Giudici appello: “Da Montante dossier e ricatti”

 

 

20.11.2023 – L’ex paladino dell’antimafia, finito in carcere per corruzione, mentre era tra gli uomini più potenti in Italia, grazie alle sue conoscenze istituzionali, “raccoglieva informazioni e le custodiva riservandosene l’uso”. “Ciò era noto nella sua cerchia e tra le persone a lui vicine, l’uso che ne avrebbe potuto fare era chiaro”.
Non solo. Montante “si vantava di avere a disposizione dossier, pronti all’uso”.
Poteva anche contare sui Servizi segreti. Ed era persino in grado di “condizionare la politica”.
Ecco perché l’8 luglio del 2022 Montante, che ora ha l’obbligo di dimora ad Asti, è stato condannato a 8 anni di carcere.
Sei anni in meno del primo grado.
I giudici parlano di un “accordo corruttivo”. Le motivazioni sono state depositate solo adesso, dopo ben 500 giorni dal giorno della lettura del dispositivo.
Condannati, nel luglio di un anno fa, anche alcuni componenti del suo ”cerchio magico”, accusati a vario titolo di corruzione, rivelazione di notizie coperte dal segreto d’ufficio e favoreggiamento.
A 5 anni era stato condannato il capo della security di Confindustria Diego Di Simone (il gup gli aveva dato 6 anni e 4 mesi), a 3 anni e 3 mesi il sostituto commissario Marco De Angelis, (4 in primo grado).
Assolti, invece, il generale Gianfranco Ardizzone, ex comandante provinciale della Guardia di Finanza di Caltanissetta, che in primo grado aveva avuto 3 anni, e Andrea Grassi, dirigente della prima divisione dello Sco che aveva avuto un anno e 4 mesi.

Montante, secondo l’accusa, avrebbe compiuto una attività di dossieraggio per colpire gli avversari e avrebbe condizionato la politica regionale.
E adesso è scritto, nero su bianco, nelle motivazioni dei giudici, a firma della Presidente Andreina Occhipinti, giudici a latere Giovambattista Tona e Alessandra Giunta.
“Dietro la coltre fumose della locuzione ‘sistema’, tanto spesso utilizzata anche in questo giudizio, nonostante sia più appropriata alla sintesi giornalistica che non all’analisi dei fatti tipici propria della giurisdizione, si perdono i percorsi che conducono ai più qualificati appoggi dei settori politici, istituzionali ed economici che hanno reso Montante una figura strategica con un ruolo di fatto e informale non classificabile nelle ordinarie e più trasparenti categorie della politica, dell’economia e delle istituzioni”, scrivono i giudici della Corte d’appello di Caltanissetta nelle motivazioni della sentenza. E ancora: “Molte intercettazioni descrivono la ‘fama’ acquisita da Antonello Montante presso soggetti imputati, indagati o estranei ai fatti oggetto dell’indagine.
Se ne ricava prova del fatto che in quegli ambienti e in contesti per nulla occulti o riservati erano note non solo la sua capacità di influenza nelle più alte sfere degli ambienti istituzionali ed economici non tanto del territorio, ma della Regione e del Pese. Ed era nota anche la sua complessa rete informativa”, si legge ancora nelle motivazioni.
E ancora: “Vi fu una sistematica attività delle più influenti autorità nel sottolineare l’importanza” dell’impegno dell’ex Presidente di Confindustria Sicilia Antonello Montante “la rilevanza del suo ruolo, la necessità di dare ascolto alle sue proposte e alle sue iniziative”.
Poi i giudici ribadiscono che Montante, con l’aiuto di alcuni complici, anche loro condannati, avrebbe avuto “ripetutamente accesso” alle “banche dati Sdi per procedere ad interrogazioni non autorizzate su imprenditori, politici, amministratori, professionisti, editori, giornalisti, collaboratori di giustizia, persone sospettate di appartenere alla criminalità organizzata, un magistrato, i suoi familiari e la sua autovettura”.
Insomma, Montante, “era l’uomo potente che poteva garantire la possibilità di ottenere sostegno e favori, e l’accordo si basava sulla corrispettiva messa a disposizione da parte del pubblico ufficiale delle sue funzioni e da parte dell’imprenditore di ogni utile suo buon ufficio”.
Inoltre, si legge nelle motivazioni che Montante “ha approfittato di opportunità che avrebbe potuto perseguire per coltivare ambizioni, interessi particolari e al contempo anche valori civici e obiettivi ideali e invece le ha piegate per pratiche di natura illecita, unitamente al dato della sistematicità delle condotte, impedisce delle circostanze attenuanti generiche e di qualsivoglia altra attenuante”.
Un altro capitolo è dedicato ai suoi rapporti con la famiglia mafiosa Arnone di Serradifalco, paese di origine di Montante. “Non voleva fare emergere pubblicamente i suoi rapporti con la famiglia Arnone”, scrivono i giudici della Corte d’appello di Caltanissetta. “Si può dare per certo che aveva intrattenuto rapporti di familiarità e di affari con la famiglia Arnone.
Sebbene sul punto Montante non abbia mai fatto specifiche ammissioni sull’esistenza e sulla natura di questi rapporti e sebbene allo stato degli atti non vi sono nelle contestazioni da valutare imputazioni che prefigurino che questi rapporti siano trascesi nell’illecito penale, ciò che conta ai fini del presente del giudizio è che Montante aveva cercato in ogni modo di evitare che essi emergessero e fossero sottoposti alla pubblica opinione”.
“Anzi riteneva che chi si adoperava per farlo doveva considerarsi parte di un sodalizio a lui avverso, che mirava ad impedirgli il conseguimento dei suoi obiettivi”. “Pure nell’ambito di un progetto politico imprenditoriale lecito” l’ex presidente degli industriali siciliani Antonello Montante “aveva interesse ad attrarre attorno a se persone disponibili a sostenerlo anche se del caso dedicandosi ad attività illecita”, dicono ancora i giudici.
“Egli poteva mostrare – scrivono – la solida legittimazione a livello locale, vantando il consenso delle autorità e delle rappresentanze sul territorio, e a livello locale poteva guadagnare il consenso delle autorità e delle rappresentanze sul territorio, vantando l’appoggio dei vertici politici e istituzionali a livello nazionale.
Egli, peraltro, nel suo interrogatorio, cercando di ridimensionare le sue indubbie abilita politico-relazionali, ha sostenuto di essere stato indotto ad assumere il ruolo che gli veniva riconosciuto dalle autorità”.
I giudici puntano la lente di ingrandimento sul ‘cerchio magico’ di Montante. Tra questi c’è l’ex poliziotto Diego De Simone.
“Il primo appartenente a questa rete era Diego De Simone Perricone, già appartenente alla polizia di Stato, assunto dalla “Aedificatio Spa”, su segnalazione di Montante, società che svolgeva servizi di sicurezza in favore di Confindustria nazionale.
Di Simone Perricone, che non poteva più accedere alla banca dati si serviva di Marco De Angelis, in servizio alla Squadra Mobile di Palermo”.
Secondo i giudici “molti dei dati rinvenuti nella ‘stanza segreta’ dell’abitazione di Montante provenivano da questa attività di accesso illecito“.
Gli accessi “venivano effettuati da Salvatore Graceffa, vicesovrintendente della Polizia di Stato, alle quali le richieste pervenivano da De Angelis”. Montante si legge ancora nella sentenza “raccoglieva informazioni e le custodiva riservandosene l’uso”, “ciò era noto nella sua cerchia e tra le persone a lui vicine, l’uso che ne avrebbe potuto fare era chiaro”. E ancora, scrivono i giudici “plurime fonti riferiscono che egli si vantava di avere a disposizione dossier, pronti all’uso”.
Nelle motivazioni, i giudici parlano anche del ruolo dei Servizi segreti. “Il 15 giugno 2012 veniva nominato direttore dell’Aisi il generale Esposito con il quale Montante aveva un solido rapporto tale da trovare nei servizi un canale di informazioni sulle indagini a suo carico”, scrivono.
Ricordando che Esposito è attualmente sotto processo nello stralcio del troncone in corso davanti al Tribunale di Caltanissetta.

