La MAFIA in tavola…

 

 

RISTORANTI : “La mafia” come marchio?

Il sogno di Parigi svanisce per la figlia di Totò Riina, chiude il ristorante

Il sogno parigino della figlia di Riina è durato poco. Lucia Riina, 40 anni, si era trasferita nella Ville Lumiere una dei quattro figli del boss corleonese stragista Totò, morto nel 2017 in carcere dove era finito dopo 24 anni di latitanza.
La più giovane dei rampolli Riina era sbarcata a Parigi nell’autunno 2018 aprendo il bistrot “Corleone by Lucia Riina” dove alle pareti aveva appeso le sue opere pittoriche. A gennaio 2019 dopo che la notizia si era diffusa e i media avevano fatto servizi provocando reazioni anche del sindaco di Corleone cui non era piaciuto il nome della cittadina nell’insegna, e suscitando anche l’aggressività del marito di Lucia, Vincenzo Bellomo, che ha inseguito operatori televisivi lanciandogli contro oggetti, la coppia aveva deciso di togliere il nome pesante dal ristorante.
“Non ho cercato di provocare né di offendere nessuno – aveva detto Lucia – volevo soltanto valorizzare la mia identità di artista-pittrice. E anche mettere in risalto la cucina siciliana. Affinché non ci sia nessun malinteso, vi annuncio che ho deciso di ritirare il mio nome dall’insegna del ristorante e dalle pubblicità, anche se mi dispiace che la mia identità di pittrice e di donna venga negata”.
Ma nel luglio 2019 Lucia con marito e figlia ha deciso di salutare rue Daru e tornare a Corleone. Nel paese dei boss che hanno gestito Cosa nostra per un quarantennio però la donna da qualche tempo non si vede. C’è chi dice si sia trasferita scegliendo una meta lontana. Nessuno in paese parla apertamente ma qualcuno sussurra che i Bellomo siano andati in Canada.

La figlia di Totò Riina annuncia: “Toglierò mio nome da ristorante a Parigi” e risponde a chi la accusa “Mia vita trasparente”

Pascal Fratellini, ultimo discendente della famiglia di un celebre trio di artisti circensi originari di Firenze che fece fortuna in Francia, socio dei Bellomo nel locale parigino, dice che Lucia ha lasciato Parigi nell’estate 2019 “non avevano legami, non parlavano bene il francese, e forse mancavano loro i familiari”.
“Andare a trovare lo zio – aggiunge – o il fratello che sono in carcere era molto difficile. Per loro i legami sono importanti.
Quando stavano in Francia la madre chiamava tutti i giorni per avere notizie: ‘Cosa succede a Parigi?’” Il bistrot parigino non ha riaperto dopo il lockdown. Fratellini spera di riaprire a breve anche se “il ristorante è solo una parte della mia attività, il mio principale business sono i locali notturni che scontano però la crisi in modo più forte”.  Blog Sicilia 6.9.2020


 

I ristoranti e i prodotti stranieri con nomi che si ispirano alla mafia

 

Dalle pizzerie “Cosa Nostra” al caffè bulgaro “Mafiozzo”, sono decine e decine e c’è chi ritiene che danneggino l’immagine dell’Italia

In tutto il mondo ci sono almeno 300 ristoranti che si richiamano alla mafia nel nome, secondo una stima che ha fatto Coldiretti, la principale associazione italiana di produttori agricoli, attraverso la banca dati del sito di consigli di viaggio Tripadvisor. E ci sono anche centinaia di prodotti alimentari, dal vino al caffè agli snack, con marchi che si ispirano alla criminalità organizzata italiana. A volte questo fenomeno viene chiamato “mafia marketing”, e qualcuno chiede che sia maggiormente stigmatizzato e sanzionato, ritenendo che danneggi l’immagine dell’Italia all’estero rafforzando luoghi comuni offensivi.
È un fenomeno che esiste da molto tempo: ristoranti che si chiamano “Baciamo Le Mani” o “Cosa Nostra” ci sono ovunque, e spesso l’immagine richiamata nell’insegna o nel logo del ristorante o della pizzeria è lo stereotipo del mafioso con la coppola o il gangster italo-americano degli anni Venti con il mitra in mano. D’altra parte anche in Italia è pieno di ristoranti che si chiamano “Il padrino” e che evocano, più che altro, la figura di Marlon Brando nel film di Francis Ford Coppola del 1972. È una forma di marketing che a volte funziona e a volte no: un bistrot aperto a Parigi dalla figlia di Totò Riina, “Corleone by Lucia Riina”, ha chiuso nel 2020.
Rientra in un altro ordine di problemi invece il fatto che molti ristoranti in Italia siano utilizzati dalla criminalità organizzata come strumento di riciclaggio del denaro. Secondo un’analisi sempre di Coldiretti, i locali a rischio di infiltrazione mafiosa sarebbero 15mila. È difficile però che le organizzazioni criminali scelgano nomi come “Cosa Nostra” o “Mafia” per i propri locali.
Secondo Coldiretti, il fenomeno del marketing che si richiama alla mafia va combattuto e se possibile bloccato. Per il presidente Ettore Prandini l’Unione Europea «deve fermare l’utilizzo commerciale di marchi infami che sfruttano gli stereotipi legati alle organizzazioni mafiose e rischiano di penalizzare l’immagine dell’intero agroalimentare tricolore».
Alcune iniziative c’erano già state in passato. Nel 2019 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea aveva detto che la catena di ristoranti spagnola “La mafia se sienta a la mesa” non doveva utilizzare quel nome perché «banalizza l’organizzazione criminale italiana». I proprietari si erano difesi sostenendo che il logo conteneva una rosa, non un’arma, e che quindi non c’era nessun richiamo alla violenza. I ristoranti della catena si chiamano ancora così, in tutta la Spagna.
Secondo Coldiretti è proprio la Spagna il paese con la maggiore concentrazione di ristoranti che si richiamano nel nome alla mafia: ce ne sarebbero 63. Seguono Ucraina (38) e Brasile (28). Ma pizzerie, bar, ristoranti di questo genere ci sono dappertutto: India, Stati Uniti, Giappone, Australia, Germania, Canada, e poi Giordania, Sri Lanka, Vietnam, Malesia, Moldavia.

