L’unico imprenditore lombardo che ha denunciato la mafia? È di Lonate Pozzolo
Ancora Lonate Pozzolo, ancora la locale della ‘ndrangheta a fare notizia. In verità per una vicenda che riguarda il senso civico, meglio, il coraggio di chi ha denunciato il malaffare. Insomma, un esempio che Alessandra Cerreti, Pm della Dda, ha (ri)portato all’attenzione pubblica durante il suo intervento alla cerimonia milanese in ricordo del giudice Falcone. “L’unico imprenditore lombardo, che io ricordi, capace di mettere nero su bianco una denuncia contro la mafia” ha detto la dottoressa Cerreti.
L’imprenditore di Lonate
L’imprenditore in questione è, appunto, di Lonate Pozzolo. Quando entrò in contatto con esponenti della ‘ndrangheta che gli proponevano un affare sui parking attorno a Malpensa, non si lasciò convincere. Anche grazie alle sue dichiarazioni fu messa a segno l’operazione Krimisa contro le infiltrazioni malavitose in aeroporto. Era il 2019. Da allora sono scattate manette, ci sono stati processi (e condanne) ora al secondo grado, si è mobilitata la comunità locale per esecrare uno scenario che non appartiene all’identità e alla storia lonatese e dell’intero circondario. Si sono dati da fare i media. Come il Corriere della Sera che, a firma di Cesare Giuzzi, anche oggi, 27 maggio, intervista l’imprenditore al centro della vicenda. Una notizia nuova? Non proprio. Esattamente un anno fa, la stessa Cerreti diede risalto alla vicenda della denuncia durante un dibattito ai licei di Gallarate.
Candidato con Carraro
Nel frattempo, il lonatese in questione ha cercato di rimanere coperto, di non far trapelare il suo nome: la prudenza non è mai troppa quando di mezzo c’è la mafia. Anche Giuzzi nel suo articolo non ne rivela l’identità. Ma non manca di sottolineare che il diretto interessato ora si occupa di politica: candidato con la lista vincente alle elezioni di Elena Carraro sindaco. Formazione composita di centodestra in cui il nostro si è presentato, in una riunione pre urne, raccontando appunto la sua storia. Comprese le minacce, gli spari nei pressi della sua abitazione, le intimidazioni e via elencando. Fino ai ringraziamenti alle forze dell’ordine, carabinieri in prima linea, per il concreto sostegno in funzione della sua incolumità e della sua famiglia. Nota di cronaca a margine: le urne non l’hanno premiato.
Il problema, se di problema possiamo parlare, è che la testimonianza è stata resa davanti a un centinaio di persone, il pubblico presente all’incontro pre elettorale. Insomma, a Lonate Pozzolo tutti, ma proprio tutti, sanno di chi si sta parlando. Capiamo però la legittima preoccupazione. Rimane l’attestazione di stima che Alessandra Cerreti ha riproposto nei suoi confronti nei giorni scorsi davanti a un prestigioso uditorio. Molto, non c’è dubbio. E non soltanto in senso lusinghiero. Come il ricordo di una prima risposta al suo coraggio, sufficiente forse a ripagarlo dalla commendevole quanto pericolosa denuncia: il paragone fatto (lo rivela nell’intervista al Corriere) dagli inquirenti milanesi che raccoglievano la sua deposizione con Dalla Chiesa, Falcone e Borsellino. E la consapevolezza personale di essere una sorta di eroe civico, l’unico residente in Lombardia. Almeno, così pare.
27/05/2023 Vincenzo Coronetti MALPENSA24
Elezioni tra spari e minacce a Lonate Pozzolo. Candidato anche il figlio di un boss di ‘ndrangheta
Antonio Casoppero, incensurato, nello schieramento di Tiziano Bonini. Il padre condannato a 14 anni nel processo nato dal blitz “Krimisa”
LONATE POZZOLO A Lonate Pozzolo il clima per l’elezione del sindaco è teso. E non è questione che lasci tranquilli gli investigatori, visto che il centro è stato protagonista di inchieste sui clan di ‘ndrangheta (qui il nostro approfondimento sulla ‘ndrangheta a Lonate Pozzolo). Lo racconta il Corriere della Sera, che riferisce di colpi d’arma da fuoco sotto casa dell’imprenditore che denunciò le cosche nel 2019 e che ora corre per un posto da consigliere. Intimidazione (a cui sono seguite minacce) che si unisce a una telefonata sul luogo di lavoro alla candidata sindaca di centrodestra Elena Carraro, con la colonna sonora del film «Profondo rosso».
