BORSELLINO: vogliono smantellare il pool…

 

LO STATO SI È ARRESO: DEL POOL ANTIMAFIA SONO RIMASTE MACERIEIntervista rilasciate da Paolo Borsellino ad Attilio Bolzoni de “La Repubblica” 20 Luglio 1988


“VOGLIONO SMANTELLARE L’ANTIMAFIA”  di Saverio Lodato, giornalista de “L’Unità”, intervista Paolo Borsellino 20 Luglio 1988



PAOLO BORSELLINO e il CSM – Le audizioni

“Il problema della lotta o comunque delle indagini sulla criminalità mafiosa io lo sento profondamente”, “non vedo perché l’opinione pubblica non debba essere interessata di questo problema; anzi è pericoloso quando l’opinione pubblica non viene interessata a questo problema”, che “non è una lotta tra giudici e mafiosi, né tra poliziotti e mafiosi, ma è un problema che interessa tutti”. 

 A pronunciare queste parole il 31 luglio 1988 è Paolo Borsellino. Di fronte ha la prima Commissione del Csm e il Comitato Antimafia che lo ascolteranno 4 ore, dalle 10 alle 14. Lo stralcio è un passaggio del verbale di quell’audizione che, insieme agli altri atti relativi al magistrato ucciso dalla mafia con la scorta il 19 luglio 1992, il Csm ha deciso di pubblicare a 25 anni dalla strage di via D’Amelio. Perché il Csm volle ‘interrogare’ Borsellino? Dopo un convegno dove già aveva parlato di questi problemi nel totale silenzio della stampa locale, Borsellino fu contattato da Repubblica e dall’Unità e rilasciò delle interviste in cui manifestava forti preoccupazioni per la situazione in cui si trovava l’ufficio istruzione di Palermo col pool antimafia. Alla guida di quell’ufficio aspirava Falcone, ma fu scelto Antonino Meli: era il gennaio 1988. Il Csm e molti suoi componenti di allora ritenevano che Borsellino avrebbe dovuto passare per i canali istituzionali anziché per il clamore della stampa. Un clamore che Borsellino ammette di non aver cercato né previsto.

Nell’ audizione prima commissione 31 luglio 1988, il giudice, incalzato dai consiglieri, spiega come operava il pool antimafia: stretta collaborazione e lavoro “giorno e notte”.

 “Dal gennaio al novembre 1985 non credo di essere uscito se non per 4-5 ore al giorno, e per giorno intendo le 24 ore, dalla mia stanza senza finestre nel bunker”, racconta. Dal suo resoconto, fuoriesce anche il primo tentativo di “computerizzazione dei processi” in un’epoca che non aveva ancora preso confidenza con l’informatica. Ma anche fasi drammatiche, come il trasferimento suo, di Falcone e delle famiglie all’Asinara, dopo l’assassinio del commissario Cassarà, che li portò ad essere “segregati in un’isola deserta” per continuare a lavorare al maxi-processo. I passaggi più significativi del documento sono quelli in cui Borsellino manifesta le sue preoccupazioni per la “sorte del pool antimafia”. Timori fondati su quanto gli riferivano i colleghi magistrati, anche se nel corso dell’audizione qualche consigliere tenta di derubricare a “confidenze” quelle parole. Ma Borsellino sa bene, e lo dice, che quegli allarmi non sono pettegolezzi. E spiega bene l’opera di “smantellato” del pool, le azioni per depotenziarlo: le indagini non assegnate a Falcone, quelle finite a magistrati esterni al pool sul cui tavolo arrivano invece procedimenti che con la mafia non c’entrano nulla; i piani di ristrutturazione non condivisi e calati dall’alto. Si determina così una caduta di tensione di fronte alla quale Borsellino si dice “allarmato”. “Quando contemporaneamente – dice – si verificano una stanchezza sia nell’opinione pubblica sia negli esponenti culturali su questo problema; una poca attenzione dello Stato nel suo momento amministrativo, perché si continua a tenere la Sicilia, con riferimento agli organi di polizia, in una situazione di assoluta marginalizzazione; quando, insieme a ciò il pool che è l’unico organo investigativo che, parliamoci chiaro, è quello che ha riaperto la questione per iniziativa prima di Rocco Chinnnici e poi di coloro che lo hanno seguito, quando tutto questo va male, è certo che sono estremamente allarmato”.  ANSA

 


Il “disarmo” dell’antimafia: la denuncia pubblica di Borsellino

ARCHIVIO C.S.M. 