 

 

 

Un ristorante chiamato “Mafia”, accanto a un altro di nome “Casta”, a Tiraspol, in Transnistria, regione separatista moldava (Stefano Vizio/Il Post)

I nomi non sono molti fantasiosi. In Spagna ci sono anche “El Padrino” e “La Dolce Vita del Padrino”. In Ucraina c’è il “Karaoke Bar Mafia” e la catena di locali “Mafia”. In Germania ci sono i “Burger Mafia” e in Brasile gli “Al Capone Pizza di Mafia”. Negli Stati Uniti c’è “Sushi Mafia”, mentre in Finlandia un locale si chiama “Don Corleone”. In Russia un ristorante si chiama “Camorra”.
C’è poi l’altro fenomeno denunciato sempre da Coldiretti: è quello dei prodotti alimentari che, come i ristoranti, hanno nomi che si richiamano alla mafia. Gli esempi sono tanti: c’è per esempio un whisky scozzese, contenuto in una bottiglia a forma di mitra, che si chiama Cosa Nostra. In Germania c’è il Fernet Mafiosi, sul quale è disegnata una pistola. In California viene prodotto il vino Il Padrino e in Inghilterra ci sono gli snack Chilli Mafia. In Portogallo c’è un cartone da tre litri di vino rosso che si chiama Talha Mafia Pistol, e ha una macchia di sangue stilizzata sull’etichetta.
In Bulgaria invece è in vendita il caffè Mafiozzo. C’è poi tutto il capitolo delle salse: un condimento per la carne prodotto in Germania si chiama Mafia Coffee Rub Don Marco’s mentre in Finlandia una salsa ha il nome di Pork Mafia Texas Gold. In Belgio esistono le salse Sauce Maffia e Sauce Maffioso; negli Stati Uniti è in vendita la Wicked Cosa Nostra. C’è poi un portale in cui si vendono caramelle che si chiama candymafia.com e un libro di ricette con il titolo The Mafia Cookbook. Tutto questo comporta, secondo Coldiretti, un danno di immagine piuttosto grave che si aggiunge a quello complessivo della contraffazione e falsificazione dei prodotti alimentari italiani.