Infine, sempre secondo quanto riporta il Corriere, «la candidatura a consigliere per la lista che sostiene Tiziano Bonini, con investitura a futuro “vicesindaco”, del figlio del boss Cataldo Casoppero, da Cirò Marina, condannato in via definitiva a 14 anni di carcere a febbraio per aver fatto parte del locale di ‘ndrangheta di Lonate Pozzolo (Varese), quella che puntava ai parking di Malpensa». Su minacce, spari e candidature c’è la massima attenzione dei magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Milano che, nel luglio 2019, fece scattare il blitz «Krimisa» che aveva portato in carcere i vertici delle cosche di Lonate, compreso l’imprenditore-mafioso Cataldo Casoppero. Suo figlio Antonio, incensurato, è stato protagonista in questi anni di un’aspra battaglia politica e social contro l’amministrazione di centrosinistra guidata da Nadia Rosa, che ora si ricandida. «Il suo nome – si legge sempre sul Corriere – compare 257 volte nell’ordinanza cautelare «Krimisa», parla con il padre che racconta di dissidi e agguati. Ma partecipa anche a una cena di mafia la sera del 21 ottobre 2017 insieme al padre e a Giuseppe Spagnolo, “elemento di spicco della cosca Farao-Marincola”. Quella sera a tavola c’è anche un volto molto noto: l’ex calciatore Giuseppe Sculli, nipote del boss Giuseppe Morabito U Tiradrittu». Per i magistrati non c’è nulla di penalmente rilevante. Tiziano Bonini, nel cui schieramento Casoppero si candida, tende a tenersi lontano dalla retorica antimafia: «Illegalità? Dove la vedete questa illegalità, li hanno arrestati tutti». Si candida anche Modesto Verderio, leghista della prima ora, più volte minacciato dalle cosche in passato. Nel clima teso gli investigatori hanno acceso i fari. Specie sulle minacce all’imprenditore che denunciò proprio i clan di Lonate, oggi candidato nella lista di centrodestra. Qualcuno ha esploso colpi d’arma da fuoco vicino a casa sua e non sarebbe stata un’azione casuale. E l’imprenditore, che non ha mai voluto cavalcare la ribalta mediatica derivata dall’essere stato definito dai magistrati «un caso rarissimo» in Lombardia «di ribellione alle cosche», è finito di nuovo nel mirino. 13.5.2023 CORRIERE DELLA CALABRIA
‘Ndrangheta al Nord, così l’imprenditore lombardo ha rotto il muro di omertà: “Non chiedo il permesso ai mafiosi”
Quarantotto ore. Tanto aveva impiegato la famiglia De Castro, il cui capostipite Emanuele è tra i capi della locale di ‘ndrangheta di Lonate Pozzolo, dopo il rifiuto di un imprenditore di entrare in società con loro, a far capire che allora non ci sarebbe stata alcuna nuova area parcheggio vicino all’aeroporto di Malpensa perché “sarebbe risultata in concorrenza” con quella da gestita dalla famiglia. “Altrove sì, ma a Ferno no”, aveva mandato a dire ad A. I., senza sapere che l’uomo – che ha chiesto a Ilfattoquotidiano.it di tutelarne la privacy – avesse installato una app sul suo smartphone per la registrazione delle chiamate in entrata e in uscita dal cellulare.