  1. verbale della I commissione referente, in seduta congiunta col Comitato Antimafia, relativo all’audizione di Paolo Borsellino (31 luglio 1988) con allegati:
  2. relazione a firma Paolo Borsellino indirizzata all’Ispettorato del Ministero della Giustizia (30 luglio 1988)
  3. appunti manoscritti di Borsellino relativi all’incontro del 16 luglio 1988 presso il centro culturale Lombardo Radice
  4. lettera al Direttore del quotidiano Repubblica
  5. verbale plenum 14 settembre 1988 relativo alla situazione dell’ufficio istruzione di Palermo
  6. verbale plenum 25 gennaio 1990 relativo alla pratica aperta sulle dichiarazioni di Borsellino
  7. relazione ispettiva del Ministero di Grazia e Giustizia 31 agosto 1988 con allegati:
  • estratti di stampa relativi alle dichiarazioni rese da Borsellino
  • relazione del Procuratore generale di Palermo (29 luglio 1988)
  • relazione Paolo Borsellino (22 luglio 1988)
  • relazione Paolo Borsellino (28 luglio 1988)
  • nota a firma Antonino Meli (capo ufficio istruzione di Palermo) (26 luglio 1988)
  • nota a firma Antonino Meli (16 giugno 1988)
  • nota di trasmissione atti a firma S. Curti Giardina, Procuratore di Palermo (28 luglio 1988)
  • nota del CSM (30 maggio 1988)
  • nota a firma S. Curti Giardina (30 maggio 1988)
  • nota del Presidente del Tribunale di Palermo (12 luglio 1988)
  • lettera a firma Giovanni Falcone (30 luglio 1988)

 

Copie PSF

audizione prima commissione 31 luglio 1988
verbale plenum 14 settembre 1988
RELAZIONE MINISTERIALE
nota borsellino 30 luglio 1988
appunti manoscritti borsellino
verbale plenum 25 gennaio 1990 borsellino

 



L’audizione del 1991 di Borsellino al CSM: ecco cosa disse il magistrato Paolo Borsellino era stato accusato di essere uno “scippatore” e “insabbiatore” di inchieste. L’amarezza del magistrato e come si difese