Se al ristorante la Mafia diventa marketing

Pizza, spaghetti, mafia. L’Italia degli stereotipi, delle frasi fatte, del folklore più nero dello humor, che a volte si traduce in pietre della storia del costume, ma che molto spesso “stroppia”. Come ogni cosa che è decisamente in eccesso. E se tutti – chi più chi meno – ricordiamo le scene al ristorante de Il Padrino, è su altri ristoranti che si è focalizzata la lente della Coldiretti e del 6° Rapporto sulle Agromafie e sui crimini nell’Agroalimentare, che lancia un vero allarme “Mafia Style“, stimando in milioni di euro il giro di affari di imprese che strizzano l’occhio agli cliché della criminalità organizzata. 
 Un passo oltre l’Italian Sounding, infatti, c’è il mafia sounding, che si è scoperto essere un vero e proprio calderone sommerso – ma non troppo – di attività che utilizzano nomi e rimandi alla mafia come vere e proprie strategie di marketing. Il ristorante Riina di Parigi, gestito dalla figlia dell’ex “capo dei capi” di Cosa Nostra, è solo l’ultimo di una lunga serie di casi similari, salito agli onori della cronaca per lo scandalo legato alla figura, ancora troppo contemporanea, del boss e dei suoi crimini.
Ma il caso va oltre la memoria della famiglia corleonese e ha i contorni di un deciso problema di costume e percezione. Uno dei casi più eclatanti degli ultimi anni è quello della catena di ristoranti spagnoli “La mafia se sienta a la mesa“; da Valencia a Madrid portano a tavola una cucina di stile italiano, lasciando che i clienti si siedano in un piccolo circo, dove alle pareti invece di folkloristiche scene che ripropongono – come in altre parti del mondo – scene di vita quotidiana del nostro Paese, ci sono murales che raffigurano i più sanguinari e famigerati boss mafiosi della storia recente. Da Lucky Luciano ad Al Capone, con un nutrito repertorio nel mezzo. 
E se in Nuova Zelanda l’infelite uscita di una catena di fast food che ha messo in commercio il “Pablo Escoburger“, ha fatto indignare i social, in questo caso – diffuso – dei ristoranti Mafia Style, non si registra nessun tipo di reazione. Secondo Coldiretti, che insieme ad Eurispes ha stilato il Rapporto, “si trovano ristoranti e pizzerie “cosa nostra” dal Messico all’Egitto”, con casi anche in Nazioni lontanissime come il “Minnesota” o la Thailandia; una sorta di plebiscito del marketing che avvolge i cinque continenti quasi senza soluzione di continuità. Trovare un ristorante “Bella Mafia” è decisamente semplice, ma la tendenza sta uscendo dalla porta dei ristoranti per entrare sugli scaffali di supermercati e botteghe, anche in Paesi che vengono canonicamente considerati più civili e meno suggestionabili.
Come la Norvegia, dove è recentemente stato mandato in onda uno spot che pubblicizza i Cannoli Siciliani, eccellenza agroalimentare molto amata, ma qui lanciata al grido di “mafiakaker eller cannoli“, ossia “il dolce della mafia“. Un esempio per tutti, quello del Paese scandinavo, che è però in ottima compagnia con il “caffè mafiozzo”– che, come denuncia coldiretti, pare essere comune in Bulgaria -, la “saucemaffia“, salsa per fast food reperibile a Bruxelles, il Syrah “Padrino” prodotto in California o il Fernet Mafiosi, un liquore in vendita sul mercato tedesco, la cui bottiglia è vestita ad hoc, “con tanto di disegno di un padrino, mentre sul collarino della bottiglia è addirittura raffigurata una pistola”.  
E se il portale, che vende caramelle sfuse per bambini, CandyMafia, può quasi sembrare una boutade, il sito di consigli culinari MamMafiosa diventa in realtà inquietante, con la possibilità di selezionare una musica a tema da cui farsi accompagnare mentre si legge la biografia di Angelina Torricelli, proprietaria del blog che racconta della sua vita da ignara moglie di boss e di come abbia scoperto la reale occupazione del marito solo il giorno in cui è stato ucciso. Un business milionario, quindi, con ramificazioni tentacolari, dalle caramelle al liquore, fino ai libri di cucina – esempio su tutti “The Mafia CookBook” – che “banalizza, attraverso gli stereotipi, un periodo doloroso e recente della storia italiana” apportando, anche se fra frizzi, lazzi e battute che sembran divertenti, un danno “notevole al made in Italy”, forse anche più subdolo e profondo di quello dei prodotti falsi. LA REPUBBLICA 29.2.2019


Da “Baciamo le mani” a “Cosa nostra”: almeno 300 ristoranti hanno un nome che ricorda la mafia

Sono quasi trecento i ristoranti che nel mondo si richiamano nel nome alla mafia, da “Baciamo le mani” a “Cosa nostra” fino agli improbabili Felafel Mafia, Nasi goreng Mafia e Karaoke Bar Mafia, sfruttando a tavola gli episodi, i personaggi e le forme di criminalità organizzata più dolorose e odiose e danneggiando l’immagine del nostro Paese. E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti condotta sulla banca dati del sito web Tripadvisor dove sono recensiti i locali di tutto il mondo, presentata al Villaggio contadino di Palermo, da piazza del teatro Politeama a piazza Castelnuovo con la protesta dei giovani agricoltori della Coldiretti e l’allestimento della prima mostra dei prodotti mafia style scovati in tutto il globo. In Spagna è possibile mangiare da “El padrino”, da “La dolce vita del padrino” e da “Baciamo le mani” – spiega la Coldiretti in una nota -, e anche nella martoriata Ucraina c’è una catena di locali “Mafia” dove servono pizza e altri piatti della cucina internazionale e persino un “Karaoke bar mafia”. Il richiamo a Cosa nostra è, infatti, assolutamente trasversale a culture e piatti di tutto il mondo e se negli Stati Uniti troviamo i locali “Felafel mafia” e “Sushi mafia”, in Germania ci sono i “Burger mafia”, in Indonesia “Nasi goreng mafia”, in Egitto “Mafia pizza” e in Brasile “Al Capone Pizza di Mafia”. In Austria c’è anche il ristorante “Mafiosi”, in Finlandia si mangia da “Don Corleone” e in Francia da “Cosa nostra”. E non mancano divagazione sul tema, se è vero che in Russia c’è un ristorante chiamato “Camorra”.
Nella classifica dei Paesi con più locali ispirati al “mafia sounding” si piazza la Spagna con 63 ristoranti, grazie soprattutto alla catena “La Mafia se sienta a la mesa” diffusa in tutto il territorio nazionale che fa mangiare i clienti sotto i murales dei gangsters più sanguinari da Vito Cascio Ferro a Lucky Luciano, fino ad Al Capone, mentre al secondo – rileva Coldiretti – si piazza l’Ucraina (38 tra ristoranti, bar e pizzerie) davanti al Brasile (28). Seguono Indonesia (23), Russia (19), India (16), Giappone (15), Polonia (11), Usa (8), Portogallo e Australia che chiudono la top ten con a pari merito con 5 casi. Ma attività che richiamano Cosa Nostra si trovano ormai dappertutto, dalla Germania alla Thailandia, dal Messico alla Corea del Sud, da Panama alla Moldavia, fino a Giordania, Malesia, Sri Lanka, Taiwan, Vietnam e Canada, solo per citarne alcuni. Un fenomeno odioso che – sottolinea Coldiretti – nasce in molti casi dall’ignoranza o dalla scarsa sensibilità verso il dolore provocato dalla criminalità organizzata al quale andrebbe posta fine una volta per tutte. Nel caso della catena di ristoranti spagnola “La mafia se sienta a la mesa” l’Unione europea, su richiesta dell’Italia, ha addirittura annullato la concessione del marchio in quanto contrario all’ordine pubblico e al buon costume, anche se i locali sono ancora aperti in tutto la Spagna. “L’Unione europea deve fermare l’utilizzo commerciale di marchi infami che sfruttano gli stereotipi legati alle organizzazioni mafiose e rischiano di penalizzare l’immagine dell’intero agroalimentare tricolore in un momento in cui le esportazioni hanno raggiunto il record storico contribuendo alla ripresa del Sistema Paese”, ha affermato il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini. Redazione Agenzia Nova