(di Elvira Terranova ADNKRONOS )


Depositate le motivazioni della sentenza sul caso Montante: i dettagli

Depositate le motivazioni della sentenza emessa lo scorso 8 luglio 2022. Formalizzato il c.d. “cerchio magico” di Antonello Montante, ex paladino dell’antimafia.
“Raccoglieva informazioni e le custodiva riservandosene l’uso”, questo si legge nelle oltre 400 pagine della motivazione della sentenza emessa dalla I° Sezione Penale della Corte d’Appello di Caltanissetta, a firma della Presidente Andreina Occhipinti, giudici a latere Giovambattista Tona e Alessandra Giunta, nei confronti di Antonello Montante e altri lo scorso 8 luglio 2022.  

Le condanne

Sono stati necessari ben 500 giorni affinché l’estensore mettesse, nero su bianco, le motivazioni alla condanna comminatata ad Antonello Montante, 8 anni ossia 6 in meno rispetto al primo grado di giudizio, e ad alcuni dei componenti del suo c.d.“cerchio magico”, accusati a vario titolo di corruzione, rivelazione di notizie coperte dal segreto d’ufficio e favoreggiamento. Ricordiamo che sono stati condannati a 5 anni il capo della security di Confindustria Diego Di Simone, 6 anni e 4 mesi in primo grado, a 3 anni e 3 mesi il sostituto commissario Marco De Angelis anziché 4 come indicato dai giudici del primo grado. Sono stati invece assolti il generale Gianfranco Ardizzone, ex comandante provinciale della Guardia di Finanza di Caltanissetta, che in primo grado aveva avuto 3 anni, e Andrea Grassi, dirigente della prima divisione dello Sco cui era stato comminato un anno e 4 mesi.

Il sistema Montante

“Molte intercettazioni descrivono la fama acquisita da Antonello Montante presso soggetti imputati, indagati o estranei ai fatti oggetto dell’indagine. Se ne ricava prova del fatto che in quegli ambienti e in contesti per nulla occulti o riservati erano note non solo la sua capacità di influenza nelle più alte sfere degli ambienti istituzionali ed economici non tanto del territorio, ma della Regione e del Pese. Ed era nota anche la sua complessa rete informativa”, si legge nelle motivazioni eche “Dietro la coltre fumose della locuzione ‘sistema’, tanto spesso utilizzata anche in questo giudizio, nonostante sia più appropriata alla sintesi giornalistica che non all’analisi dei fatti tipici propria della giurisdizione, si perdono i percorsi che conducono ai più qualificati appoggi dei settori politici, istituzionali ed economici che hanno reso Montante una figura strategica con un ruolo di fatto e informale non classificabile nelle ordinarie e più trasparenti categorie della politica, dell’economia e delle istituzioni”. Nelle motivazioni, i giudici mettono a fuoco la rete del sistema del “cerchio magico”.
“Il primo appartenente a questa rete era Diego De Simone Perricone, già appartenente alla polizia di Stato, assunto dalla ‘Aedificatio Spa’, su segnalazione di Montante, società che svolgeva servizi di sicurezza in favore di Confindustria nazionale. Di Simone Perricone, che non poteva più accedere alla banca dati si serviva di Marco De Angelis, in servizio alla Squadra Mobile di Palermo”. Inoltre i giudici ritengono che “molti dei dati rinvenuti nella stanza segreta dell’abitazione di Montante provenivano da questa attività di accesso illecito” che “venivano effettuati da Salvatore Graceffa, vice-sovrintendente della Polizia di Stato, alle quali le richieste pervenivano da De Angelis”. E il Montante, secondo quanto appurato dai giudici “raccoglieva informazioni e le custodiva riservandosene l’uso” e che “ciò era noto nella sua cerchia e tra le persone a lui vicine, l’uso che ne avrebbe potuto fare era chiaro” anche perché lo stesso Montante “si vantava di avere a disposizione dossier, pronti all’uso”.
Montante è stato, quindi, “l’uomo potente che poteva garantire la possibilità di ottenere sostegno e favori, e l’accordo si basava sulla corrispettiva messa a disposizione da parte del pubblico ufficiale delle sue funzioni e da parte dell’imprenditore di ogni utile suo buon ufficio” e che ha inoltre “approfittato di opportunità che avrebbe potuto perseguire per coltivare ambizioni, interessi particolari e al contempo anche valori civici e obiettivi ideali e invece le ha piegate per pratiche di natura illecita, unitamente al dato della sistematicità delle condotte, impedisce delle circostanze attenuanti generiche e di qualsivoglia altra attenuante”.  

