‘NDRANGHETA IN LOMBARDIA

 

‘Ndrangheta a Milano, Varese e Como: 34 condanne per 200 anni al processo Cavalli di razza



Lombardia, ‘ndrangheta principale ‘cliente’ di imprenditori e politici – L’INTERVISTA A MARCO FRACETI/Prima parte. Colonizzazione mafiosa: “Il trenta per cento degli imprenditori lombardi ha avuto rapporti con le organizzazioni criminali”. La ‘ndrangheta? “Non sarebbe una potenza economica se non ci fossero corruzione e rapporto incestuoso con l’economia”.


Ndrangheta in Lombardia: una storia tutt’altro che segreta  Sequestrati beni per un milione di euro all’ex trafficante di droga Giuseppe Carvelli: solo l’ultima di una lunga serie di operazioni contro la ‘ndrangheta radicata da decenni nel territorio lombardo.  Neanche la provincia di Como rimane esente dal contagio: la notte di San Vito del 1994 

 


Corsico-Buccinasco, operazioni anti-‘ndrangheta contro i narcos che si rigenerano. 

 


 

NDRANGHETA IN LOMBARDIA, LA PROCURATRICE DELLA DDA: “INDAGINI E ARRESTI, MA È TUTTO COME 10 ANNI FA. PADRONI DEL TERRITORIO”  La numero uno della Dda milanese Alessandra Dolci dopo i 34 arresti tra le province di Milano e Varese: “Quadro sconfortante. Ci sono due note positive: anche noi non ci siamo mossi da qui e continuiamo a lavorare. Ma soprattutto la presenza di un imprenditore che ha deciso di non sottostare alle minacce degli ‘ndranghetisti che gli impedivano di investire nei parcheggi dell’area dell’aeroporto di Malpensa”. La nota negativa: “Negli ultimi dieci anni, nonostante le indagini e gli arresti, non è cambiato nulla. Le cosche sono ancora padrone del territorio”. E una “nota di speranza”, come la chiama il procuratore aggiunto della procura di Milano, Alessandra Dolci, numero uno della Dda: “Un imprenditore incredibilmente ha denunciato di essere stato vittima di pressione. A mia memoria è la prima volta”Di fronte alla ricostituzione della locale di ‘ndrangheta di Legnano-Lonate Pozzolo, tra le province di Milano e Varese, il magistrato a capo della Direzione distrettuale antimafia, lo dice senza giri di parole. Perché a dieci anni esatti dall’indagine Bad Boys e a nove dalla maxi-operazione Infinito, l’inchiesta dei carabinieri, coordinata dalla procura milanese, ha bloccato di nuovo grazie a 34 arresti il ‘solito’ schema delle ‘ndrine calabresi trapiantate in Lombardia. “Non è cambiato assolutamente niente: ci sono state scarcerazioni, hanno ripreso il controllo del territorio che non è mai sfuggito di fatto dalle mani della ‘ndrangheta” che esercita “la giurisdizione dell’antistato”, ha aggiunto Dolci. “Emerge un quadro sconfortante” e, nonostante gli arresti che ci sono stati negli anni scorsi, l’intervento “non si è mostrato efficace”. Ecco quindi di nuovo gli affari da una parte, le infiltrazioni nella politica dall’altra e il metodo mafioso come collante per influenzare investimenti privati e decisioni delle amministrazioni comunali: le ombre sull’elezione dell’ex sindaco azzurro di Lonate Pozzolo, Danilo Rivolta, il ‘pacchetto’ di 300 voti proposto di tornata elettorale in tornata elettorale, il coinvolgimento di un consigliere di maggioranza del comune di Freno, Enzo Misiani, coordinatore locale di Fratelli d’Italia, e la perquisizione al coordinatore regionale dei Cristiani Popolari, Peppino Favo.

