NICOLA GRATTERI: “Il fatturato della ‘ndrangheta supera i 50 miliardi di euro”

 

“La ‘ndrangheta è l’unica mafia presente in tutti i continenti ed è anche l’unica in grado di andare in una foresta amazzonica e comprare un chilo di cocaina con un principio attivo del 98 o del 99% a mille euro mentre le altre mafie lo comprano a duemila o duemila e cinquecento euro”.
Srcondo Gratteri  la ‘ndranghetache negli anni si è trasformata in una holding mondiale sfruttando le falle delle legislazioni antimafia dei paesi occidentali inondati da fiumi di droga che arrivano in Europa attraverso l’intermediazione dei broker delle ‘ndrine.
L’ex procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri è stato ospite di Porta a Porta nel corso dello speciale in prima serata dedicato alle vittime delle mafie.

Oggi a capo della Procura di Napoli, la più  grande in Europa, Gratteri ha affermato che  il livello di credibilità che il brand ‘ndrangheta ha nei confronti delle altre mafie, soprattutto quelle sudamericane.
“Cosa Nostra da 25 anni compra cocaina dalla ‘ndrangheta mentre la camorra la compra soprattutto in Spagna dove ci sono colombiani che hanno depositi di diecimila chili di cocaina”.
Sul piano economico il pil della ‘ndrangheta vale più di una finanziaria.  “Il suo fatturato supera i 50 miliardi di euro e la cocaina è l’affare più redditizio perché ancora c’è molta richiesta in Europa e nel mondo occidentale e la ‘ndrangheta porta in Europa circa l’ottanta percento della cocaina”.


Gratteri “Tecnologie contro la mafia nello spazio digitale”

“Le mafie sono riuscite ad adattarsi alle evoluzioni tecnologiche, muovendosi on line e offline, utilizzando sistemi di credito sommerso, dimostrando capacità di coniugare tradizione e innovazione. Ad esempio, il coltan, un minerale nero metallico necessario per la produzione di apparecchi tecnologici, il tantalio utilizzato nell’industria aerospaziale e nel nucleare, detenuti in una alta percentuale in Congo, sono alcune tra le materie prime di cui la ‘ndrangheta va a caccia e che baratta con armi.
Un mondo in evoluzione, che comprende il mercato digitale, il metaverso e l’intelligenza artificiale.
Ci sono indubbiamente aspetti sul piano del diritto che devono essere necessariamente aggiornati, perché c’è una politica che non riesce a cogliere i cambiamenti e le evoluzioni.
C’è un problema di velocità, che bisogna affrontare. Ci muoviamo a due diverse velocità”.

 


 

La ‘Ndrangheta e il suo dominio nel traffico mondiale della cocaina

La ‘ndrangheta domina la scena mondiale del traffico di cocaina ormai da qualche decennio, e i clan sono diventati i migliori clienti dei narcotrafficanti dell’America Latina

 

La ‘ndrangheta è una minaccia globale. Rappresenta la più potente organizzazione criminale al mondo, presente in 32 Paesi di cui 17 in Europa, ma pochi ne conoscono la pericolosità fuori dall’Italia. In Europa molti ancora la considerano soltanto un fenomeno folcloristico italiano, mentre in altri paesi è solo un fenomeno criminale minore, eppure opera in quei territori facendo affari milionari.

La ‘ndrangheta è un brand

Si tratta di un brand internazionale, sia nella diffusione della sua forza militare che nella sua capacità di infiltrazione criminale nell’economia legale. Ma non vogliamo darvi solo brutte notizie. Gli arresti effettuati dalle nostre forze dell’ordine, in collaborazione con strutture investigative internazionali, hanno tolto dalla circolazione molti boss in Colombia, Messico, Ecuador, e non ultimo l’Uruguay, con l’arresto di Rocco Morabito nel 2017, latitante da 20 anni, evaso in maniera rocambolesca passando sui tetti dalla prigione, per essere poi bloccato in Brasile nel 2020 dopo 2 anni di fuga.