Paolo Borsellino è stato parte fondamentale del pool antimafia dell’ufficio istruzione di Palermo che ha rivoluzionato il modo di indagare e raccogliere prove nei processi di mafia. Le esperienze dell’ufficio diretto prima da Rocco Chinnici e poi da Antonino Caponnetto avevano condotto alla costruzione del maxi-processo, attraverso un metodo fondato sul lavoro di gruppo, la specializzazione, la circolazione interna delle informazioni, ed aveva condotto alla fondamentale acquisizione della unitarietà di Cosa Nostra, organizzazione verticistica la cui Cupola governava e regolava ogni attività illecita sul territorio.
La ponderosa e storica ordinanza-sentenza di rinvio a giudizio era stata redatta durante un periodo di esilio all’Asinara che aveva richiesto il trasferimento obbligato dei nuclei familiari di Borsellino e di Falcone, amici da sempre.
Con delibera del 22 maggio 1986, Paolo Borsellino viene nominato Procuratore di Marsala; il C.S.M. lo preferisce ad altri aspiranti più anziani, valorizzando attitudini e specializzazione.
Il 19 gennaio 1988 il Consiglio Superiore della magistratura nomina Antonino Meli quale successore di Caponnetto all’ufficio istruzione e, di fatto, boccia Giovanni Falcone. Il criterio di scelta è esattamente opposto a quello utilizzato per la nomina del Procuratore di Marsala; si preferisce l’anzianità alle attitudini. È una grande delusione per i componenti del pool che, però, continuano il loro lavoro senza esitazioni e iniziano a collaborare con il nuovo dirigente ma, molto presto, insorgono contrasti sul modo di lavorare del pool e sul prosieguo delle indagini di mafia. Il Consigliere Istruttore dimostra un approccio burocratico alla gestione dell’ufficio, controlla le statistiche del carico di lavoro ordinario, non assegna i processi secondo le regole tabellari che indicano la competenza del pool ed attribuisce i processi di mafia a tutti i giudici della sezione, con conseguente atomizzazione delle indagini e polverizzazione delle conoscenze in mille rivoli processuali; trasferisce per competenza territoriale ad altri uffici alcuni processi, mettendo in discussione l’intuizione vincente del maxi-processo e cioè l’unitarietà di Cosa Nostra, intesa come struttura criminale verticistica cui ricondurre l’intero programma criminoso e la realizzazione dei reati fine.
I contrasti arriveranno fino al Consiglio Superiore della Magistratura che, fra il 31 luglio ed il 1° agosto 1988, li ascolterà in lunghissime audizioni, cariche di tensioni. Il 30 luglio Giovanni Falcone aveva chiesto al Presidente del Tribunale di essere destinato ad altro incarico. Fra le motivazioni … “Paolo Borsellino, della cui amicizia mi onoro, ha dimostrato ancor una volta il suo senso dello Stato ed il suo coraggio, denunciando pubblicamente omissioni ed inerzie nella repressione del fenomeno mafioso che sono sotto gli occhi di tutti. Come risposta è stata innescata un’indegna manovra per tentare di stravolgere il profondo valore del suo gesto, riducendo tutto ad una bega tra “cordate di magistrati, ad una ‘reazione’ cioè fra magistrati ‘protagonisti’ oscurati da altri magistrati  …”.
Falcone si riferisce, evidentemente, alle polemiche ed agli accertamenti istituzionali in corso nei confronti di Paolo Borsellino, a seguito di sue interviste pubblicate il 20 luglio sui giornali “La Repubblica” e “L’Unità”, aventi ad oggetto il contenuto di un intervento reso il 16 luglio ad un convegno per la presentazione di un libro in tema di mafia.
Dichiarazioni forti, con titoli eloquenti come “Lo Stato si è arreso, del pool antimafia sono rimaste macerie” e “Vogliono smantellare il pool antimafia”. L’intervista conteneva precise critiche al metodo di gestione dell’Ufficio Istruzione del Consigliere Meli che veniva accusato di aver azzerato il pool e disarticolato il metodo investigativo che aveva condotto al maxi-processo. Il 21 luglio “La Repubblica” pubblicava la replica di Meli che sottolineava che “nemmeno una parola di quello che aveva dichiarato Borsellino era rispondente alla realtà dei fatti”. Nei giorni successivi la polemica era ripresa dall’intera stampa nazionale ed il Presidente della Repubblica chiedeva al C.S.M. ed al Ministro della giustizia ogni utile informazione sulla questione. La stampa dava altresì notizia di contrasti interni alla Procura di Palermo, analoghi a quelli dell’Ufficio Istruzione.
In questo quadro Paolo Borsellino è chiamato a relazionare dall’Ispettorato del Ministero e rende audizione al C.S.M. il 31  luglio.
Sono documenti che vanno letti insieme, tutti d’un fiato, che ci restituiscono il profilo di un magistrato rigoroso e appassionato, che soffre nel vedere in difficoltà i colleghi del suo vecchio ufficio e, soprattutto, nell’assistere ad un oggettivo arretramento del contrasto alla mafia. Egli aveva costanti informazioni da Falcone e dagli altri magistrati del pool, che gli confidavano tutto il disagio e lo scoramento per lo stato delle cose. Aveva potuto verificare direttamente il cambio di rotta giudiziaria sulla competenza, quando Meli aveva trasferito a Marsala il troncone di processo sulla cosca di Mazara del Vallo, così invertendo le regole di riferimento sui cui si era fondato il maxi-processo e che la Cassazione aveva già convalidato.
Deve fare qualcosa. Il suo amico Giovanni continua a lavorare ed a cercare la strada del dialogo interno con il suo dirigente, fra mille difficoltà e delusioni; tocca a lui la denuncia pubblica, perché occorre fare qualcosa.
Sarebbe ipocrita dire cose diverse nel contesto di un convegno in cui si parla di mafia. Borsellino parla a braccio ma segue degli appunti manoscritti che, a leggerli oggi, destano grande emozione. Consegna gli appunti ad un giornalista che poi glieli restituirà dopo qualche giorno e ne affiderà il contenuto ai quotidiani che decidono di pubblicarli sotto forma di intervista.