Le intercettazioni: “Emanuele comanda Lonate e Cidonio comanda Ferno. I voti dei calabresi ce li hanno loro”

“Il 23 aprile 2009 c’è stata l’indagine ‘Bad Boys’, il 18 agosto 2010 è arrivata ‘Infinito’ e oggi siamo qui con ‘Krimisa’. Sono passati gli anni ma le cose sono rimaste identiche, abbiamo trovato anche gli stessi personaggi”, ha ricordato Dolci ricordando gli arresti di diverse persone condannate nei processi legati alle prime due operazioni che scoprirono le radici messe in Lombardia dalla ‘ndrangheta. “Ci sono due note positive: anche noi non ci siamo mossi da qui e continuiamo a lavorare – ha aggiunto Dolci – Ma soprattutto la presenza di un imprenditore che ha deciso di non sottostare alle minacce degli ‘ndranghetisti che gli impedivano di investire nei parcheggi dell’area dell’aeroporto di Malpensa”. Il riferimento è all’uomo che – dopo aver ricevuto chiamate e pressioni da un “consulente” al soldo dei presunti affiliati affinché rinunciasse alla costruzione di un nuovo parcheggio o decidesse di mettersi in società con loro – ha iniziato a registrare i colloqui con un’app installata sul suo smartphone e ha consegnato tutto ai carabinieri. Un inedito, come conferma il procuratore aggiunto di Milano, che definisce una “nota di speranza” il gesto coraggioso come: “A memoria mia è la prima volta”, ha sottolineato Dolci, che lo scorso febbraio a Cantù aveva criticato l’atteggiamento delle istituzioni locali di fronte al processo ai “rampolli di ‘ndrangheta”conclusosi poi ad aprile con condanne superiori ai cento anni. di F. Q. | 4 LUGLIO 2019



 

Ndrangheta, il genero del boss Rocco Papalia e quei soldi del clan investiti nei locali. 

Le inchieste descrivono il 40enne Giuseppe Pangallo come l’elemento più importante per gli investimenti economici della cosca Barbaro-Papalia. L’ultima indagine che lo ha lambito (non risulta indagato) arriva da Brescia: 21 gli arresti. di Cesare Giuzzi. Su di lui girano voci non proprio lusinghiere. E certamente non veritiere, perché l’immagine di Peppone Pangallo ricavata dai pettegolezzi è molto distante da quella che da anni emerge dalle carte giudiziarie seppure le indagini più importanti sulla ‘ndrangheta in Lombardia lo abbiano solo sfiorato. Più che un «perdigiorno», interessato più agli affari propri che a quelli «di famiglia», le inchieste descrivono il 40enne Giuseppe Pangallo come l’elemento più importante per gli investimenti economici della cosca Barbaro-Papalia. L’ultima indagine che lo ha lambito (Pangallo non risulta indagato) arriva da Brescia dove i carabinieri hanno arrestato 21 persone per mafia e riciclaggio. Al centro due figure: quella dell’imprenditore del mondo delle tv locali Francesco Mura, 41 anni, e appunto, il calabrese originario di Platì (Reggio Calabria) Giuseppe Pangallo. Secondo le accuse Mura avrebbe investito i soldi forniti da Peppone, oltre 300 mila euro, per acquistare bar nel centro commerciale «Cigno nero» di Rovato (Brescia) ma anche