAZZOLO
Un giorno di aprile del 2013, Agnese Piraino Borsellino ha deciso di uscire da casa. Nonostante fosse ormai costretta su una sedia a rotelle e i medici le avessero imposto cautela, per il terribile male che affliggeva il suo corpo. È uscita per incontrare i giovani che in corteo dal palazzo di giustizia erano arrivati davanti a casa sua, per esprimere solidarietà al sostituto procuratore Nino Di Matteo e ai magistrati di Palermo e Caltanissetta minacciati di morte per le loro indagini sulla trattativa mafia-stato e le stragi del 1992. A quei giovani Agnese Borsellino ha voluto affidare un messaggio: “Non ci fermeranno,” ha detto, “vogliamo sapere tutta la verità sulla morte di Paolo, Giovanni e di tutti gli altri martiri di Palermo”. E ha rassicurato Nino Di Matteo e il suo collega del pool Roberto Tartaglia: “Io farò di tutto perché la magistratura venga difesa dagli attacchi non solo della mafia, ma anche di certi uomini delle istituzioni”.
Agnese ha voluto ribadirlo per telefono anche ai magistrati di Caltanissetta che indagano sui misteri delle stragi, Nico Gozzo e Sergio Lari. Come se sentisse che non c’era più tempo. Come se temesse una deriva pericolosa nel paese. Poi, Agnese ha chiesto a tutti di recitare il Padre nostro. Salvatore, il fratello del giudice Paolo, si è inginocchiato accanto a lei.
Gli agenti di scorta hanno poggiato per terra le loro pistole e le loro mitragliette. Così, per il tempo di una preghiera, in quella strada di Palermo si è respirato il sogno di una città diversa. diversa.
Una città senza mafia, senza più armi e auto blindate, una città nuova.
Quella descritta spesso da Agnese nei messaggi inviati a un gruppo Facebook che porta il suo nome. Qualche mese fa, quel gruppo è nato per difenderla dopo le dichiarazioni di un generale dei carabinieri, Antonio Subranni, a proposito di una deposizione di Agnese Borsellino ai magistrati di Caltanissetta, che indagavano proprio sul ruolo di quell’ufficiale. Subranni aveva dichiarato in un’intervista al “Corriere della Sera”, il 10 marzo 2012: “Purtroppo, la signora Borsellino non sta bene in salute, mi dicono.
Forse un Alzheimer, non so quando cominciato…”. “Fraterno sostegno ad Agnese Borsellino”,l’hanno chiamato quel gruppo nato sul social network.
Presto è diventato una grande piazza della resistenza, in un dialogo continuo fra Agnese e persone di tutte le età, che da nord a sud chiedono di conoscere la verità sulle stragi d’Italia.
In quel giorno di aprile, Agnese ha deciso che era venuto il momento di raccontare le sue tante battaglie, prima e dopo il 19 luglio 1992. “Per ridare entusiasmo e speranza al nostro paese,” mi ha detto con un sorriso grande. “Perché io non mi arrendo, devono saperlo gli uomini della mafia e gli uomini dello stato che conoscono la verità sulla morte di Paolo. Le mie parole vivranno per sempre, perché sono un gesto d’amore nei confronti del mio Paolo.” E ha iniziato il suo racconto.
La signora Agnese, ha voluto utilizzare gli ultimi mesi della sua vita per lasciare dietro di sé – ai figli, ai nipoti, alle persone che mantengono vivo il ricordo di Paolo Borsellino e, in definitiva, a tutti gli italiani – i ricordi di una vita accanto a un eroe civile, che era un uomo normale, innamorato della moglie, giocoso con i figli, timido ma anche provocatorio, generoso e indimenticabile.
Ho deciso di fare questo racconto una mattina, una di quelle mattine che avrebbero reso felice Paolo. Mentre sorgeva il sole, lui si accorgeva di un nuovo germoglio nelle piante sistemate con cura sul balcone della nostra casa di via Cilea. Sorrideva, rideva anche di gusto. Quante volte l’ho guardato strano, in quelle mattine. Gli chiedevo: “Paolo, a chi sorridi?”. Mi diceva: “Sorrido a fratello sole, perché oggi ci donerà un’altra . E accarezzava i nuovi germogli: “Sai, Agnese,” sussurrava, “sono un uomo fortunato, perché alla mia età riesco ancora a emozionarmi”. Si emozionava per le piccole cose della vita, nonostante i momenti difficili che viveva. Poi diceva: “In ciascuno di noi alberga il fanciullino di pascoliana memoria”. E cominciava un’altra giornata.
Intanto, i ragazzi si svegliavano, uno dopo l’altro. Manfredi e Fiammetta erano dei veri dormiglioni, amavano rigirarsi sotto le coperte. Lucia, invece, era già vestita.
Allora Paolo iniziava a battere le mani, e alzava le serrande delle stanze dei bambini. Era una festa che si ripeteva con il solito gioioso rituale. Paolo tirava via le coperte, magari apriva anche la finestra, primavera o inverno non faceva differenza, ma Fiammetta e Manfredi erano ancora aggrappati al cuscino. E protestavano per quel trattamento. Mi sembra oggi. Sento l’odore del caffè, che Paolo adorava. Sento la sua voce allegra mentre racconta le solite barzellette. A un certo punto, la voce si fa seria, Paolo chiede ai ragazzi delle cose di scuola.