Ma cosa è e come è nata la ‘ndrangheta?

La ‘ndrangheta è un’associazione mafiosa che si è costituita in Calabria, più o meno si crede attorno al XIX secolo. Man mano che cresceva, l’organizzazione criminale si intrecciava sempre più con la società civile calabrese, seguendone anche le sorti durante l’emigrazione di massa dalla regione, causata da difficoltà economiche e sociali, e gettando così le basi per la sua futura internazionalizzazione.
Il 26 maggio del 1927, in un celebre discorso alla Camera dei Deputati noto come “discorso dell’Ascensione”, Mussolini elogiò i successi della repressione in corso contro la malavita in Campania e in Sicilia e dichiarò solennemente il proposito di debellare completamente la mafia, già̀ duramente colpita dall’Operazione Mori. “Quando finirà la lotta contro la mafia?”, si chiedeva retoricamente Mussolini: “Finirà, non solo quando non ci saranno più mafiosi, ma quando il ricordo della mafia sarà scomparso definitivamente dalla memoria dei siciliani”. Ma non fu spesa una parola sulla Calabria.
Il silenzio ha sempre circondato la malavita organizzata calabrese che oggi conosciamo come ‘ndrangheta. Il silenzio di Mussolini era in linea con quanto era avvenuto prima del fascismo e con quanto sarebbe avvenuto dopo. Questa scarsa attenzione ha contribuito a creare equivoci sulla natura e sulle origini della mafia in Calabria, dipinta come un fenomeno popolare figlio della cultura tradizionale e legato a condizioni di povertà e isolamento sociale.
A partire dagli anni Sessanta, i clan accumulano grandi quantità di denaro attraverso attività legali e illegali come pizzo e rapimenti. Cosa fare con tutti quei soldi? Vent’anni dopo, negli anni Ottanta quindi, i clan calabresi che più si erano arricchiti iniziano a investire in spedizioni di cocaina dalla Colombia agli Stati Uniti, all’epoca ancora organizzate dalle famiglie di Cosa Nostra negli Usa che però presto perderanno l’egemonia sui traffici.
Da li in poi la ‘ndrangheta si espande a macchia d’olio in tutti quei paesi dove si possono fare soldi, come la Germania, Canada, Australia, Argentina e più di recente, Romania, Spagna, Portogallo, Francia, e Slovenia,e  dove viene utilizzata la rete criminale locale per gestire i traffici di stupefacenti.
È italiano anche il vero pioniere dei traffici internazionali di droga. Si tratta di Roberto Pannunzi, nato a Roma nel 1948, vicino ma non affiliato alla ‘ndrina Macrì di Siderno, che già alla fine degli anni ottanta si era affermato come broker indipendente in Colombia, trattando alla pari con il Cartello di Medellín di Pablo Escobar e facendo da ponte con i clan italiani di Cosa Nostra e della ‘ndrangheta. Main pochi anni diventa un influente broker della cocaina, in grado di organizzare spedizioni di diverse tonnellate in tutta Europa. Viene arrestato due volte, e altrettante volte evade, per poi ,finalmente, venire catturato in Colombia a luglio 2013 e successivamente estradato in Italia. Per chi si sta chiedendo che fine ha fatto questo esponente di spicco della ‘ndrangheta, dopo essere stato condannato al carcere duro nel 2013, nel 2022 ha lasciato il regime del 41-bis e finirà di scontare la pena nel 2035.
Ma se una volta di Pannunzi ce n’era solo uno, verso la fine degli anni ‘90 la ‘ndrangheta già poteva contare su una vera e propria rete di broker di stanza in Colombia.