Servizi segreti e mafia

I giudici descrivono, inoltre, il ruolo dei Servizi segreti partendo da quel 15 giugno 2012 quando “veniva nominato direttore dell’Aisi il generale Esposito con il quale Montante aveva un solido rapporto tale da trovare nei servizi un canale di informazioni sulle indagini a suo carico”. Esposito è attualmente sotto processo nello stralcio del troncone in corso davanti al Tribunale di Caltanissetta. I giudici si sono anche concetrati sui rapoporti che erano in essere tra Montante e la famiglia mafiosa Arnone di Serradifalco, suo paese di origine. Pr “Non voleva fare emergere pubblicamente i suoi rapporti con la famiglia Arnone – scrivono i giudici della Corte d’appello di Caltanissetta – si può dare per certo che aveva intrattenuto rapporti di familiarità e di affari con la famiglia Arnone. Sebbene sul punto Montante non abbia mai fatto specifiche ammissioni sull’esistenza e sulla natura di questi rapporti e sebbene allo stato degli atti non vi sono nelle contestazioni da valutare imputazioni che prefigurino che questi rapporti siano trascesi nell’illecito penale, ciò che conta ai fini del presente del giudizio è che Montante aveva cercato in ogni modo di evitare che essi emergessero e fossero sottoposti alla pubblica opinione” e che “anzi riteneva che chi si adoperava per farlo doveva considerarsi parte di un sodalizio a lui avverso, che mirava ad impedirgli il conseguimento dei suoi obiettivi”. L’ex paladino dell’antimafia ed ex presidente degli industriali siciliani Antonello Montante, “pure nell’ambito di un progetto politico imprenditoriale lecito (…) aveva interesse ad attrarre attorno a se persone disponibili a sostenerlo anche se del caso dedicandosi ad attività illecita”, scrivono ancora ancora i giudici tanto che “poteva mostrare la solida legittimazione a livello locale, vantando il consenso delle autorità e delle rappresentanze sul territorio, e a livello locale poteva guadagnare il consenso delle autorità e delle rappresentanze sul territorio, vantando l’appoggio dei vertici politici e istituzionali a livello nazionale. Egli, peraltro, nel suo interrogatorio, cercando di ridimensionare le sue indubbie abilita politico-relazionali, ha sostenuto di essere stato indotto ad assumere il ruolo che gli veniva riconosciuto dalle autorità”. QUOTIDIANO DI SICILIA – Roberto Greco

 


Ecco cosa è il “sistema Montante”

Dalla richiesta di custodia cautelare della Procura Antimafia di Caltanissetta

2.11.2018 LA REPUBBLICA 

Calogero Antonio Montante detto Antonello – Ex vicepresidente nazionale di Confindustria con delega alla Legalità

  «..Si ritiene di dover muovere nella presente esposizione dall’analisi degli elementi – afferenti ai rapporti dell’odierno indagato CALOGERO ANTONIO MONTANTE con esponenti della criminalità organizzata di stampo mafioso – che avevano determinato l’apertura dell’odierno procedimento, sebbene – appare corretto rappresentarlo sin d’ora – il quadro che dagli stessi è emerso non consente, allo stato, di elevare specifici addebiti nei confronti dello stesso Montante.

In ogni caso, le attività d’indagine compiute sul punto ed il coacervo di acquisizioni dalle stesse risultanti serve da cornice per delineare, in primo luogo, quali siano, a parere di questo Ufficio, “le origini” delle fortune del Montante ed a comprendere, in secondo luogo, come la svolta legalitaria di cui questi si è fatto portatore non fosse altro che un mero paravento dietro cui cercare di occultare – forte di quelle relazioni che era riuscito ad instaurare proprio portando il vessillo dell’antimafia  – quei rapporti che aveva certamente intessuto e coltivato con esponenti di spicco della criminalità organizzata.

E, a ben vedere, aiuta anche a capire il reale fine di una strategia messa in campo per addivenire al sistematico screditamento di coloro che, per una ragione o per l’altra, si erano espressi, nel corso del tempo, in maniera critica nei suoi confronti o, più semplicemente, non ne avevano condiviso il percorso tracciato a partire dal 2005 e che sono stati via via tacciati di “mafiosità” o non meglio precisate collusioni con un sistema che, a parole, si voleva definitivamente superato.

E ciò è avvenuto anche laddove alcunché di concreto – da un punto di vista giudiziario – autorizzasse a cucire simili etichette, che sono, però, state spacciate per verità assodate sulla base di una continua e costante campagna realizzata attraverso il sostegno dei più disparati ambienti.

