LUANA ILARDO, vi racconto di mio padre

 

 

LUANA ILARDO:

 

Mi chiamo Luana, Luana Ilardo. Sono la figlia di Luigi Ilardo; un mafioso, si un mafioso, come coloro che guardano con superficialità i fatti pensano e non dicono.  Assumendo un atteggiamento benevolo quando mi parlano, ma che in realtà rimangono, come i benpensanti, fedeli al loro pensiero!! 

Ebbene, oggi mi voglio sfogare e come sono abituata a fare, vi getto in faccia la verità che non volete sentire:
ripeto, mio padre Gino Ilardo e’ stato un mafioso.
Un mafioso legato ad una delle più potenti famiglie di mafia e questa per chi lo conosceva rimane l’unica vera rovina della sua vita. Perché i figli maschi di certe famiglie, sopratutto di quei tempi,spesso non hanno altre scelte.
Un mafioso che era stato in carcere scontando interamente la sua pena per gli errori che aveva fatto.
Carcere che lo portò a riflettere su che cos’era la sua vita da mafioso e di tutte le sofferenze che questa gli causo’,soprattutto sottraendolo dall’amore infinito che provava per me e mia sorella.
Prima del suo imminente fine pena e quindi la tanto desiderata libertà, la forte convinzione che quella da mafioso non era la sua vita. Pertanto cerca un riscatto morale che possa metterlo definitivamente in pace con la sua coscenza e con la vita che non sarebbe più stato disposto a continuare.
Si affida allo Stato; a quella parte di stato che egli credeva combattesse seriamente la mafia e le sue connessioni/collusioni.
Quella sua scelta ricade su De Gennaro ( il capo della Dirazione Investigativa Antimafia). De Gennaro lo affida a Michele Riccio un Ufficiale dei Carabinieri onesto, dimostrato ampiamente in tutta la sua Carriera di Ufficiale dell’Arma a differenza di ciò che si è tentato di accusare. Perché in questo paese quando qualcuno compie qualcosa di buono, va fermato anche nel più ignobile dei modi.
Con esso, mio padre, inizia una collaborazione occulta per un’unico obiettivo: catturare Il capo ancora libero di “cosa nostra”, “Binnu u tratturi” ( Bernardo Provenzano) fermare quei fiumi di sangue umano e rivelare tutte quelle porcate che sono state attribuite alla mafia ma che in realtà erano commissionate da quello Stato colluso e corrotto.
In attesa di un’incontro e quindi la cattura del super latitante mafioso (Provenzano ) , mio padre indica a Riccio il luogo di diversi mafiosi di primo piano che sfuggivano da tempo alle catture da parte delle forze dell’ordine.
Riccio esegue con i suoi uomini della DIA gli arresti, finalizzandoli sempre con successo. Non fa solo questo ma indica sempre agli uomini della DIA, chi in quel momento storico reggeva la famiglia di “cosa nostra” A Catania. Gli stessi finalizzano un’indagine, arrestando il capo e una cinquantina di affiliati, azzerando di fatto i vertici della famiglia mafiosa a Catania. Ma succede l’impensabile e l’imprevedibile. Riccio rompe con i nuovi vertici della DIA, in quanto De Gennaro era stato trasferito a nuovo incarico, ed e’ cacciato/costretto a rientrare nell’arma dei Carabinieri.
Alle dirette dipendenze di Mario Mori.
Il Colonnello continua comunque il rapporto intrapreso con mio padre e giunge finalmente all’incontro con Provenzano che si nascondeva in una masseria in località Mezzojuso nel palermitano.
Riccio chiede a Mori, suo superiore, uomini e mezzi per effettuare un’intervento e finalizzare la cattura del latitante come avvenuto sempre di routine quando era alla DIA.
Stranamente e inspiegabilmente , gli viene ordinato di non intervenire e di limitarsi con i pochissimi uomini di Caltanissetta ad effettuare solo un rilievo fotografico per individuare bene il nascondiglio e successivamente, in un secondo momento fare un’intervento.
Riccio non si da pace: “…ma come???sono mesi e mesi che attendiamo questo momento e non interveniamo…????non mi danno gli uomini e i mezzi…???”
L’ arresto di Provenzano non avverrà mai in quel momento storico ma sono ben 11 anni dopo.
Il Col.Riccio non accetta, capisce che c’è qualcosa che in tutta questa storia non va’, inizia ad essere sospettoso e sempre più in imbarazzo nei confronti di mio padre a cui aveva promesso una veloce risoluzione dell’operazione e la sua/ns successiva messa in sicurezza .
Ma e’ un uomo con grande senso del dovere e sudditanza gerarchica , un Carabiniere abituato ad avere ordini e tacere, che era abituato al servigio del grande Gen.Della Chiesa, e questa mancata cattura diventa la sua più grande sconfitta professionale.
Viene “convinto” dai sui vertici a parlare con mio padre e rendere ufficiale la sua collaborazione con le Istituzioni senza procedere a quell’arresto come gli accordi presi prevedevano.
Mio Padre (povero ingenuo ) si fida, di quelle Istituzioni, con cui aveva collaborato in modo occulto e accetta la collaborazione Ufficiale. Viene organizzato pertanto un’incontro nella capitale.
Incontro a cui parteciperanno i più importanti vertici dell’antimafia di quel momento: Giancarlo Caselli ( Procuratore della Repubblica a Palermo); Tinebra ( Procuratore della Repubblica a Caltanissetta); La Dott.ssa Principato ( PM antimafia alla DDA di Palermo); Colonnello Mario Mori Capo dei Ros dei Carabinieri); Colonnello dei CC Michele Riccio, (dipendente di Mori) e mio Padre.
Mio padre, conosceva fatti eclatanti di “cosa nostra” e principalmente fatti relativi ai rapporti che “cosa nostra” aveva avuto con Istituzioni deviate dello Stato, Servizi Segreti e tutto questo aveva detto lo avrebbe riferito con prove e riscontri.
Sottolineo e preciso ancora una volta che sebbene mio Padre avesse tali coinvolgimenti,non ha MAI e dico MAI materialmente compiuto alcun omicidio o fatto del male ad esseri umani…. ci tengo a ribadirlo visto che alcuni soggetti proprio in questi giorni (per altro i primi, in 40 anni …) hanno tentato falsamente di affermare .
Il primo incontro di quel famoso 2 maggio 96,mio padre, lo ha con Mario Mori, nel corridoio esterno della stanza dove incontrerà i Magistrati,
Lui senza giri di parole affronta Mori dicendogli ; “ parecchi dei delitti accaduti in questa Nazione, attribuiti alla mafia,sono di responsabilità vostra e della vostra organizzazione…”.
Mori non gli risponde, non una sola parola, come chiunque altro avrebbe fatto ricevendo un’accusa gravissima e infamante come quella e irrigidito va via, non partecipando neanche all’incontro. Entrando nella stanza con i Magistrati, mio padre sposta la sua sedia di fronte a Caselli e inizia a parlare rivolgendosi soltanto a lui.
Non so’ cosa mio padre disse in quel primo e unico incontro con la Giustizia di questo paese;
ma certezza rimane che la Dott.ssa Principato prese appunti sulle dichiarazioni. Appunti che la stessa Principato dira’ di aver perso in un trasloco d’Ufficio.
Finito quell’incontro accade l’inspiegabile: verrà concordato un’altro incontro dove si comincerà a verbalizzare le dichiarazioni.
A mio padre , credo anche su sua richiesta, venne detto di rientrare serenamente a Catania in attesa del prossimo incontro. Questo rimane uno dei tanti punti oscuri di questa tragedia annunciata, non capisco e non capiro’ mai, come si possa dire ad un’uomo; “puoi tornare a casa…” dopo quelle, sono certa , importantissime anticipazioni sulle sue dichiarazioni future …
Lo Stato se fosse stato realmente tale ed efficiente, avrebbe dovuto “blindare” mio padre risolvendo tutte le incombenze che sarebbero nate di riflesso alle sue scelte e
Invece no…. Viene rimandato a Catania e li dopo solo 8 giorni ucciso in un’agguato mafioso.
Credo che non possano esserci dubbi riguardo le fughe di notizie, vista l’improvvisa accelerazione del suo omicidio che ancora in quel momento non era stato consumato dopo quasi due anni trascorsi da infiltrato senza incontri “istituzionali”.
Chiaro è che,nell’ambito giudiziario di Caltanissetta arrivò’ la voce della scelta di collaborare da parte di mio Padre!
Non a caso, parliamo sempre della stessa Procura che per ben 57 giorni non volle ascoltare Paolo Borsellino.
Riccio e’ sconvolto prepara un rapporto di Polizia, chiamato “grande oriente”, dove racconta tutto, dal mancato arresto di Provenzano fino alla morte di mio Padre.
In quel rapporto c’è tutto quello che ha fatto mio padre per questo Stato e quello che non ha fatto lo Stato per lui e per quegli uomini onesti di questo paese!!!
Riccio viene, quasi contemporaneamente, (mentre consegna il suo rapporto informativo a varie Procure , Catania-Caltanssetta-Palermo) arrestato su mandato di un Giudice di Genova che aveva precedentemente lavorato SEMPRE a Caltanissetta;
per reati imputati 10 anni prima, quando era dirigente di una squadra narcotici dei Carabinieri che aveva “operato” ed eseguito con la conoscenza di tutti i suoi superiori, importantissime operazioni antidroga per cui ottenne (per gli stessi fatti ) in America un riconoscimento dell’FBI.
In Italia (paese del contraddittorio e dello stato/mafia ) per gli stessi fatti, a distanza di 10 anni, ripeto… e guarda caso dopo la deposizione del rapporto “Grande Oriente” verrà arrestato.
Mi chiedo ancora quali esigenze possano esserci di custodia cautelare per un pluridecorato Ufficiale dell’Arma che proprio in quel momento stava consegnando rapporti importantissimi sulla collaborazione avvenuta con mio Padre e parte introduttiva di dichiarazioni che come fatto mai da nessun altro, avrebbero fatto tremare un Italia sana.
Ma le schifezze non finiscono qui, e
nel 2001, dopo appena 5 anni dell’omicidio di mio padre, un Ispettore della DIA Mario Ravida (non volermene se ti nomino ….) di Catania ottenne una confidenza da un testimone oculare all’omicidio, dove gli vennero indicati con nomi e cognomi chi erano i Killer di quel maledetto 10 maggio 96 , i mezzi che usarono per commetterlo e la squadra mafiosa a cui appartenevano.
L’ispettore indica su suggerimento del confidente, un personaggio mafioso, ritenuto attendibile e all’epoca dei fatti, responsabile dello stesso commando che quella sera agii’ e che qualcuno di loro fosse “vicino “
ad organi Istituzionali.
A queste gravissime affermazioni Mario Ravidà fece immediatamente relazione regolarmente consegnata ai suoi dirigenti, relazione che rimase nei “cassetti” della DIA per ben 9 mesi senza nessuna valida motivazione e solo dopo infinite proteste e solleciti venne inviata alla Procura di Catania, la quale non rilascio’ mai misteriosamente delega per effettuare indagini a riguardo.
Dopo 12 anni arriva l’ufficiale collaborazione di quel “confidente “che già all’ epoca aveva fornito quelle informazioni sugli autori della morte di mio Padre,confermando quella relazione fatta a cui stranamente decenni prima, mai si diede seguito investigativo.
Questa divenne prova di fatto sufficiente per il PM Giudice Pasquale Pacifico per dar vita al processo dove verranno condannati come colpevoli tutte le persone ancora in vita che erano state già indicate sempre in quella “famosa” relazione.
Apparentemente un po’ di gistizia…
Ma anche in questa finalizzazione di processo ci sono cose che a me non saranno mai chiare :
– Ci sono state le condanne ai mafiosi responsabili dell’omicidio, ma le connessioni e collusioni Istituzionali perché non sono state mai approfondite?
Il fascicolo Processuale aperto in questo senso perché viene chiuso con un nulla di fatto?
Perché non sono state approfondite le indagini alla Procura di Caltanissetta sulle fughe di notizie relative alla collaborazione di mio Padre?
Perché non state ascoltate le motivazioni per cui la dirigenza della DIA di Catania, avendo saputo chi erano gli autori a seguito dell’omicidio di mio padre, non effettuarono
alcuna indagine all’epoca dei fatti tenendo nel “cassetto” per 9 mesi quella relazione???
Perché non si chiede mai a quale Magistrato della Procura di Catania giunse la suddetta relazione e per quali motivazioni non fu’rilasciata alcuna delega d’indagine sui personaggi autori dell’omicidio???
Questi sono alcuni dei dubbi che mi attanagliano alla quale pretendo risposte e chiarimenti precisi da chi di competenza. Mio padre era un mafioso… ma scelse di collaborare con lo Stato ed ad esso si affido’. Non accetto che mio padre venga considerato un morto di serie “B” ma di serie “A” perché quando poteva scegliere la vita da uomo libero, ha deciso di rischiarla quella vita, perdendola definitivamente.  Mio Padre aveva fatto una scelta precisa e lo Stato preferì proteggere Provenzano piuttosto che lui!!!!!  Per questo non vennero mai accertate le responsabilità di chi dalla parte delle Istituzioni, lo tradií…. Credo che sia mia dovere e diritto, chiedere e gridare: “…giustizia subito…”!!!!  4.9.2020