Le ha archiviate tutte, si è fatto coraggio ed è andato dai carabinieri per raccontare per filo e per segno la sua storia, ora parte integrante dell’ordinanza di custodia cautelare con la quale il gip del tribunale di Milano, Alessandra Simon, ha arrestato 34 persone, 13 delle quali accusate di associazione mafiosa per la ricostituzione della ‘ndrina legata alla famiglia di Cirò Marina. È proprio attraverso quelle telefonate e ai racconti che l’imprenditore ha più volte fatto a investigatori e inquirenti che la Dda di Milano ha accertato gli interessi della cosca attorno all’aeroporto di Malpensa, appetiti in crescita anche per la chiusura di Linate nei mesi estivi. Un ruolo fondamentale, riconosciuto dal procuratore aggiunto Alessandra Dolci: “Una nota di speranza”, l’ha definita il magistrato antimafia.
di Andrea Tundo| 5 Luglio 2019 FQ
Gallarate, il pm antimafia Cerreti: «A Lonate una delle locali più potenti della Lombardia»
«Ragazzi aprite gli occhi, non pensate che la mafia sia un problema di Palermo. Qui vicino a noi, a Lonate Pozzolo, c’è una delle più potenti locali di ‘ndrangheta della Lombardia». E’ il messaggio rivolto oggi 3 maggio da Alessandra Cerreti, magistrato della Dda di Milano, agli studenti dei licei di Gallarate. Il sostituto procuratore di Milano era tra gli illustri ospiti dell’incontro organizzato sulla legalità per i 30 anni dalla morte di Giovani Falcone dal presidente di Volare Italia Adelio Airaghi con la preziosa collaborazione della dirigente scolastica Nicoletta Danese e i docenti Federico Tubere e Chiara Nebuloni. Tra i relatori, infatti, anche il direttore (in collegamento web) e il vicedirettore del Corriere della Sera, rispettivamente Luciano Fontana e Venanzio Postiglione, nonché Alfredo Morvillo, procuratore (oggi in pensione) di Trapani e fratello di Francesca, moglie di Giovanni Falcone.
Pensare che la mafia qui non esiste «è un errore madornale e non lo fanno soltanto i ragazzi», ha esordito Cerreti. «La presenza in Lombardia è altissima e l’ndrangheta è predominante. La mafia non è un cancro che viene da fuori, la Lombardia le ha aperto le braccia perché fanno girare i soldi. Parlo degli imprenditori ma anche dei politici, a cui assicurano pacchetti di voti ma poi pretendono “favorini”». Il pm della Direzione distrettuale antimafia di Milano ha spiegato alla giovane platea come la malavita si impossessa delle aziende in difficoltà. «Avendo tanta liquidità, prima le finanziano ma poi se le mangiano. Non si presentano con la lupara e la coppola, ma con avvocati e commercialisti. Prima assicurano i soldi e poi vogliono cominciare a comandare. Quando l’imprenditore alza la testa escono le pistole e i bastoni».
Il problema vero, ha sottolineato Cerreti, è che gli imprenditori lombardi non denunciano. «Denunciano più gli imprenditori calabresi.
Qui nella mia carriera ne ho visto uno soltanto ed è un giovane uomo di Lonate che voleva aprire un parking a servizio di Malpensa.
Ma è stato l’unico. Dunque ragazzi aprite gli occhi e state attenti quando stringete le mani.
Ma soprattutto, realizzate i vostri obiettivi senza scorciatoie».Secondo il cognato di Falcone, la lotta contro la mafia non è un problema di repressione, ma di cultura. «Il livello repressivo è il fiore all’occhiello di quello che è successo dopo il 1992, quello che manca è tutto il resto. La lotta mafia la vinceremo se la gente lo vorrà, ma questa lotta stenta a decollare. In Sicilia il coinvolgimento della classe politica non c’è: siamo ancora in mano ai condannati di mafia. Questi signori hanno ancora voce in capitolo sulle candidature: li cercano, li coccolano se li contendono per avere i voti, è un segnale pessimo. Il sacrificio di Falcone non dove essere inutile, ma la gente non avverte l’esigenza di stare lontano da tutto ciò. Palermo è genuflessa: possibile che chi deve fare il sindaco o il presidente di Regione deve avere il benestare di queste persone? Vanno bene le commemorazioni, ma che ci sia un cambiamento vero del modo di vivere. La gente non vuole sentirselo dire, ma purtroppo al di là degli arresti non è cambiato nulla. E’ un problema che vivo nella mia terra, ma temo che sia esteso in altri ambiti territoriali».
– MALPENSA24 3.5.2022
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KRIMISA BIS