Caro Paolo

“Caro Paolo, come stai?
È parecchio tempo che non ho tue notizie, in particolare dal  12 luglio 1992, data in cui fungesti da padrino di battesimo di
mio figlio Massimo, che oggi ha 30 anni.
Non puoi immaginare quanto sia grande il mio desiderio di  vederti, di abbracciarti, di fumare con te una delle innumerevoli sigarette che hanno caratterizzato la nostra vita.
Sono passati parecchi lustri dal nostro ultimo incontro, e sono accadute innumerevoli cose che tu ben sai.
Sembra ieri, ma ancor oggi mi sento abbracciato dal tuo affetto nei miei confronti, e oggi quel medesimo affetto mi è dato dai tuoi figli.
Oggi sei in buona compagnia, dato che ti vedo litigare con Giovanni, con Agnese che prepara il pranzo, con tua madre alla quale accarezzavi i capelli ogni qual volta che la andavi a tro-
vare.
Una mano assassina ti ha impedito di vedere i tuoi figli crescere, diventare uomini e donne fatti, genitori, madri e padri un po’ come te; e a loro la medesima mano ha impedito di po-
ter godere del proprio padre fin dalla più tenera età.
È strano come il tempo in queste cose assuma un concetto relativo, posto che a me sembra ieri che ci trovavamo nel tuo appartamento al Commissariato di Marsala (ove pagavi anche
l’affitto) a preparare dei pranzi ignobili salvo che non ci salvasse la mano santa di tua moglie. La sera, usciti dalla Procura era di rito la frase «che fai acchiani?» (che fai, vieni da me?) e così dopo cena si trovava un film western da vedere dove io facevo puntualmente il tifo per gli indiani e tu, quale uomo delle istituzioni fin dentro al midollo, per i soldati regolari.
Tu puntualmente ti addormentavi con la sigaretta in bocca.
Io te la toglievo dalle labbra e mi andavo a stendere su un lettino in un’altra stanza ove faceva un freddo cane. Non che la casa non fosse riscaldata, anzi, ma per uno strano concetto che a distanza di anni ancora non riesco a capire se ti avvicinavi a termosifoni erano roventi, ma appena ti allontanavi morivi dal  freddo.
Ancora, ti ricordi quelle volte in cui ci mettevamo d’accordo per andare a cena fuori e al fine di eludere la scorta ci mettevamo d’accordo per cui appena vedevi la mia auto scendevi dal Commissariato per respirare una boccata d’aria?
Amico mio, scusami se mi prendo questa confidenza, ma quello che mi manca di più è la tua risata, il tuo (spesso anche nostro) rientro a Palermo quando venivi investito dalla piccola folla urlante dei tuoi figli. Non posso che dirti grazie per avermi fatto sentire parte della tua famiglia, a tavola, la sera, a cena,
quando ad un certo punto si sentiva la frase epica «io mi vaia a curca…» e restavo con Agnese fino a tardi a fumare e parlare di
tutto e del nulla.
Se ti dovessi paragonare ad un eroe del cinema mi torna alla mente il Gladiatore, quando il protagonista dice: «Mi chiamo Massimo Decimo Meridio generale comandante della guarnigione del nord». Tu quello sei, un generale senza esercito ma che muore per la propria patria.

Caro Paolo, la tua vita è stata legata indissolubilmente alla  mia. Ti voglio bene e mi manchi. Spero che qualcuno ci conceda di vederci di nuovo.
Diego Cavaliero”

Questa meravigliosa lettera si trova all’ inizio del libro ” Paolo Borsellino 1992.. la verità negata” di Umberto Lucentini.