per impossessarsi del Flamingo di piazza XXV Aprile a Milano, locale poi chiuso dalla Prefettura con interdittiva antimafia nell’aprile 2019. Secondo gli investigatori i soldi messi a disposizione sarebbero in realtà i capitali della cosca mafiosa Barbaro (e Papalia) alla quale, secondo il gip Alessandra Sabatucci, «anche lui appartiene». L’arrestato Mura, intercettato, la definisce «la più grossa famiglia di ‘ndranghetisti che ci sia storicamente in Lombardia». E non esagera. Perché Pangallo (che non è indagato) è il marito di Rosanna Papalia, la figlia del boss di Buccinasco Rocco, scarcerato nel 2017 dopo 26 anni di carcere, e fratello dei capocosca Antonio e Domenico. Parlando della moglie Rosanna, a proposito di Rocco Papalia, Mura racconta: «Non è solo che ha ucciso uno, suo papà è pesante! Ai tempi faceva di tutto sequestri, racket, droga». Le parole di Mura possono derivare dalla lettura di decine di libri sulla ‘ndrangheta in Lombardia, ma per gli inquirenti la fonte è decisamente più diretta. Perché lui e Pangallo erano stati coinvolti in una precedente indagine per droga. Inchiesta nella quale le accuse erano poi finite annacquate durante i processi anche «per merito» del silenzio degli indagati e di Mura in particolare. Motivo per il quale i rapporti tra i due si sarebbero saldati moltissimo. Per gli investigatori il ruolo di Pangallo è quello di «infiltrare la cosca nel tessuto economico di plurime attività imprenditoriali radicate nel nord Italia, senza tuttavia figurare formalmente in alcuna compagine sociale». Nelle indagini di Brescia emerge come si sia trasferito in Francia, a Mentone. Qui chiede informazioni per iscrivere i figli all’International School of Monaco: una retta da «24 mila euro annui», cifra che per gli investigatori «all’evidenza inconciliabile con il reddito dichiarato». Nel 2017 Peppone viveva tra Menaggio (Como) e la Svizzera (dove la moglie aveva una gelateria) ma era stato dichiarato «sgradito» dalle autorità elvetiche. Negli ultimi mesi è stato arrestato per un cumulo pene ma più che in affari di sangue in passato era sempre stato coinvolto in indagini sui soldi. Non a caso nell’ambiente mafioso è conosciuto per le sue grandi entrature e amicizie nel mondo della vita notturna e dei locali. Motivo per il quale sarebbe sempre stato molto apprezzato dalla famiglia Papalia, nonostante le sue «esuberanze». Ormai celebre l’intercettazione del 2002 di un litigio tra lui e la moglie Rosanna che sbotta: «Stavo tanto bene con l’altro e mi hanno fatto sposare te». Per gli investigatori è la prova di un matrimonio combinato, per la famiglia la semplice sfuriata tra marito e moglie. Nell’inchiesta di Brescia i sodali dell’imprenditore Mura ospitano Pangallo allo Juventus Stadium in occasione di Juve-Roma del 22 dicembre 2018 e gli fanno trovare una bottiglia di champagne: «Ma che Laurent Perrier, porterò il Don Perignon, gliel’ho dato l’altra volta … ». Il Corriere della Sera, 3 Novembre 2020