Atlantide – intervista a Luana Ilardo, figlia dell’ex boss mafioso ucciso il 10 maggio 1996, due giorni prima di ufficializzare la sua collaborazione con la giustizia. La puntata è dedicata alle rivelazioni rilevanti del pentito Riggio, ex agente della polizia penitenziaria e mafioso del clan di Caltanissetta.
Riggio, in merito all’omicidio di Luigi Ilardo, ha riferito che seppe da Angelo Ilardo che suo cugino Luigi Ilardo, venne ucciso dalla mafia per conto dello Stato, perché Ilardo voleva parlare di tutte quelle che erano gli interessi, gli intrecci che in quel periodo erano intercorsi tra lo Stato e la mafia e tutti i fatti di cui si erano resi protagonisti i mafiosi per conto della politica.
E che “l’ordine di uccidere Ilardo partì da una fonte istituzionale nel Tribunale di Caltanissetta che la diede ai Carabinieri del Ros di Caltanissetta che a sua volta dopo un attimino la fecero sapere in giro. Angelo è stato chiarissimo: SE LO SONO VENDUTI LO STATO. “ 18.11.2020


Luana Ilardo: ”Abbandonati dallo Stato per la storia scomoda di mio padre” La figlia del confidente dei carabineri Luigi Ilardo racconta il calvario della propria famiglia a “Non è l’Arena”  Un boss freddato sotto casa perché ha deciso di rompere un patto, di cambiare, di collaborare con la giustizia, rivelare ai magistrati nomi e segreti del gotha di Cosa nostra, e non solo. Una ragazza che, insieme ai membri della sua famiglia, da quell’omicidio vedrà la propria vita precipitare nel totale silenzio e isolamento delle istituzioni. E’ la storia di Luana Ilardo, figlia del confidente dei carabinieri Luigi Ilardo, boss di Cosa nostra nonché cugino di Giuseppe Madonia e reggente di Caltanissetta, ucciso il 10 maggio 1996. Ieri per la prima volta Luana Ilardo è apparsa davanti alle telecamere di “Non è l’arena” condotta da Massimo Giletti. Ai telespettatori la donna, che da anni conduce una fiera battaglia per il raggiungimento della verità e della giustizia per la morte del padre, ha parlato di sé e del calvario della sua famiglia. Luigi Ilardo, come ha ricordato Giletti, era un infiltrato per i carabinieri che a metà anni ’90, grazie alle sue rivelazioni, ha consentito l’arresto di decine di mafiosi e per poco non riusciva a far arrestare anche Bernardo Provenzano, allora ancora latitante. Una vicenda, questa, di cui ancora oggi si discute, come è stato fatto ieri a “Non è l’arena“, per le azioni inspiegabili dei vertici del Ros i quali, avendo Provenzano a pochi metri, non diedero l’ordine agli uomini di Michele Riccio (il colonnello con il quale Ilardo collaborava) di intervenire per catturarlo. Ma nel caso Ilardo numerosi sono i misteri davanti ai quali gli addetti ai lavori si sono imbattuti. E altrettanti sono gli interrogativi aperti. Come quelli sulla possibilità che qualcuno all’interno delle istituzioni avesse informato Cosa nostra del percorso di collaborazione con la giustizia del confidente (che avrebbe ufficializzato, caso vuole, tre giorni dopo l’omicidio). E’ possibile, come ha affermato ieri il sindaco di Napoli Luigi De Magistris, che Luigi Ilardo sia stato tradito dallo Stato? E perché? Sono domande alle quali a 24 anni di distanza manca ancora una risposta nonostante le rivelazioni di pentiti e il processo conclusosi il mese scorso contro gli esecutori materiali dell’omicidio. Intanto però Luana Ilardo, che pretende verità, commenta quello che di certo si sarebbe potuto fare quando il tempo ancora c’era: proteggere suo padre. “La condanna non ci basta perché i mafiosi hanno fatto i mafiosi ma lo Stato non ha fatto lo Stato”, ha detto in studio la Ilardo commentando brevemente la sentenza del processo conclusosi in Cassazione lo scorso 1° ottobre. “Perché ovviamente era chiaro che mio padre, alla luce delle sue decisioni e dei passi che aveva fatto, avesse bisogno di un certo tipo di tutela che non c’è mai stata. Purtroppo – ha continuato – la sua storia evidenzia parecchie falle di un sistema di gestione che non è stato efficace”. Luana Ilardo ha voluto sottolineare l’abbandono che suo padre prima, e i suoi cari poi, hanno vissuto. Un atteggiamento inspiegabile da parte delle istituzioni specie se si pensa che “la scelta e le decisioni che ha preso mio padre le ha prese da uomo libero”, ha precisato la Ilardo. Le ragioni di questo abbandono, sia ai danni del confidente che a quella delle sue figlie, sono dovute, sostiene Luana Ilardo, alla dimensione della collaborazione di un uomo come Luigi Ilardo. “La nostra, quella di nostro padre, è una storia scomoda e quindi c’era tutta la volontà di tenerla insabbiata quasi da farne perdere memoria. Perché i tasti che va a toccare – ha spiegato – sono molteplici, non sono solo quelli mafiosi. Di conseguenza credo che questo abbandono totale da parte delle istituzioni nei confronti di noi familiari sia per questo motivo”. E quali sono questi “tasti” che Luigi Ilardo avrebbe toccato quando, ancora in vita, dialogava con i carabinieri? Sicuramente uno di questi potrebbe essere quello della trattativa Stato-mafia di cui al tempo, siamo a metà anni ’90, iniziavano a delinearsi i suoi primi effetti. Luigi Ilardo, come ha ricordato in studio Massimo Giletti, sarebbe stato a conoscenza di quel patto scellerato tra mafia e politica. Qualche giorno prima dell’omicidio la fonte “oriente” (questo il nome in codice attribuitogli) si trovava a Roma in compagnia di Michele Riccio per incontrare il generale dei carabinieri Mario Mori, lo stesso Mori che venne imputato (poi assolto con sentenza definitiva perché il fatto non costituisce reato) per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra per la mancata cattura di Provenzano. Ilardo, aveva raccontato Riccio a processo, di impeto disse a Mori: “Molti degli attentati che Cosa nostra ha commesso li avete ispirati voi” (lo Stato, ndr). Una pesante accusa alla quale Mori reagì “stringendo i pugni e alzando i tacchi“. Altra vicenda oscura di cui pare Ilardo fosse a conoscenza è quella del delitto di Piersanti Mattarella, come ha puntualmente riportato la giornalista Sandra Amurri, anche lei intervenuta in studio, parlando di una riunione avvenuta sempre a Roma nella sede dei Ros alla presenza di Ilardo, Riccio, Gian Carlo Caselli (procuratore di Palermo), Gianni TInebra (procuratore di Caltanissetta), Teresa Principato (magistrato della Dda di Palermo). In questa riunione, ha dichiarato la Amurri, “Ilardo disse: ‘vi parlerò dell’omicidio Mattarella e delle stragi’. Ma nessuno – ha osservato la giornalista – verbalizzò nulla di quell’incontro se non qualche appunto preso dalla dottoressa Principato che poi disse al processo di aver probabilmente perduto durante un trasloco”. “Sono fatti incredibili”, ha affermato la Amurri. Fatti che andrebbero analizzati per comprendere bene quelli che sono stati gli anni più bui della Repubblica e quindi trovare una chiave di volta anche agli altri misteri che hanno colpito le altre vittime di mafia. “Mi auguro che quella parte di Stato buona faccia di tutto per dare giustizia a noi – ha concluso la Ilardo dopo i vari interventi degli ospiti – . Ma non solo a noi famiglia Ilardo – ha precisato – ma noi che siamo stati vittima di questi giochi pesanti e di potere perché oggi avere solo la giustizia di mio padre non mi basterebbe più”. Karim El Sadi  ANTIMAFIA DUEMILA 26 Ottobre 2020 