La denuncia coglie nel segno.

Il lavoro dell’Ispettorato è puntuale e meticoloso e raccoglie relazioni da tutti i protagonisti di quella difficile stagione. Nel composto linguaggio ministeriale si evidenzia che “la crisi del gruppo antimafia costituito presso l’Ufficio Istruzione di Palermo, emblematicamente formalizzata con la richiesta del dott. Falcone di essere destinato ad altro incarico, affonda le sue radici nell’ottica con cui il dr. Meli ha inteso assolvere i propri compiti di Capo di quell’ufficio … Addirittura il dr. Meli … ne teorizzava sostanzialmente la graduale soppressione, a suo dire già in atto, sul rilievo che tutti i cittadini imputati, quale che sia il reato loro ascritto, avevano diritto alla eguale definizione della loro posizione in tempi relativamente brevi”.
Le dichiarazioni di Paolo Borsellino corrispondevano alla realtà, anche nelle verifiche dell’Ispettorato. Gli organi competenti, ad iniziare dal Consiglio Superiore, ne erano già conoscenza, ed era noto che la conduzione dell’ufficio era contraria ai criteri tabellari.
Ma i canali istituzionali si attiveranno solo dopo quelle interviste, solo dopo la denuncia pubblica di un magistrato coraggioso.
Che si presenta il 31 luglio per le audizioni che il C.S.M. dedica alla situazione dell’ufficio istruzione di Palermo. La lunga audizione consente di chiarire la questione, ricostruire l’impegno antimafia del Procuratore di Marsala, la sua preoccupazione per aver avvertito un “calo di tensione” pericoloso nel contrasto alla criminalità organizzata.
Non rinnega l’utilizzazione del mezzo pubblico per la sua denuncia. Ne rivendica il valore culturale e di impegno civile. Le sue parole sono sempre di straordinaria attualità, come quando sostiene che è indispensabile che l’opinione pubblica debba essere costantemente informata, rivendicando che le indagini abbiano una indubbia valenza culturale proprio perché rese note, raccontate, e come sia importante un costante dibattito sulle questioni e sulle criticità delle attività giudiziarie antimafia: “sono vissuto in una società in cui quando avevo quindici anni, un mio compagno di classe si vantava di essere il figlio o il nipote del capo mafia del paese ed io lo invidiavo; oggi, a prescindere da quello che è lo sbocco giudiziario delle indagini, cioè delle eventuali condanne, le indagini stesse hanno avuto di riflesso una valenza culturale, proprio perché sono state diffuse, sono state rese pubbliche, perché la gente se ne è interessata, perché oggi non ci sono probabilmente più giovani a Palermo che come me a quindici anni invidiavano il compagno di classe perché figlio del capo mafia”.
Il 14 settembre 1988 il Consiglio Superiore chiude la pratica relativa alla gestione dell’ufficio Istruzione, con un provvedimento salomonico. Giovanni Falcone ritira la domanda di trasferimento.
Il 25 gennaio 1990, su proposta della prima Commissione, il Plenum delibera l’archiviazione della pratica aperta in relazione alle interviste rilasciate da Paolo Borsellino.

(testo curato dal Cons. CSM Antonio Ardituro)


“Avete fermato Falcone” L’accusa di Borsellino processato dal Csm

E quel 31 luglio, a nemmeno due settimane dallo sfogo del magistrato che aveva fatto intervenire il presidente della Repubblica Francesco Cossiga, a Borsellino non era rimasto che allargare le braccia: «Mi rimetto alle decisioni di chi dovrà giudicare questo mio comportamento». Ventiquattro ore prima il giudice Falcone aveva preso la clamorosa decisione di dimettersi dal pool dell’ufficio istruzione ma i consiglieri del Csm — più che ad allarmarsi per le parole di Borsellino — erano interessati a “punirlo”. Oggi, venticinque anni dopo l’uccisione del procuratore, il verbale di quell'”interrogatorio” è stato desecretato, insieme a tutti gli altri atti di quell’ignobile processo. Sono le scuse ufficiali dello Stato a un magistrato che ha spezzato un’omertà governativa e denunciato trame e inconfessabili patti. Domani mattina, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, presiederà una seduta solenne del Plenum del Csm, ci sarà anche Lucia, una delle figlie del procuratore assassinato.