 IN LOMBARDIA LA ’NDRANGHETA FA AFFARI ANCHE DAL CARCERE  Ieri, 27 ottobre, nelle province di Milano, Como, Monza–Brianza, Vibo Valentia e Reggio Calabria, su disposizione della Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia di Milano, i carabinieri hanno eseguito, nei confronti di 13 persone sottoposte ad indagine, un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal giudice per le indagini preliminari Alfonsa Maria Ferraro. Gli arresti scaturiscono da un’indagine diretta da Ilda Boccassini e dai Sostituti Procuratori della Repubblica Francesca Celle e Paolo Storari. L’indagine “Quadrifoglio”, avviata nel 2012 e condotta dal Raggruppamento Operativo Speciale Carabinieri (R.O.S.), ha riguardato due articolazioni della ‘ndrangheta radicate in Lombardia, prevalentemente nella provincia di Como. I 13 arrestati sono accusati di associazione di tipo mafioso, detenzione e porto abusivo di armi, intestazione fittizia di beni, reimpiego di denaro di provenienza illecita, abuso d’ufficio, favoreggiamento, minacce e danneggiamento mediante incendio. Al centro delle indagini del Ros dei carabinieri due gruppi della ’ndrangheta radicati nel Comasco, con infiltrazioni nel tessuto economico lombardo. Accertati, secondo le indagini, gli interessi delle cosche in speculazioni immobiliari e in un subappalto per la Tangenziale Est di Milano.

Accertati, secondo le indagini, gli interessi delle cosche in speculazioni immobiliari e in un subappalto per la Tangenziale Est di Milano  L’ennesima storia di ’ndrangheta, politica e imprenditoria in Lombardia. «Nulla è cambiato in questi anni» ha dichiarato Ilda Boccassini nella conferenza stampa che si è tenuta in procura «basti pensare che uno degli arrestati in questa operazione è Salvatore Muscatello – anziano boss già arrestato negli anni ’90 nell’operazione “La notte dei Fiori di San Vito” e “Infinito” nel 2010 – considerato referente della ‘ndrangheta a Mariano Comense, dagli arresti domiciliari coordinava ancora le attività della cosca».