Omicidio Ilardo, la figlia Luana: “Dalla mancata cattura di Provenzano alle fughe di notizie: troppi punti oscuri” L’intervista con la figlia del boss, ucciso a Catania nel maggio del 1996, che aveva deciso di collaborare con la giustizia indicando un summit di mafia con il padrino Bernardo Provenzano. Nonostante i contatti con le istituzioni venne ucciso a pochi giorni dall’ingresso nel programma di protezione “Mi chiamo Luigi Ilardo e ho deciso di collaborare con la giustizia. Cosa Nostra è diventata solo una macchina di morte. L’unica cosa che mi spinge è la ricerca della normalità della mia vita e di quella dei miei figli, per sono stati i loro sacrifici, i loro dolori, a farmi capire i veri valori della vita…”. Con queste parole Luigi Ilardo, ex boss della provincia nissena, aveva aperto la sua collaborazione con le istituzioni dopo alcuni anni di carcere e dopo esserne uscito nel 1993. Il cugino di Piddu Madonia ha rappresentato per 3 anni una fonte preziosa e sterminata di informazioni per la giustizia e ha permesso di arrestare decine e decine di mafiosi. Ma per Luigi Ilardo, a un certo punto, non c’è stata alcuna protezione: il 10 maggio del 1996, a un passo dal suo inserimento in uno specifico programma per i collaboratori, è stato crivellato di colpi sotto casa sua, a Catania, in via Quintino Sella. E con la morte di Ilardo sono rimasti irrisolti tanti punti oscuri, alcuni dei quali sono i grandi misteri d’Italia: la mancata cattura di Bernardo Provenzano nel 1995 e il rapporto tra la mafia, istituzioni deviate e massoneria. Soltanto dopo 24 anni è stata scritta la parola fine alla vicenda giudiziaria con la sentenza della Corte di Cassazione che ha condannato all’ergastolo  Giuseppe Madonia, Vincenzo Santapaola, Maurizio Zuccaro e Benedetto Orazio Cocimano per il concorso nell’omicidio di Luigi Ilardo. Ha pagato con la vita la “scoperta” da parte di Cosa Nostra della sua collaborazione, sino ai primi di maggio del 1996, “sotterranea” con le istituzioni. Una “scoperta” che deve avere avuto, secondo la famiglia Ilardo, dei referenti all’interno delle istituzioni. Il contatto di Ilardo – che aveva come nome in codice “Oriente” – era il colonnello dei carabinieri Michele Riccio. Quest’ultimo ebbe dal collaboratore una imbeccata che avrebbe potuto cambiare il corso della storia sull’isola: un summit di mafia a Mezzojuso con la presenza di Bernardo Provenzano nell’ottobre del 1995. Ilardo informò i carabinieri e si presentò, con tanto di microspie, all’appuntamento ma il blitz non scattò e la cattura del superlatitante non avvenne. Una mancata cattura a cui seguì anche un lungo processo per alti ufficiali dei Ros e che lascia un alone di mistero che è rimasto tutt’ora.

Luana Ilardo, figlia di Luigi, da anni lotta per chiedere verità sui tanti punti oscuri relativi alla vicenda del padree per evidenziarne la figura di uomo che aveva creduto in un percorso di cambiamento e di collaborazione con la giustizia: “Mio padre non ci ha mai comunicato la scelta di collaborare, ma dalle trascrizioni dei colloqui con il colonnello dei carabinieri RIccio emerge quanto fosse stanco di quella vita e di come i sacrifici della nostra famiglia lo avessero spinto a cambiare vita”. I grandi occhi azzurri di Luana Ilardo sono colmi di malinconia ma anche di determinazione: chiede verità sui giorni di maggio del 1996 che portarono il padre alla morte proprio nel momento in cui, dopo diversi mesi, aveva “istituzionalizzato” la sua collaborazione. “Ci sono delle anomalie evidenti nella storia di mio padre – spiega -. Per un anno e mezzo aveva collaborato con il colonnello RIccio portando a diversi arresti, anche di grande calibro. Il 2 maggio si presentò al suo primo vero incontro istituzionale a Roma, nella sede dei Ros, non essendo più Oriente e diventando una persona con un nome e un cognome: dopo otto giorni venne ucciso. Cosa è successo? Si parla di una accelerazione dell’omicidio di mio padre. Basti pensare che a distanza di tre giorni dalla sua morte era prevista l’entrata del programma di protezione”.

Ilardo dopo essere stato sentito a Roma venne mandato a casa e tornò nella sua Catania, pronto per ripartire verso una località segreta. Ma perché quella leggerezza di farlo ripartire verso la Sicilia? E perché non c’è traccia di nessun verbale del suo incontro nella sede dei Ros?

Misteri che, assieme alla mancata cattura di Provenzano, ancora attanagliano la famiglia Ilardo. “Con la sentenza di Cassazione – prosegue ancora Luana Ilardo – non è stata scritta la parola fine. Anzi è un nuovo inizio per comprendere la figura di mio padre e le omissioni che vi sono state. Questo tipo di sentenze le definisco sentenze “comode”: il braccio sporco ha pagato le sue responsabiità. Sono stati assicurati i mandanti mafiosi ma ci sono state falle dal punto di vista istituzionale: mio padre non è stato protetto bene. Ci sono connessioni a livelli istituzionale e chi ha sbagliato deve assumersi le sue responsabilità, così come noi stiamo pagando con un enorme dolore”.

Sente di essere stata “abbandonata” dalle istituzioni Luana Ilardo: “Non sono state presenti nella nostra vita. Abbiamo subito un dramma e nessuno ci ha sostenuto. Soltanto Salvatore Borsellino si è attivato per sensibilizzare le istituzioni e per far conoscere la nostra storia”. Una storia che nonostante i processi, le sentenze e i colpi di scena presenta ancora tantissimi punti oscuri. ANDREA SESSA 14 OTTOBRE 2020 PALERMO TODAY  

Video | Le parole della figlia Luana

Caso Ilardo: «Lo Stato ha ucciso mio padre» L’INTERVISTA. In attesa della sentenza della Cassazione abbiamo raccolto la testimonianza di Luana Ilardo(figlia di Luigi, nome in codice “Oriente”): «Credo nello Stato, nelle Istituzioni, in quei magistrati che continuano a ricercare la verità. È chiaro che ci sia uno “spaccato” nello Stato. C’è una parte di Stato collusa e corrotta. Ma c’è anche una parte di Stato buona, onesta, legale che vuole far emergere queste verità. Oggi, purtroppo, ci sono tutte le carte in tavola per poter parlare di questa verità. Mio padre è l’ennesimo omicidio con dei mandanti istituzionali.»

«Lo Stato ha sempre utilizzato la criminalità organizzata. Il mandante esterno in questi omicidi di Stato c’è sempre. Poi c’è il contatto che dice a due picciotti: ‘andate ad ammazzare questo’. A Ilardo lo sparano sotto casa. L’ordine è arrivato dallo Stato. È successo per tutti gli omicidi eccellenti. Ilardo è uno degli omicidi eccellenti». Queste parole chiare, nette, incontrovertibili – raccolte da WordNews.it – sono state pronunciate dal colonnello dei carabinieri Riccio.

Michele Riccio e Luigi Ilardo avevano stretto un rapporto di collaborazione. Uno era l’ufficiale dei carabinieri, l’altro era il confidente infiltrato (nome in codice “Oriente”). In attesa di diventare, ufficialmente, collaboratore di giustizia. I due si fidavano l’uno dell’altro. Una partnership fruttuosa: Ilardo offriva gli spunti necessari alle indagini e Riccio chiudeva il cerchio investigativo. Innumerevoli latitanti di Cosa nostra scovati e sbattuti nelle patrie galere. Uno rappresentava lo Stato, l’altro (cugino del mafioso Piddu Madonia) aveva preso le distanze da quel mondo schifoso rappresentato dai cosiddetti mafiosi (con le giuste coperture istituzionali).

I due avevano un obiettivo preciso: togliere dalla circolazione Bernardo Provenzano, latitante da troppi anni. Una vergogna per uno Stato di diritto. Se fosse stato arrestato molte vite sarebbero state salvate. Ma l’obiettivo sfumerà miseramente. Come è sempre accaduto. È la storia di questo strano Paese. (Dov’è l’attuale primula rossa Matteo Messina Denaro? Perché non vogliono arrestarlo?). La partita iniziata dalla coppia Riccio-Ilardo (ma condotta dai pezzi deviati dello Stato) verrà annullata. Il pezzo (di merda) da novanta non potrà essere arrestato. Lo Stato deviato, rappresentato dai soliti personaggi indegni e miserabili, interverrà prima. L’accordo indicibile non si doveva e non si poteva rompere. Il Patto non andava frantumato. E Provenzano continuerà la sua latitanza per altri 11 anni. Una vergogna. E Ilardo verrà ammazzato il 10 maggio del 1996, sotto la sua abitazione. Una vergogna di Stato. E il colonnello Riccio sconterà la reazione rabbiosa degli apparati deviati. Una vergogna istituzionale. E la Trattativa continuerà nell’indifferenza generale. Una vergogna italiana. Sono passati 24 anni dall’omicidio dell’infiltrato Ilardo. Il prossimo 1° ottobre si pronuncerà la Cassazione per chiudere definitivamente la parte processuale. Ma la ferita resta ancora aperta. E lo sarà per sempre. Soprattutto per i familiari di un uomo che aveva deciso di mettersi alle spalle il suo passato.   Abbiamo raccolto il punto di vista di sua figlia Luana Ilardo, presente il 19 luglio scorso in via D’Amelio insieme a Salvatore Borsellino(«Dopo aver letto il suo percorso, la rivendicazione della verità e della giustizia sull’assassinio di Ilardo ho pensato che gli assassini di suo padre sono gli stessi assassini di mio fratello. E, quindi, ho ritenuto che fosse giusto, in quel giorno, averla sul palco insieme a me. Noi cerchiamo lo stesso tipo di giustizia, per me gli assassini di mio fratello non sono i mafiosiGli assassini di Paolo sono dentro lo Stato, gli assassini di Luigi Ilardo sono dentro lo Stato.»)