La cocaina è il prodotto più venduto dalla ‘ndrangheta

In uno studio dell’Università di Cambridge del 2016, sull’uso e la diffusione delle droghe, si legge che: “Secondo l’ultimo rapporto dell’Ufficio delle Nazioni Unite per la Droga e il Crimine (2016), 247 milioni di persone tra i 15 e i 64 anni hanno fatto uso di droghe almeno una volta nell’ultimo anno, con la cocaina che risulta essere il prodotto più venduto dalla ‘ndrangheta. In questo caso, il traffico di droga rappresenta il 60% del guadagno sistemico dovuto al traffico illecito, che ha permesso alla criminalità calabrese di diffondersi su cinque continenti. Tuttavia, questa organizzazione criminale, a volte poco conosciuta e apparentemente innocua, originaria dell’Aspromonte in Calabria, è stata inclusa solo nel 2008 dagli Stati Uniti nella lista nera delle 75 organizzazioni di traffico di droga più pericolose. Pertanto, questo studio investigativo, basato sulla letteratura di riferimento, mira ad analizzare gli aspetti che rendono l’organizzazione criminale calabrese locale e globale allo stesso tempo”.

L’importanza del porto di Gioia Tauro

Proprio mentre il governo statunitense intensificava la sua “guerra alla droga” per tutti gli anni ‘80 e ‘90, la domanda di cocaina aumentava in Europa. I clan della ‘ndrangheta erano in una posizione perfetta per sfruttare il mercato in crescita: le connessioni con i narcos latinoamericani portavano grossi vantaggi, ma i clan calabresi godevano di un privilegio ancora più importante: il controllo del porto di Gioia Tauro.

Il porto di Gioia Tauro diventa operativo nel 1995 e già durante la sua costruzione, la ‘ndrangheta riesce a infiltrarsi. La sua presenza stabile nel porto lo rende ideale anche per il traffico di cocaina, perché i clan, che lo gestiscono praticamente tutto, possono offrire un ingresso sicuro ai carichi illeciti.

La ‘ndrangheta contratta alla pari con i narcos colombiani

L’organizzazione mafiosa calabrese stava diventando, per i narcos sudamericani,  un garante “certificato” per il traffico di cocaina in Europa grazie a Gioia Tauro, che per anni è rimasto un varco d’ingresso protetto dalla presenza delle ‘ndrine e dove le forze dell’ordine avevano difficoltà a entrare. A confermare questa affermazione, la Commissione parlamentare antimafia del 2008 ha sottolineato che la ‘ndrangheta gestiva fino all’80% delle spedizioni di cocaina in Europa. In questo estratto della Commissione, si legge: “La ‘ndrangheta è l’organizzazione mafiosa meno conosciuta e meno indagata. Uno dei suoi punti di forza risiede esattamente in questa scarsa conoscenza e debole attività investigativa che le ha consentito di agire indisturbata senza subire le attenzioni riservate storicamente da parte degli inquirenti alla mafia siciliana”.
E ancora: “Nell’ambito della stessa operazione, nel porto di Salerno venivano sequestrati 541 kg. di cocaina, importata attraverso una ditta di Vibo Valentia con destinazione il porto di Gioia Tauro. L‘operazione è una delle tante che provano come il porto nella fase della massima espansione delle sue attività fosse già utilizzato dalle ‘ndrine come porta d’accesso di ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti”.
Quattro anni dopo, un rapporto della Commissione europea giungeva a una conclusione simile, affermando che l’internazionalizzazione dell’attività della ‘ndrangheta negli anni ‘90 corrispondeva agli anni della costruzione del porto di Gioia Tauro, e illustrava come “probabile che la criminalità organizzata avesse prosperato grazie alle operazioni”.