Tutti a casa Muscatello, l’anziano boss ai domiciliari  Lo stesso Muscatello a casa propria è sempre ben disposto verso chi va a chiedere “aiuto”. È il caso per esempio di Nadia Scognamiglio (non indagata in questo procedimento), compagna di Fortunato Valle, condannato a 24 anni e organico della stessa famiglia, attiva nello scenario criminale della ‘ndrangheta lombarda  dagli anni ’80. Scognamiglio si reca da Muscatello in cerca di aiuti economici data la detenzione del compagno e lo stesso anziano boss non si tira indietro, spiegando poi al nipote che «è una persona che se la chiamo viene subito, ed io la ringrazio! Oh, il marito mi lavava pure i piedi».

Boccassini; «Nulla è cambiato in questi anni per la ‘ndrangheta in Lombardia»  Scognamiglio non è l’unica a recarsi da Muscatello, ma in poco meno di un anno di osservazioni da parte del Ros dei Carabinieri dalla casa dell’anziano boss passano parenti di altri affiliati alla ‘ndrangheta, persone che devono regolare prestiti usurai ed estorsioni, ma anche pregiudicati e politici, come nel caso di Emilio Pizzinga, consigliere comunale di Mariano Comense  dal 2004 con Forza Italia prima e col Pdl poi che in seguito al commissariamento del comune va a caccia di voti. Tra le visite a casa Muscatello anche quelle di Alberto Pititto, commerciante d’autore ad uso abitativo. Gli approfondimentiti predisposti dalla procura ed eseguiti dal Ros dei Carabinieri hanno appurato come Galati e i due imprenditori fossero stati mediati da un altro degli indagati: Luigi Calogero Addisi, già consigliere comunale di Rho (Mi), anch’egli originario del vibonese e coniugato con una delle figlie della sorella dello storico boss Pantalone Mancuso. Nell’aprile 2014 Addisi, con un passato di politico locale che ha attraversato tutto l’arco da destra a sinistra, allora in quota Pd, deve dimettersi perché il suo nome figura tra le carte dell’indagine “Metastasi” sulla cosca dei Coco Trovato operante nella zona di Lecco, e pure nell’inchiesta Grillo Parlante che porterà all’arresto dell’ex assessore alla Casa di Regione Lombardia, Domenico Zambetti.

Il nome di Addisi compariva già nelle indagini “Metastasi” e “Grillo Parlante”, che portò all’arresto dell’ex assessore alla Casa di Regione Lombardia, Domenico Zambetti L’ex amministratore, direttamente interessato all’esito della speculazione da 300mila euro, per avervi investito un’ingente somma di denaro – fanno sapere gli investigatori – aveva peraltro favorito l’approvazione di una variazione di destinazione d’uso del terreno, superando i preesistenti vincoli di edificabilità. C’è il voto in consiglio comunale per il Pgt (Piano di Generale del Territorio) di Rho, e Addisi prima del voto dichiara: «Con questo Pgt abbiamo cercato di ridisegnare la città, preservandola dalle brutture, dagli scempi maligni e dal consumo dissennato del territorio. Un risultato storico. Una medaglia per tutta l’amministrazione. Una nuova rivoluzione culturale insomma». Poi arriva l’inchiesta e il gip Alfonsa Maria Ferraro che scrive «Addisi mente in quanto è ben consapevole non solo di avere interesse nel Pgt, ma anche del fatto che un’area, interessata dal Pgt, è stata acquistata con il denaro della ‘ndrangheta».

Galati: come dal carcere si entra negli appalti (con tanto di certificazione antimafia)  Giuseppe Galati, classe 1971 è stato condannato a dieci anni per traffico di stupefacenti. Dal carcere riesce a gestire una società tramite il cognato, cui intesta le sue quote. Il passaggio delle quote sarà sufficiente per far ottenere il certificato antimafia alla sua Skavedil ed entrare in un appalto da 450mila euro per la Tangenziale Est di Milano, grande opera connessa a Expo 2015.