Serviva, cioè, ingenerare la diffusa convizione che esistesse “un vecchio sistema” – verso cui ormai ci si opponeva – caratterizzato da collusioni tra imprenditori, politici ed esponenti mafiosi, al cui interno poter ricomprendere, di volta in volta ed in maniera indiscriminata, tutti coloro che non si adeguavano al “nuovo corso”.

Si è trattato, a ben vedere, della realizzazione di un sottile e ben pianificato disegno volto a ridurre al silenzio coloro che, in astratto, avrebbero potuto riferire circostanze compromettenti sul conto del  Montante e, ancor prima, a prevenire possibili indicazioni sui suoi pregressi rapporti con esponenti mafiosi che, laddove veicolate, si sarebbero ben potute contrastare, come effettivamente avvenuto, tacciandole come il tentativo di reazione di un sistema compromesso e colluso verso coloro che, in maniera autorferenziale, si proponevano come portatori di una rivoluzionaria svolta improntata alla legalità.

In altre parole, proprio l’accurata analisi del complesso degli elementi che sono stati acquisiti sulla base delle indicazioni provenienti dai collaboratori di giustizia (e dalle attività eseguite per riscontrarne le propalazioni) serve a smascherare quell’inganno che è stato sapientemente costruito nel corso degli anni e che è solo servito, da un lato, a nascondere i compromettenti rapporti avuti col passato con esponenti mafiosi della provincia di Caltanissetta e, dall’altro lato, a creare un sistema di relazioni funzionale alla tutela degli interessi del Montante e di coloro che allo stesso sono sempre stati vicini, che, a ben vedere, non ha fatto altro che sostituire un pregresso sistema basato sulle medesime logiche di potere.

Non si vuole, cioè, con questo mettere in discussione gli approdi che, da un punto di vista giudiziario, questo Ufficio ha raggiunto negli anni pregressi e che si ritiene, anzi, assolutamente validi e non suscettibili di essere rivisti – avendo effettivamente scoperchiato un sistema affaristico che involgeva imprenditoria, politica e Cosa Nostra –  ma solo evidenziare che “il sistema Montante” ne costituisce semplicemente una filiazione avente gli stessi scopi, sia pure con attori protagonisti differenti, ed operante con gli stessi metodi e che ha potuto prosperare – questo è il paradosso – proprio veicolando all’esterno l’immagine di una svolta legalitaria (solo proclamata) che a quel pregresso modello si voleva opporre…».

Dichiarazione del collaboratore di giustizia Salvatore Ferraro al pubblico ministero della Procura della Repubblica di Caltanissetta Stefano Luciani del 18 maggio 2016:

«Ho conosciuto personalmente Antonello Montante intorno al 1984-1985 e mi è stato presentato da Paolino Arnone che “lo aveva nel cuore”..».

Paolino Arnone era il capo della “famiglia” di Cosa Nostra di Serradifalco (paese in provincia di Caltanissetta) e “consigliori” del numero 2 della Cupola Giuseppe “Piddu” Madonia.

Dichiarazione del collaboratore di giustizia Leonardo Messina al pubblico ministero della Procura della Repubblica di Caltanissetta Stefano Luciani del 18 maggio 2016:

«Nulla so di Antonello Montante..La Signoria Vostra mi chiede cosa possa significare la presenza di Paolino e Vincenzo Arnone ad un matrimonio (il riferimento è alle nozze di Antonello Montante, testimoni il capo di Cosa Nostra di Serradifalco e suo figlio, ndr)..per mia esperienza posso testimoniare che i rappresentanti di Cosa Nostra non amano comparire ai matrimoni come testimoni, anche perché si evitano occasioni di apparire in foto..evidentemente lo sposo era “persona che meritava”…».


La proposta di Antonello Montante e il rating di legalità per l’accesso al credito

L’Italia delle imprese oneste che hanno meno disponibilità economica delle imprese colluse con le mafie e si vedono, per giunta, negare l’accesso al credito – il 28 gennaio 2012 Antonello Montante ha lanciato la sua proposta: considerare la legalità come indicatore positivo del rischio di credito. Assegnare un rating più alto alle aziende “che investono e vivono nei mercati grazie a processi di legalità e a codici anti-corruzione”, facilitando il loro accesso al credito bancario.

La proposta, recepita dall’Associazione Bancaria Italiana e dal Parlamento è confluita nella legge 27/2012. La Legge 27/2012 (la legge di conversione del Decreto Liberalizzazioni), all’articolo 5-ter, ha attribuito all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Antitrust) il compito di segnalare al Parlamento le modifiche normative necessarie “al fine di promuovere l’introduzione di principi etici nei comportamenti aziendali”, e di procedere, “in raccordo con i Ministeri della giustizia e dell’interno, all’elaborazione di un rating di legalità per le imprese operanti nel territorio nazionale”. Il medesimo articolo stabiliva che del rating attribuito si dovesse tenere conto in sede di concessione di finanziamenti pubblici da parte delle pubbliche amministrazioni, nonché in sede di accesso al credito bancario.

Se da un lato veniva accolta la “proposta Montante”, l’articolo 5-ter della L. 27/2012 aveva sollevato non poche perplessità: leggendolo, sembrava di capire che all’Antitrust fosse stato assegnato il compito di assegnare un rating di legalità a tutte le imprese italiane, una specie di fotografia del livello di legalità dell’intero sistema economico nazionale. Ma su quali basi poteva essere realizzata questa valutazione globale?  E con quali tempistiche?

Con queste premesse, il rating di legalità sembrava destinato a restare lettera morta. I dubbi sono stati (in parte) chiariti dalla legge 62/2012, che, nata per convertire in il Decreto Legge sulle commissioni bancarie, è stata poi estesa ad altri ambiti, sempre inerenti l’attività degli istituti di credito.