Poi squilla il campanello di casa, sono gli uomini della scorta. Paolo mette sul fuoco un’altra caffettiera. Quegli agenti sono come dei figli per lui, li tratta con il massimo delle attenzioni. Dopo il caffè, ci saluta tutti con un bacio, ed esce velocemente, perché ci tiene ad arrivare in ufficio alle 8 in punto. Mentre Lucia, Manfredi e Fiammetta scorrazzano ancora per casa sistemando le ultime cose da mettere dentro lo zaino. “Sbrigatevi, si è fatto tardi,” dico all’allegra brigata. E intanto un sole bellissimo entra dalle finestre del salone di casa nostra. Sono una mamma felice, che non smette di sperare e di lottare in silenzio. I nomi che con Paolo abbiamo dato ai nostri figli sono proprio il simbolo della speranza e di un passato nobile che resta immortale, proiettato nel futuro: Manfredi, l’ultimo re di Sicilia; Lucia è la creatura di Alessandro Manzoni; Fiammetta è uno dei personaggi amati dal Boccaccio. Sento che Paolo è ancora qui con me, vivo. Aveva visto giusto mentre accarezzava i suoi germogli. Oggi sarà un’altra giornata bellissima. Con le battaglie di tante donne e tanti uomini che non si rassegnano.
Oggi aspetto soprattutto i miei nipotini: Agnese, Vittoria, Merope, Paolo, Fiammetta e Felicita. E un altro nipotino o nipotina, ancora non sappiamo, è nel grembo di Fiammetta. Le loro vocine allegre riempiranno questa casa. E mi sembrerà di sentire la voce di Paolo che accoglie a braccia aperte i suoi nipoti e a ognuno racconta una storia bellissima. Nessuno di loro ha conosciuto questo nonno così speciale. Ecco un altro motivo per cui ho deciso di scrivere, perché i miei bambini possano portare sempre nel cuore la gioia e la forza di nonno Paolo. Tutti i bambini del mondo dovrebbero crescere con la gioia e con la forza nel cuore. La gioia e la forza di una storia a cui si sono appassionati. Se non ce l’hanno ancora, proverò io a raccontargliela. dal libro “Ti racconterò tutte le storie che potrò” di Agnese Piraino Leto
Agnese Borsellino ricorda suo marito Paolo – VIDEO
VIDEO PRESENTAZIONI DEL LIBRO
- Salvo Palazzolo e Lucia Borsellino
- Salvo Palazzolo, Fiammetta, Lucia e Manfredi Borsellino
- Salvo Palazzolo (1)
- Salvo Palazzolo (2)
- Salvo Palazzolo (3)
Ricordi, emozioni, giudizi. Ma anche prese di posizione sul presente, in particolare sulla solitudine in cui vengono lasciati i giudici che si misurano con questioni spinose come la trattativa Stato-Mafia. Questi alcuni degli ‘ingredienti’ del libro in cui il giornalista Salvo Palazzolo ha riorganizzato i contenuti delle conversazioni con Agnese Piraino, la vedova di Paolo Borsellino, Ti racconterò tutte le storie che potrò, edito da Feltrinelli.
Già gravemente ammalata, anzi forse proprio perchè consapevole della gravità del suo male, la signora Agnese ha rotto il suo decennale riserbo e ha parlato di sé, di suo marito e della sua famiglia, perchè il bagaglio dei suoi ricordi non andasse disperso. Paolo Borsellino aveva alle spalle un altro tipo di famiglia, più modesta, segnata da momenti difficili e soprattutto dalla morte del padre. Costretto a prendersi cura dei suoi fratelli, aveva lavorato e studiato. Alla ragazza che corteggiava non prometteva rose e fiori ma diceva: “La giustizia lenta è un’ingiustizia per la società. Ecco perchè non posso concedermi molti spazi per me. Tanta gente aspetta una mia decisione”. Agnese sapeva che, scegliendo di sposare Paolo, avrebbe dovuto rinunciare “alle comode e dorate giornate di figlia di papà” e che iniziava per lei una nuova vita. Ma ormai era stata conquistata da questo giovane apparentemente timido, dalla sua carica di umanità, dalle sue “parole semplici, efficaci, dirette”, dalle sue battute dissacranti. Per lui rinuncerà ai salotti esclusivi e alle cene eleganti, ancor prima che il marito si impegnasse nella lotta alla mafia. Borsellino era infatti insofferente verso il tono altezzoso dei membri del bel mondo, verso le vanterie di giovani figli di papà che, ai tempi dell’università, lo avevano disprezzato per il cappotto rotto o le scarpe bucate. Ed era abbastanza trasgressivo da gelare l’atmosfera di un incontro ‘dorato’ con una battuta sferzante. Agnese non poteva nemmeno vantarsi, come le mogli dei suoi colleghi, dei gioielli o degli abiti ricevuti in dono dal marito. A lei Paolo si era impegnato a raccontare “la lieta novella che sta dietro tante storie di ogni giorno”. Le aveva detto: “Ti racconterò tutte le storie che potrò. Così il nostro sarà un romanzo che non finirà mai, sino a quando io vivrò”.E per lui la lieta novella erano i fatti degli uomini, persino quelli dei mafiosi incalliti. E a rendere lieti questi racconti era lui stesso, “con il suo solito sorriso sornione” ma anche con l’aria severa con cui le diceva: “L’amore si mantiene fresco con una novità ogni giorno. Che non è il fiore o un regalo qualsiasi. Perchè tutto passa. Io ogni giorno mi devo reinnamorare di te. E tu di me. Inventandoci qualcosa di diverso.”