L’impresa di Galati è entrata in un appalto da 450mila euro per la Tangenziale Est di Milano  Il capo della direzione distrettuale antimafia di Milano Ilda Boccassini ha spiegato come una volta ottenuto il certificato antimafia l’impresa ha ottenuto da una azienda di Modena, su cui si stanno svolgendo ulteriori approfondimenti investigativi, due subappalti.  Da Boccassini poi è arrivata tra le righe anche una stoccata alla macchina dei controlli per il “semaforo verde” delle certificazioni antimafia, perché, dice ancora Boccassini «sarebbe bastato fare uno storico dell’assetto societario» e non solo una misura sulla struttura attuale «per accorgersi che qualcosa non andava. Luca Rinaldi 28.10.2014 L’INKIESTA

LA MAFIA IN LOMBARDIA  Era il 2010 quando l’allora Governatore della Lombardia dichiarava che “La Mafia in Lombardia non esiste!”. Oggi nessuno lo nega più. La relazione della Commissione Parlamentare Antimafia del 2018 descrive il fenomeno come: “Movimento profondo e uniforme che interessa la maggioranza delle provincie settentrionali, con una particolare intensità in Lombardia, e che è stato favorito fino a tempi recenti da diffusi atteggiamenti di sottovalutazione e rimozione“. Allo stesso modo, ma in maniera più analitica, il primo rapporto di “Monitoraggio della presenza mafiosa in Lombardia”, realizzato dall’Osservatorio sulla criminalità organizzata (Cross) dell’Università Statale di Milano, in 400 pagine mette a nudo il radicamento e l’evoluzione del “silenzioso assalto” delle mafie. La Lombardia è una regione di insediamento storico delle varie organizzazioni mafiose: sin dagli anni ’50 è stata meta e dimora di diversi affiliati di Cosa Nostra, della Camorra e della ‘Ndrangheta, tra cui molti boss di grande calibro come Luciano Liggio, Gaetano Badalamenti e Gerlando Alberti, per parlare dei siciliani, o di Franco Coco Trovato, tra i calabresi. La ‘Ndrangheta è certamente quella che, più di ogni altra, si radica in territori lontani dalla Calabria per spirito di conquista ed è per questo che ha letteralmente colonizzato l’intera regione. La scelta delle ‘ndrine cade normalmente sui piccoli centri dove è più facilmente replicabile il modello mafioso e dove, dunque, le ambizioni di controllo del territorio trovano riscontro fattivo; dove è più bassa l’attenzione delle forze dell’ordine e dell’opinione pubblica; dove vi è possibilità concreta di influenzare la vita pubblica del piccolo centro, eleggendo, ad esempio, un Consigliere Comunale con una manciata di preferenze; dove, nel medio periodo, attraverso il metodo mafioso, si riescono ad influenzare le dinamiche sociali e la cultura del territorio. In Lombardia per oltre mezzo secolo le organizzazioni mafiose si sono arricchite, sia organizzando traffici criminali (in principio furono i sequestri di persona, poi passarono principalmente al narcotraffico), sia investendo in attività economiche formalmente legali (bar, ristoranti, imprese, soprattutto nel campo dell’edilizia, negozi etc.), al fine di riciclare il denaro sporco. Le ragioni per le quali le organizzazioni mafiose si spostano dai territori meridionali di tradizionale insediamento sono sostanzialmente di quattro ordini:

1) Affari
2) Affari / Spirito di conquista (sistema misto)
3) Spirito di conquista
4) Fuga da lotte intestine o da azione repressiva dello Stato

Tutte le principali organizzazioni mafiose sono arrivate, in differenti momenti della loro storia, in Lombardia per una delle ragioni elencate sopra.
Geograficamente si può dividere la Regione fra Lombardia Orientale e Lombardia Occidentale: nella prima abbiamo una presenza della ‘ndrangheta più recente e con caratteristiche proprie, mentre nella seconda abbiamo la presenza tradizionale della ‘Ndrangheta con un panorama criminale vario tanto per attività quanto per provenienza.
In alcune aree gli insediamenti della criminalità organizzata sono maggiormente omogenei tra loro.
Il Nord-Ovest della regione (che comprende le provincie di Como, Lecco, Varese, Milano e Monza e Brianza) è caratterizzato da una presenza storica e consolidata, sopravvissuta alle inchieste degli anni ’90 che decimarono gli affiliati alle varie organizzazioni.
Il Sud della regione, invece, è interessato da una più recente presenza, che nel caso della provincia di Lodi sembrerebbe essere dovuto alla vicinanza con l’area milanese, pesantemente colpita dall’attività investigativa (gli affiliati si sposterebbero in questa zona, in quanto storicamente “più tranquilla” e considerata un’isola felice), mentre in quello di Mantova e Cremona le due province tendono ad essere una proiezione dei diversi gruppi criminali situati in Emilia-Romagna.
Un inesorabile “processo di colonizzazione” iniziato a metà del secolo.