No all’insegna “Falcone e Borsellino” per la pizzeria, ristoratore tedesco perde in appello

 

A dare notizia della sentenza emessa in Germania è la presidente della Fondazione Falcone, sorella del giudice ucciso dalla mafia. “Ristabilito il senso del rispetto. Ci sono argomenti su cui non si può scherzare”

L’insegna del ristorante di Francoforte ormai chiuso

Nella sua pizzeria a Francoforte, non potrà utilizzare la denominazione “Falcone”, né da sola né come parte di un insegna, né tantomeno sul menu o nel materiale pubblicitario. Così hanno deciso i giudici di appello tedeschi accogliendo il ricorso presentato dalla sorella del giudice ucciso dalla mafia e ribaltando la sentenza di primo grado che aveva dato ragione a Costantin Ulbrich. A darne notizia è la presidente della Fondazione Falcone: “E’ una sentenza che ristabilisce il senso del rispetto. Ci sono nomi e argomenti sui quali non è possibile ironizzare, scherzare e tantomeno – commenta Maria Falcone – speculare a fini commerciali”.
La vicenda risale a circa due anni fa, quando Ulbrich aprì un’attività chiamata “Falcone e Borsellino”. Su una delle pareti del ristorante erano state accostate una foto dei giudici uccisi dalla mafia e quella di don Vito Corleone del famoso film “Il padrino”. Dopo aver scoperto il fatto, Maria Falcone aveva presentato ricorso per inibire al commerciante l’uso del nome ma in primo grado l’istanza era stata respinta perché, aveva scritto il tribunale, “Falcone ha operato principalmente in Italia e in Germania è noto solo a una cerchia ristretta di addetti ai lavori e non alla gente comune che frequenta la pizzeria”.
Oggi invece il ricorso è stato accolto dai giudici che hanno inoltre riconosciuto come “Maria Falcone – si legge nella nota inviata dalla Fondazione – abbia una legittima pretesa al diritto alla richiesta di risarcimento in base al diritto al nome e al diritto alla personalità post mortem. ‘La violazione del diritto alla personalità post mortem del giudice Falcone da parte di atti commerciali discutibili perché contrastano con la sua vita e il suo lavoro è fondamentalmente da approvare’”, scrivono infine i giudici. Nel caso in cui il ristoratore – che dopo una pioggia di critiche aveva comunque cambiato nome all’attività – non rispettasse la sentenza, rischierebbe un’ammenda fino a 250 mila euro e una condanna fino a 6 mesi. 15 luglio 2022 PALERMO TODAY 


Falcone e Padrino insieme in foto, tribunale tedesco: «Qui la mafia non è sentita»

Giovanni Falcone assieme al Padrino in foto, per il tribunale tedesco, non ha bisogno di tutele. Succede proprio in questi giorni in Germania, dopo che un ristoratore ha appeso la foto di Falcone e Borsellino accanto a quella delPadrino. Immediatoricorso ma il tribunale tedesco lo ha respinto. Maria Falcone, la sorella del giudice: «Non ci fermeremo qui».
Un ristoratore di Francofortesceglie per il suo nuovo ristorante il nome Falcone e Borsellino. Nell’allestimento degli interni l’uomo, per una motivazione artistica, decidedi affiancare alla foto dei giudici anti mafia Giovanni Falcone e Paolo Borsellino proprio all’immagine di Vito Corleone, il Padrino. La sorella, Maria Falcone, è dal 1992 un’attivista italiana, fondatrice della Fondazione Falconee dopo aver scoperto il tutto decide di fare ricorso. L’associazione tra il padrino e Falcone viene considerata come una violazione della memoria dei due magistrati antimafia. Ma le cose non sono andate come dovevano perché il tribunale tedescoafferma che il giudice ha operato prettamente in Italia e quindi non sono cause che alla Germania interessano.

La dichiarazione del tribunale tedesco dopo aver esaminato la richiesta di violazione della memoria di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino: «In Germania è noto solo a una cerchia ristretta di addetti ai lavori e non alla gente comune che frequenta la pizzeria».

