12.5.2021 – Palermo, l’ex ministro Martelli in Antimafia: “Borsellino non fu protetto. Su questo non è mai stata aperta un’indagine”.

Interrogato per un’ora e mezzo dalla commissione siciliana presieduta da Claudio Fava, l’ex guardasigilli ha puntato il dito sulla mancata protezione del giudice nonostante si sapesse che la sua vita fosse in pericolo: “Si omise anche di fare controllare la casa della madre, dove si sapeva che si recava con regolarità”. Parlando poi delle lotte intestine nella magistratura di oggi, Martelli ha attaccato l’Anm, definendolo la “principale minaccia all’autonomia dei magistrati”. di Manuela Modica | 12 MAGGIO 2021 “Io sono ancora turbato da ciò che è stato omesso di fare da tutte le autorità dello stato a Palermo nonostante tutte le segnalazioni avute da me e dal ministro Scotti (Vincenzo, capo del Viminale all’epoca delle stragi, ndr) in ordine alla protezione da mettere in atto nei confronti di Borsellino. Omissioni sulle quali non è mai stata aperta alcuna indagine”. Così parla Claudio Martelli di fronte alla commissione antimafia siciliana presieduta da Claudio Fava. Interrogato per un’ora e mezzo, Martelli, che fu ministro della Giustizia all’epoca degli attentati, ha raccontato la sua versione dei fatti, puntando il dito sulla mancata protezione attivata dalle autorità nonostante si sapesse che la vita del giudice Paolo Borsellino fosse in pericolo: “Si omise anche di fare controllare la casa della madre, dove si sapeva che si recava con regolarità”. Durante l’intervento in commissione, l’ex ministro, esponente del Psi, ha risposto alle domande toccando molti aspetti di quegli anni, in primis la mancata protezione del giudice: “Come ci si può sorprendere che ci siano stati depistaggi se c’è stata già questa mancanza: una forma di omertà o di omissione più o meno consapevole”, ha detto Martelli. Una mancata protezione che non fu presa nella giusta considerazione neanche dal magistrato Giovanni Tinebra quando lui glielo sottolineò: “Tinebra rispose come se si fosse trattato di un dettaglio trascurabile”, ha riportato l’ex guardasigilli. E sulla magistratura si è soffermato più volte, incalzato da una domanda di Fava: “Com’è stato possibile, secondo lei, che mentre la procura di Caltanissetta chiedeva a Bruno Contrada di indagare, quella di Palermo indagava lo stesso Contrada: come mai due procure così vicine seguivano strade così opposte?”. Martelli ha replicato così: “La storia della magistratura inquirente degli ultimi 50 anni è talmente piena di episodi analoghi, reciproche smentite quando non reciproche guerre.La particolarità dell’episodio non è nella conflittualità della magistratura ma semmai nella vittima (Borsellino, ndr)”. Nel cuore di questi contrasti si palesava un altro magistrato, ovvero Pietro Giammanco, che Fava annota, “non è mai stato ascoltato: com’è possibile una simile omissione in un’indagine secondo lei?”. “Non si ha idea dei guasti che sono provocati dai contrasti e dalle opposte ambizioni o visioni, all’interno della magistratura”, risponde l’ex ministro della Giustizia. D’altronde, ricorda, “se non ci fossero stati questi contrasti e se Falcone non fosse stato attaccato dai corvi e poi da coloro che lo denunciarono… Se non fosse stato questo il clima a Palermo non ci sarebbe stato bisogno che io chiamassi Falcone a Roma”. E ancora: “Credo di essere stato sempre inviso al presidente Oscar Luigi Scalfaro, e credo lo fosse altrettanto Vincenzo Scotti”, sottolinea Martelli. Che inserisce Scalfaro in “quella schiera di politici prettamente democristiani, ma non solo, che riteneva che Scotti e io avessimo turbato se non quella pax mafiosa, quella ‘coabitazione’: alcuni pezzi dello stato – politici, magistrati, poliziotti – condividevano l’assunto ‘quieta non movere’, altrimenti succede il peggio”. E per Martelli è tutto già detto da Mori, nel processo sulla trattativa, quando riferisce la conversazione avuta con Ciancimino, al quale chiese di evitare il “muro contro muro: credo che in quel caso Mori abbia trattato per sé, lo Stato non tratta, non esiste, e anche quando a Conso (Giovanni, ministro della Giustizia dopo Martelli, ndr) gli si chiese perché avesse ritirato il 41 bis, lui rispose: volevamo dare un segnale di disponibilità all’ala moderata di Cosa nostra ai fini di evitare ulteriori stragi”. Dichiarazioni che secondo Martelli dicono la verità sulla trattativa: “Non capisco perché ci si sia arrovellati in processi, quando la verità è in queste dichiarazioni. Io ho pensato sempre più a un cedimento dello Stato, che non ad una vera e propria trattativa”. Un’ora e mezzo di intervento di Martelli in cui c’è spazio anche per la contemporaneità. Sollecitato da una domanda della consigliera regionale del M5s, Roberta Schillace, che gli chiede un parallelismo con le lotte intestine della magistratura di adesso, l’ex inquilino di via Arenula risponde con un attacco frontale all’Associazione nazionale magistrati, definita come la “principale minaccia all’autonomia dei magistrati. La funzione dell’Anm non era quella di difendere gli interessi dei magistrati, ma di difendere l’autonomia della magistratura. In questo momento invece è il maggior pericolo per la sua indipendenza“. IL FATTO QUOTIDIANO 12.5.2021