  • Signora Ilardo perché, secondo lei, per poter ricordare la vicenda di suo padre sono trascorsi tutti questi anni?«In questo ultimo anno è incominciata una vera e propria battaglia con una grande esposizione mediatica, in cui sono stata abbastanza polemica.»
  • Perché ha sentito la necessità di iniziare questa battaglia? «Era una cosa che ho sempre voluto. Per me è un atto dovuto. Ho atteso anche la maturazione dei tempi giusti.»
  • In che senso? «Le prime sentenze risalgono a qualche anno fa. E quindi questo, comunque, mi ha dato modo di poter dire la mia. Senza le sentenze, ovviamente, non avevo nessun punto di partenza. Nonostante avessi chiare le mie idee su tante situazioni.»
  • Tra qualche giorno, precisamente il 1° ottobre 2020, ci sarà la sentenza in Cassazione. Lei cosa si aspetta? «Siamo all’ultimo grado di giudizio, quindi, ragionevolmente la valutazione dell’operato dei giudici che hanno pronunciato la sentenza di secondo grado. Anche se non è quello che mi interessa.»
  • Il 10 maggio del 1996 a Catania viene ammazzato suo padre. Lei quanti anni aveva? «Sedici.»
  • Cosa ricorda di quei momenti? «Era la prima volta, da quando erano nati i miei fratelli gemelli, che papà portava a cena fuori la moglie e in quella occasione, era un venerdì sera e io e mia sorella eravamo solite uscire e proprio quel giorno, ci chiese la cortesia di tenere i bambini appena nati. Ovviamente io e mia sorella accettammo con piacere, per noi era una giornata particolare. Per la prima volta avevamo la responsabilità di tenere i nostri fratellini che amiamo immensamente ed eravamo contente per l’incarico.»
  • E cosa succede? «Pochi minuti prima di rientrare a casa riceviamo la sua telefonata con le varie raccomandazioni. Dopo una quindicina di minuti iniziamo a sentire la saracinesca del garage sotto casa e iniziamo a sentire quei rumori, quegli spari (nove colpi di pistola, nda). Non so perché, ma è come se lo sapessimo che erano per lui. Nell’immediato scende sua moglie Cettina, a ruota poi scendiamo io e mia sorella. Loro sono risalite e io sono rimasta, non me ne volevo andare. Non lo volevo lasciare.»
  • Chi è presente sul luogo del delitto? «Nessuno. C’era solamente il corpo di mio padre disteso a terra. Cercano di allontanarmi a fatica dal corpo di papà. Sono rimasta parecchio tempo lì sotto a guardarlo. Quando sono risalita ho distrutto, insieme a mia sorella, parte della mia abitazione con calci e pugni.»
  • Chi era Luigi Ilardo?«A differenza di quello che si può immaginare non mi stancherò mai di dire che era, per quanto mi riguarda, un uomo dolce, corretto. Ciò che ha insegnato a noi. Grazie a mio padre siamo delle figlie educate, a modo, rispettose di certi valori. Ci teneva molto alla nostra educazione, ai nostri studi.»
  • Luigi Ilardo era parte integrante di Cosa nostra? «Per come la storia ci conferma, sì. Non ho mai avuto chiaro tutto questo quadro, in quanto vivere certe situazioni era la normalità. Poi ho iniziato a comprendere che molte cose non andavano, crescendo abbiamo iniziato ad avere altri termini di paragone. Quando cresci in un contesto dove le persone fanno le stesse cose ti confronti con quell’ambiente e fai fatica a capire determinate situazioni. È chiaro che qualche domanda me l’ero posta quando ho iniziato a comprendere. A ricostruire tutto ci è voluto un po’ di tempo.»
  • Suo padre verrà arrestato per una partecipazione in un sequestro di persona. E sconterà tutta la sua pena detentiva. Negli ultimi mesi, prima di essere rimesso in libertà, scriverà una lettera riservata a De Gennaro per prendere le distanze da Cosa nostra. Il primo passo di una collaborazione con il colonnello Michele Riccio. «L’obiettivo era mettersi sulle tracce di Provenzano. Era il suo obiettivo principale.»
  • E, insieme a Riccio, porterà le Istituzioni a pochi passi dal casolare dove “viveva” il superlatitante di Stato. «Esatto, sì.»
  • Lei, in quel periodo, cosa ricorda di suo padre? Era preoccupato? Era sereno? «Non era assolutamente sereno. Percepivo che non era sereno. Poi c’era stato il discorso del furto dell’oro a casa mia.»
  • Può spiegare meglio? «Quello era stato un momento molto delicato. A casa mia, un paio di mesi prima della sua morte, sono inspiegabilmente entrati con mio nonno, molto anziano e con problemi di udito, che dormiva. Mio padre non c’era, il fine settimana solitamente era a Lentini dove aveva ristrutturato la nostra azienda agricola.»
  • Un furto fatto da qualche balordo o un vero e proprio segnale? «Nessuno si sarebbe permesso di entrare a casa. Non avevo chiarezza del ruolo che ricopriva mio padre, ma sicuramente aleggiava nella nostra vita che eravamo una famiglia rispettata, una famiglia attenzionata, non solo dalle forze dell’ordine. Ma anche dalle persone che stavano accanto a mio padre. Era improponibile che qualcuno venisse a casa mia, mentre mio nonno dormiva. Chi è entrato conosceva le nostre abitudini, entrarono con le chiavi di casa. Sapevano che io e mia sorella eravamo fuori. Potevano muoversi indisturbati.»
  • Un segnale per comunicare cosa? «Che qualcosa non andava nel verso giusto.»
  • Perché viene ammazzato Luigi Ilardo? «La prima sensazione l’ho legata a questioni di mafia, perché quel tipo di delitto poteva essere riconducibile a quell’ambiente.»
  • E poi? «In realtà quella teoria la confermarono, nei giorni a seguire, anche gli organi di informazione locali. Mi ero abituata a questa idea. Poi, dopo un paio di anni, improvvisamente si aprì un nuovo scenario. Sempre dai giornali. Un nuovo shock per tutti noi della famiglia. Apprendemmo che mio padre era stato ucciso per la sua collaborazione con i Ros, con le Autorità.»
  • E che idea si è fatta? «All’inizio non ci credevo. Ho avuto l’ennesimo periodo di turbamento, di smarrimento, di forte stress. Non mi capacitavo di una cosa del genere. Nell’immediato ho messo in discussione quello che apprendevo dai giornali. In realtà mi rifiutavo di crederci. Quando ho cominciato a leggere le sue dichiarazioni ho riscontrato subito nelle sue parole il suo modo di essere. E ho accettato questa situazione. Mi sembrava, inizialmente, un complotto. Non mi capacitavo di questa notizia.»
  • Ed oggi cosa pensa? «Dopo avere studiato e attenzionato certe situazioni ho affinato i miei pensieri. Quello che ha fatto lui non l’ha mai fatto nessuno, sino ad allora. Le sue scelte sono state coraggiose, per quanto si possa associare, giustamente, la sua figura alla mafia. In realtà è stato diverso anche in questo. Le sue scelte sono state fatte da uomo libero. La maggior parte dei collaboratori prende certe decisioni per avere degli sconti di pena…»
  • Perché, secondo lei, suo padre decide di collaborare? «Perché era stanco, voleva un’altra vita. Sono convinta che tutti quegli anni di galera lo hanno portato a ravvedersi. La sofferta lontananza da me e mia sorella e dalla famiglia lo hanno portato a comprendere che non stava facendo la scelta giusta. Non ne valeva la pena.»
  • Come definirebbe l’omicidio di suo padre? «Un omicidio per mano mafiosa, commissionato dallo Stato.»
  • Lo Stato, servendosi dei suoi rappresentanti, decide di eliminare Luigi Ilardo? «Oggi, purtroppo, ci sono tutte le carte in tavola per poter parlare di questa verità. Mio padre è l’ennesimo omicidio con dei mandanti istituzionali.»
  • Per quale motivo? «Sicuramente perché lui avrebbe interrotto la Trattativa Stato-mafia. Con le sue dichiarazioni si poteva interrompere quel Patto fatto per portare avanti le Trattative. Molte persone con cariche istituzionali avrebbero pagato a caro prezzo le dichiarazioni di mio padre.»
  • Qual è il giudizio che, in questi anni, lei ha maturato nei confronti dello Stato? «Credo nello Stato, nelle Istituzioni, in quei magistrati che continuano a ricercare la verità. Quelle persone che per pochi euro al mese rischiano la loro vita per cercare di tutelare la nostra sicurezza. È chiaro che ci sia uno spaccato nello Stato. C’è una parte di Stato collusa e corrotta. Ma c’è anche una parte di Stato buona, onesta, legale che vuole far emergere queste verità.»
  • In questi ventiquattro anni di attesa cosa l’ha delusa di più? «Sicuramente l’atteggiamento delle Istituzioni nei confronti di noi familiari. Nei nostri riguardi abbiamo vissuto un totale abbandono, come se non fossimo mai esistiti. Lasciandoci veramente in una sorta di agonia. È veramente raccapricciante. Questa mia battaglia mediatica ha fatto sì che la figura di mio padre ritorni ad avere quella dignità indebitamente sottratta. Ma è innegabile che ci sia stata una forte volontà di seppellire questa storia.»
  • Lo scorso 19 luglio Salvatore Borsellino, il fratello del giudice Paolo ucciso da Cosa nostra e dallo Stato, l’ha invitata sul palco in via D’Amelio. Cosa ha provato in quei momenti? «Infinito dispiacere ed infinita tristezza. Ma anche una grande soddisfazione personale e riconoscenza per la sensibilità che Salvatore ha avuto nei miei confronti. È stata la prima persona che mi ha teso la mano. Salvatore è diventato il punto di riferimento della mia nuova vita.»   

