PAOLO BORSELLINO: “Politica dovrebbe fare pulizia di coloro che sono raggiunti da fatti inquietanti, anche se non sono reati”

 


Vi è stata una delega totale e inammissibile nei confronti della magistratura e delle forze dell’ordine a occuparsi esse solo del problema della mafia [… ]. E c’è un equivoco di fondo: si dice che quel politico era vicino alla mafia, che quel politico era stato accusato di avere interessi convergenti con la mafia, però la magistratura, non potendone accertare le prove, non l’ha condannato, ergo quell’uomo è onesto… e no! [… ] Questo discorso non va, perché la magistratura può fare solo un accertamento giudiziale. Può dire, be’ ci sono sospetti, sospetti anche gravi, ma io non ho le prove e la certezza giuridica per dire che quest’uomo è un mafioso. Però i consigli comunali, regionali e provinciali avrebbero dovuto trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze sospette tra politici e mafiosi, considerando il politico tal dei tali inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Ci si è nascosti dietro lo schema della sentenza, cioè quest’uomo non è mai stato condannato, quindi non è un mafioso, quindi è un uomo onesto! PAOLO BORSELLINO


Paolo Borsellino: “Politica dovrebbe fare pulizia di coloro che sono raggiunti da fatti inquietanti, anche se non sono reati”

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Il 26 gennaio del 1989, il giudice Paolo Borsellino incontrò gli studenti di Istituto professionale “Remondini” di Bassano del Grappa.  Il giudice, nel suo intervento, affrontò i temi che gli stanno più a cuore: la legalità e i rapporti fra mafia e politica

 “Sono emerse dalle nostre indagini tutta una serie di rapporti tra esponenti politici e organizzazioni mafiose che nella requisitoria del Maxiprocesso vennero chiamati “contiguità”, cioè delle situazioni di vicinanza o di comunanza di interessi che però non rendevano automaticamente il politico responsabile del delitto di associazione mafiosa. Perché non basta fare la stessa strada per essere una staffetta, la stessa strada si può fare perché in quel momento si trova – almeno da punto di vista strettamente giuridico – si trova conveniente o fare convergere la propria attenzione sullo stesso interesse. Questo non ci ha consentito dal punto di vista giudiziario di formulare imputazioni sui politici, però stiamo attenti, vi è un accertamento rigoroso di carattere giudiziario che si esterna nella sentenza nel provvedimento del giudice e poi successivamente nella condanna, che non risolve tutta la realtà, la complessa realtà sociale. Vi sono oltre ai giudizi del giudice, esistono anche i giudizi politici, cioè le conseguenza, che da certi fatti accertati, trae o dovrebbe trarre il mondo politico. Esistono anche i giudizi disciplinari, un burocrate, un alto burocrate, che ad esempio, dell’amministrazione ha commesso dei favoritismi, potrebbe non aver commesso automaticamente, perché manca qualche elemento del reato, il reato di interesse privato in atto d’Ufficio, ma potrebbe essere sottoposto a procedimento disciplinare perché non ha agito nell’interesse della buona amministrazione.
Ora l’equivoco su cui spesso si gioca è questo, si dice: quel politico era vicino al mafioso, quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con l’organizzazione mafiosa, però la magistratura non lo ha condannato, quindi quel politico è un uomo onesto. E no! Questo discorso non va, perché la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale. Può dire beh ci sono sospetti, ci sono sospetti anche gravi, ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria, che mi consente di dire quest’uomo è mafioso. Però siccome dall’indagine sono emersi tanti fatti del genere, altri organi, altri poteri, cioè i politici, cioè le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, cioè i consigli comunali o quello che sia, dovevano trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi, che non costituivano reato, ma erano o rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Questi giudizi non sono stati tratti perché ci si è nascosti dietro lo “schermo” della sentenza e detto: questo tizio non è mai stato condannato, quindi è un uomo onesto. Ma dimmi un poco, ma tu non ne conosci di gente che è disonesta, che non è stata mai condannata perché non ci sono le prove per condannarla, però c’è il grosso sospetto che dovrebbe, quantomeno, indurre soprattutto i partiti politici a fare grossa pulizia e non soltanto essere onesti, ma apparire onesti, facendo pulizia al proprio interno di tutti coloro che sono raggiunti, ovunque, da episodi o da fatti inquietanti, anche se non costituenti reato” (Paolo Borsellino – 26 gennaio del 1989)