 

Falcone e Borsellino Ristorante Germania

 

Falcone e il Padrino nella stessa stanza: «Faremo ricorso»

I muri del locale, oltre alle foto dei Magistrati e a quelle del Padrino, presentano una serie di buchi a simboleggiare fori di proiettile. Una scelta discutibile per il fatto che sono due tipi di personaggi completamente diversi e non dovrebbero mai essere considerati come simili. Nel ricorso, la professoressa Maria Falcone richiede al tribunale tedesco di vietare al ristoratore del locale, Constantin Ulbrich, di utilizzare il nome Falcone. Giovedì 3 dicembre Il tribunale ha affermato: «Il ricorso è respinto perché sono passati quasi 30 anni dalla morte di Falcone e il tema della lotta alla mafia non è più così sentito tra i cittadini. Inoltre il giudice ha operato principalmente in Italia e in Germania è noto solo a una cerchia ristretta di addetti ai lavori e non alla gente comune che frequenta la pizzeria».


Perché alcuni ristoranti, anche in Italia, continuano a utilizzare nomi “mafiosi”?

Cose Nostre, Il Padrino, Salsa Mafia… Nei ristoranti in Italia e all’estero la criminalità organizzata viene spesso usata a scopo di marketing.

“In Spagna la catena di ristoranti ‘La Mafia Si Siede a Tavola’ non ha mai cambiato nome nonostante una sentenza UE”

Di recente abbiamo scritto un articolo sulla suscettibilità degli italiani quando si parla di cibo. Da bolognese poi posso confermarvi che i miei concittadini sono particolarmente patriottici e quando si parla di tortellini non accettano niente di diverso da un “in brodo” o un “alla panna”. Ma credo che quando si parla di Tortellini in salsa mafia, serviti nel ristorante tedesco 11A, non serva essere di Bologna per chiedersi se un piatto così accettabile o meno.
Purtroppo non è una novità vedere nomi di piatti, o addirittura insegne di ristoranti, che richiamano al mondo della criminalità organizzata. Si va da un più innocuo — perché comunque generico, per chi non avesse approfondito la storia della mafia, e afferibile a una sfera semantica di ‘tradizione’ legata al cibo — locale Cosa Nostra a un più diretto Manzo Mafioso nel menu, da un ristorante Il Padrino, solitamente legato a un’immagine di Marlon Brando, a un meno cinematografico Corleone E cosa dire del celebre Wagyu Mafia in Giappone? Accade prevalentemente all’estero, ma abbiamo scoperto qualche caso anche nel nostro paese.

Sicuramente uno straniero fa più fatica a capire la portata della sofferenza e dei problemi che la criminalità crea ancora in Italia.

L’associazione Coldiretti aveva lanciato l’allarme già cinque anni fa con una “mobilitazione nazionale di migliaia di agricoltori a difesa del Made in Italy, dove sono stati mostrati gli esempi più scandalosi di prodotti agroalimentari, venduti in Italia, in Europa e nel mondo, con nomi che richiamano gli episodi, i personaggi e le forme di criminalità organizzata più dolorose e odiose, che vengono sfruttate per fare business a danno dei veri prodotti agroalimentari Made in Italy.” Dei prodotti citati alcuni, come il sugo americano Wicked Cosa Nostra o il sito di cucina mamamafiosa, sono scomparsi, ma altri, come il libro Cooking The Mafia, sono ancora regolarmente in commercio. Mentre in Germania mafia pie è il termine spesso utilizzato per la pizza (negli Stati Uniti esiste la Memphis Mafia Piema si riferisce al gruppo di accoliti di Elvis).
All’estero esistono associazioni che si occupano proprio di aumentare la consapevolezza del fenomeno della criminalità organizzata che probabilmente alla maggior parte dei consumatori sembra lontano temporalmente, abbastanza innocuo e fondamentalmente macchiettistico, l’uomo baffuto con la coppola e la lupara in mano. O il gangster degli anni Venti a New York: negli Stati Uniti è piuttosto comune imbattersi in articoli come questo, che suggeriscono i ristoranti frequentati dai boss mafiosi, dove mangiavano o dove addirittura sono morti. La tendenza a utilizzare stilemi ‘malavitosi’ a scopo di marketing sembra troppo radicata per esaurirsi.
Perfino la figlia del tristemente noto boss mafioso Totò Riina ha aperto un ristorante a Parigi chiamato Corleone by Lucia Riina. Possiamo supporre che l’abbia chiamato così in onore del proprio paese d’origine ma, utilizzando nell’insegna anche il proprio cognome, è difficile non pensare a una voluta provocazione a scopo di marketing. Ho provato a contattarli, nonostante ormai da mesi dalla loro pagina Facebook — dove peraltro il nome Lucia Riina appare sfacciatamente — condividessero solo immagini a tema religioso, ma non ho ricevuto risposta. Ho poi scoper
E appunto questa consapevolezza a volte sembra mancare anche in Italia. A Milano c’è la rosticceria Cose Nostre, vicino Messina la pizzeria Il Padrino. Anche in questo caso ho contattato entrambi i locali senza ottenere risposta. Nel nostro paese, a differenza di ciò che accade nel resto d’Europa o negli Stati Uniti, non sembra esserci un richiamo diretto all’immaginario mafioso al di là del nome: niente coppole, uomini baffuti, fucili o croci o addirittura immagini di criminali del passato. Però il nome rimane lì. E inevitabilmente ci spinge a chiederci: perché? È provocazione voluta, semplice ingenuità, ignoranza della portata del fenomeno criminalità organizzata?
Ne abbiamo parlato con l’account Italians Mad at Food che spesso condivide foto ricevute dai propri follower di ristoranti che all’estero utilizzano nomi della criminalità organizzata. Proprio vedendo le loro stories abbiamo pensato a questo pezzo e abbiamo pensato di approfondire il tema.
I ragazzi di Italians Mad at Food hanno avuto modo di confrontarsi con centinaia di follower sull’argomento e di saggiare così l’opinione su cosa pensano gli italiani del fenomeno: “Alcuni ovviamente ci fanno una risata, questo essere stereotipati come ‘pizza mafia mandolino’ lo considerano ormai come un qualcosa su cui passare oltre e scherzarci su,” ci raccontano. “Altri invece prendono la cosa molto seriamente, soprattutto, ma non solo, da chi vive in Meridione.”
Sicuramente uno straniero fa più fatica a capire la portata della sofferenza e dei problemi che la criminalità crea ancora in Italia. All’estero arriva solo eco di film come Scarface, o serie come I Sopranos, dove la mafia ha dopotutto un suo certo fascino o tutt’al più fa ridere. Scorrendo le discussioni lanciate sul loro account troviamo a chi sostiene che “In Italia nessuno si azzarderebbe a servire piatti tedeschi alludendo al nazismo, perché sarebbe appunto offensivo e razzista” e chi replica che sì, “è sbagliato e offensivo, ma puoi onestamente dire che la mafia abbia ucciso 10 milioni di persone in un genocidio mirato?”.
Ma abbastanza sorprendentemente (per me) l’opinione prevalente tra gli italiani sembra quella di un ragazzo che dice “Mi fa solo sorridere. Noi li chiamiamo crucchi o mangia crauti, chi se ne frega se loro fanno riferimento a quello che in fondo è uno dei nostro export di maggior successo.”