La loro vita subisce una svolta nel 1980 dopo l’uccisione del capitano Emanuele Basile. Niente sarà più come prima, “era l’alba di un grande incubo”. Inizia la serie di delitti che insanguinano Palermo e, per loro, la vita blindata su cui Paolo riusciva persino a scherzare “Pensa, noi giudici siamo in libertà vigilata, i boss e i latitanti vanno invece al mare e al ristorante”. Agnese scrive “Non la chiamavamo neanche più vita blindata. Era la sua vita, anzi la nostra vita, punto e basta.” Le scelte di Paolo diventano le scelte di tutta la famiglia, coinvolgono la moglie, i figli. Del rapporto del marito con i figli Agnese sottolinea la dolcezza, l’attenzione, la complicità. “Paolo non ha mai smesso di essere presente a casa con la sua vulcanica organizzazione e con l’immancabile buonumore” anche dopo le lunghe giornate trascorse nel bunker del palazzo di giustizia. E quando la figlia Lucia gli chiese: “Se io farò un lavoro diverso dal tuo, come potrò lasciare un’impronta in questa terra?”, il padre rispose: “Ascolta Lucia, io farei il mio lavoro con lo stesso spirito anche se fossi il portiere di un condominio. Non è importante cosa si faccia, è importante che qualunque cosa sia fatta con amore e con tutte le proprie forze”. Non c’è solo nostalgia e ancora tanto amore nei ricordi di Agnese, c’è anche indignazione e rabbia per “la mancanza di verità e di giustizia”. Agnese è morta nel maggio del 2013 con la certezza che ci fossero ancora molte cose non chiare dietro la morte di suo marito. Si chiedeva che fine avesse fatto la sua agenda rossa, non riusciva ad accettare che qualcuno sapesse e non parlasse. Il suo è anche un invito a continuare a cercare la verità. “Ormai sono ridotta su una sedia a rotelle. Però non mi rassegno. Ecco perchè scrivo.” ARGO
AGNESE BORSELLINO:“Ti racconterò tutte le storie che potrò. Così il nostro sarà un romanzo che non finirà mai, sino a quando io vivrò. La lieta novella manterrà sempre fresco il nostro amore. Perché l’amore ha bisogno di mantenersi fresco”. “Ho deciso di fare questo racconto una mattina, una di quelle mattine che avrebbero reso felice Paolo. Mentre sorgeva il sole, lui si accorgeva di un nuovo germoglio nelle piante sistemate con cura sul balcone della nostra casa di via Cilea. Sorrideva, rideva anche di gusto. Quante volte l’ho guardato strano in quelle mattine. Gli chiedevo: ‘Paolo a chi sorridi’? Mi diceva: ‘Sorrido a fratello sole, perché oggi ci donerà un’altra bella giornata’ E accarezzava i nuovi germogli: ‘Sai, Agnese’, sussurrava, ‘sono un uomo fortunato, perché alla mia età riesco ancora ad emozionarmi’.”Da “Ti racconterò tutte le storie che potrò”
Cara mamma,
ci hai fatto un gran bel regalo, in parte anche inaspettato, malgrado ti frullasse nella mente già da tempo l’idea di mettere ordine ai tuoi ricordi e alle tante vite che hai vissuto. Hai fatto un grande regalo soprattutto ai tuoi sette nipoti, che potranno conoscere anche attraverso questo testo quella nonna affettuosa, premurosa e così piena di voglia di vivere che la leucemia ha sottratto loro troppo presto. Neanche noi figli conoscevamo tutti gli aneddoti e le confidenze che –stupendoci –ci hai voluto lasciare in questo racconto affidato a Salvo Palazzolo, prima che la tua malattia prendesse definitivamente il sopravvento. Leggendo queste pagine ritrovo l’incredibile metamorfosi che la tua vita e il tuo stesso tratto caratteriale hanno avuto dopo quel primo incontro con papà, presso lo studio notarile Furitano. Mi colpiscono, ancora una volta, la tua voglia di vivere, l’amore per le piccole cose, anche quelle un po’ frivole, e soprattutto l’inesauribile speranza di ritrovare la luce in fondo a quel tunnel in cui pensavano di averti cacciato definitivamente coloro che ti hanno privato troppo presto dell’amore della tua vita. C’è tutto questo e molto altro ancora nelle pagine che ci hai lasciato in dono: non sono una biografia, una raccolta di testimonianze o una ricostruzione storica di eventi più o meno noti. Queste pagine sono molto di più: il tuo ultimo atto d’amore verso papà, anzi sono la vostra storia d’amore. Così, adesso, ogni altra mia parola sarebbe di troppo. La parola deve essere lasciata a te e al tuo cuore, perché il lettore possa ascoltare direttamente dalla tua voce chi è stata e chi continua a essere Agnese Piraino, la grande moglie del giudice Paolo Emanuele Borsellino.“ MANFREDI BORSELLINO