Per un approfondimento, scarica qui la sintesi del Rapporto realizzato dall’Osservatorio sulla criminalità organizzata (Cross). ANTIMAFIA 365


Mafie, la relazione della Dia: «In Lombardia le nuove leve usano strategie militari» Seconda relazione semestrale della Dia (Direzione investigativa antimafia) al Parlamento a chiudere l’anno 2018: tempo di bilanci anche in Lombardia sul fronte criminalità organizzata. L’analisi svela i numeri: in calo lo scorso anno i soggetti segnalati per associazione di tipo mafioso (24 contro i 53 del 2017), in aumento invece le estorsioni, 1.075 contro le 1.024 dell’anno precedente.

Giuseppe Pignatone da tre anni è capo della Procura della Repubblica di Reggio Calabria. Collabora con le altre procure per smantellare la ‘ndrangheta in tutta Italia.  Ecco la sua lettera-appello al Corriere della Sera

Caro direttore,
da circa due anni, e soprattutto dopo l’attentato alla Procura generale di Reggio Calabria del 3 gennaio 2010, gli organi di informazione hanno cominciato a dedicare un’attenzione crescente alla ‘ndrangheta e a quello che essa rappresenta per la Calabria e per l’Italia. Comincia così a essere squarciato quel cono d’ombra che, salvo momentanee interruzioni (dopo l’omicidio Fortugno, dopo la strage di Duisburg), ha nascosto per decenni la criminalità organizzata calabrese a un’opinione pubblica preoccupata da altre emergenze: il terrorismo, Tangentopoli, Cosa nostra, i casalesi.
La fine di questo cono d’ombra è un punto di importanza essenziale. Solo così è possibile comprendere la potenza e la pericolosità della ‘ndrangheta reggina che non solo ha accumulato e continua ad accumulare immense ricchezze con il suo ruolo di interlocutore privilegiato dei narcotrafficanti sudamericani, ma è anche riuscita ad espandersi in molte parti del mondo a cominciare dalla Lombardia e da altre regioni del Nord Italia.
Non è un fenomeno nuovo e già in passato le indagini e i processi hanno documentato queste espansioni. Stiamo però assistendo a un’evoluzione decisiva.
Come ha documentato l’indagine «Il Crimine», frutto della collaborazione tra le procure di Milano e Reggio Calabria e che il 13 luglio scorso ha portato a 300 arresti in tutta Italia, la ‘ndrangheta è riuscita a realizzare una vera e propria «colonizzazione» in ampie zone della Lombardia, e non solo, riproducendo la sua peculiare struttura organizzativa con la creazione di decine di locali e con l’affiliazione di centinaia di persone, ma senza mai interrompere il legame essenziale con la terra d’origine a cui sono sempre rimesse le decisioni strategiche.
Le stesse indagini hanno fatto emergere pure che la ‘ndrangheta si è data una struttura unitaria e degli organismi di vertice, certamente diversi e strutturati secondo moduli più flessibili di quelli più noti di Cosa nostra siciliana, ma indispensabili per governare un’associazione criminale così estesa e con interessi in tante parti del mondo.
La scelta delle cosche calabresi di adottare una politica di basso profilo e la corrispondente scarsa attenzione dell’opinione pubblica hanno finora ostacolato la comprensione della sua reale natura di associazione mafiosa che, proprio perché tale, è capace di penetrare in strati sociali diversi, di acquisire alleanze e complicità, basate spesso sulla paura, ma a volte anche su calcoli di convenienza: pacchetti di voti per i politici, laute parcelle o buoni affari per professionisti e burocrati, capitali a buon mercato e ostacoli alla concorrenza per gli imprenditori e così via.
Per lo stesso motivo non si è colta la capacità della ‘ndrangheta di progettare a lungo termine anche nei settori più delicati: un boss di San Luca è stato intercettato mentre programmava di concentrare tutti i voti controllati dalle cosche su sei candidati di assoluta fiducia, strategicamente scelti sul territorio, da far eleggere al consiglio provinciale e da portare, dopo un’adeguata sperimentazione, prima al consiglio regionale e poi al parlamento nazionale, così da avere in quelle sedi uomini propri, superando la mediazione spesso troppo complessa o ritenuta poco affidabile dei partiti. Quel progetto è stato stroncato dagli arresti, ma credo meriti ancora una attenta riflessione. E lo stesso cono d’ombra informativo ha impedito fin qui di cogliere non solo la diffusione dell’omertà e del silenzio in tante province lombarde, come denunziato dalla procura della Repubblica di Milano, ma, ancora e di più, la presenza della ‘ndrangheta in tanti settori dell’economia dell’Italia centrale e settentrionale, luogo ideale per investire, senza destare troppo l’attenzione, le somme ingentissime di cui le cosche dispongono. Chiarissimo è stato in questo senso l’allarme del Governatore della Banca d’Italia. E bisogna evitare l’illusione che si possano accettare, specie in questi periodi di crisi, i capitali della ‘ndrangheta lasciando fuori dalla porta chi quei capitali offre: prima o poi costui presenterà il conto non solo con la sua forza economica, ma anche con la minaccia, implicita o esplicita, di ricorrere alla violenza. Ecco perché credo che le indagini condotte in questi anni in varie parti d’Italia siano preziose. Esse dimostrano la gravità e la pericolosità del fenomeno: per contrastarlo è necessaria l’attività di repressione da condurre, con tutte le risorse necessarie, secondo criteri di massimo rigore, ma nell’assoluto rispetto delle garanzie processuali e dei principi costituzionali; con la precisa consapevolezza che bisogna contrastare la ‘ndrangheta tanto in Calabria, dove ci sono il cuore e la testa dell’organizzazione, quanto nel Nord Italia dove ci sono le sue ramificazioni e la sua espansione economica. Ma la repressione non basta. È necessaria la reazione della società civile, con tutte le sue articolazioni, ognuna delle quali può svolgere un ruolo prezioso, innanzi tutto agendo secondo le regole e contrastando il silenzio e l’omertà: così si può sconfiggere questo cancro della società, come l’hanno definito i vescovi italiani, che mette a rischio l’economia e la democrazia del nostro Paese.  Giuseppe Pignatone (Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria) 24 marzo 2011