Che cos’è la mafia? «Sofferenza, sangue, dolore.»      WORD NEWS 29.9.2020

                

Il 1º Ottobre (2020) verrà celebrata la sentenza di Cassazione per l’omicidio di mio padre LUIGI ILARDO   Ancora una volta, oggi, parlo di sentenze e giustizie comode perché consapevole che saranno traguardi vissuti a metà… verità a metà ,vere giustizie a metà, vere soddisfazioni a metà … Ogni volta mi viene fatta la stessa retorica e stupida, per quanto dovuta domanda, quel giorno non sarà diversa ; “Signora Ilardo si sente soddisfatta…?” Forse solo chi ha passato ciò che ho passato io capirà a pieno gli stati emotivi, confusi, sofferenti, turbati che si possano intersecare tra loro e provare in tali circostanze, che paradossalmente, io stessa, da buona scrittrice quale sono, fatico davvero a spiegare e renderli comprensibili a voi …  dovrei gioire nel sapere carcere a vita per chi ha premuto quei grilletti che hanno letteralmente devastato e distrutto irrimediabilmente la vita mia e dei miei familiari…   e invece so’ , come ogni altro giudizio udito che sentire quell’ultimo verdetto (che ragionevolmente e con ogni probabilità sarà solo conferma del precedente ) sarà. L’ennesima sofferenza perpetratami… Per anni ho nutrito e coltivato fortissimi sentimenti di frustrazione, rabbia, desiderata vendetta…  In questi 24 anni però le cose sono cambiate, io sono profondamente cambiata, la vita mi ha profondamente cambiata e l’unica cosa che sente il mio stanco, deturpato, sofferente cuore è una grande, grandissima pena per tutti i personaggi coinvolti (compresi ovviamente i miei fratelli e me…). L’unica cosa che in questa penosa, struggente e vergognosissima storia vedo, sono decine di vite distrutte, decine di famiglie frantumate, decine di figli ai quali si è privata qualsiasi aspettativa di vita sana, normale, pregiudicandone oltre ogni ragionevole dubbio tutta l’esistenza a seguire …  quello che provo e proverò come sempre sarà un amarezza infinita che nessun ergastolo mi allevierà mai perché comunque vadano le cose, mio padre non tornerà mai più , le sue possenti braccia non mi stringeranno più e quell’ odore che riconoscerei ancora oggi tra milioni non sentirò più . Oggi l’unico vero conforto che possa alleviare i miei infiniti dolori, sarebbe quello di avere tutti i nomi dei veri colpevoli, i nomi di quelle persone che REALMENTE  lo hanno tradito, lo hanno ammazzato ancora prima dei suoi veri esecutori materiali…   quelle persone delle STATO MALATO e COLLUSO che mentre fissavo i suoi occhi color mare provati e stanchi dalle sofferenze e dei martiri subiti in carcere, ascoltando dalla sua voce le sue chiare, decise ,sentite e vere dichiarazioni che sapevano di redenzione, di desiderio di libertà, giustizia e di desiderio di una nuova vita che gli era dovuta, meritata lo hanno mandato al macello come la peggiore delle bestie con a seguito noi figli innocenti di una vita e di scelte che mai avevamo preso.  Anche per loro non mi interessa ne un ergastolo ne saperli in un fondo di cella, perché io so’…. cosa sia il fondo di una cella …   Ma l’unica cosa che chiedo e pretendo sia vedere i loro nomi scritti insieme ai soggetti di questa sentenza perché quella sarà la fine del mio conto amaro pagato e della sua dignità di essere umano restituita . Scrivendo questo mio ennesimo sfogo, con le lacrime che rigano il mio viso, il mio pensiero corre alla vedova di Schifani, che per sempre con quel dolore straziante a me tanto riconosciuto mai dimenticherò nelle sue parole pronunciate in chiesa davanti i resti del suo povero eroe marito ….  Fonte: pagina FB di Luana Ilardo 24.9.2020

LUANA ILARDO: “Pezzi dello Stato hanno consegnato mio padre ai killer. Lui che aveva deciso di aiutare lo Stato per sconfiggere la mafia”. Lui, Luigi Ilardo, era il capomafia della Provincia di Caltanissetta, cugino di Giuseppe “Piddu” Madonia. Dopo 11 anni di carcere per mafia nel 1993 aveva deciso di cambiare vita e fece ciò che nessuno aveva mai fatto prima (e neanche dopo): continuò a far finta di appartenere a cosa nostra ma lo fece come “infiltrato”. Iniziò a collaborare con la Direzione Investigativa Antimafia (DIA), come confidente del colonnello dei carabinieri Michele Riccio, con il nome in codice “Oriente”. “Il gioco è iniziato, colonnello”. Disse Ilardo a Riccio, annunciando di esser stato reintegrato all’interno di cosa nostra, dopo aver ripreso i rapporti con i “picciotti”. E con la sua (rischiosissima) decisione, “consegno'” Provenzano agli inquirenti, peccato che – nei fatti – nessuno all’epoca lo volle arrestare. A raccontare all’AGI Luigi Ilardo, è la figlia, Luana. Dopo anni di silenziosa sofferenza, Luana vuole “riscattare” la memoria del padre. “La sua collaborazione ha consentito agli inquirenti di assicurare alla giustizia, nel corso di 3 anni – commenta Luana Ilardo – boss di primissimo piano appartenenti a diverse famiglie mafiose delle province di Messina, Catania e Caltanissetta”. Rivelò tutto quello che sapeva, “su mafia, politica e massoneria”. Poi, il 10 maggio 1996, fu ucciso, a Catania. “Una talpa nelle istituzioni – racconta Luana Ilardo – rimasta ancora oggi senza nome, aveva svelato il suo ruolo di infiltrato. Qualcuno, all’interno dello Stato, aveva paura delle verità che mio padre stava rivelando”. Tornando a Provenzano, grazie a Ilardo il 31 ottobre 1995 si sarebbe potuto catturare l’allora superlatitante. Catturarlo 11 anni prima del suo arresto, avvenuto poi l’11 aprile del 2006. “Mio padre era riuscito ad indicare agli inquirenti dove si sarebbe tenuto il summit di mafia con Provenzano, in una masseria di Mezzojuso. Accettò di partecipare con una cintura di microspie, rischiando la vita. Nonostante il rischio enorme che si era preso, però, i carabinieri del Ros, guidati da Mario Mori e da Mauro Obinu, decisero di non effettuare il blitz. E quindi, incredibilmente, di non arrestare Provenzano e gli altri”. Ilardo non si arrese e continuò a fare da confidente al colonnello Riccio, fino al giorno in cui disse di voler intraprendere ufficialmente la collaborazione con la giustizia. Siamo ai primi di maggio del 1996, pochi giorni prima della sua morte. Mio padre venne portato al Comando del R.O.S. a Roma dal colonello Riccio: fu a lui che aveva praticamente affidato la propria vita, tanto da dare il suo nome ad uno dei miei fratelli. Quel giorno erano presenti i magistrati Tinebra, Caselli e Principato. Disse tutto ciò che sapeva, ed era tantissimo ma si disse che le sue dichiarazioni sarebbero state verbalizzate in un successivo incontro a Palermo. Incredibilmente non vi fu il tempo”. La sera del 10 maggio del 1996 Luigi Ilardo venne ucciso brutalmente, mentre si trovava sotto casa. “Lo abbracciai – racconta Luana – da quel giorno non fu più niente uguale e fummo completamente abbandonati da quello Stato a cui mio padre si era affidato. Da tutti, anzi quasi da tutti. Devo dire grazie al magistrato Pasquale Pacifico, ad Alessandro Scuderi ed al signor Pippo. È grazie a loro che venne riaperto il processo”. Ad ordinare l’assassinio il cugino, “Piddu” Madonia e Vincenzo “Turi” Santapaola. Nella motivazione della sentenza emerge che, sullo sfondo del delitto, vi sono state le classiche false accuse, il tipico “mascariamento” siciliano, come il coinvolgimento di Ilardo nell’omicidio dell’avvocato Serafino Famà o il fatto che si fosse intascato i soldi di alcune estorsioni. È certo però che la condanna a morte di cosa nostra venne emessa quando quella “talpa” rivelò la collaborazione di Ilardo. Il collaboratore di giustizia Nino Giuffrè ha raccontato che la notizia fu persino recapitata a Bernardo Provenzano che “aveva deciso la sua uccisione, chiedendo a lui di occuparsene”. Luana Ilardo sa bene che suo padre fosse un “uomo della mafia, ma non ne aveva l’indole, lo divenne soltanto perché nacque in quella famiglia. Se avesse avuto la fortuna di nascere in un’altra famiglia, avrebbe studiato per diventare un professionista. Magari la sua passione per i cavalli sarebbe diventata la sua professione”. E per spiegare questo concetto, Luana precisa come “anche dal punto di vista delle imputazioni, mai mio padre venne accusato di omicidi o di altri feroci crimini. Mai”. E “nella sua unica deposizione scritta, disse di volersi totalmente dissociare da idee che portarono, ad esempio, alla morte del piccolo Giuseppe Di Matteo o della moglie di Nitto Santapaola”. Oggi Luana è una mamma che lotta per la memoria e la verità da raccontare alla figlia. “Credo nelle Istituzioni, nonostante tutto, perché ci sono tante persone per bene che ne fanno parte, di quelle veramente sane. A loro chiedo che a mio padre sia riconosciuto lo status di collaboratore. È assurdo che per la mafia sia il traditore e per lo Stato non sia collaboratore. Questo limbo, ad oggi infinito – spiega Luana Ilardo – non ha dato una giusta collocazione né a lui, né a noi figli, dando vita a infiniti pregiudizi con i quali ancora oggi conviviamo. Penso che le Istituzioni gli debbano almeno questo, un innegabile e documentato riconoscimento per ciò che ha fatto. Mentre a mia figlia voglio spiegare chi fosse realmente suo nonno e, con lei, voglio spiegarlo a tutti. Io amo mio padre più della mia stessa vita”. AGI 13.7.2020