AGNESE BORSELLINO è un’inguaribile romantica, è una passionaria. Non ha mai perso il senso dell’ironia, che sembra quello del marito. “Mi chiamano la Capitana”, tiene a ribadire. “Vorrei essere un Capitano che guida un esercito di giovani coraggiosi.” Le dico: “Le sue parole sono già diventate una guida importante, per giovani e meno giovani, credo che questo racconto sarà una buona iniezione di speranza”. Lei annuisce: Ecco, così dovrà essere. Io forse non arriverò a tenerlo in mano questo libro, ma mi piacerebbe che nel finale arrivasse spontaneo un sorriso. Non rivolto al passato, ma al futuro. Un sorriso che vuol dire: noi non ci rassegneremo”. Dal libro “Ti racconterò tutte le storie che potrò” di Agnese Borsellino e Salvo Palazzolo
La famiglia Borsellino nel racconto di sua moglie
IL FIGLIO dice che la madre “ha fatto un bel regalo a tutti noi” lasciandoci queste pagine. Dentro ci sono i segni delle sue tante vite, prima e dopo il 19 luglio del 1992. E con tenero stupore ammette che neanche loro – lui, Manfredi, e le sue sorelle Lucia e Fiammetta – conoscevano certi dettagli sul padre. Agnese non ha voluto tenerli solo per sé. Poi parla del libro, che non è una biografia e non è una raccolta di testimonianze ma “il tuo ultimo atto d’amore verso papà”. Manfredi lo chiama con il nome per intero, come ogni tanto piaceva chiamarlo anche a me sul giornale quando era vivo: Paolo Emanuele Borsellino. Quell’Emanuele che era riportato sulla carta d’identità e si palesava a sorpresa in qualche bigliettino di ringraziamento e molto di rado sugli atti giudiziari che firmava, mi ha sempre incuriosito. Ma al giudice non ho mai chiesto nulla su quel suo secondo nome, che a volte c’era e tante altre volte invece spariva. “Non ne so molto nemmeno io di quella sua firma che occasionalmente cambiava, però nella presentazione del libro mi è venuto istintivo scrivere Paolo Emanuele Borsellino… E poi avrei voluto chiamare Emanuele il mio secondo figlio, ma è arrivata una bimba”, racconta Manfredi mentre esprime ancora meraviglia per “quelle confidenze” che la madre, nei suoi ultimi giorni, ha voluto consegnare a Salvo Palazzolo. Manfredi Borsellino fa il poliziotto, commissario a Cefalù. In questi anni, ci siamo ritrovati di tanto in tanto a conversare e soprattutto a ricordare. Di solito in via Cilea, a Palermo, nella casa dove abitavano il giudice, la signora Agnese e loro, i figli. L’ultima volta nella primavera scorsa, un pomeriggio. In cucina c’era la madre sulla sedia a rotelle, accudita amorevolmente da due infermieri. Manfredi le girava intorno, lei lo guardava e gli sorrideva. Sembrava fragile a vederla così, tormentata dalla malattia. Ma Agnese è sempre stata una donna siciliana di coraggio, non si arrendeva mai. “Mamma ha una voglia di vivere incredibile”, diceva Manfredi che intanto mi aveva già trascinato sul divano del salone aprendo i cassetti più nascosti, quelli dove conserva le foto di famiglia. Il matrimonio di Agnese e Paolo a Villa Igea, dicembre 1968. Papà e Manfredi in vacanza a Tropea, estate 1981. Papà e Fiammetta a Palermo, metà anni Settanta. Papà e Lucia al Parco nazionale d’Abruzzo, fine anni Settanta. E poi tutti insieme all’Asinara, agosto 1985, quando Paolo Borsellino e Giovanni Falcone – con figli e mogli – vengono deportati e rinchiusi per venticinque lunghissimi giorni sull’isola sarda del supercarcere. Motivi di sicurezza, dall’Ucciardone era arrivata la soffiata che i boss avrebbero voluto uccidere i due giudici, “prima l’uno e poi l’altro”. Come è avvenuto sette anni dopo. Via Cilea, una lunga fila di palazzi tutti uguali, a metà strada la “zona rimozione auto” per il pericolo di attentati. La prima volta ci sono andato tanto tempo fa, nel 1986 o forse nel 1987, si stava ancora celebrando il maxi processo a Cosa nostra. Era sera, molto tardi. Paolo Borsellino ha aperto la porta e sono entrato in una stanza piena di fumo, una sigaretta che bruciava ancora nel posacenere e l’altra già fra le dita, i calendari dell’Arma dei carabinieri alle pareti, i fascicoli – con dentro appunti dei suoi incontri e ritagli di giornale – tutti in ordine sulla piccola libreria a muro. Della casa di via Cilea, per anni ho conosciuto soltanto quella stanza: lo studio del giudice. Geloso della sua intimità familiare, Paolo Borsellino non mi ha mai fatto varcare la vetrata che divideva lo studio dal salone. Ho sempre immaginato quella stanza come una casa nella casa, quasi fosse staccata dagli altri ambienti. La signora Agnese e Manfredi, molto tempo dopo, avrebbero confermato la mia sensazione svelandomi un piccolo segreto. Quella stanza – lo studio del giudice – apparteneva in origine alla casa accanto e i Borsellino, avendo la necessità di allargare il loro appartamento, l’avevano successivamente acquistata dai vicini. Ma sono altri e più intensi, i ricordi e i “segreti” che la signora Agnese ha deciso di affidare a Palazzolo per il loro libro. Già il titolo, Ti racconterò tutte le storie che potrò, scopre in copertina chi era Paolo Emanuele Borsellino. La famiglia Borsellino nel racconto di sua moglie – di ATTILIO BOLZONI – La Repubblica