Le nuove sfide

Oggi la ‘ndrangheta deve affrontare nuove sfide. Da una parte la crescente collaborazione delle polizie europee ha portato a una consapevolezza che fino alla strage di Duisburg non c’era: la ‘ndrangheta è ovunque. E dall’altra, la mafia calabrese deve affrontare una crescente concorrenza da parte di altre reti di narcotrafficanti in Europa, su tutte la criminalità albanese  
In Colombia, il principale Paese produttore di cocaina, le grandi organizzazioni criminali, i cartelli e i gruppi paramilitari che sono stati egemoni per decenni, si sono frammentati in fazioni più piccole. Questo ha aperto la porta ad altri gruppi criminali europei, come le organizzazioni albanesi, per trattare con i fornitori e acquistare grandi quantità di cocaina direttamente in Sud America.
La ‘ndrangheta, soprattutto grazie alla sua struttura organizzativa costituita da stretti legami familiari e alla diffusione delle famiglie emigrate in tutta Italia, ha resistito al temporaneo ruolo subalterno di Gioia Tauro per servirsi di altri porti  come Genova, Vado,La Spezia, Livorno.  A dimostrarlo le operazioni antidroga condotte dalla DIA e dalla Guardia di Finanza come ad esempio l’operazione “Neve genovese”o “Buon vento genovese”,
Il porto di Genova, è tra “i più infiltrati dalla ‘ndrangheta”, ha dichiarato nel 2017 Federico Cafiero de Raho, Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, come riportato in una relazione della Commissione parlamentare del 2022.

Gli affari tra la ‘ndrangheta e i paramilitari colombiani 

Ma per capire bene cosa succede oggi, dobbiamo fare un piccolo salto nel passato e parlare di Salvatore Mancuso, uno dei più spietati comandanti delle forze paramilitari colombiane, e Giorgio Sale, un uomo d’affari italiano con connessioni di alto livello, che a cavallo tra gli anni  Novanta e l’inizio del Duemila, hanno aperto un ponte tra i clan calabresi e i paramilitari colombiani.
All’epoca, Mancuso era a capo delle Forze unite di autodifesa della Colombia (AUC), un’organizzazione narco-paramilitare e terroristica di estrema destra contrapposta alle FARC, le Forze armate rivoluzionarie della Colombia. Le AUC avevano esteso il loro controllo su vaste regioni di produzione di cocaina. Da un lato, cercavano acquirenti per la droga, dall’altro necessitavano di abili professionisti per riciclare gli enormi profitti generati.
Mancuso, decise di cercare personalmente un riciclatore e trovò Giorgio Sale, un imprenditore italiano con numerosi investimenti in tutta la Colombia e una buona reputazione tra le persone facoltose del Paese.

Ristoranti di lusso e catene commerciali

Tra le sue attività figurava l’azienda di abbigliamento di lusso Gino Passcalli, con decine di negozi e oltre 600 dipendenti, ma quello che faceva di lui un collaboratore affidabile erano i suoi amici influenti e diversi giudici della Corte suprema della Colombia. Sale era un imprenditore a tutto tondo, e quindi nei suoi “business” non poteva mancare la ristorazione.  Era proprietario di alcuni ristoranti, tutti di lusso e frequentati dalla facoltosa borghesia Colombiana. Il più esclusivo era “L’Enoteca”, nella città di Barranquilla, sulla costa caraibica della Colombia, che oltre a una cantina di livello assoluto, offriva materie prime importate dall’Italia e piatti che superavano i 150 dollari, cifra che all’epoca, parliamo di una trentina di anni fa, era lo stipendio di una normale lavoratore colombiano.

Investire in attività lecite per riciclare denaro

Uno dei finanziatori del ristorante di Baranquilla era proprio Morabito che, secondo gli investigatori colombiani, era un punto cruciale per il riciclaggio dei proventi illeciti delle AUC.
Ma Sale, secondo la magistratura colombiana, avrebbe facilitato il reintegro in Colombia dei contanti guadagnati dalle AUC attraverso il traffico di droga in Europa, utilizzando corrieri. Nel 2002, italiani finirono in manette all’aeroporto internazionale El Dorado di Bogotà mentre cercavano di entrare in Colombia portando con sé somme di denaro comprese tra 120.000 e 150.000 dollari che, secondo le indagini sarebbero appartenute alla famiglia Sale.