LUANA ILARDO: «MIO PADRE HA PORTATO I CARABINIERI A PROVENZANO.  QUEL GIORNO SI DOVEVA FARE IL BLITZ; NON SI CAPISCE PERCHÉ IL BLITZ SALTÒ. CREDO CHE CI SIA UNA SOTTILE LINEA DI DEMARCAZIONE TRA LO STATO E LA MAFIA. CREDO CHE CREDO CHE MIO PADRE SIA STATO PUNITO PER QUESTO MOTIVO, PERCHÉ AVEVA VOGLIA DI METTERE A NUDO QUESTE VERITÀ» L’Italia, grazie anche ad un’informazione silente e in gran parte figlia della stagione della trattativa, non ha mai fatto davvero i conti con la storia e la figura di Luigi Ilardo. Uomo d’onore di Caltanissetta e cugino del boss Piddu Madonia, all’inizio degli anni ’90 decise non solo di ripudiare la mafia ma di combatterla come infiltrato mettendo gravemente a repentaglio la sua stessa vita. Per un anno e mezzo Luigi Ilardo passò delicatissime informazioni su mafia, politica, massoneria e servizi al colonnello Michele Riccio, fino a rendere possibile la cattura di Bernardo Provenzano a Mezzojuso il 31 ottobre 1995. Ma lo Stato non seppe cogliere questa opportunità e Luigi Ilardo il 10 maggio 1996, a pochi giorni dall’inizio ufficiale di una collaborazione che avrebbe potuto rivelarsi devastante per lo stato mafia, grazie a una provvidenziale fuga di notizie dalla Procura di Caltanissetta, fu ucciso a Catania. «Ai miei occhi – dice la figlia Luana – Luigi Ilardo è la persona più dolce che io ad oggi abbia mai conosciuto. Mio padre ha portato i Carabinieri a Provenzano. Quel giorno si doveva fare il blitz; non si capisce perché il blitz saltò. Credo che ci sia una sottile linea di demarcazione tra lo Stato e la mafia. Credo che credo che mio padre sia stato punito per questo motivo, perché aveva voglia di mettere a nudo queste verità. Chiedo allo Stato di ridare un po’ di dignità a quest’uomo, perché quest’uomo è stato dimenticato come se non avesse fatto nulla, ma in realtà forse qualcosa l’aveva fatto, e credo anche di abbastanza importante». (intervista di Salvo Palazzolo per RepTv del 3 marzo 2019)

 

di Luana Ilardo LA LETTERA  A nessuno fa piacere condividere ricordi intimi e privati che solo per esso dovrebbero rimanere tali . Ma oggi nella mia battaglia per ridare dignità all’uomo che ho amato di più in vita mia , farò anche questo . Tutti devono sapere chi era , ed è Gino Ilardo , un uomo , che oltre le foto segnaletiche e gli articoli di giornali dove puntualmente gli veniva sottratta la sua reale dimensione e caratura umana era tanto, molto di più …  Spesso quando parlo di dissociazione accosto la parola “redenzione “ questa è L’ esatta spiegazione , a mio avviso , di cosa spinge un essere umano a camminare verso di essa … tutti devono sapere come stavano le cose davvero , spazzando via ogni dubbio riguardo quanto si è detto e si è scritto …
era il 1992 , aveva scontato gia’ allora 11 anni di galera e come si evince da quanto scritto di suo pugno , si legge un uomo provato e sofferente che con immensa dignità e rassegnazione continuava a scontare la sua pena per gli sbagli commessi.
A volte , In tanti , fanno fatica a capire perché io abbia amato e ami ancora così follemente questo uomo , la motivazione sta proprio in queste righe ..
il suo nobile animo ,i suoi elevati principi morali che spesso sono stati resi opinabili per le sue vicende giudiziarie, che tengo a ribadire ancora una volta, non hanno mai macchiato il suo animo di reati contro essere umaniMio padre era diverso da molti, tanti,troppi … Fottutamente orgogliosa di avere avuto la fortuna di conoscere un uomo del genere in vita mia ma ancora più fottutamente orgogliosa di essere tua figlia … A te amore mio grande , che mi hai reso e fatto diventare la donna che oggi sono ..

“MIO PADRE L’INFILTRATO FU UCCISO DA UNA TALPA DENTRO LO STATO” Il boss “quasi” pentito fu eliminato 23 anni fa dalla mafia: uscì la notizia che si era fatto “sbirro”   Luana  mi ha scritto su WhatsApp qualche sera fa: “Su Rai2 la fiction di mio padre (era in onda il film La Trattativa di Sabina Guzzanti, ndr). Sono scioccata”.  Luana è la figlia di Luigi Ilardo, l’unico mafioso della storia a essersi infiltrato dentro Cosa Nostra per collaborare con lo Stato. Un’operazione durata tre anni, tutti sul filo del rasoio. Ilardo, nome in codice “Oriente”, gestito dal colonnello Michele Riccio, fece arrestare decine di mafiosi, e IL  31 OTTOBRE 1995 PORTO’ I ROS A MEZZOJUSO, NEL COVO DI BERNARDO PROVENZANOMA IL GENERALE MARIO MORI DECISE DI NON INTERVENIRE, E PROVENZANO RESTO’ UCCEL DI BOSCO PER ALTRI 10 ANNI. IL 10 MAGGIO 1996, POCHI GIORNI PRIMA DI ENTRARE NEL PROGRAMMA DI PROTEZIONE, ILARDO FU AMMAZZATO SOTTO CASA,  A CATANIA, CON 9 COLPI DI PISTOLA.   Qualcuno aveva fatto uscire la notizia che si era fatto sbirro.   Solo qualche giorno prima, Ilardo è a Roma, accompagnato dal colonnello Michele Riccio, nella sede dei Ros: ad attenderli, il generale Mori e, seduti in una stanza, attorno a un tavolo, i magistrati Giovanni Tinebra, Gian Carlo Caselli e Teresa Principato. È davanti a loro che Ilardo parlerà per ore e ore. Quella fotografia in bianco e nero – col padre a terra, coperto da un lenzuolo bianco, e lei accovacciata che si dispera – Luana l’ha rivista nel film La Trattativa, l’altra sera. È una di quelle foto di mafia, sporca e potente. Gli hanno sparato alle spalle a Luigi Ilardo, come si fa coi traditori. Dal lenzuolo, si intravedono i pantaloni scuri, e una camicia a quadri con una chiazza di sangue sulla schiena. Sulla camicia un giubbino, ancora sangue. Sangue che scorre, forma una pozza sull’asfalto e riflette il volto straziato di una ragazzina coi capelli corti. Luana è rannicchiata davanti a un’auto dei carabinieri, un uomo la abbraccia: ha le ginocchia imbrattate del sangue di suo padre. “Doveva andare a cena con Cettina, sua moglie. Era la loro prima serata dopo la nascita dei gemelli. Papà aveva voluto chiamarne uno Michele, come il colonnello Riccio. Ma allora nessuno di noi aveva capito perché. Cettina era in bagno, si stava truccando. Io e mia sorella Francesca saremmo rimaste in casa a guardare i bambini, c’era anche il primo figlio di Cettina, un bimbo di 4 anni. Abbiamo sentito la macchina di papà, il bambino è corso sul balcone, poi all’improvviso tutti quei colpi di pistola. Sono scesa di corsa, urlavo, piangevo. L’ho tirato a me, l’ho stretto forte. Ho sentito sul petto il suo ultimo respiro”. “Quel giorno la mia vita è cambiata per sempre. Al tempo non avevamo idea della scelta che aveva fatto papà. Era un personaggio importante, mi ha concepita mentre era latitante e ho vissuto con lui in clandestinità. Alto, bello, elegante, la sua Alfetta rossa, i cavalli: mi sembrava invincibile”. Il dopo: figlia di mafioso, poi figlia di pentito Luana e sua sorella Francesca sono sconvolte e impaurite, scappano di casa. Si rifugiano in campagna, da un’amica. Due materassi a terra, un fornellino a gas, un bagno fatiscente. Si lasciano andare: “Non volevo più vivere”. Verranno anni difficili: i beni di Ilardo all’asta, l’azienda agricola di famiglia, l’appartamento di Catania. “Una sera io e mia sorella torniamo a casa e troviamo sulla porta i sigilli e un catenaccio. L’avevano venduta. Divento una furia: il lucchetto l’ho spaccato a martellate. Poi è arrivata la Polizia: dovete andarvene, questa non è più casa vostra. Eravamo due ragazzine di 16 anni, disperate e sole. Scoppiamo in lacrime: non sappiamo dove andare. Il poliziotto ci guarda in silenzio. Poi se ne va: io non vi ho mai viste. È l’unico gesto di umanità che ricordo di quel periodo”. Il tempo per la verità non è ancora arrivato. I giornali cominciano a scrivere che Ilardo lavorava per lo Stato. Luana non ci crede. Poi sente la voce registrata nei nastri: “Mi chiamo Luigi Ilardo e ho deciso di collaborare con la giustizia. Cosa Nostra è diventata solo una macchina di morte. L’unica cosa che mi spinge è la ricerca della normalità della mia vita e di quella dei miei figli, perché sono stati i loro sacrifici, i loro dolori, a farmi capire i veri valori della vita che non ho mai trascurato…”. Si apre un capitolo nuovo, ma per Luana è un’altra tragedia. “Non ero più solo la figlia di un mafioso. Ero anche la figlia di un pentito.  Adesso so che lo ha fatto per noi. E ha scelto di passare dalla parte dello Stato dopo aver scontato interamente la sua pena.  Ha fatto bene? Sì.  Lo ha fatto nel modo giusto? No. Si è fidato delle persone sbagliate. Mio fratello Michele porta il nome del colonnello Riccio. Quando ha capito che papà era in pericolo Riccio non avrebbe dovuto lasciarlo solo neppure un istante.  E invece lo ha abbandonato al suo destino. In 23 anni non mi ha mandato neppure un telegramma di condoglianze. Né lui, né Mori, né nessun altro. Tutti spariti”. Luana oggi ha quasi quarant’anni e una bambina. “I lavori che trovo durano 48 ore, poi con scuse risibili mi mandano a casa. Sono sempre la figlia del mafioso, la figlia del pentito. Era mio padre, mi manca ogni giorno che Dio manda in terra, ma a volte mi incazzo con lui. Io vivo a Catania e tanti mi dicono: chi te lo fa fare? Ma io sono orgogliosa di mio padre. Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede è siciliano: vorrei chiedergli se lo Stato è riconoscente per quello che Luigi Ilardo ha fatto. Ha lavorato per lo Stato, si è giocato la vita per questo. I mafiosi lo hanno ammazzato, ma sono le mele marce dello Stato che gliel’hanno consegnato. Questa è la cosa che mi fa più rabbia da figlia, da donna, da cittadina che vuole, nonostante tutto, credere ancora nelle istituzioni. Chi lo ha mandato al macello se ne deve assumere la responsabilità”.  di Walter Molino  Il Fatto Quotidiano | 23 Giugno 2019

TRADITO DA CHI AVREBBE DOVUTO DIFENDERLO  La redazione del Quotidiano dei Contribuenti ha intervistato Luana Ilardo, figlia di Luigi Ilardo, capo mafia della provincia di Caltanissetta poi divenuto confidente del colonnello Michele Riccio ed ucciso da Cosa Nostra il 10 maggio 1996 appena prima di diventare definitivamente collaboratore di giustizia.