FALCONE, BORSELLINO E L’AMORE DELLA SIGNORA AGNESE
Intervista a Salvo Palazzolo. Era il 23 maggio 1992 quando un bomba fece saltare in aria l’auto su cui viaggiavano il giudice Giovanni Falcone, sua moglie, Francesca Morvillo, e i ragazzi della scorta. Dopo poche settimane, il 19 luglio, il destino era segnato anche per il giudice Paolo Borsellino e altri poliziotti che cercavano di proteggerlo. Il nostro impegno deve essere costante nel ricordare il sacrificio di tutti coloro che hanno lottato contro la criminialità organizzata – ciascuno a suo modo – perchè queste persone hanno lottato anche per noi. Il loro impegno, quindi, deve essere anche il nostro per ripristinare la cultura della legalità, dell’onestà e della giustizia. Ecco, quindi, che vogliamo onorare la memoria di Borsellino e di sua moglie, la Signora Agnese Piraino Leto che ci ha lasciati da poco, suggerendo la lettura del libro Ti racconterò tutte le storie che potrò, scritto dal giornalista Salvo Palazzolo con la signora Agnese, edito da Feltrinelli. Un testo importante e intimo che racconta l’etica di un uomo, ma anche l’amore di una coppia e il calore di una famiglia. Abbiamo rivolto alcune domande a Salvo Palazzolo che ringraziamo di cuore per averci concesso l’intervista.
Perché a signora Leto Borsellino ha deciso di regalare ai lettori una storia così personale? La signora Agnese sapeva di avere un terribile male, sapeva di non avere più molti giorni da vivere. Eppure, non rinunciava a partecipare alla vita del paese. E si arrabbiava quando sentiva che i magistrati di Palermo e Caltanissetta erano minacciati con delle pesanti lettere anonime. “Non arrivano dalle celle dei mafiosi – mi disse il giorno in cui ci incontrammo, nel febbraio dell’anno scorso – ma da uomini infedeli delle istituzioni”. Ecco perché Agnese aveva deciso di scrivere, per accendere i riflettori su una situazione drammatica: “Quelle minacce puntano a creare un clima di tensione – mi disse ancora – è lo stesso clima che ho vissuto prima della morte di Paolo”. Così, iniziò il suo racconto, “il racconto delle tante vite che ho vissuto” ripeteva lei: “E’ un racconto che dovrà dare forza e speranza, perché non si ripeta più l’incubo delle stragi mafiose”.
Un romanzo, un saggio, una denuncia. Come sono stati gli anni successivi a quel tragico 19 luglio 1992?Per Agnese Borsellino sono stati anni di grande impegno civile, per chiedere verità sui delitti di mafia rimasti impuniti. Diceva: “La verità appartiene a tutti gli italiani, ecco perché non possono essere solo i magistrati a cercarla”. Dopo quel drammatico 1992, tanto si è fatto per arrivare alla verità, ma tanto è stato ostacolato, proprio sulla morte di Paolo Borsellino e dei suoi agenti di scorta: non sappiamo ancora chi ha messo in atto quel terribile depistaggio del falso pentito Scarantino, di certo un depistaggio istituzionale che nasconde ancora alcuni degli autori della strage di via d’Amelio.
La signora parla apertamente di una telefonata di Francesco Cossiga in cui si fa riferimento ad un colpo di Stato: ci può spiegare meglio quel momento e il senso di quella telefonata?E’ uno dei misteri che Francesco Cossiga si è portato nella tomba. Se lo chiedeva anche Agnese, e l’ha scritto nel libro: “Cosa volesse dirmi esattamente con quelle parole non lo so”. E ha aggiunto: “Però, la voce di Cossiga non la dimenticherò mai: via d’Amelio è stata da colpo di Stato, così disse. Evidentemente, voleva togliersi un peso. Dunque, qualcuno sa”. Scrive proprio così la signora Borsellino: “Qualcuno ha sempre saputo, e non parla. È un silenzio diventato assordante da quando i magistrati di Caltanissetta e di Palermo hanno scoperto ciò che Paolo aveva capito: in quella terribile estate del 1992 c’era un dialogo fra la mafia e lo Stato. Ma ancora non sappiamo in che termini, e soprattutto non conosciamo tutti i protagonisti”.