La famiglia è importante

La famiglia è importante. E Giorgio sale di figli ne aveva ben tre, David, Stefano e Cristian, che si rivelarono anche utili partner delle AUC nel traffico di cocaina. In una testimonianza resa davanti a un tribunale degli Stati Uniti dopo la sua estradizione nel 2008, Salvatore Mancuso affermò che Cristian Sale era in contatto con Gerson Álvarez, conosciuto come “Kiko”, un leader paramilitare che avrebbe fornito cocaina ai Sale per l’Europa, in particolare ai Paesi Bassi, Spagna e Italia.
Secondo il rapporto della Commissione parlamentare del 2008, questa collaborazione fu fondamentale per mantenere un flusso costante di cocaina attraverso l’Atlantico e consentì alla ‘ndrangheta di assumere il controllo di gran parte del traffico di cocaina in Europa.Giorgio sale era un imprenditore semisconosciuto in Italia, ma i traffici e i rapporti con Mancuso avevano attirato l’attenzione della DEA, l’agenzia antidroga statunitense. L’interesse della DEA, in concomitanza con i colloqui di pace avviati dal governo colombiano con i paramilitari che avrebbero portato alla smobilitazione delle AUC, portarono, nel 2002, all’accusa formale per traffico di droga verso Mancuso da parte di un tribunale degli Stati Uniti che ne chiese l’estradizione.  “Oggi il Dipartimento di Giustizia sta rivelando un atto d’accusa nei confronti dei leader delle AUC, accusati di traffico di oltre 17 tonnellate di cocaina negli Stati Uniti e in Europa dal 1997. L’atto d’accusa imputa al leader dell’AUC, Carlos Castaño-Gil, e ad altri due membri dell’AUC, cinque capi d’accusa per traffico di droga. Nell’atto d’accusa sono inoltre nominati il comandante militare dell’AUC, Salvatore Mancuso, e il membro dell’AUC Juan Carlos Sierra-Ramirez. Gli Stati Uniti hanno richiesto l’estradizione di tutti e tre questi imputati dalla Repubblica della Colombia, uno dei nostri più stretti partner internazionali nell’applicazione della legge. Se condannati per tutti i capi d’accusa, rischiano una pena fino all’ergastolo”. Tra il 2003 e il 2006, le AUC furono definitivamente sciolte e in base all’accordo stipulato con il governo colombiano, i loro leader avrebbero subito una riduzione di pena se avessero confessato i crimini commessi. Mancuso è uno dei primi leader delle AUC a costituirsi, nel 2005. Nel dicembre 2006 confessa di aver compiuto massacri, traffico di droga e di aver corrotto funzionari. Nel 2008 viene estradato negli USA e per evitare una condanna pesante rivela i nomi dei suoi ex soci e complici. Tra questi ci sono Giorgio e Cristian Sale, già arrestati per traffico di droga nel 2006 nell’ambito di un’indagine internazionale.

La ‘ndrangheta non ha vacillato

Dalle ceneri dell’AUC nacquero subito altre formazioni narco-paramilitari come quella guidata Vicente Castaño, uno dei fondatori delle AUC, che fondò un gruppo che si sarebbe trasformato poi negli Urabeños, un’organizzazione criminale che è diventata una delle maggiori potenze del narcotraffico colombiano. La mafia calabrese ha retto l’urto inflitto dalla DEA all’organizzazione di Mnacuso e si rivolse  ad altri fornitori, perché tutto sommato, Mancuso era si potente, ma non era l’unico sul mercato, e la ‘ndrangheta non aveva un rapporto in esclusiva.