LA RICERCA DELLA VERITÀ SULL’OMICIDIO Tutto quanto quello che ruota attorno all’ omicidio di papà oggi è abbastanza chiaro e se prima c’era qualche dubbio relativamente a questo gravissimo fatto che ha stravolto completamente la mia vita e quella dei miei fratelli, oggi il quadro è sempre più limpido e definito.  Condannero’ sempre la mano armata che ha ucciso mio padre ma non posso che ammettere la loro coerenza nell’eseguire gli ordini impartiti dall’alto confermando   Il protocollo usato nei confronti di chi decide di dissociarsi dalla logica mafiosa e intraprendere la strada della collaborazione con la giustizia . Venire a conoscenza che le informazioni riservate relative alla collaborazione di papà e che poi hanno, di fatto, portato ad una rapida accelerazione della pianificazione della sua morte siano uscite fuori dalla Procura di Caltanissetta, per me è stato come dovermi confrontare con una amara verità. La procura di Caltanissetta rappresentava lo Stato e lo Stato, non mi stancherò mai di dirlo, avrebbe dovuto tutelare  mio padre nella sua scelta di dissociarsi dal contesto mafioso e proteggerlo. Quello che mi resta, oltre all’immenso dolore, è  un grande amaro  in bocca nel sapere che mio padre è stato tradito da chi avrebbe dovuto difenderlo in virtù di una scelta coraggiosa e delicata da lui fatta con coscienza e consapevolezza, come quella della collaborazione”.“Mio padre certamente sapeva che collaborando con lo Stato nella battaglia contro Cosa Nostra avrebbe rischiato di diventare un obbiettivo sensibile della mafia, ma mai avrebbe immaginato di essere lasciato,abbandonato  e TRADITO  dalle Istituzioni. Io oggi, a fronte di tanta, tantissima sofferenza vissuta, mi aspetto che finalmente venga fatta la  “vera” giustizia; per il suo omicidio sono state emesse sentenze di fine pena mai , infliggendo ergastoli a chi ne aveva già .  Mio padre non tornerà più qualsiasi sentenza sia emessa ma il mio augurio è che per il suo omicidio vengano puntiti indistintamente tutti i colpevoli ,non solo coloro che ne sono stati gli esecutori materiali ma anche coloro che ne sono stati i veri mandanti, cioè quella parte marcia delle istituzioni colluse”

SULLA MAFIA  “La Mafia è un fenomeno che va certamente combattuto con forza sparge dolore, sangue e distrugge vite e generazioni di famiglie intere. Ci si augura che queste immani scelleratezze che la Mafia ha generato e continua a generare possano trovare un giorno fine ma questo accadrà realmente  solo quando verranno eliminate  tutte quelle figure colluse  e corrotte che fanno parte dello Stato e delle Istituzioni fallate ; diversamente, se Mafia e Stato continueranno ad andare a braccetto non so davvero come si potrà combattere questa guerra pretendendo di vincerla. Tengo molto a sottolineare che la scelta di mio padre di collaborare con la giustizia è maturata durante la detenzione e non è mai stata finalizzata a ricevere alcun beneficio in cambio infatti aveva scontato per intero il suo debito con la giustizia con 14 anni di detenzione”.

RICORDI DI SUO PADRE  “Il ricordo più bello che rimane di mio padre è l’infinito amore che ha donato a me ed ai miei fratelli. Con ogni probabilità le sofferenze inflitte a noi di riflesso causate dalla sua lunga detenzione hanno contribuito a fargli maturare la voglia di dissociarsi da Cosa Nostra e poter sperare in una nuova vita. Consapevole di questo non mi fermerò mai in questa battaglia alla ricerca della verità e della giustizia che oltre alla sua morte hanno coinvolto decine e decine di innocenti vite umane; tra queste mio padre aveva preannunciato di voler parlare alla magistratura della tragica morte del piccolo CLAUDIO Domino, un bambino di appena 11 anni ucciso ufficialmente dalla Mafia ma con presumibile riconduzione al mandante istituzionale come fu’ per il povero D’Agostino. Avevo cominciato una battaglia per ragione e sete di giustizia personale ma incontrando i familiari di altre vittime come me e vedere le loro lacrime, i loro dolori, le loro immense sofferenze identiche alle mi, oggi penso che questa non è più solo una guerra personale ma un dovere mio e di ogni onesto cittadino che vuole avere uno stato pulito in cui credere. Sarebbe bello pensare che attraverso il mio  piccolo contributo e quello  di chi come me ha avuto distrutta la vita a causa della Mafia, i ragazzi comprendessero quanto siano pericolose la collusione, la connivenza ed anche il silenzio”

PENSIERO SU SALVATORE BORSELLINO  “Ci tengo a sottolineare e ringraziare infinitamente Salvatore Borsellino che è stata la prima persona, intesa anche come Istituzione, in tanti anni mi a rendermi la sua mano. Nessuno prima di lui ha mai mostrato alcun segno di vicinanza a me, alla mia famiglia ed alla mia lotta. Abbiamo vissuto questi anni circondati dalla totale assenza ed indifferenza, da parte delle istituzioni. Salvatore Borsellino, persona di grande moralità ed empatia avvicinandosi a me, senza riserve o preconcetti  mi ripete sempre “le persone che hanno ucciso tuo papà sono quelle che hanno ucciso mio fratello”. Sono queste parole che mi fanno comprendere che non sono più sola in questa difficile battaglia per la verità”.

PENSIERO FINALE  “Mi auguro che una volta per tutte ci sia una profonda pulizia in questo Stato fatto di collusione; uno Stato che dovrebbe tutelare i suoi cittadini e non invece abbandonarli, decidendo a tavolino della loro vita o morte. Io confido ancora oggi nelle persone che lottano e che rappresentano le  buone istituzioni, mi riferisco ai bravi magistrati che mettono ogni giorno a rischio la loro esistenza per cercare la “verità”, una verità che tutti conosciamo ma che attende ancora di ricevere giustizia”. Per l’omicidio di Luigi Ilardo sono state, in sede di appello, confermate le condanne all’ergastolo per gli esecutori materiali e mandanti; si attende, adesso, la pronuncia della Cassazione che appare, ormai, dal contenuto quasi scontato. Di certo la verità giuridica non sempre rispecchia in modo assoluto ed integrale la verità dei fatti; ricercarla è, forse, anche un dovere nel rispetto di chi ha perso la vita per mano della Mafia e di quella parte di Stato deviata.


Luana Ilardo chiede giustizia e verità per suo padre Luigi e sulla sua morte: un uomo che, da ex mafioso realmente passato dalla parte dello Stato, contro il proprio stesso interesse, cercò di infliggere un colpo potenzialmente mortale a Cosa Nostra e fu abbandonato dallo Stato. Uno Stato che mostrava e mostra ancora oggi troppo spesso il volto della sua parte collusa in perenne connubio con i sistemi criminali. Riprendiamo l’intervista di Luana alla rivista “Paesi Etnei” del settembre 2019, facendola precedere da queste parole inequivocabili e pesantissime pronunciate dal magistrato Antonino Di Matteo il 26 gennaio 2018, nel corso della requisitoria del processo trattativa Stato-mafia: «Il nome “Oriente” fu attribuito in codice all’infiltrato Gino Ilardo: un soggetto che nello stesso momento in cui ricopriva all’interno di Cosa Nostra cariche apicali – la reggenza delle provincie mafiose di Caltanissetta ed Enna – SVELAVA IN DIRETTA al Colonello Riccio gli assetti, i segreti antichi, le dinamiche in divenire di Cosa Nostra.  E – per favore non dimenticatelo mai – NON SOLTANTO CON RIFERIMENTO ALLE VICENDE DI ORDINARIA CRIMINALITÀ MAFIOSA MA ANCHE IN RIFERIMENTO AI RAPPORTI PIÙ ALTI E PIÙ INCONFESSABILI DI COSA NOSTRA CON LA POLITICA, CON LA MASSONERIA, CON SOGGETTI DEVIATI E DEVIANTI DEI SERVIZI DI SICUREZZA. NON ESITO A DEFINIRE, PERCHÉ NE SONO DOPO TANTI ANNI CONVINTO, QUELLA DI ILARDO COME UNA STORIA UNICA, più unica che rara certamente, nel panorama delle vicende di mafia ed antimafia nel nostro paese. Una vicenda incredibile, UNA VICENDA ECCEZIONALE, UNA VICENDA VERGOGNOSA, UNA VICENDA TRAGICA NELL’EPILOGO CHE HA AVUTO INTANTO NEI CONFRONTI – NON DIMENTICHIAMOLO MAI – DEL SUO PROTAGONISTA PRINCIPALE, GINO ILARDO, ucciso a Catania il 10 maggio 1996, 8 giorni dopo aver incontrato 3 magistrati delle procure distrettuali di Palermo e Caltanissetta, il Colonnello Mori e altri ufficiali del Ros presso la sede centrale del Ros a Roma e 5 giorni prima rispetto al momento in cui l’Ilardo, con il suo primo interrogatorio formale innanzi all’a.g. fissato per il 15 maggio, avrebbe assunto formalmente la veste di Collaboratore di Giustizia e sarebbe stato sottoposto al programma di protezione riservato ai Collaboratori di Giustizia. Quella “Grande Oriente” è una vicenda che certamente ha prodotto l’effetto immediato e più tragico nei confronti del suo protagonista principale Gino Ilardo, un effetto tremendo nel momento in cui Cosa Nostra, uccidendo Ilardo, ha dimostrato di potere stoppare sul nascere UNA COLLABORAZIONE DI ALTISSIMO LIVELLO CHE SAREBBE STATA DEVASTANTE PER L’ORGANIZZAZIONE E PER TUTTI COLORO I QUALI COLLUDEVANO CON L’ORGANIZZAZIONE MAFIOSA. […]  LA VICENDA ILARDO È IL FRUTTO AVVELENATO DELLA TRATTATIVA. È Il frutto avvelenato della condotta, in particolare, del Comandate Operativo del Ros di allora – Mori – del Comandante del Ros di allora – Subranni. In quel momento storico in cui si sviluppò la collaborazione informale di Ilardo, dall’inizio del ’94 fino a tutto il ’95 e ai primi mesi del ’96, la verità è una sola: PROVENZANO NON POTEVA ESSERE CATTURATO. NON POTEVA ESSERE CATTURATO PERCHÉ ERA IL GARANTE DA PARTE MAFIOSA DI QUEGLI ACCORDI CHE ERANO SCATURITI DALLA TRATTATIVA».