Lucia, Manfredi e Fiammetta sono i figli della signora Agnese e di Paolo Borsellino: quale il rapporto con un padre diventato, suo malgrado, un eroe civile?Loro portano nel cuore e nella mente il ricordo di un papà premuroso, sensibile, un papà giocherellone, che amava raccontare storie sempre divertenti. Nel suo libro, Agnese ha voluto lasciarci il ritratto di una famiglia normale, che ha saputo sempre trovare dentro di sé la forza di reagire ai momenti difficili: all’inizio degli anni Ottanta, Paolo Borsellino aveva iniziato la sua vita blindata, per istruire con Giovanni Falcone e con gli altri colleghi del pool il primo maxiprocesso alle cosche. Erano gli anni in cui Cosa nostra avviava la grande mattanza a Palermo. Paolo Borsellino trovava una grande forza proprio nella sua famiglia.
Qual è l’appello che la signora Borsellino ha voluto lanciare con questo libro? Agnese ha lasciato a tutti noi un incarico importante: quello di raccontare le storie della nostra terra. Storie, come quella di Paolo Borsellino, che ha fronteggiato l’organizzazione Cosa nostra sforzandosi innanzitutto di capire le ragioni del fenomeno, che è così subdolo per le sue complicità all’interno delle istituzioni e della società civile. Agnese ci invita a raccontare le tante storie di ribellione e riscatto che ci sono nelle nostre città, storie spesso sconosciute o dimenticate. Credo che questo ci abbia voluto dire lasciandoci un grande racconto di speranza. PER I DIRITTI UMANI 30.12.2015
Agnese Borsellino lascia “un regalo”: ecco ‘Ti racconterò tutte le storie che potrò’.
La vedova del giudice Paolo consegna al giornalista Salvo Palazzolo il suo testamento: una storia d’amore d’altri tempi, una famiglia che diventa numerosa, una felicità coltivata fino a quando un’auto imbottita di tritolo riduce tutto a brandelli. E lancia un ultimo appello: “Aprire gli archivi di Stato”. Una storia d’amore d’altri tempi, una famiglia che diventa numerosa, una felicità coltivata fino a quando un’auto imbottita di tritolo riduce tutto a brandelli. Racconti in bianco e nero che diventano a colori, particolari inediti e aspre considerazioni personali della donna che più di ogni altra è stata vittima collaterale della strage di via d’Amelio. È questo il testamento di Agnese Piraino Leto, vedova del giudice Paolo Borsellino, scomparsa il 5 maggio scorso, ventuno anni dopo l’attentato che fece strage del marito e degli uomini della scorta. Consapevole dell’incalzante malattia da cui era affetta, la signora Agnese ha voluto lasciare una traccia, da lei stessa definita come un regalo alla famiglia: “Ti racconterò tutte le storie che potrò” (edizioni Feltrinelli, pagg. 224, 18 euro) è il prodotto dei ricordi che la signora Agnese affida al giornalista Salvo Palazzolo, durante alcuni incontri nella scorsa primavera. Il titolo prende spunto da una frase utilizzata da Borsellino per spiegare alla moglie l’origine del loro legame. “Alle feste – racconta la signora Agnese – guardavamo gli altri ballare. Lui rideva come un matto, io protestavo. «Agnese, ma tu perché stai con me? Io non ti do niente di tutto questo. Non sono il tipo di marito che torna a casa sempre allo stesso orario, si mette le pantofole, si siede davanti al telegiornale e poi nel pomeriggio porta la moglie in giro per una passeggiata. Lo sai perché stai con me? Perché io ti racconto la lieta novella». La prima volta che me lo disse, rimasi spiazzata. Mi misi a piangere. «Io ti sollecito, ti stuzzico, ti racconto la lieta novella che sta dentro tante storie di ogni giorno. Ti racconterò tutte le storie che potrò. Così il nostro sarà un romanzo che non finirà mai, sino a quando io vivrò. La lieta novella manterrà sempre fresco il nostro amore. Perch. Lungo tutti i capitoli, che iniziano con il primo incontro dei coniugi Borsellino nello studio di un notaio amico comune, la signora Agnese snocciola ricordi del passato, mette a nudo un’immagine intima del magistrato, ironico e dissacrante con amici e familiari, si rivolge direttamente al suo Paolo, ma cita anche le migliaia di persone che da tutta Italia la hanno sostenuta negli ultimi anni. Non mancano anche particolari inediti sui giorni successivi alla strage del 19 luglio 1992, chiaramente il periodo più doloroso della sua esistenza. “In quei giorni – dice sempre la signora Agnese nel libro – ero contesa da prefetti, generali e alti esponenti delle istituzioni. Mi invitavano e mi sussurravano tante domande. Su Paolo, sulle sue indagini, su ciò che aveva fatto dopo la morte di Giovanni Falcone, sulle persone di cui si fidava. Mi sussurravano domande dentro quei saloni bellissimi pieni di gente importante. E mentre mi chiedevano mi sembrava come se mi stessero osservando, anche se facevano altro: mangiavano una tartina, sorseggiavano un prosecco, ascoltavano il discorso dell’autorità di turno, o magari danzavano. Ora so. Ora so perché mi facevano tutte quelle domande. Volevano capire se io sapevo, se mi