“Mare Nostrum”

Mediterraneo nella lingua araba significa “mare bianco di mezzo”, un ponte per molti popoli e per altri un abisso in cui perdere la vita e il futuro. Pur essendo un bacino di piccolissime dimensioni, e infatti rappresenta solamente l’1% della superficie marina del pianeta, bagna 25 Paesi e fa lavorare ben 80 porti.
Il Mediterraneo è un’autostrada percorsa giornalmente da migliaia di navi che trasportano greggio, merci, beni primari, turisti, armi, droga. Ma pensare al Mediterraneo in termini geografici sarebbe riduttivo. Preferiamo parlare del “mare nostrum”, in termini geopolitici, il cosiddetto Mediterraneo allargato, quello che da Gibilterra arriva al Golfo Persico. Ed è in questo mare (quasi) chiuso che si intrecciano gli interessi economici, ma anche politici, delle sue sponde principali: quella sud e quella nord, con le loro differenze e con il divario economico e di risorse che le contraddistingue, e quella a est che, in continua evoluzione socio economica, è un corridoio preferenziale per i trafficanti di droga dall’Afghanistan.

Le tre criticità principali

La concentrazione di traffici e interessi economici, oltre che politici, pone in primo piano il problema della sicurezza del bacino del Mediterraneo. Tre sono i nodi da sciogliere.
In prima battura ci riferiamo al terrorismo e traffici illeciti di droga, armi, e contrabbando di merci. Il secondo tema è la sicurezza delle fonti di approvvigionamento energetico e per ultimo il problema sociale  che deriva dall’aumento costante dei flussi migratori. Tre aspetti fortemente interconnessi tra loro che si inseguono e si alimentano creando un circolo vizioso difficile da governare.

Il narcotraffico: da dove parte la droga

Il narcotraffico, in termini di dimensione, è uno degli affari illeciti maggiormente rilevante nell’area mediterranea, dove ogni tipologia di stupefacente segue una rotta ben delineata per entrare nel mercato europeo. Le rotte principali sono quattro: America Latina e Centrale, il Mediterraneo allargato, il Sud est asiatico, e un mercato interno europeo con riferimento diretto all’Olanda. Poi ci sono corridoi anche specifici per raggiungere il mercato europeo.
Uno è quello balcanico dove passano eroina e oppiacei. Hashish e marijuana provenienti dall’America Latina e Caraibi e dal Medio-Oriente transitano anche per la rotta siriana, la rotta latino-americana e la rotta africana. La cocaina, i cui maggiori produttori sono in America Latina e Caraibi, passa attraverso i Paesi Mediterranei e raggiunge il Nord Europa. In forte espansione il fenomeno dei narcoskipper, che a bordo di imbarcazioni da diporto trasportano stupefacenti nei porti turistici.

Le ‘ndrine che contano

In Calabria le principali ‘ndrine che controllano i traffici di cocaina sono: nel “mandamento di centro”, che si estende nel versante sudoccidentale della regione, tra i comuni  dell’area costiera di Scilla e Condofuri Marina, attraversando Reggio Calabria, e poi delimitato nell’interno dai comuni di Roccaforte del Greco e Condofuri, comandano le cosche Condello, De Stefano, Tegano e Libri.

 

Nel “mandamento jonico”, che si estende nel versante sudorientale della regione, tra i comuni di Monasterace a nord e Bova Marina a sud, comandano le cosche Pelle-Vottari e Nirta-Strangio a San Luca, Barbaro-Trimboli a Platì, Morabito- Palamara-Bruzzaniti ad Africo, Commisso a Siderno e Aquino a Marina di Gioiosa Jonica.