La Legge 62/2012 stabilisce che solo le aziende con un fatturato di almeno 2 milioni di Euro (riferito alla singola impresa o al gruppo di appartenenza) potranno richiedere il rating di legalità all’Antitrust e che, al fine dell’attribuzione del rating, potranno essere chieste informazioni a tutte le pubbliche amministrazioni. Inoltre, la legge ribadisce che del rating attribuito all’azienda si dovrà tener conto in sede di concessione di finanziamenti da parte delle pubbliche amministrazioni e in sede di accesso al credito bancario, aggiungendo che “gli istituti di credito che omettono di tener conto del rating attribuito in sede di concessione dei finanziamenti alle imprese sono tenuti a trasmettere alla Banca d’Italia una dettagliata relazione sulle ragioni della decisione assunta”.

La legge 62/2012 è stata pubblicata in gazzetta ufficiale il 21 maggio 2012. Il rating di legalità, però, non sarà immediatamente in vigore. Infatti, entro 90 giorni l’Antitrust dovrà definire i criteri e le modalità per il calcolo del rating e il Ministero dell’Economia e delle Finanze dovrà emettere un decreto, definendo le modalità «agevolate» di finanziamento pubblico e accesso al credito, riservate alle aziende che dispongono di un rating di legalità. Dunque, è stato chiarito che il rating di legalità sarà uno strumento volontario, di cui le aziende potranno servirsi, per agevolarsi nei rapporti con le banche e le pubbliche amministrazioni. E’ quindi di primario interesse, per le impresa, sapere quali saranno i criteri che, in futuro, l’Antitrust utilizzerà per definire il loro rating di legalità.

Non ci sono ancora, purtroppo, indicazioni certe in merito. Tuttavia, il Ministro della Giustizia Paola Severino, già nel mese di marzo, aveva espresso la propria opinione sul rating di legalità, definendolo “una proposta estremamente seria che riguarda non soltanto le imprese che rifiutano di pagare il loro terribile tributo alla mafia, ma anche le imprese che si dotano di modelli di organizzazione idonei a prevenire il reato”, vale a dire le imprese che si sono dotate di Modelli 231 finalizzati alla prevenzione dei reati di criminalità organizzata. Se tale orientamento fosse confermato dall’Antitrust, molto probabilmente, quindi, in futuro le aziende che si doteranno di Modelli 231 potranno ottenere un rating di legalità più alto ed accedere più facilmente a finanziamenti pubblici e al credito bancario.


ANTONELLO MONTANTE – delegato del Presidente di Confindustria per i rapporti con le Istituzioni preposte al  controllo del territorio. Nato a San Cataldo nel 1963 insignito dell’ onorificenza di Cavaliere del Lavoro, anno 2008 – Presidente Gruppo Montante e delle aziende collegate. – Presidente CdA Alechia Spa. – Amministratore Delegato di Tivet srl – Società del Politenico di Milano. – Componente del CdA Fondazione Istituto EuroMediterraneo – Onlus. – Consigliere Banca d’Italia succursale Caltanissetta Attualmente ricopre i seguente incarichi: – Presidente Confindustria Sicilia. – Vice Presidente Ucrifer/Assifer – Unione nazionale costruttori e riparatori ferrotranvieri. Ha ricoperto gli incarichi di: – Presidente Giovani Imprenditori Confindustria Caltanissetta. – Componente di giunta nazionale in rappresentanza dei G.I. sotto la Presidenza Marcegaglia. – Presidente Comitato Regionale Confindustria Sicilia. Presidente  Camera di Commercio di Caltanisetta

CONFINDUSTRIA –   LE PRIORITÀ TEMATICHE –  Legalità e rapporti con le istituzioni preposte al controllo del territorio

La illegalità non è solo una categoria etica: costituisce una condizione indispensabile per la crescita economica di cui il paese ha disperato bisogno. Negli ultimi sei anni, grazie all’azione propulsiva di Confindustria Sicilia, la Confindustria di tutto il Mezzogiorno è entrata a gamba tesa sui temi della legalità e dell’antimafia. Temi irrinunciabili in un paese nel quale la criminalità organizzata ha un giro d’affari di 130 miliardi di euro e rappresenta uno dei più potenti freni allo sviluppo dell’economia sana.  Nel Mezzogiorno, Confindustria ha iniziato a espellere gli iscritti collusi e, soprattutto, a stare concretamente a fianco delle vittime. Sarebbe però sbagliato e dannoso continuare a pensare che legalità e antimafia siano temi solo del Mezzogiorno. Ormai, purtroppo, hanno portata nazionale ed europea. Negare questo fatto, o sottovalutarlo, significa aiutare la criminalità a penetrare meglio nel tessuto economico e industriale di città come Milano, Torino o Genova. Di particolare valore è la recente proposta di Antonello Montante sul rating di legalità alle imprese, che è appena diventata legge. La nuova presidenza si impegna a usare ogni strumento a sua disposizione per far crescere questa rivoluzione, farla diventare nazionale e dotarla degli strumenti necessari a funzionare.

dal Programma 2012-2014 


 Lionello Mancini, editorialista del Sole 24 Ore sul tema

 

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere
Resoconto stenografico Seduta n. 38 di Giovedì 5 giugno 2014

Audizione del vice presidente della Confindustria, Ivan Lo Bello e del presidente di Confindustria Sicilia, Antonello Montante

 

RASSEGNA STAMPA su proposta rating

 

GNOSIS – Rivista Italiana di Intelligence – Ottobre 2012

Antonello Montante, imprenditore di successo, impegnato in Confindustria e promotore dell’”effetto trasparenza” delle aziende del brand italiano che ha creato il circuito virtuoso del rating di legalità per contribuire alla crescita delle imprese – con necessità di credito – che operano con uno stile di legalità e di eticità, spiega a Gnosis la chiave di lettura di un provvedimento destinato ad incontrare il favore degli imprenditori e di quanti hanno a cuore lo sviluppo costante del sistema-Italia.