“Le associazioni malavitose controllano circa 5mila locali solo nel nostro paese”

A questo punto la domanda è d’obbligo: al di là delle opinioni personali, si può fare? Difficile capirlo. Nel 2019 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha sancito che il franchising spagnolo La Mafia se sienta a la mesa (la mafia si siede a tavola) non poteva utilizzare il marchio perché “banalizza l’organizzazione criminale italiana” ed è “contrario all’ordine pubblico”. Loro si erano sempre difesi ad esempio sostenendo che l’uso di una rosa, e non una pistola, nel logo dimostrava come la loro non fosse un’apologia della violenza ma un’operazione meramente commerciale. In quell’occasione il Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Angelino Alfano aveva esultato. Peccato che le decine di ristoranti del franchising abbiano ancora lo stesso nome. Se nemmeno una sentenza dell’Unione Europea sembra aver cambiato nulla, possiamo davvero aspettarci un cambio di sensibilità da parte di ristoratori e consumatori?

VICE.COM 26.5.2021
 

“La mafia” come marchio? Se i clienti non cambiano ristorante non se ne esce

 

21/10/2016  L’Ue blocca la catena di ristoranti “La mafia” in Spagna, buona notizia, ma potrebbe non bastare. A meno che non siano i clienti a dire “no grazie”. Basterebbe chiedersi come sarebbe mangiare in una catena chiamata “l’Eta”.

L’Ufficio Marchi e Disegni – Divisione Cancellazioni -dell’Unione europea ha deciso di annullare il contrassegno numero 5510921 accogliendo il ricorso dell’Italia per l’invalidità del marchio alla catena di ristoranti spagnoli “La Mafia” (“La Mafia se sienta a la mesa” “La mafia siede a tavola”, ndr.), che però ha presentato ricorso. Inizia ora una lunga battaglia alla quale si oppone un gruppo di quasi 40 ristoranti in tutta la Spagna con più di 400 dipendenti, che ha costruito la propria immagine proprio sulle storie criminali italiane».
Lo annuncia così la Coldiretti ed è una risposta nuova a una storia antica: stavolta è una catena di ristoranti, altre volte erano menu con insalate che si chiamano cosa nostra, e amenità simili. La notizia buona è che, finalmente, l’Ue si è svegliata, dato che fin qui si usava trincerarsi dietro il fatto che nessuno di quelli di cui sopra violava le norme sui marchi dei singoli Stati. Stessa scusa per la catena di pessimo gusto spagnola, che sottolineava tra l’altro che l’ambasciatore italiano non «dovrebbe essere considerato nell’ambito di quel pubblico – la famiglia media spagnola che vuole mangiare italiano – perché, in qualità di rappresentante dell’Italia,  può offendersi facilmente e di conseguenza di lui non si dovrebbe tenere conto». 
Ecco a questo proposito sarebbe proprio interessante sapere come vedrebbero i sudditi di Re Filippo VI l’idea di aprire in Italia una catena di ristoranti spagnoli chiamandoli L’Eta (l’organizzazione terroristica basca che ha causato in Spagna poco meno di 900 morti), mettendoci come sottotitolo l’Eta si siede a tavola e facendo sedere famigliole italiane a condividere allegramente paella e pulpo a la gallega, sotto la gigantografia di Artapalo (nome di battaglia del capo militare arrestato nel 1992).
Chissà se troverebbero altrettanto suscettibile e di parte il punto di vista dell’ambasciatore spagnolo in Italia nel caso. L’Ue ha deciso che: «Il marchio deve essere dichiarato invalido per tutti i beni e servizi in contestazione», accogliendo le ragioni dell’Italia, perché: «L’accostamento del termine “mafia” manipola l’immagine estremamente positiva della cucina italiana. Il sottotitolo “se sienta a la mesa” , siede a tavola, è un tentativo di volere attribuire un carattere di benignità al nome di una delle organizzazioni più pericolose mai esistite in Italia». E ancora perché: «Le organizzazioni criminali di tipo mafioso sono una chiara e presente minaccia per tutta l’Unione europea perché non sono attive solo in Italia ma anche in altri Stati membri: la Spagna è uno dei Paesi preferiti da molte di loro».  
Il problema è che la cancellazione di un marchio è un successo – ammesso che il ricorso in appello confermi – che da solo può fare poco, se non cambia la cultura. La notizia cattiva, infatti, è che delle 294 recensioni al locale di Siviglia su Tripadvisor, delle quali moltissime in lingua italiana, poche notano il cattivo gusto del nome e solo una non è disposta a passarci sopra per valutare la qualità del cibo come se niente fosse. Si intitola “Vergognoso il nome” ed è stata pubblicata l’8 giugno 2013. Vi si legge:  «E’ di oggi 8 giugno 2013 la notizia che a Vienna qualcuno faceva affari con panini che esaltavano la mafia. Sono solo passato davanti a questo ristorante di Siviglia, in Plaza Duque, e ho avuto la stessa sensazione che qualcuno vuole guadagnare facendosi forte di un nome che significa delitti e orrori, uccisioni di uomini coraggiosi, magistrati, giornalisti, donne e bambini, eroici preti, militari carabinieri, poliziotti… E’ da rifiutare, La Mafia a tavola, anche se con Marlon Brando».
Se i primi a dire “no grazie” e a cambiare ristorante non sono gli italiani in Spagna, non per spirito di corpo, ma per naturale repulsione per quello che un marchio simile può rappresentare, sarà difficile che altri si pongano il problema. Ma così non se ne esce. Tolto un marchio se ne fa un altro.