aveva confidato qualcosa nei giorni che precedettero la sua morte. E allora tante parole di mio marito mi sono apparse chiare, chiarissime”. Anni dopo a cercare di mettersi in contatto con la signora Agnese, c’è anche l’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga, autore poco prima di morire di una breve e inquietante telefonata in casa Borsellino. “Mi disse – racconta – Via d’Amelio è stata da colpo di Stato. E mise giù il telefono. Un mese dopo, Cossiga morì. Cosa volesse dirmi esattamente con quelle parole non lo so. Però, la voce di Cossiga non la dimenticherò mai. Evidentemente, voleva togliersi un peso”. Per anni i familiari del giudice palermitano hanno vissuto cercando di evitare l’eccessiva esposizione mediatica. Negli ultimi tempi però la signora Borsellino non ha rinunciato a spendersi in appelli pubblici per tutelare i magistrati della procura di Palermo, come Nino Di Matteo, destinatario di inquietanti lettere anonime negli ultimi mesi, e poi messo sotto inchiesta dal Csm. E proprio mentre a Caltanissetta è in corso il processo per individuare i depistaggi che inquinarono la prima indagine sull’assassinio di Borsellino, Agnese Piraino Leto decide di affidare alle pagine del suo libro una richiesta di veritàsulle stragi che nel biennio 1992-93 insanguinarono l’Italia. “Innanzitutto – spiega la vedova di Borsellino – bisognerebbe aprire gli archivi di Stato. E guardarci dentro. Perché, purtroppo, tante verità sono ancora dentro i palazzi delle istituzioni. La verità bisognerebbe chiederla a tanti uomini delle istituzioni, che sanno, ma non parlano: a loro non voglio rivolgere un appello. Sarebbe tempo perso. Perché loro sono degli irriducibili. Questi uomini si devono mettere solo alla berlina, si devono sbeffeggiare, come avrebbe fatto oggi Paolo Borsellino”. di Giuseppe Pipitone | 19 NOVEMBRE 2013 IL FATTO QUOTIDIANO
La moglie di Paolo Borsellino, Agnese Piraino Leto, è morta il 5 maggio del 2013. Aveva 71 anni ed era malata da tempo. Non smise però mai di cercare la verità sulla morte di suo marito e manifestò sempre il suo impegno contro la mafia. Ha lasciato un bellissimo libro “Ti racconterò tutte le storie che potrò”, un racconto straordianario da lei stessa definito come un regalo alla famiglia. Agnese e Paolo si sposarono il 23 dicembre del 1968. Dal loro matrimonio nacquero tre figli: Fiammetta, Lucia e Manfredi. In occasione della sua ultima apparizione pubblica, l’inaugurazione della nuova sede della Dia a Palermo, già provata dalla malattia, aveva pronunciato poche parole dense di significato “Questa città deve resuscitare, deve ancora resuscitare.” Proprio a causa della malattia, non aveva potuto partecipare alla cerimonia per il ventennale delle stragi, ma aveva inviato un messaggio ai giovani “Dopo alcuni momenti di sconforto – aveva scritto – ho continuato e continuerò a credere e rispettare le istituzioni di questo Paese come mio marito sino all’ultimo ci ha insegnato. Non indietreggiando nemmeno un passo di fronte anche al solo sospetto di essere stato tradito da chi invece avrebbe dovuto fare quadrato intorno a lui.” Nei giorni antecedenti alla sua morte aveva preso il via a Caltanissetta il quarto processo per la strage di via D’Amelio e lei, che era già stata sentita in fase di istruttoria, era indicata tra i principali testimoni del dibattimento. Tra le altre cose, aveva dichiarato che le inquietudini del coniuge si erano accentuate dopo la strage di Capaci. “Paolo mi disse: ‘Mi ucciderà la mafia ma solo quando altri glielo consentiranno’.” Il testamento di Agnese Borsellino “Ti racconterò tutte le storie che potrò”: è questo il titolo le libro-testamento pubblicato lo scorso novembre. Agnese Borsellino ha voluto affidare alle pagine di un libro i ricordi di una vita: dal primo incontro con quell’uomo che poi sarebbe diventato suo marito al giorno della strage, passando per tutte le persone che l’hanno sostenuta negli anni. Il libro è il risultato di una serie di interviste con il giornalista Salvo Palazzolo. Il titolo nasce da una frase pronunciata dal giudice “Lo sai perché stai con me? Perché io ti racconto la lieta novella. Io ti sollecito, ti stuzzico, ti racconto la lieta novella che sta dentro tante storie di ogni giorno. Ti racconterò tutte le storie che potrò. Così il nostro sarà un romanzo che non finirà mai, sino a quando io vivrò. La lieta novella manterrà sempre fresco il nostro amore. Perché l’amore ha bisogno di mantenersi fresco.” Non mancano particolari inediti sui giorni successivi alla strage del 19 luglio 1992 “In quei giorni – racconta la signora Agnese nel libro – ero contesa da prefetti, generali e alti esponenti delle istituzioni. Mi invitavano e mi sussurravano tante domande. Ora so perché mi facevano tutte quelle domande. Volevano capire se io sapevo, se mi aveva confidato qualcosa nei giorni che precedettero la sua morte. E allora tante parole di mio marito mi sono apparse chiare, chiarissime.”