 


Borsellino: “La mafia é alternativa allo Stato”

Io sono sempre stato estremamente convinto che la mafia sia un sistema, non tanto parallelo, ma piuttosto alternativo al sistema dello Stato ed è proprio questo che distingue la mafia da ogni altra forma di criminalità. In particolare nell’ordinamento del nostro stato, a differenza che in qualsiasi altro Stato, si tratta di una organizzazione criminale dal grossissimo potere, e sebbene organizzazioni criminali di grandissimo potere e di grandissima potenzialità vi siano anche negli altri stati, il nostro mi pare sia l’unico paese in cui a chiare lettere si è potuto dire, da tutte le parti politiche, che l’esistenza di questa forma di criminalità mette addirittura in forse l’esercizio della democrazia. Probabilmente in nessuna altra parte del mondo esiste una organizzazione criminale la quale si è posta storicamente e si continua a porre, nonostante talvolta questo lo abbiamo dimenticato e nonostante talora facilmente si continui a dimenticarlo, come un sistema alternativo, che offre dei servizi che lo Stato non riesce ad offrire.
Questa è la particolarità della mafia e, anche nel momento in cui la mafia traeva – e forse ancora continua a trarre, anche se probabilmente in misura minore – i suoi massimi proventi dalla produzione e dal traffico delle sostanze stupefacenti, l’organizzazione mafiosa non ha mai dimenticato che questo non costituiva affatto la sua essenza. Tanto che, e questo lo abbiamo vissuto tutti coloro che abbiamo partecipato a quell’esperienza del maxiprocesso e del pool antimafia, anche in quei momenti ed anche quando vi erano famiglie criminali mafiose che guadagnavano centinaia e centinaia, se non migliaia di miliardi dal traffico delle sostanze stupefacenti, quelle stesse famiglie non trascuravano di continuare ad esercitare quelle che erano le attività essenziali della criminalità mafiosa, perché la droga non lo era e non lo è mai stata. La caratteristica fondamentale della criminalità mafiosa, che qualcuno chiama territorialità, si riassume nella pretesa, non di avere ma addirittura vorrei dire di essere il territorio, così come il territorio è parte dello Stato, tanto che lo Stato “è” un territorio e non “ha” un territorio, dato che esso è una sua componente essenziale. La famiglia mafiosa non ha mai dimenticato che sua caratteristica essenziale è quella di esercitare su un determinato territorio una sovranità piena.
Naturalmente si determina un conflitto tra uno stato che intende legittimamente esercitare una sovranità su un territorio e un ordinamento giuridico alternativo, il quale sullo stesso territorio intende esercitare una analoga sovranità, seppure con mezzi diversi. Questo conflitto – ecco perché io non le chiamo istituzioni parallele ma soltanto alternative – si compone normalmente non con l’assalto al palazzo del comune o al palazzo del governo da parte delle truppe della criminalità mafiosa, ma attraverso il condizionamento o il tentativo di condizionamento dall’interno, delle persone atte ad esprimere la volontà dell’ente pubblico, che rappresenta sul territorio determinate istituzioni.
La soluzione finale del problema, la finalità cui devono tendere le forze politiche che veramente intendono combattere la mafia, è quella di chiudere questi canali di infiltrazione, attraverso i quali la volontà delle persone fisiche che impersonano l’ente pubblico, di coloro che sono abilitati ad esprimere la volontà delle istituzioni pubbliche che operano sul territorio, viene condizionata da queste istituzioni alternative.
Chiudere come? Ci sono stati chiesti esempi concreti. Ebbene in Italia mi sembra che spesso le istituzioni pubbliche non vengano considerate dalle forze politiche come istituzioni dove inviare i migliori che vadano ad impersonarne la volontà, ma piuttosto teatri di lobbies che si azzuffano e si scornano per impossessarsi quanto più possibile di fette di potere per esercitarlo in funzione non tanto del bene pubblico, ma di interessi particolari.
Questa è l’accusa che da più parti viene fatta alla “partitocrazia”, a quella che da tutti dispregiativamente è così chiamata, ma da tutti sostanzialmente sopportata.
L’occupazione da parte dei partiti e delle lobbies partitiche delle istituzioni pubbliche crea la strada naturale perché all’interno di queste istituzioni si formino volontà che non sono dirette al bene pubblico ma ad interessi particolari. Chiudere queste strade attraverso interventi, anche istituzionali, significa evidentemente chiudere possibilità di accesso delle organizzazioni criminali all’interno delle organizzazioni dello Stato. Certamente questo deve farsi salvando i principi democratici che reggono oggi tutte le nostre istituzioni.
La sordità del potere politico a modificare radicalmente quelle che sono le legislazioni che regolano, ad esempio, gli enti locali è chiaramente una sordità nei confronti di un problema il quale, una volta affrontato e risolto nel migliore dei modi, impedirà l’accesso all’interno degli enti locali di quelle lobbies che vanno lì dentro per provocare, come normalmente provocano, affinché la volontà di coloro che gestiscono le istituzioni sia rivolta non al bene pubblico ma agli interessi di questo o di quel gruppo affaristico, fra i quali primeggia l’organizzazione mafiosa.
27 Marzo 1992 – Paolo Borsellino

