di ROBERTO GRECO 1 Ottobre 2021 STATI GENERALI
Non è bastata la sentenza del procedimento denominato “Borsellino quater” per avviare la via della ragionevolezza che porta verso la strada della verità perché ciò metterebbe in discussione il tanto sopravalutato lavoro che, negli ultimi anni, alcuni magistrati e giornalisti hanno dispensato come verità sacrosanta anche negando fatti, evidenze e, spesso, le loro stesse parole scolpite nella roccia delle loro audizioni o escussioni.
Che sia chiaro. In fin dei conti il problema non è tanto l’assoluzione di Mori, Subranni e De Donno ma piuttosto il fatto che ora la fantasiosa tesi che Paolo Borsellino sia stato ucciso a seguito della trattativa oggi non regge più e quindi crolla il postulato che ha voluto distogliere l’opinione pubblica dal “dossier mafia-appalti” e, conseguentemente, dalla responsabilità di chi, a suo tempo, l’ha minimizzato o ancora peggio archiviato.
Oggi, anche, ma non solo, a seguito della recente sentenza emessa dalla Corte di Assise d’Appello di Palermo presieduta dal giudice Angelo Pellino, giudice a latere Vittorio Anania, lo scorso 23 settembre, è più che mai necessario recuperare il tempo perduto in fantasiose ricostruzioni che hanno portato a un’inutile perdita di tempo e, soprattutto, alla forzosa svalutazione di alcuni fatti anche negandoli, com’è successo nel procedimento di primo grado.
Non è bastata la sentenza del procedimento denominato “Borsellino quater” per avviare la via della ragionevolezza che porta verso la strada della verità perché ciò metterebbe in discussione il tanto sopravalutato lavoro che magistrati e giornalisti, negli ultimi anni, hanno dispensato come verità sacrosanta anche negando fatti, evidenze e, spesso, le loro stesse parole scolpite nella roccia delle loro audizioni o escussioni.
Oggi, più che mai, è fondamentale ripartire dal “dossier mafia-appalti”, quel dossier che il dottor Giovanni Falcone chiese ai ROS per concretizzare la sua linea investigativa denominata “follow the money” e determinare gli scellerati, questa volta sì, intrecci che sin dalla fine degli anni ’60 esistono tra mafie e imprenditoria, quindi capitale. Se ne era già occupato, al tempo, Mario Francese che, dalle colonne del “Giornale di Sicilia”, tracciava i collegamenti economici tra gli allora “corleonesi” e le società che, in appalto o subappalto, gestivano le cosiddette “grandi opere” che venivano realizzate in Sicilia.
Dall’indagine emerse per la prima volta l’esistenza di un “comitato d’affari”, gestito da mafia, esponenti della politica e una parte dell’imprenditoria di rilievo nazionale, finalizzato, in maniera dolosa, alla spartizione degli appalti pubblici in Sicilia. Il 20 febbraio 1991, i Carabinieri del ROS depositarono presso la Procura della Repubblica di Palermo l’informativa denominata “mafia-appalti”, su esplicita richiesta di Giovanni Falcone, che all’epoca era in procinto di andare a ricoprire il ruolo di Direttore Generale degli Affari Penali del Ministero di Grazia e Giustizia.
In occasione del convegno-seminario “Le infiltrazioni della criminalità organizzata negli appalti pubblici” tenutosi a Palermo il 14 e 15 marzo 1991, fu proprio Giovanni Falcone a confermare che quell’indagine fosse molto importante e che non avesse soltanto valenza “regionale” ma anche un rilievo “nazionale”.
L’interesse per il “dossier” da parte del dottor Paolo Borsellino è già stato confermato, in diverse occasioni. Audito dalla Commissione Antimafia Siciliana, lo scorso mese di maggio, il dottor Antonio Ingroia, ha dichiarato «Borsellino aveva l’impressione che alla Procura di Palermo stessero insabbiando il dossier “mafia-appalti”».
Ferdinando Imposimato, a metà anni ’90 ebbe il coraggio di firmare una “storica” relazione di minoranza all’interno della Commissione Antimafia per puntare l’indice su quell’esplosivo dossier che era sulla scrivania di Giovanni Falcone alcuni mesi prima di essere trucidato. Ne parla nell’audizione, sempre in Commissione Antimafia, il procuratore di Trapani, Gabriele Paci che fa riferimento all’epoca in cui Borsellino era procuratore capo a Marsala: «Di quel rapporto “mafia-appalti” Borsellino chiese copia quando si trova ancora a Marsala.
Altro dato che emerge inquietante è che spesso ci siamo soffermati a pensare a quest’aspetto, già nel 1991 Cosa nostra vuole organizzare un attentato a Paolo Borsellino a Marsala.