La moglie di Paolo Borsellino, Agnese Piraino Leto, è morta il 5 maggio del 2013. Aveva 71 anni ed era malata da tempo. Non smise però mai di cercare la verità sulla morte di suo marito e manifestò sempre il suo impegno contro la mafia. Ha lasciato un bellissimo libro “Ti racconterò tutte le storie che potrò”, un racconto straordianario da lei stessa definito come un regalo alla famiglia. Agnese e Paolo si sposarono il 23 dicembre del 1968. Dal loro matrimonio nacquero tre figli: Fiammetta, Lucia e Manfredi. In occasione della sua ultima apparizione pubblica, l’inaugurazione della nuova sede della Dia a Palermo, già provata dalla malattia, aveva pronunciato poche parole dense di significato “Questa città deve resuscitare, deve ancora resuscitare.” Proprio a causa della malattia, non aveva potuto partecipare alla cerimonia per il ventennale delle stragi, ma aveva inviato un messaggio ai giovani “Dopo alcuni momenti di sconforto – aveva scritto – ho continuato e continuerò a credere e rispettare le istituzioni di questo Paese come mio marito sino all’ultimo ci ha insegnato.
Non indietreggiando nemmeno un passo di fronte anche al solo sospetto di essere stato tradito da chi invece avrebbe dovuto fare quadrato intorno a lui.”
Nei giorni antecedenti alla sua morte aveva preso il via a Caltanissetta il quarto processo per la strage di via D’Amelio e lei, che era già stata sentita in fase di istruttoria, era indicata tra i principali testimoni del dibattimento. Tra le altre cose, aveva dichiarato che le inquietudini del coniuge si erano accentuate dopo la strage di Capaci. “Paolo mi disse: ‘Mi ucciderà la mafia ma solo quando altri glielo consentiranno’.” Il testamento di Agnese Borsellino “Ti racconterò tutte le storie che potrò”: è questo il titolo le libro-testamento.
Agnese Borsellino ha voluto affidare alle pagine di un libro i ricordi di una vita: dal primo incontro con quell’uomo che poi sarebbe diventato suo marito al giorno della strage, passando per tutte le persone che l’hanno sostenuta negli anni. Il libro è il risultato di una serie di interviste con il giornalista Salvo Palazzolo.
TI RACCONTERO’ TUTTE LE STORIE CHE POTRÒ GLI AUTORI
Agnese Piraino Borsellino (1942-2013) è stata la moglie di Paolo Borsellino, ucciso con i poliziotti della scorta il 19 luglio 1992 a Palermo. Negli ultimi anni della sua vita, ancorché malata, non ha rinunciato a testimoniare con forza la sua volontà di verità riguardo alle stragi del 1992 e il suo appassionato appoggio ai magistrati che su quei fatti continuano a indagare. Feltrinelli ha pubblicato Ti racconterò tutte le storie che potrò (con Salvo Palazzolo; 2013).
Salvo Palazzolo, giornalista, lavora a Palermo per il quotidiano “la Repubblica”. Ha scritto Bernardo Provenzano. Il ragioniere di Cosa nostra (con Ernesto Oliva; Soveria Mannelli, 2001); Falcone Borsellino. Mistero di Stato (con Enrico Bellavia; Edizioni della Battaglia, 2002), Voglia di mafia. Le metamorfosi di Cosa nostra da Capaci a oggi (con Enrico Bellavia; Carocci, 2004), Il codice Provenzano (con Michele Prestipino; Laterza, 2008), I pezzi mancanti. Viaggio nei misteri della mafia (Laterza, 2010), Se muoio sopravvivimi, la storia di mia madre che non voleva essere più la figlia di un mafioso (con Alessio Cordaro; Melampo, 2012) e Ti racconterò tutte le storie che potrò (con Agnese Piraino Borsellino; Feltrinelli, 2013).
Una stupenda raccolta dei ricordi più belli e significativi della vita professionale e soprattutto privata di Paolo Borsellino. Leggendo questo libro si ha la possibilità di conoscere la persona e non solo il magistrato che tutti conoscono. E’ possibile conoscere aspetti della sua vita privata prima sconosciuti e apprezzare la grandezza, la bontà, la simpatia dell’uomo/marito/papà.
Se mi dicono perché l’hanno fatto, se confessano, se collaborano con la giustizia, perché si arrivi ad una veritàvera, io li perdono. Devono avere il coraggio di dire chi glielo ha fatto fare, perché l’hanno fatto, se sono stati loro o altri, dirmi la verità, quello che sanno, con coraggio, con lo stesso coraggio con cui mio marito è andato a morire, di fronte al coraggio io mi inchino, da buona cristiana dire perdono, ma a chi? Io perdono coloro che mi dicono la verità ed allora avrò il massimo rispetto verso di loro, perché sono sicura che nella vita gli uomini si redimono, con il tempo, non tutti, ma alcuni si possono redimere è questo quello che mi ha insegnato mio marito. AGNESE BORSELLINO
Racconti di AGNESE BORSELLINO tratti da ” TI RACCONTERÒ TUTTE LE STORIE CHE POTRÒ”