Dottor Montante, la “sua creatura”, il rating di legalità per le imprese è sicuramente un’interpretazione in chiave etica della possibilità di credito che promuove la crescita economica italiana e costituisce un efficace strumento antimafia, ce lo illustra?

Con questo strumento si crea e si concretizza la liquidità pulita che è sinonimo di legalità. Il rating di legalità nasce con lo scopo principale di salvare tante imprese virtuose in un momento critico, in cui l’assenza di liquidità determina un colpo duro anche per le aziende che hanno mercato. L’altro scopo, o semplicemente il doppio scopo del rating, è quello di salvare le imprese che vogliono uscire dai mercati controllati da meccanismi poco chiari e vogliono invece avvicinarsi ai mercati liberi in cui bisogna misurarsi utilizzando strategie moderne improntate su competitività e innovazione. La possibilità di migliorare il rating consente di ottenere una migliore bancabilità e quindi permette di continuare a far lavorare le imprese e mantenere un livello di gestione delle commesse e di controllo dei mercati senza entrare in contatto con reti illegali.

Competitività e legalità si compendiano nella introduzione del rating di legalità?

Assolutamente sì, il rating di legalità per le imprese virtuose e la competitività sono due fattori interdipendenti. Direi che si tratta di un rapporto causa-effetto. I limiti entro i quali si riesce a mantenere un buon livello di competitività sono la capacità di innovazione, un buon posizionamento nei mercati e, soprattutto, il controllo e la gestione dei flussi di cassa, che assicurano il successo finale. L’assenza di liquidità non permette all’impresa di autodifendersi, causa interruzioni e distorsioni nei mercati che fanno gola alle reti criminali che non hanno di certo questo genere di problemi.

Che risvolti concreti puo’ creare il rating di legalità in un percorso produttivo aziendale?

Il vantaggio del rating antimafia è, prima di tutto, il riconoscimento della convenienza economica della legalità abbinata al risvolto di una maggiore e concreta sicurezza economica e imprenditoriale. In un contesto in cui la crisi economica ha come inevitabile conseguenza un crescente fenomeno di credit crunch, occorre favorire la diffusione della legalità e dei comportamenti etici con l’ausilio di strumenti concreti che agevolino l’accesso al credito, al fine di riconoscere migliori condizioni alle imprese che perseguono elevati standard di legalità e che, tuttavia, rimangono esposte alle speculazioni della criminalità organizzata presente nei mercati. Grazie alla legge sul rating – legalità le imprese avranno meno costi d’interessi bancari tramite una “pagella migliorativa” e, di conseguenza, tante aziende supereranno il rischio di chiusura nonostante la presenza di commesse.

Il rating di legalità puo’ influire sui processi di delocalizzazione?

Sì, perché le imprese che riescono a resistere sul mercato a livello nazionale, potrebbero essere in grado di continuare la sfida della crescita anche all’estero, aumentando la quota export del Paese che incide, comunque, sul Pil interno.

Quali sono le caratteristiche anti-criminalità organizzata che deve avere un’azienda per entrare in un “circuito virtuoso”?

Prima di tutto bisogna essere in grado di riconoscere la convenienza economica della legalità. Un’impresa che vive in circuito virtuoso ha firmato i protocolli di legalità seri e rigidi con il Ministero dell’Interno e con le prefetture locali, e lo fa con impegno e responsabilità, ha fatto la scelta di denunciare o comunque sarebbe disposta a farlo senza nessuna esitazione, rispetta tutti i criteri della sicurezza sui posti di lavoro, applica tutte le norme di garanzia e vigilanza nei cantieri, rispetta le regole dei contratti nazionali. Bisogna scegliere strategie di sviluppo e di crescita a lungo termine con la garanzia dello Stato. Tagliare corto con strategie assistite e garantite dai poteri economici illegali. La legalità non è un soltanto un valore etico ma è anche un grande valore economico. Bisogna lavorare in un contesto di normalità. Le imprese che attuano la normalità e rispettano le regole entrano nel circuito virtuoso, difendono il proprio know how, i propri lavoratori ed i propri mercati, hanno una visione moderna degli investimenti e dei mercati e vogliono creare valore aggiunto con i loro prodotti.

É una delle rare volte in cui la politica economica imprenditoriale si lega al concetto di eticità grazie al vostro operato. Ma come puo’ coesistere con la persistenza di fenomeni come il ‘pizzo’? Le infiltrazioni criminali che disturbano i mercati e la normale crescita delle aziende, come riescono ad incrementarsi in ambito imprenditoriale?

