Ce ne ricorderemo di questo trentennale.

I figli di Paolo Borsellino non partecipano oggi alle cerimonie ufficiali. Per altro, ce ne sono pochissime, quest’anno. Niente pompa magna per via d’Amelio. E comunque, nulla a che vedere con le celebrazioni per Capaci. Mi si dice che si è voluto evitare di esporsi. Forse quest’anno si rischiavano fischi? È finito l’unanimismo antimafia in nome della “legalità”?
I figli di Paolo Borsellino non parlano pubblicamente da tempo. Unica eccezione è stata Fiammetta (e me ne prendo la responsabilità) il 4 luglio alla facoltà di Giurisprudenza di Palermo.
Ma parla o può o potrebbe parlare (e ieri ha effettivamente parlato alla presentazione del libro di Umberto Lucentini) a nome di tutti loro l’avvocato Fabio Trizzino, rappresentante legale dei figli e marito di Lucia. Ma invece di solito non è stato troppo consultato. Perché?
Ci avevo visto giusto a scrivere nel libro che il fatto di non aver mai chiesto ufficialmente scusa alla memoria del giudice e alla famiglia Borsellino da parte dello Stato rischia di finire nei libri di storia. Oggi in molti invocano quelle scuse ufficiali, e mi pare si sia anche fatto avanti il nuovo procuratore nazionale antimafia. Timidi segnali, ma forse non è a lui che toccherebbe porgerle, le scuse, da parte dello Stato italiano.
Da più parti si è anche fatto giustamente notare che, pur in presenza di tanti pubblici dibattiti e di una generale profusione mediatica, sulla ricorrenza di via D”Amelio, proprio l’avvocato Trizzino – salvo rarissime eccezioni – non è mai stato invitato a parlare.
Il motivo vero? Trizzino, seppure in maniera equilibrata, dice cose ancora oggi molto scomode.
Eppure, questo il punto, l’avvocato Trizzino dice cose che riflettono pienamente lo stato d’animo dei figli di Paolo Borsellino in questo trentennale. Da questo si può dunque dedurre che il grande apparato della “memoria” e delle “celebrazioni” continua a non volere nemmeno dialogare con la famiglia Borsellino, si ostina a non tenere conto del loro punto di vista, preferisce al confronto di idee e delle differenti posizioni la pura autoreferenzialità. Persino di fronte al dolore, la faccia di pietra. Ma che “antimafia” è? Sarebbe questa la “cultura della legalità”?
Atteggiamento perlomeno sciocco, tra l’altro, al giorno d’oggi, nell’era dei social. Se i grandi giornali fanno poche migliaia di lettori e la TV generalista alcuni milioni, i social stanno nel mezzo con centinaia di migliaia di passaparola. Perciò certe opinioni si diffondono lo stesso. Allora perché lo si fa? Per non sposarle? Ma se non si vogliono sposare le opinioni dei figli di Paolo Borsellino (per altro surrogate da molteplici fatti) questo vuol dire volere stare ancora oggi il più possibile alla larga dai figli stessi di Paolo Borsellino. Ancor più stridente è farlo nel momento in cui se ne celebra il padre. E invece loro, i figli, scelgono il silenzio per tutelarne la memoria. Non so se ci si rende conto pienamente di un simile cortocircuito.
Si vuole stare lontani dal dolore dei figli perché tutti sappiamo che dopo quello inflitto loro da una strage annunciata e che si poteva evitare, dopo la mutilazione per la perdita del padre, gli sono stati imposti anche altri tre decenni di depistaggi, insulti, tradimenti, bugie, calunnie, isolamento, sorveglianza speciale, minacce sotto forma di consigli, insinuazioni, veleni. E, seppur distribuita nelle giuste proporzioni, di questo ci portiamo tutti una parte di colpa.
Lucia mi ha raccontato, e l’ho scritto nel libro, il clima di ostilità che caratterizzò il convegno svoltosi a Palermo prima delle stragi, quando Tony Gentile scattò la famosa foto di Falcone e Borsellino. Lei, che vi aveva accompagnato Francesca Morvillo, ne rimase sconvolta e lo confessò a suo padre. Che ne sofferse altrettanto. Si potrebbe anche fare una rilettura inconsueta della partecipazione di popolo all’ultimo discorso pubblico di Borsellino a Casa Professa, in relazione ai contesti, anche sociali, in cui sono maturate le stragi siciliane. E sul perché quella di via D’Amelio, pure “annunciata”, non venne fermata. Capisco quanto possa essere scomodo o doloroso tutto questo, ma tanto gli storici di domani lo faranno.
Questa storia, ormai è acclarato, non riguarda solo “tre orfanelli”. Questa storia ci riguarda tutti come italiani. A prescindere dalle nostre categorie di appartenenza. Siate voi putiari o professoroni, la storia di Paolo Borsellino ci tocca tutti da vicino.
Non volere nemmeno ascoltare le ragioni dei figli di Paolo Borsellino, non dare loro voce, preferire a loro e al loro rappresentante legale e familiare i più gestibili soloni, comici e tromboni adusi al professionismo mediatico, è semplicemente diventato – a questo punto – l’ultimo, estremo atto del depistaggio della verità su via D’Amelio.