 

MAFIA: l’utilizzo del marchio è vietato dalla Comunità europea

Il Tribunale dell’Unione europea (Nona Sezione, sentenza 15 marzo 2018, causa T-1/17) ha respinto definitivamente la domanda di registrazione di un marchio da parte di una società spagnola (la Honorable Hermandad, poi La Mafia Franchises) volto a promuovere una catena di ristoranti: tale marchio, su fondo nero, recava la grande scritta «la mafia» e, più in piccolo «se sienta a la mesa» (cioè “si mette a tavola”) e l’immagine di una rosa rossa.
Secondo la società il marchio rappresentava soltanto una forma di parodia dei film della saga Il Padrino con riferimento, in particolare, ai valori della famiglia e del corporativismo che tali film mettono in scena.
Nel vietare l’utilizzo di tale marchio in tutto il territorio europeo, il Tribunale sottolinea che esso risulta in insanabile contrasto con i valori del rispetto della dignità umana e della libertà di cui al trattato europeo e alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ed è perciò contrario all’ordine pubblico e al buon costume.
Il marchio tende infatti ad occultare il ruolo delle organizzazioni criminali nel traffico illecito di droghe ed armi, nel riciclaggio di denaro e nella corruzione e l’opera di contrasto portata avanti dallo Stato italiano e dagli altri Paesi europei può essere considerata una forma di sostegno o a profitto delle associazioni mafiose. La stessa rosa rossa raffigurata nel marchio potrebbe essere percepita da un’ampia parte del pubblico di riferimento come simbolo dell’amore o della concordia, in contrasto con la violenza che caratterizza le azioni della Mafia; e la frase “si siede a tavola” può favorire l’associazione della Mafia alle idee di convivialità e di svago veicolate dalla condivisione di un pasto contribuendo così alla banalizzazione delle attività illecite di tale organizzazione criminale.
La decisione del Tribunale (che fa seguito alla decisione dell’EUIPO – Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale – è frutto dell’iniziativa del Governo italiano volto a modificare il precedente orientamento in materia degli organismi comunitari. AVVISO PUBBLICO 15 aprile 2018


“La mafia si siede a tavola” non può essere un marchio europeo della ristorazione. Il Tribunale dell’Ue dà ragione all’Italia: è contrario all’ordine pubblico

 

