Il pentito Siino: “Brusca voleva uccidere Rino Nicolosi.

 

Deposizione al processo sulla trattativa fra Stato e mafia di Angelo Siino, considerato a lungo il “ministro dei lavori pubblici” di Cosa nostra

 

Negli anni Ottanta Cosa nostra aveva progettato di uccidere l’ex presidente della Regione siciliana, Rino Nicolosi. A raccontarlo al processo sulla trattativa tra Stato e mafia, deponendo in videoconferenza, è il pentito di mafia Angelo Siino.

“Me lo raccontò Giovanni Brusca – ha detto l’ex “ministro dei lavori pubblici” di Cosa nostra rispondendo alle domande dei pm Nino Di Matteo e Francesco del Bene – Mi disse che Nicolosi stava iniziando a rompere sugli appalti e che gli voleva rompere le corna. Brusca incaricò Nitto Santapaola di fare un “lavoretto a Nicolosi” ma Santapaola si rifiutò, come mi disse successivamente”.

“Io e Rino Nicolosi ci occupavamo entrambi di appalti – ha detto ancora Siino – io facevo i lavoretti di secondo ordine, ma eravamo gelosi l’uno dell’altro. Io rispettavo un criterio. Lui assegnava gli appalti per una miscela di interessi all’interno della Regione”.

I voti di Martelli. “Nel 1987 Claudio Martelli mi venne a trovare a casa a Palermo per chiedermi di votare per lui e per cercare voti per lui”, ha detto Siino. Il collaboratore ha detto rispondendo al pm Nino Di Matteo che Claudio Martelli, capolista in Sicilia e futuro ministro della Giustizia, gli avrebbe fatto “approvare delle leggi che avrebbero incontrato l’interesse di certe persone”.
La citazione. Per giustificare una sua incertezza nella deposizione al processo, Siino ha parafrasato il capo dello Stato, mostrando di essere informato a fondo sull’audizione di Giorgio Napolitano al Quirinale: “Non sono certo Pico della Mirandola… mi arrangio”, ha risposto Siino al pubblico ministero che lo sollecita a collocare temporalmente con maggior precisione un suo incontro con il boss catanese Nitto Santapaola, avvenuto alle falde dell’Etna tra la fine degli anni Ottanta e il 1991. Le stesse parole erano state usate dal presidente della Repubblica, che si era rivolto così al pubblico ministero.
I boss “zii”. Totò Riina veniva chiamato “Zio 1” mentre Bernardo Provenzano veniva chiamato “Zio 2”, ha raccontato Siino che ha parlato anche della figura di Pino Lipari, l’ex consigliere economico del boss Provenzano. “Lipari si occupava delle segrete cose dei corleonesi”. 

RINO NICOLOSI, Dottore in Chimica industriale. Dirigente sindacale della Cisl, fu un esponente di spicco della corrente di sinistra della Democrazia Cristiana.

Consigliere comunale di Acireale in gioventù, nel 1976 fu eletto la prima volta Deputato all’Assemblea regionale siciliana nel collegio di Catania. Rieletto nel 1981, fu consecutivamente assessore all’Industria e poi ai Lavori pubblici. Nel 1985 venne eletto presidente della Regione Siciliana e mantenne la carica per sei anni negli anni ottanta, guidando cinque governi della Regione.[1]

Rieletto per la quarta legislatura nel 1991, il 22 ottobre dello stesso anno si dimette dall’Ars, per potersi candidare nell’aprile 1992 alla Camera con la DC, dove fu eletto deputato con 110 000 preferenze, nel collegio Sicilia orientale. Fu vice-capogruppo del suo partito alla Camera dei deputati.

Nel gennaio 1994 aderì al PPI.[2] Finito nello scandalo di Tangentopoli a causa dell’affaire del Centro le Ciminiere di Catania, nel marzo 1994 tentò di rientrare in parlamento con Sicilia Futura una lista locale e si candidò al Senato nel collegio di Acireale, ma ottenne circa il 9% dei consensi ed il suo tentativo fu effimero.

Un suo memoriale che consegnò nel 1997 ai magistrati della procura di Catania, gettò scompiglio nella classe politica siciliana della prima repubblica facendo i nomi tra gli altri dei DC Sergio Mattarella, Calogero Mannino, Salvo Lima, Nino Drago, dei comunisti Luigi Colajanni, Michelangelo Russo, Gianni Parisi, dei socialisti Salvo Andò, Salvatore Lauricella, Nicola Capria, e dei repubblicani Aristide Gunnella ed Enzo Bianco[3]. Morì nel 1998 a causa di un tumore.