Al racket é subentrata un’attività criminale alternativa o complementare ancora piú grave che é l’usura. La mafia “camaleonte” si trasforma in base ai cambiamenti dei mercati. A causa della crisi economica, del credit crunch, del calo dei flussi dei soldi pubblici, dei ritardi dei pagamenti da parte della pubblica amministrazione, tante imprese sono costrette a rivolgersi agli usurai per problemi di credito. Attenzione, a differenza del pizzo, il reato dell’usura é ancora piú difficilmente dimostrabile e le denunce sono ancora più rare. Si tratta di un fenomeno nascosto poiché chi chiede soldi all’usuraio lo ritiene un amico e, spesso, si ha vergogna di parlarne. Gli usurai che gravitano in ambienti mafiosi non perdono l’occasione di avvicinare gli imprenditori attanagliati da questo problema. Dalle statistiche del mondo d’impresa trapela un numero preoccupante: sarebbero circa 30.000 le attività chiuse a causa dell’usura.  Questo disastro purtroppo coesiste, anche se in modo evidentemente contrario, alla parte sana dell’imprenditoria perché la mafia accumula capitali, tanti capitali che immette nella rete e dispone a favore dei richiedenti in modo semplice, é capace di differenziarsi e mimetizzarsi benissimo dietro soggetti con la fedina penale “a posto” che, senza alcuna difficoltà sono a disposizione di dinamiche e meccanismi criminali: distribuiscono soldi, individuano innovazioni imprenditoriali, sfruttano settori strategici e costruiscono un contesto favorevole e ben collegato a livello di comunicazione e di sponsorizzazione con l’acquisto di pagine di organi di stampa nazionali, anche per avere un consenso diffuso e generale. La nascita della nuova mafia, quella della finanza e dei capitali, é il risultato dell’effetto distorsivo della globalizzazione, un simbolo che sottolinea come le banche e lo Stato, spesso, non sono in grado di fornire quello che i sistemi mafiosi possono assicurare soddisfacendo le esigenze stringenti legate alla crisi, specialmente nei territori piú sensibili in cui sussiste uno stato di bisogno permanente. Uno scenario simile depone a favore della necessità di rinforzare anche le Agenzie di informazione e sicurezza impegnate, insieme alle Forze dell’ordine – nei limiti delle rispettive competenze – nell’individuare questi gravi rischi sistemici.

Che tempi si prevedono per l’assimilazione e la metabolizzazione del rating?

Il Ministro dell’Interno é già al lavoro per definire le procedure ufficiali. Nella fase embrionale della mia proposta é stato importante che ci sia stata la volontà di portarla avanti da parte del Ministro Cancellieri e del Ministro Severino, cosí come da parte di autorevoli esponenti della magistratura italiana. L’esistenza di questo circuito virtuoso ha anticipato la trasformazione di una idea in legge, con una velocità storica grazie all’accordo politico bipartisan, il supporto istituzionale e l’avvaloramento della stessa ABI. Il rating è diventato già un segnale importante che influisce sia sulla ripresa delle imprese sane che sulla forza dell’etica economica dello Stato, che può utilizzarlo anche come supporto per altri strumenti. Trattandosi di un traguardo di civiltà e di trasparenza, ritengo che la metabolizzazione delle procedure del provvedimento possa essere abbastanza veloce.

A che punto sono la piccola e media impresa nel nostro Paese? Quali sono le difficoltà della crescita ferma al Sud?

Il problema asfissiante del momento per le piccole e medie imprese é il credito. Questo problema attanaglia le imprese sia al Nord che al Sud, anche se nel Meridione é presente un gap infrastrutturale rilevante. Il salasso giornaliero di competitività riguarda tutte le imprese del Paese. L’effetto globale della crisi ha determinato un allineamento delle condizioni in cui si trovano, pressoché, tutti i territori. Parlare di differenze tra Nord e Sud quando si devono trovare le vie d’uscita per ritornare a crescere rischia di essere una visione miope della politica industriale che dobbiamo eliminare invertendo la tendenza culturale alla base di questa prospettiva. Non puó esistere un’Italia a due velocità, non sarebbe conveniente. Si potrebbero, invece, individuare le varie caratteristiche territoriali e sfruttarle in modo piú efficace e competitivo, seguendo un unico piano industriale per lo sviluppo: quello del sistema Paese/Italia. In questo modo rafforzeremmo il nostro posizionamento all’interno dei mercati internazionali e daremmo la linfa vitale alle PMI sane che rischiano, altrimenti, di morire anche a causa di queste rigide divisioni interne in cui invece le mafie continuano ad arricchirsi sempre piú delocalizzando e riciclando capitali, grazie alla capacità di muoversi, cambiare ed invertire le tendenze. Pensiamo alla poliedricità delle forme di investimento dei capitali di mafia: si é passati dagli interessi nel settore dell’edilizia a quelli collegati alle new economies, fino ai settori delle nuove forme di energia e delle infrastrutture critiche.

Di che cosa hanno bisogno le imprese per essere rilanciate e per ricominciare a crescere?

Per un rilancio effettivo c’é bisogno di ossigeno monetario e capacità di investire e attrarre investimenti, utilizzando l’inesauribile creatività industriale che ci contraddistingue. L’accumulo dei soldi che sono finiti nella rete dei capitali riciclati rappresenta la “forza rubata all’economia sana” che dobbiamo riconquistare: bisogna velocizzare l’avvio delle riforme concrete a favore delle imprese e dei lavoratori, avviare un serio e veloce processo di semplificazione delle procedure burocratiche, allineare i pagamenti della Pubblica Amministrazione entro i 60 giorni – cosí come avviene in tutti gli altri Stati europei – privatizzare le aziende pubbliche seguendo una linea di vigilanza rigorosa nella selezione dei privati. Occorre, infine, il supporto di una effettiva disponibilità di incentivi, e non di semplici palliativi, in grado di finanziare la ricerca, l’innovazione e la cosiddetta prototipazione, una caratteristica distintiva del modello industriale nazionale, senza eguali ed irripetibile senza il ‘nostro’ know how. Dobbiamo guadagnare tempo per mettere subito in circolazione le nostre idee ed i nostri prodotti, il mercato non aspetta e “chi ultimo arriva male alloggia” nella giungla della globalizzazione attuale in cui i Paesi low cost hanno già occupato le prime file avendo ingenti vantaggi competitivi. Il ritardo penalizza comunque le imprese e spesso ne provoca la morte. Non si deve dimenticare che siamo la quinta potenza industriale mondiale e non é incoraggiante stare a guardare come la storia dei nostri marchi e dei brevetti industriali, che pure ci ha consentito di raggiungere un simile livello, si stia indebolendo e stia correndo il rischio di scomparire. Dobbiamo intervenire prima che sia troppo tardi. Un modo per difendere marchi e brevetti potrebbe essere la creazione di una quality list nazionale da proteggere dall’estinzione. Sarebbe utile un’azione di intervento a favore delle eccellenze con l’utilizzo di fondi specifici tali da poterne garantire l’esistenza.