Per quest’attentato che non va in porto, muoiono due mafiosi, i fratelli D’Amico capi della famiglia di Marsala. Muoiono perché si oppongono all’eliminazione di Borsellino a Marsala».
Non solo interesse da parte di quel dossier da parte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, chiave di volta per altri omicidi eccellenti di quel maledetto 1992 come quello del maresciallo Guazzelli e di Salvo Lima, perché i due magistrati avevano capito che i due omicidi erano strettamente collegati al dossier “mafia-appalti” a partire da quanto dichiara l’allora pm Vittorio Teresiin un verbale di assunzione di informazione del 7 dicembre 1992, acquisito per il processo “Bagarella e altri”.
Sia Guazzelli sia Lima sarebbero quindi stati uccisi perché avrebbero rifiutato di far attenuare le posizioni di alcuni indagati il cui nome era nel dossier dei Ros.
Di recente, nel corso di una sua partecipazione a un programma sull’emittente La7, ma lo racconta anche nella sua escussione proprio al “Bagarella e altri”, il
A questo proposito, durante la Seduta n. 218 di mercoledì 12 luglio 2017 della “Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere” presieduta da Rosy Bindi, furono auditi Alessandra Camassa e Massimo Russo, magistrati che erano applicati alla Procura di Marsala prima del trasferimento del dottor Borsellino a Palermo. Tra gli argomenti toccati durante l’audizione troviamo sia il “dossier mafia-appalti” sia le dichiarazioni confidenziali che il dottor Borsellino fece loro in occasione di un suo scoramento.
I detrattori di questa ipotesi, convinti sostenitori della cosiddetta “trattativa stato-mafia” oggi messa in discussione dalla recente sentenza che, come ha dichiarato su queste pagine l’avvocato Basilio Milio, difensore del Generale Mori, in effetti è da configurarsi come un’operazione di Polizia mirante ad ottenere informazioni utili all’arresto dei latitanti, parlano spesso della doppia informativa, ritenendo che, causa la mancanza del nome di politici nell’informativa che il ROS consegnò al dottor Giovanni Falcone il 20 febbraio 1991, la stessa era da ritenersi ininfluente anche perché è oramai provato che la doppia informativa non è mai esistita.
Dimenticano dolosamente, però, che il focus dell’informativa erano le relazioni tra la mafia e gli appalti che, seppur necessari di appoggi politici, venivano realizzati attraverso una formale collusione tra Cosa Nostra e aziende del nord Italia, e non solo, al fine della realizzazione di grossi appalti in Sicilia tramite società riferibili a Totò Riina e sodali.
Lo stesso Totò Riina, quando era in carcere e intercettato durante l’ora d’aria, a proposito dei motivi che portano alla strage di Capaci, disse che Falcone lo definì un “costruttore”.
Rina, su quest’ultima motivazione, aggiunge: “anche per questo…anche per questo…anche per questo”. Un costruttore, titolare d’imprese di costruzione, quelle che comparivano del dossier realizzato dal ROS.
Per completezza d’informazione va inoltre ricordato che, mentre il dottor Borsellino chiedeva un incontro in Procura per cercare di capire come mai il “dossier” fosse rimasto in un limbo, in quella stessa Procura veniva decisa la sua archiviazione.
E ancora Gozzo ricorda: «sul “mafia-appalti”, quindi, c’era il collega Pignatone, se non ricordo male, e doveva esserci anche il collega Scarpinato che però non poté venire per problemi di famiglia (…)
Ho visto proprio questo contrasto più che latente, visibile, perché proprio Borsellino chiese e ottenne che fosse rinviata, perché al momento aveva dei problemi, la discussione su questo processo e fece degli appunti molto precisi tipo come mai non fossero inserite all’interno del processo determinate carte che erano state mandate…».
Nella riunione Lo Forte, Scarpinato era assente per motivi di famiglia, fu chiamato a relazionare sull’indagine, ma dalle testimonianze dei presenti non risulta che la parola “archiviazione” venne mai pronunciata e da ciò si evince che il dottor Borsellino non fu informato che il giorno prima, il 13 luglio 1992, pchi giorni prima della strage di via d’Amelio, fu presentata dai sostituti procuratori della Repubblica Guido Lo Forte e Roberto Scarpinato, con il visto del Procuratore della Repubblica Pietro Giammanco, un’argomentata richiesta di archiviazione, archiviazione che verrà avvallata il 22 luglio 1992, due giorni dopo la strage di via d’Amelio, e posta in essere, con la restituzione degli atti, il 14 agosto 1992.
Intanto le “truppe cammellate” sono partite all’attacco per difendere l’indifendibile.
Il Rapporto “Mafia&Appalti” e l’eliminazione del dottor Paolo Borsellino