 

Nel “mandamento tirrenico”, che si estende nel versante nord occidentale della regione, tra i comuni dell’area costiera di Rosarno, a nord, e quello di Seminara, a sud, attraversando i territori di San Ferdinando, Gioia Tauro, e Palmi, mentre la zona pedemontana è caratterizzata da Candidoni, Serrata, San Pietro di Caridà, Galatro, Giffone, Cinquefrondi, San Giorgio Morgeto, Cittanova, Molochio, Oppido Mamertina, Santa Critina d’Aspromonte, Scido, Delianuova, Cosoleto, Sinopoli, Sant’Eufemia d’Aspromonte e Melicuccà. Qui comandano le cosche Piromalli e Molè a Gioia Tauro, nonché Bellocco a San Ferdinando e Pesce a Rosarno. Ma la ‘ndrangheta è anche radicata all’estero, in Germania, Olanda e Belgio, dove gestisce l’arrivo, lo stoccaggio e la distribuzione della cocaina. A partire dagli inizi degli anni ’90, in Germania ed in Italia sono stati avviati svariati procedimenti penali per associazione a delinquere, violazioni della legge sugli stupefacenti e della legge sulle armi, nei confronti dei componenti delle cosche calabresi, riconducibili al comprensorio di San Luca. Indagini che hanno permesso di stabilire l’attività criminale delle ‘ndrine nelle città di Duisburg, Erfurt, München, Leipzig, Neukirchen-Vluyn, Deizisau, Bous e Bochum.
Ma solo con la strage di Duisburg del 2007 si è potuto dimostrare e documentare l’infiltrazione e la pericolosità della ‘ndrangheta che ormai aveva acquistato strutture commerciali, imprenditoriali e societarie.
La Germania è una delle zone di stoccaggio più utilizzate per la cocaina proveniente dal Sud America. Il porto di Amburgo, uno dei più importanti in Europa per volume di merci, ed è  utilizzato dalle organizzazioni criminali calabresi per introdurre rilevanti carichi di stupefacenti nel Paese.

La strage di Duisburg

Sono le due di notte del 15 agosto 2007, una bella serata tiepida a Duisburg, città di 500mila abitanti situata nella parte occidentale della Ruhr, in Germania. Sebastiano Strangio, cuoco, calabrese originario di San Luca, chiude il suo  ristorante pizzeria   “Da Bruno”, e con due camerieri e tre amici, si accinge a tornare a casa. Il gruppo di amici si dirige verso il parcheggio. I sei erano uniti da un legame profondo con le loro radici e conosciuti come persone probabilmente “affiliate o comunque vicine” al clan Pelle-Vottari di San Luca. La sentenza della Cassazione il 9 giugno 2016 confermerà questo dettaglio. Mentre si avvicinavano alle loro auto, i gruppo di amici cade in un’imboscata e muore sotto il fuoco di due pistole calibro 9 dalla quali vengono sparati 54 colpi. I killer hanno anche il tempo di cambiare i caricatori e sparare il colpo di grazia.
Nelle auto, in quel parcheggio vicono alla pizzeria, muoiono Sebastiano Strangio, Francesco Giorgi (minorenne), Tommaso Venturi e i due fratelli, Francesco e Marco Pergola,  figli di un ex poliziotto del commissariato di Siderno.  Muore, crivellato di colpi, anche Marco Marmo, obiettivo principale dei killer, perché sospettato di essere stato il custode delle armi utilizzate per uccidere, a San Luca, Maria Strangio moglie di Giovanni Nirta. Gli investigatori e l’opinione pubblica tedesca rimangono attoniti di fronte a un’esecuzione così fredda, precisa e violenta. È cambiato qualcosa in quel mondo pulito e preciso nel cuore dell’Europa. Il filo rosso che si ramifica da una terra distante, a tratti arcaica, la Calabria, arriva a scuore l’attenzione dei media europei e scoperchia un pentolone dove dentro ci sono tradizioni malate, religiosità primitiva, affari milionari, faide, matrimoni d’affari, affiliazioni rituali e massoneria deviata. 

Nel portafogli di una delle vittime, Tommaso Venturi, viene trovato un santino di San Michele parzialmente bruciato, chiaro indizio di un’affiliazione celebrata poco prima. Ma la  ‘ndrangheta è presente in Germania già dagli anni settanta, dove “lavorano” alcune famiglie di Cirò, i Mazzaferro di Gioiosa Ionica, le famiglie di Reggio Calabria, delle storiche famiglie di Africo, di San Luca, di Bova Marina.