In che misura il patrimonio dei beni confiscati alla mafia puó determinare un supporto per la ripresa?

Innanzitutto, servirebbe creare da zero lo strumento giuridico sulla gestione dei beni che ne incentivi in tempi reali la funzionalità, in termini di entrate nelle casse dello Stato. Per fare questo bisogna “portarli a reddito” e per portarli a reddito bisogna affidarli o venderli ai privati, attraverso procedimenti trasparenti e veloci, avvalendosi del monitoraggio di un’Autorità esterna e competente, che potrebbe essere quella che si occupa del rating della legalità, per esempio. L’obiettivo fondamentale deve essere recuperare quanta piú possibile liquiditá da rimettere in circolazione attraverso la regolamentazione delle aziende confiscate che, spesso, sono destinate al fallimento perché non sono gestite da veri mangers orientati a farle entrare nei circoli virtuosi dei mercati reali e liberi mentre, fino al momento della confisca, le mafie le detenevano nelle reti dei consorzi illegali in modo assistito e chiuso. La qualità del management depone a favore dell’inserimento delle aziende confiscate in reti d’impresa competitive che riescano a far pagare le tasse, a garantire il lavoro e a difendere i lavoratori, non permettendo in alcun modo di dar forza all’idea che si possano produrre e generare risultati solo in presenza della gestione – mafia. L’affidamento dello strumento a managers preparati e con la collaborazione dello Stato potrebbe aprire uno spiraglio ad un cambiamento futuro. Confindustria, insieme allo Stato, potrebbe essere pronta ad intervenire per un obiettivo nobile di crescita. Io stesso, in qualità di Delegato per la legalità, mi considero a disposizione.Non sarebbe una cattiva idea quella di decidere di fare un primo esperimento, un progetto pilota, in un territorio scelto dove ci siano tanti beni confiscati e in cui bisogna fare in modo che la ricchezza generata ritorni allo stesso territorio in cui si siedono: si verrebbe a creare una sorta di recupero del vantaggio da una situazione di svantaggio, oltre che un gran valore etico e culturale che accrediterebbe la convenienza economica della legalità, screditando la mafia. Questa mossa potrebbe essere una leva importante per dare un contributo alla crescita e al rilancio in chiave di economia etica del Paese.

Nell’ottica della prevenzione e dell’attività istituzionale di tutela degli interessi strategici nazionali, quale potrebbe essere il contributo delle Agenzie di Informazione e Sicurezza?

Il contributo che possono fornire le Agenzie è fondamentale. Lo Stato deve utilizzare tutte le risorse ed i mezzi per difendere i propri interessi industriali. Bisogna creare una sinergia strategica tra il mondo produttivo sano del Paese e le Forze Istituzionali chiamate alla tutela dei beni nazionali. La collaborazione tra Forze Istituzionali e industria strategica italiana sia pubblica che privata, rafforza il concetto di sicurezza e di tutela degli interessi economici del Paese. L’identificazione dei rischi per difendere il know how del made in Italy, dei marchi e dei brevetti dalle contro ingerenze straniere è una realtà su cui bisogna che le nostre Agenzie lavorino costantemente. Le sempre più diffuse azioni di acquisizione di aziende operative da parte di fondi privati, spesso sconosciuti, apparentemente finalizzati al recupero di capitali e attività manifatturiere nazionali, ma alla fine utilizzati illegittimamente per saccheggiare il know how, spostano la forza competitiva delle PMI altrove e nel futuro si potrebbero determinare danni irreversibili.

In tempi di globalizzazione dell’informazione che ruolo hanno i Servizi segreti?

Un ruolo sicuramente importante. Una costante azione di monitoraggio e di vigilanza dei Servizi segreti assicurerebbe una maggiore intercettazione dei rischi legati al fenomeno criminale a cui, oltre al normale intervento giudiziario che si occupa del rilevamento e della repressione dei reati, si aggiunge un’azione di intervento preventivo efficace. La prevenzione dei rischi del fenomeno criminale legato alla globalizzazione diventerebbe piú forte e completa insieme all’azione delle Forze di polizia e alle inchieste della Magistratura. Si pensi al controllo della libera circolazione di flussi di denaro riciclato, sia in entrata che in uscita, di cui difficilmente si possono conoscere le fonti, perché provenienti da, o destinati a, Paesi in cui non esistono norme di controllo vincolanti.

In tempi di crisi occupazionale, quale facoltà universitaria consiglia ad un giovane che voglia o spera di trovare un lavoro, dopo il liceo?

Prima di tutto io consiglierei di fare più orientamento nelle scuole. I docenti, insieme alle realtà esterne, devono organizzare attività in cui gli studenti possano percepire le esigenze delle realtà lavorative con un approccio più pragmatico e meno dottrinale. La scelta deve rispettare sicuramente le preferenze personali e le vocazioni lavorative, ma anche la spendibilità del titolo è importante. Oltre al tipo di studi, io penserei bene alla diversificazione delle specializzazioni nella fase post laurea. Meglio non seguire le mode classiche delle scuole professionali del passato che hanno generato una miriade di professionisti da scrivania e poco esperti nel problem solving pratico. Sarebbe meglio seguire la trasformazione dei mercati e fare un’analisi della richiesta di lavoro per adattare il proprio bagaglio di conoscenze e abilitá acquisite con le esigenze acquisite con le esigenze e le richieste di mercato.

 

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