VIDEO dell’INCONTRO
L’ex capo del Ros all’incontro sui legami tra Cosa Nostra, appalti e imprese “Solo un organismo parlamentare d’inchiesta potrà servire a far luce”.
Una nuova commissione d’inchiesta sulla trattativa Stato-Mafia che indaghi sulle responsabilità dell’ex procuratore di Palermo, Pietro Giammarco, in carica nel 1992 quando Cosa Nostra uccise Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
A chiederla è stato il generale Mario Mori che, ieri pomeriggio, ha partecipato a un dibattito dal titolo ‘Non è Stato la mafia’, organizzato ai chiostri di San Domenico dalla Camera Penale Bologna, presieduta dal professor Nicola Mazzacuva, da Extrema Ratio, guidata da Francesco d’Errico, dalla Fondazione Forense Bolognese, rappresentata dall’avvocato Ettore Grenci e moderato dal vicedirettore del Carlino, Valerio Baroncini. A ragionare insieme a loro il colonnello Giuseppe De Donno, il professor e avvocato Vittorio Manes, il professor Giuseppe Amarelli, docente di Diritto penale dell’Università Federico II di Napoli.
“Il signor procuratore in carica Giammarco è stato quello che ha preso la nostra informativa sui legami tra mafia e appalti e l’ha data a Cosa Nostra”, ha sottolineato Mori.
Un gesto che non ha avuto conseguenze, denuncia l’ex comandante del Ros, autore dell’arresto di Totò Riina.
“Dal 1992 al 18 novembre 2018 quando è morto, nessuno ha avuto il coraggio di sentirlo a verbale su quello che aveva fatto quegli anni – aggiunge Mori – : solo questo meriterebbe una commissione parlamentare d’inchiesta, perché insieme a lui qualcun altro ha concorso, se non altro chi non l’ha interrogato”. Il racconto di Mori e De Donno scorre seguendo il filo di indagini delicate e complesse, che li hanno portati a scoprire l’esistenza di “un tavolino al quale sedevano la politica, gli imprenditori e la mafia”.
E proprio da quella che Mori definisce “un’ammazzatina di un mafioso di secondo livello” De Donno riesce a scoprire la trama che porta dritto al Gruppo Ferruzzi.
“In pratica, Cosa Nostra era diventata socia della principale azienda italiana”, ricorda De Donno.
Da qui nasce un’informativa, al centro del libro dei due ex ufficiali dei carabinieri, dal titolo ‘La verità sul dossier mafia-appalti’ edito da Piemme, che prima finisce nelle mani di Falcone e poi di Borsellino e dei suoi successori alla Procura di Palermo. E subito dopo anche nelle mani della Cupola.
“Potrei dire che l’informativa, consegnata da Giammanco a Cosa Nostra, ha causato la morte di Falcone e Borsellino”, rincara la dose Mori. Subito dopo la morte dei due magistrati, Mori racconta di aver deciso “d’iniziativa” di intavolare un dialogo con Vito Ciancimino, che “all’epoca era il numero uno e conosceva bene la realtà dei vincenti di quel momento, i corleonesi”. Della complessa vicenda giudiziaria che ha visto protagonisti i due ex ufficiali del Ros hanno parlato anche il professor Manes, che li ha difesi in Cassazione.
“La Suprema Corte ha emesso una sentenza estremamente importante” nella quale “ha dovuto dare molte risposte a questa vicenda – spiega il professor Manes – cercando di fare chiarezza sulle contestazioni al generale Mori e De Donno”. In terzo grado, infatti, i giudici hanno riconosciuto che nell’istruire il processo sulla trattativa Stato-Mafia era stato utilizzato un “metodo storiografico che nulla ha a che vedere con il metodo giuridico” ed ha assolto entrambi. Di processo mediatico ha parlato invece il professor Amarelli. “Questo processo è un’ipotesi plastica di ibridazione dei processi penali che producono mostri e sofferenze”, dice. Anche grazie alla riforma Cartabia, però, per Amarelli le cose stanno cambiando.
Benedetta Dalla Rovere IL RESTO DEL CARLINO