Il ristorante “Bruno” era già stato segnalato dalle forze dell’ordine italiane

Ma a tutto questo le forze di polizia e la magistratura non avevano dato peso. Eppure gli investigatori avevano già ricevuto, diversi anni prima, richieste di aiuto da parte delle forze di polizia italiane che avevano segnalato il ristorante “Da Bruno” come uno dei ritrovi della mafia calabrese utilizzato per riciclare il denaro e luogo di incontri della criminalità organizzata italiana.
Per anni, le polizie internazionali hanno considerato la presenza delle mafie come un affare tutto italiano, di cui non occuparsi con attenzione. Un ladro è solo un ladro, lo stesso vale per uno spacciatore; e poi noi italiani siamo un po’ folcloristici, pizza, spaghetti, mandolino e canzoni neomelodiche.

San Luca caput mundi

La strage di Duisburg apre uno squarcio nella realtà e indica una strada che porta a un  paesino della Calabria, San Luca, che perà in realtà è un luogo strategico di incontri mafiosi, accordi sui traffici di droga, decisioni sulla gestione di enormi quantità di denaro che deve essere riciclato in attività lecite, a volte insospettabili come una pizzeria.
San Luca, immerso nel bellisismo paesaggio dell’Aspromonte,  è anche la sede di una faida che vede contrapposti le ‘ndrine Nirta-Strangio, che gestiscono il narcotraffico in Germania, nei Paesi Bassi e in molte zone dell’America Latina, e i Vottari-Pelle-Romeo il cui capobastone,  ‘Ntoni Pelle, era stato eletto capo crimine, cioè al vertice di tutta la ‘ndrangheta, investitura effettuata davanti alla statua della Madonan di Polsi.

La faida

Il giorno di carnevale del 1991, un gruppo di giovani vicini alla famiglia Strangio decide di fare una bravata, un gesto stupido e pericoloso. Lanciano uova contro il circolo ricreativo di Domenico Pelle. L’offesa non può rimanere senza punizione, e il giorno di San Valentino dello stesso anno,  due giovani della famiglia Strangio vengono uccisi e altri due feriti.
Parte così una faida che culminerà a Natale del 2006 con l’omicidio di Maria Strangio moglie di Giovanni Nirta, freddata da un commando di killer armati di pistole e fucili. Dopo pochi mesi, la risposta a questo omicidio sarà, a ferragosto,  la mattanza di Duisburg.

L’errore di Duisburg

Oggi, naturalmente, la ‘ndrangheta cerca di minimizzare l’uso della forza violenta, utilizza la violenza solo quando serve davvero perchè è molto più efficace corrompere. Bisogna tenere in considerazione che la corruzione è sempre stata un’arma molto, molto efficace. Ci può essere corruzione anche senza mafia ma non c’è mafia senza corruzione. La corruzione è una componente costitutiva della mafia che la utilizza con sempre maggiore frequenza perché i mafiosi hanno capito che se riescono a muoversi sotto traccia fanno meno rumore e danno meno nell’occhio. Questa è la strategia che stanno portando avanti nelle regioni del Centro Nord, in Europa, nel mondo. Hanno capito l’errore commesso a Duisburg, in Germania, e con questa strage hanno gettato un fascio di luce su un’organizzazione che prima era stata lungamente e colpevolmente sottovalutata. Oggi la ‘ndrangheta ha capito che muovendosi sotto traccia, evitando la violenza, può fare molti più soldi e dare meno nell’occhio anche perché,  molta informazione e molta politica continuano a pensare che le mafie esistano solo quando sparano. Spirito libero con un pessimo carattere. Fotoreporter in teatro operativo, ho lavorato nella ex Jugoslavia, in Libano e nella Striscia di Gaza. Mi occupo di inchieste sulle mafie e di geopolitica. FIVEDABLIUN