L’Italia ha ottenuto dal Tribunale dell’Unione europea l’annullamento del marchio La Mafia se sienta a la mesa(La Mafia si siede a tavola) come marchio dell’Ue riconosciuto dall’ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (Euipo).
Secondo il Tribunale dell’Ue, il marchio “rinvia ad un’organizzazione criminale, trasmette un’immagine complessivamente positiva di tale organizzazione e banalizza i gravi attacchi sferrati da detta organizzazione ai valori fondamentali dell’Unione.
Tale marchio è pertanto di natura tale da scioccare o offendere non solo le vittime di detta organizzazione criminale e le loro famiglie, ma anche chiunque, nel territorio dell’Unione, si trovi di fronte il marchio e abbia un normale grado di sensibilità e tolleranza, motivo per cui deve essere dichiarato nullo”.
La registrazione de La Mafia se sienta a la mesa come marchio dell’Ue, in particolare per i servizi di ristorazione, era stato richiesto nel 2006 all’Euipo dalla società spagnola La Honorable Hermandad, alla quale è poi succeduta La Mafia Franchises. Nel 2015 l’Italia aveva chiesto all’Euipo di dichiarare nullo il marchio, perché contrario all’ordine pubblico e al buon costume. La domanda era stata accolta, perché secondo l’Ufficio Ue per la proprietà intellettuale il marchio promuove palesemente l’organizzazione criminale e l’insieme degli elementi verbali trasmette un messaggio di convivialità e banalizzazione.
La Mafia Franchises ha fatto ricorso al Tribunale dell’Ue, sostenendo che l’obiettivo del marchio è quello di evocare la saga cinematografica Il Padrino e non di scioccare o di offendere.
Il Tribunale ha però confermato la decisione dell’Euipo, ritenendo che “la notorietà acquisita dal marchio della società spagnola nonché la sua idea di ristoranti a tema legati ai film della saga Il Padrino sono privi di pertinenza al fine di valutare se il marchio sia contrario all’ordine pubblico” e non hanno alcuna incidenza sulla percezione negativa di tale marchio da parte del pubblico
Il Tribunale sottolinea che l’elemento verbale “la mafia” – percepito in modo profondamente negativo in Italia, a causa dei gravi attacchi perpetrati nei confronti della sicurezza dello Stato – domina il marchio della società spagnola ed “è globalmente inteso come facente riferimento ad un’organizzazione criminale che, in particolare, ha fatto ricorso all’intimidazione, alla violenza fisica e all’omicidio per svolgere le sue attività, che comprendono il traffico illecito di droghe e di armi, il riciclaggio di denaro e la corruzione”. Secondo il Tribunale, “simili attività criminali violano i valori stessi sui quali si fonda l’Unione, in particolare, i valori del rispetto della dignità umana e della libertà, che sono indivisibili e costituiscono il patrimonio spirituale e morale dell’Unione”.


La Mafia se sienta a la mesa: La UE annulla il marchio della catena di ristoranti spagnoli

Tutti gli italiani residenti in Spagna conoscono la catena di ristoranti spagnoli denominata “La Mafia se sienta a la mesa” che tradotto significa “La Mafia si siede a tavola”.
Da ieri, 15 marzo 2018, il marchio spagnolo ‘La Mafia se sienta a la mesa’, usato per i servizi di ristorazione, è “contrario all’ordine pubblico”: lo ha stabilito il Tribunale dell’Unione Europea in una sentenza che accoglie la richiesta dell’Italia di annullare tale marchio.
Dal 2015, dopo la denuncia realizzata da un servizio giornalistico di Repubblica Tv nel 2014, e le innumerevoli lamentele degli italiani residenti in Spagna, rilanciate anche dal Com.It.Es di Madrid ai nostri rappresentanti in parlamento eletti in Europa, le istituzioni italiane attraverso la Commissione Antimafia preseduta allora dall’On. Rosy Bindi e dal MAECI, hanno protestato con forza sia con il governo spagnolo (senza successo), che con le autorità europee denunciando l’uso di questa marca arrivando presentare un ricorso presso il  Tribunale Europeo.
La Corte di giustizia Ue, che ha sede a Lussemburgo, ha dato ragione all’Italia, la quale ottiene la dichiarazione di nullità della registrazione di tale marchio come marchio dell’Unione europea. Il marchio “La Mafia se sienta a la mesa” (la Mafia si siede a tavola) è “contrario all’ordine pubblico”, banalizza un’attività criminosa e rischia di pubblicizzare positivamente ciò che è contrario ai valori dell’Unione europea.
Per i giudici di Lussemburgo, il nome, unito alla rosa rossa che compare nel simbolo, “può dare un’immagine complessivamente positiva delle azioni della mafia e banalizzare la percezione delle attività criminali di tale organizzazione”.
La società spagnola La Honorable Hermandad (alla quale è succeduta La Mafia Franchises) aveva chiesto nel 2006 all’EUIPO di registrare ‘La Mafia se sienta a la mesa’. L’Italia nel 2015 aveva chiesto e ottenuto l’annullamento della registrazione, avendo l’EUIPO confermato che il logo “promuoveva palesemente l’organizzazione criminale”. Non soddisfatta, la Mafia Franchises ha adito il Tribunale dell’Ue per chiedere l’annullamento della decisione.
Con la sentenza, il Tribunale respinge il suo ricorso e conferma la decisione dell’EUIPO. Il marchio “trasmette un’immagine complessivamente positiva” della mafia e “banalizza i gravi attacchi sferrati ai valori fondamentali dell’Unione”, spiega il Tribunale.

LA SODDISFAZIONE DELL’AMBASCIATA A MADRID

Anche l’Ambasciata d’Italia a Madrid ha accolto “con soddisfazione” la notizia dell’annullamento del marchio “La Mafia se sienta a la mesa” da parte del Tribunaledell’Unione Europea di Lussemburgo. L’Ambasciatore d’Italia a Madrid Stefano Sannino, in particolare, ha sottolineato come si tratti di “una decisione che premia e conferma pienamente la linea portata avanti dal Governo italiano sin dal 2015, prima in sede EUIPO e poi davanti al Tribunale di giustizia dell’UE”.  


 

“In Spagna la catena di ristoranti ‘La Mafia Si Siede a Tavola’ non ha mai cambiato nome nonostante una sentenza UE”