«Le parole di Borsellino ci dicono oggi dell’importanza della denuncia dei magistrati e del contributo che possono dare alla vita pubblica», spiega il consigliere Piergiorgio Morosini, che ha fatto parte del gruppo di lavoro che ha recuperato i documenti.

Eccole le carte della vergogna. Borsellino viene convocato davanti a quello che ha tutta l’aria di essere un vero e proprio tribunale. Ad aprire la raffica di domande è il consigliere Franco Morozzo Della Rocca: «Questa è una notizia che ha avuto dai suoi colleghi?». Risponde Borsellino: «L’ho avuta dai miei colleghi e l’ho verificata personalmente». Il consigliere Morozzo prova a buttarla sul pettegolezzo: «Quindi, se ho capito bene, c’era un certo disappunto dei colleghi del pool perché il consigliere capo si era preso il processo 1817/85». Meli aveva smantellato il pool e tolto a Falcone tutte le indagini, Borsellino reagisce: «Non è che i colleghi del pool si mostrassero in disappunto. Trattandosi di un processo di due milioni di pagine, ritenevano opportuno che la direzione del processo fosse mantenuta nelle mani di chi conosceva tutto il materiale ».

L’altro affondo è del consigliere Gianfranco Tatozzi, che comincia con una domanda maliziosa: «Il presidente della Corte d’Appello Conti ha parlato di rapporti poco buoni tra Falcone e Chinnici». Borsellino non fa passare neanche questa: «No, la questione non sta in questi termini… Quando io arrivai all’ufficio istruzione non sapevo affatto quello che faceva il giudice della porta accanto. Il consigliere Chinnici si poneva il problema di favorire lo scambio di conoscenze fra di noi». Il consigliere Tatozzi torna alla carica: «Ma non ha ritenuto opportuno ad esempio parlare di queste cose con il comitato antimafia del Csm?». Ancora Borsellino: «Non vedo perché l’opinione pubblica non debba essere interessata a questi problemi».

Quel giorno, al Csm, c’è anche chi esprime prima «ammirazione per il collega» ma poi arriva a bollare come «un tantino sproporzionata» la sua denuncia. È il consigliere Umberto Marconi: «Non le pare forse che sia stato un tantino avventata? ». Marconi lo incalza: «La mia seconda domanda vuole essere involontariamente un po’ più cattiva». L’audizione è un tiro incrociato.

Ma è il consigliere Loris D’Ambrosio — il magistrato che diventerà poi consigliere del Presidente Napolitano e che morirà di crepacuore nel 2012 nel mezzo della polemica sulle telefonate con la voce del Capo dello Stato intercettata — che prova a neutralizzare le aggressioni contro il procuratore. A Palazzo dei Marescialli D’Ambrosio si trasforma nell’avvocato difensore di Borsellino.

Il procuratore “imputato”. Un «pre-disciplinare» che non ebbe conseguenze per lui solo perché l’ispettore nominato dal ministro della Giustizia Sebastiano Vassalli — quel galatuomo di Vincenzo Rovello — scrisse senza mezzi termini nella sua relazione che Borsellino aveva ragione: con la nomina di Meli all’ufficio istruzione le indagini si erano fermate.

“Perché ha parlato con i giornali?” “Perché l’opinione pubblica deve sapere”

Attilio Bolzoni E Salvo Palazzolo LA REPUBBLICA 

 


MAFIA, AFFARI E POLITICA 

AUDIZIONE CSM DOTTOR PAOLO BORSELLINO 10 giugno 1991

L’antimafia di Paolo Borsellino – parte 3

 

 

 

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