Politica e mafia. Da Nord a Sud si dividono il potere. La storia recente scritta da Falcone e Borsellino lo testimonia. Gli avvenimenti passati e recenti testimoniano un tragico contendersi gli ambiti politici da parte di persone perbene e malavitosi, il cui potere economico si è generato attraverso il crimine. Lo Stato Italiano è stato teatro di contese efferate sorte tra politica e mafia, che ha preteso prepotentemente, con l’ausilio dei propri sconfinati mezzi economici, di sedersi sugli scranni del Parlamento. La storia recente scritta da Falcone e Borsellino lo testimonia. Noi uomini perbene, per i quali la verità è attestata dai fatti, ci chiediamo: “E’ veramente riuscita la mafia ad introdursi nella vita dello Stato italiano o si tratta di un timore fondato certamente sulla constatazione di fenomeni reali e concreti che minacciano la vita delle Istituzioni?” Gli arresti di alcuni malavitosi appartenenti a cosche mafiose, verificatisi negli ultimi mesi in Calabria ed in Sicilia, fanno comprendere che esiste la volontà forte e decisa da parte delle nostre Istituzioni di combattere le organizzazioni criminali o meglio di arginarne gli influssi negli ambiti decisionali. Non vi è dubbio che la partecipazione della mafia alla vita dello stato italiano possa estrinsecarsi in modo indiretto, attraverso favoritismi e clientelismo, ottenuti con tangenti e corruzione (vedi recenti arresti in Lombardia). Non tutto il panorama politico è corruttibile, perché, se così fosse, non vi sarebbe la lotta delle Istituzioni alla mafia e, più genericamente, alla delinquenza che ha fonti economiche smisurate. Possiamo ancora sperare che l’onestà governi la nostra Italia? Certamente, anche se essa deve fare i conti con la disonestà, anche quella più efferata di chi fa del crimine il proprio cavallo di battaglia. Non è, tuttavia, una battaglia impari. L’onestà ha la forza del sapere e dell’intelligenza, in quanto essa vive nell’animo delle menti più eccelse che non hanno bisogno di ricorrere alle strategie orrende del crimine per realizzare i propri obiettivi. E’ vero che il malaffare è scaltro e sa infiltrarsi ovunque, ma è altrettanto vero che esso viene smascherato quando la creatività prende il posto dell’ovvietà, del “così è perché lo decido io che ho potere”. L’economia stessa ha bisogno di menti pensanti e creative e non di strategie del crimine: è questa la speranza che sorregge l’onestà di molti che operano nel contesto politico, sociale ed economico. L’Italia certamente è contesa da due poteri: quella distruttiva del crimine organizzato e quella costruttiva del potere creativo e generativo di benessere per tutti, che sappiamo essere il potere proprio dell’intelligenza . Noi siamo certi che avrà la meglio il potere dell’intelligenza creativa. di Biagio Maimone amduemila 2 Agosto 2019