 

 

«IO SONO LA FIGLIA DI GINO» – Intervista a Luana Ilardo di Laura Di Stefano da “Paese Etnei” – settembre 2019 Un battesimo. Due bimbi vestiti di bianco abbracciati a un uomo alto e poderoso. Uno scatto che immortala un giorno felice di 23 anni fa. Una foto che Luana Ilardo non riesce a toccare. La guarda e ci riporta nel passato, mentre i suoi occhi blu diventano tristi e lucidi all’improvviso. «Papà è morto a maggio, i gemelli qui avevano tre mesi. Quindi questa foto è stata scattata tre mesi prima che fosse ucciso». Luana è la figlia di Luigi Ilardo, ammazzato il 10 maggio del 1996 a Catania. Quel sangue in via Quintino Sella si incrocia con il processo sulla cosiddetta Trattativa Stato-Mafia. Con un pezzo di storia repubblicana densa di misteri rimasti irrisolti. Ilardo non era un mafioso qualsiasi: ma non solo per il sangue Madonia che gli scorreva nelle vene. Luigi Ilardo è l’uomo che il 30 ottobre 1995 ha portato i carabinieri a un passo dal covo di Bernardo Provenzano, a Mezzojuso nel palermitano. Ma, per un motivo ancora da decifrare, il Ros quel passo non lo fece. Lo zio Binnu rimase nel suo nascondiglio. Ilardo ha lavorato dall’interno, da infiltrato, gestito dal Colonello Michele Riccio, prima alla Dia e poi al Ros. Per gli investigatori era “la fonte Oriente’’. Una fonte confidenziale preziosissima che ha permesso di sbattere in galera i latitanti e boss di primo piano. Tutti meno uno: il più pericoloso. Una mancata cattura, quella di Bernardo Provenzano, che ha ancora tanti punti oscuri, al di là delle sentenze di assoluzione. Forse nemmeno Ilardo seppe spiegarsi il perché di quel blitz interrotto. Il 30 ottobre 1996 poteva diventare una data storica per il Ros. E invece hanno fatto dietrofront. Ma nonostante questo Luigi Ilardo ha continuato a collaborare. A dare informazioni. Soffiate. E arrivano i risultati. Poi decide di fare il grande salto. Di entrare nel programma di protezione. Luigi Ilardo è stato ucciso pochi giorni prima l’incontro con cui avrebbe ufficializzato la decisione all’autorità giudiziaria a Roma. Era stata fissata la data dai pm di Caltanissetta e Palermo durante un appuntamento romano. Di quell’incontro non c’è un verbale, un pezzo di carta. Doveva esserci un appunto scritto a penna finito perso per un trasloco. Luigi Ilardo vuole collaborare con l’autorità giudiziaria e quello che si fa è fare due scarabocchi su un foglio? Interrogativi, ombre, misteri. Gli stessi che martellano da oltre due decenni Luana Ilardo, che da qualche mese ha deciso di uscire allo scoperto. Perché il ferito cerca, anzi pretende giustizia. Per l’omicidio di suo padre sono stati condannati all’ergastolo, già in secondo grado, alcuni dei boss più famigerati di Cosa nostra nissena e catanese: lo zio Giuseppe Madonia, Vincenzo Santapaola (figlio di Turi), Maurizio Zuccaro e Benedetto Cocimano.«Avevo sedici anni», racconta Luana. Le dita intrecciate mentre cerca nella memoria le immagini di quella notte infernale del 1996. Ricorda ogni istante. Sono tatuaggi nella mente. L’orologio segnava le 8.45. «Erano le nove meno quarto», dice. Prende una pausa, un respiro e poi gli occhi fissi nei miei. Il racconto inizia, tutto d’un fiato. Come se non vedesse l’ora di rimettere quel ricordo in un cassetto. E richiuderlo a chiave. Il più in fretta possibile.«Era la prima sera dopo la nascita dei gemelli che papà aveva deciso di portare a cena fuori la moglie. Ed era anche la prima occasione che lasciava Giuliano e Giancarlo a me e mia sorella Francesca. Papà ce lo aveva chiesto: ‘Ragazze per favore fatemi andare a mangiare una pizza con Cetty. Questa sera, tenetevi i bambini’. Noi eravamo contente, noi eravamo innamoratissime dei bambini. Così Cettina si era preparata. Io e mia sorella c’eravamo organizzate per gestire al meglio i gemelli.È arrivata anche l’ultima telefonata: ‘Amori di papà mi raccomando, fate le brave. Noi mangiamo una pizza e rientriamo a casa’. Io e mia sorella eravamo nel bagno e abbiamo sentito i colpi di pistola. Ne ho sentiti parecchi. Poi ho saputo dagli atti processuali che con esattezza sono stati nove. Sono scesa di corsa, sapevo già cosa avrei visto. L’ho capito appena ho sentito gli spari. Ho pensato subito a papà. E, purtroppo, avevo ragione». E dopo? «Siamo rimasti a casa, in via Quintino Sella, con la badante e il nonno». Per giorni e giorni Luana si è svegliata in quella casa sperando che fosse stato un incubo. Ma anche se ancora il profumo di papà si percepiva, la sua voce era sparita. Come tante cose portate con l’alibi delle indagini.«L’ho visto per anni entrare e uscire da carcere, ma non ho mai pensato potesse accadere una cosa del genere. Era fuori ormai da un anno e mezzo prima, ci aveva detto che eravamo a buon punto. Ci tranquillizzava sempre: ‘A papà non lo tocca nessuno’. Per noi era intoccabile. E credo anche lui si sentisse intoccabile. Si è sopravvalutato e, soprattutto, ha sopravvalutato le persone che gli stavano accanto», dice con amarezza.In quelle ore convulse però Luana, appena sedicenne, ha capito una cosa: «Che non mi sarei arresa fino a quando non avessi avuto la verità». Ma intanto la vita è andata avanti. Gli studi, il primo amore, la gioia di diventare mamma. Una felicità mai completa. L’unico conforto sono i gemelli. «L’eredità più bella di papà». Quando è nata la sua bambina avrebbe voluto poter vedere suo padre abbracciare la nipotina. E invece tutto questo le è stato negato. “Se lo Stato avesse fatto quello che doveva fare papà sarebbe ancora qui», è il suo grido di dolore.Il processo che si è svolto a Catania ha dato solo delle risposte a metà. Alla sbarra c’erano i killer materiali, ma gli altri? Quelli che lo hanno fatto morire. La giovane figlia ha seguito ogni udienza, seduta sulla panca di legno dell’aula Serafino Famà. Silenziosa e attenta. E sono state tante le volte che si è sentita impotente davanti alle inesattezze, ai non ricordo.Ed è lì che ha visto per la prima, ed unica volta, il Colonnello Michele Riccio.Gino Ilardo ha deciso di dare come secondo nome Michele ad uno dei suoi figli. «Non è un nome che amo tanto», ammette Luana. «Michele Riccio era l’uomo che non solo doveva gestire ma lo doveva anche proteggere. Abbiamo avuto modo di scambiare due battute, pochi secondi, quando è venuto a Catania per l’audizione nel processo. Ha tentato di giustificarsi, naturalmente. Ma avrebbe potuto comportarsi in modo diverso anche dopo la morte di mio padre. Potevano esserci dei comportamenti che avrebbero fatto la differenza. Io, invece, da quest’uomo non ho ricevuto nemmeno una chiamata di condoglianze. Ha avuto 20 anni per fare quella telefonata».In quella sentenza, che deve ancora passare al terzo grado della Cassazione, manca un pezzo di verità. Quella riguardante le Istituzioni. Istituzioni latitanti. «Lo Stato ha abbandonato mio padre». Luana è convinta di questo. E questa convinzione a dominare la sua anima piena di cicatrici. Pensi che si sia fidato delle persone sbagliate? «Mio padre si è fidato dello Stato. Ha fatto una scelta coraggiosa». Ma sai cosa lo ha spinto in questa scelta? «Io le intuisco le motivazioni. Dodici anni di detenzione sono pesanti. E solo un essere umano che le ha scontate può sapere cosa si prova». Ti ha mai raccontato qualcosa? «Sì, cose brutte. Cose che vengono fatte. Quella è un’altra battaglia, quella dei diritti dei detenuti, che magari quando mia figlia è più grande vorrei iniziare. Certe cose non dovrebbero mai accadere».Sul tavolino è poggiata la foto di Luigi Ilardo mentre stringe la mano a papa Wojtyla. «Qui erano a Rebibbia, durante una visita del Santo Padre al carcere», spiega. Luana da qualche anno ha deciso di metterci la faccia. Di non nascondersi più. Perché non è lei che deve vergognarsi, ma altri. «Voglio dare un po’ di dignità a mio padre. E voglio anche togliere tutto questo polverone che c’è sulla sua figura». Polvere, cenere e immondizia. Tanta.«Papà è stato dimenticato, così come siamo stati dimenticati noi». In questi anni, in cui lo Stato l’ha lasciata sola, ha cercato di vivere. O almeno di sopravvivere. Di dare un futuro a lei e alla sua bambina. Ma non è semplice. «A Catania per molti sono la figlia di un mafioso, per altri sono un pentito». Etichette che uccidono. E allora chiariamolo una volta per tutte: «Io sono la figlia di Gino». Semplicemente. FONTE: Noi sosteniamo i testimoni di giustizia

 

   NOTA: le immagini di Luigi Ilardo sono tratte dalla pagina FB della figlia Luana

a cura di Claudio Ramaccini Direttore Centro Studi Sociali contro la mafia – PSF