 

Comunali a Palermo, Fiammetta Borsellino: “Le cosche non sparano più ma fanno alleanze con politica ed economia”

«Le organizzazioni criminali continuano a trovare alleanze nei settori strategici dell’economia e della politica: per questo non bisogna mai abbassare la guardia». Ne è convinta Fiammetta Borsellino, terzogenita di Paolo, il magistrato ucciso trent’anni fa nella strage di via D’Amelio: ieri, insieme con un nome storico della sinistra, l’ex presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, ha portato la sua testimonianza in chiusura della campagna elettorale della lista “Sinistra civica ecologista” che a Palermo sostiene il candidato sindaco del centrosinistra Franco Miceli. Una giornata segnata dall’arresto del candidato forzista al Consiglio comunale Pietro Polizzi per scambio elettorale politico-mafioso.

Che sapore ha questa notizia a pochi giorni dal voto a Palermo?
«Solo perché la mafia non spara più non significa che non esista: le organizzazioni criminali sono bravissime a adeguarsi ai nuovi contesti socio-economici e vivono di alleanze fuori dall’organizzazione. La mafia non è forte in quanto tale, ma perché trova alleanze all’esterno. L’arresto del candidato di Forza Italia dimostra tutto questo. Non bisogna mai smettere di parlare di mafia e di questione morale».

Il sistema politico non ha ancora anticorpi per difendersi?
«No. Ecco perché tutti noi dobbiamo avere un compito di vigilanza, indipendentemente dagli schieramenti politici. Si tratta di forze che lavorano sottobanco e possono riemergere. Siamo molto distanti dall’averle eliminate. Tutti siamo responsabili, in un momento in cui la città, in vista delle elezioni, può crescere e svilupparsi o fare al contrario un enorme passo indietro».

Vede un passo indietro nel sostegno di Totò Cuffaro e Marcello Dell’Utri al candidato sindaco del centrodestra Roberto Lagalla?
«Non è moralmente e politicamente accettabile che persone condannate per mafia influenzino l’andamento elettorale o appoggino candidati con le loro liste. Bisogna dire chiaramente da che parte si sta».

Palermo, dunque, è a un bivio?
«A un bivio importante. Tutti siamo coinvolti, anche se non assumiamo direttamente degli incarichi. Oggi un’amministrazione può governare bene solo se ha la collaborazione di tutta la cittadinanza».

Il suo impegno antimafia a chi si rivolge?
«Ai ragazzi: sono tornata a occupare i banchi di scuola. Questa è la mia pratica dell’antimafia quotidiana. Ogni giorno parlo con i ragazzi e li convinco che scegliere il male è sbagliato e non porta vantaggi, se non apparenti. Lo faccio attraverso esempi positivi da seguire: sicuramente mio padre ma anche tanti altri. Trasmettere valori positivi è il miglior modo per togliere consenso alle mafie. Mio padre, del resto, ha fatto della lotta alla mafia una questione di vita».

Palermo è irredimibile?
«Come è stata capitale della mafia, è stata anche capace di dare vita al più grande movimento antimafia mai esistito al mondo. Dobbiamo prenderne atto. Credo nelle persone, credo nei giovani. C’è tanta gente che vuole che le cose cambino e sono le persone che lavorano più in silenzio. Come i docenti delle scuole, per esempio. Nutro un’enorme speranza che Palermo possa riscattarsi».

LA REPUBBLICA 10.6.2022