L’Ortomercato, il movimento terra e il riciclaggio di denaro sporco

Commissione parlamentare antimafia XV Legislatura

La mafia calabrese

L’intervento dell’Autorità giudiziaria ha anche portato alla luce l’infiltrazione diffusa e organica in un settore strategico dell’economia lombarda, e quello relativo all’insediamento o meglio reinsediamento della cosca Morabito-Bruzzaniti-Palamara all’interno dell’Ortomercato di Via Lombroso.
L’Ortomercato di Milano è il più grande d’Italia. Ogni notte vi fanno capo centinaia di camion che distribuiscono i prodotti in tutta la regione. Dei tremila lavoratori impiegati quasi la metà sono irregolari. Il giro di affari è di 3 milioni di euro al giorno con 150 tra imprese e cooperative interessate.
Già nel 1993 un’indagine della Dda di Milano aveva messo in luce un commercio di cocaina e di eroina tra Italia, Sud-America e Thailandia per trecento chilogrammi di sostanze al mese che viaggiavano appoggiandosi alla Sical Frut una società che operava presso l’Ortomercato di Milano e rispondeva allo stesso clan dei Morabito.
L’ordinanza di custodia cautelare emessa in data 26.4.2007 nei confronti di Salvatore Morabito, Antonino Palamara, Pasquale Modaffari e altre 21 persone ha messo in luce che la cosca Morabito-Bruzzaniti grazie all’arruolamento dell’imprenditore Antonio Paolo titolare del consorzio di cooperative Nuovo Co.Se.Li. era riuscita ad utilizzare le strutture dell’Ortomercato e i suoi uffici come punto di riferimento per gli incontri, e logistico per la gestione di grosse partite di sostanze stupefacenti.
Tra di esse i 250 chilogrammi di cocaina provenienti dal Sud America, giunta in Senegal a bordo di un camper e sequestrati in Spagna dopo aver viaggiato sotto la copertura di un’attività di rallye.
La cosa che più inquieta è che Morabito, appena terminato nel 2004 il periodo di soggiorno obbligato ad Africo, grazie all’arruolamento dell’operatore economico Antonio Paolo, aveva goduto per i suoi spostamenti all’interno dell’area commerciale addirittura di un pass rilasciato dalla So.Ge.Mi. e cioè la società che gestisce per conto del Comune di Milano l’intera area dell’Ortomercato.
Al punto che il Morabito entrava nell’Ortomercato con la Ferrari di sua proprietà. Tale mancanza di controlli appare peraltro diretta conseguenza del fatto che da tempo l’area, nonostante la gestione comunale, era divenuta “zona franca”, controllata da un caporalato aggressivo, padrone del lavoro nero e all’interno della quale il Presidio di Polizia risultava chiuso da anni, mentre i Vigili Urbani evitavano quasi sempre di intervenire.
La capacità di influenza di Morabito era giunta al punto che il suo “controllato”, Antonio Paolo, aveva acquistato le quote della società Spam srl che, per ragioni di certificazione antimafia Morabito e i suoi associati non avevano più potuto gestire formalmente, e tale società aveva chiesto e ottenuto dalla So.Ge.Mi., e quindi in pratica dal Comune, la concessione ad aprire nello stabile di Via Lombroso, ove peraltro ha sede la stessa So.Ge.Mi il night club “For the King”, inaugurato il 19.4.2007 alla presenza di noti boss della ‘ndrangheta come, tra gli altri, Antonino Palamara. Il sequestro preventivo delle quote sociali della Spam è stato adottato dal GIP di Milano e confermato dal Tribunale del Riesame il 5.6.2007.
I provvedimenti dell’autorità giudiziaria di Milano con i quali sono state sequestrate le quote sociali della Spam srl evidenziano un’altra ragione di interesse. Antonio Paolo, dopo aver rilevato la società nella quale Morabito era rimasto il socio occulto e il vero dominus, aveva ottenuto dalla Banca Unicredit ed esattamente dalla filiale della centrale via San Marco di Milano un anomalo finanziamento di 400mila euro che doveva servire a pagare le spese della ristrutturazione del night For the King, peraltro a posteriori, visto che la ristrutturazione era già avvenuta.
Ciò mette a nudo un sistema col quale non solo qualche Cassa Rurale di provincia ma anche istituti maggiori assicurano finanziamenti a noti esponenti mafiosi senza effettuare i controlli necessari e senza chiedersi chi siano i soggetti così indebitamente favoriti.
Un’altra conseguenza significativa dell’indagine relativa alle infiltrazioni della ‘ndrangheta nell’Ortomercato è stato il sequestro propedeutico alla confisca di numerose quote societarie e beni immobili per un valore complessivo di quasi quattro milioni di euro effettuato nei confronti di due fiduciari del gruppo Morabito-Bruzzaniti e cioè Francesco Zappalà, un dentista che non aveva mai esercitato la sua professione medica, ma che disponeva a Milano di una villa lussuosa e del suo braccio destro Antonio Marchi.
L’evidente sproporzione tra i redditi dichiarati e gli investimenti societari e immobiliari effettuati certamente come prestanome della cosca di riferimento, ha consentito infatti il sequestro di quote sociali di varie società utilizzate per l’acquisto di immobili, di appartamenti e bar a Milano, uno dei quali in zona abbastanza centrale, di una villa con box a Cusago nell’hinterland milanese, di terreni nel torinese, di appartamenti a Massa Carrara e a Finale Ligure nonché di terreni a Bova Marina, nel reggino, zona di provenienza di quasi tutti i componenti del gruppo.

L’inchiesta Dirty Money

Lo scenario dell’indagine chiamata Dirty Money, resa possibile da una stretta collaborazione tra le autorità elvetiche e quelle italiane, vede, secondo la ricostruzione dell’accusa, la presenza della cosca Ferrazzo di Mesoraca (KR) ramificatasi in Lombardia tra Varese e Ponte Tresa e in Svizzera a Zurigo. Proprio qui vengono allestite due grosse “lavatrici”, e cioè due società finanziarie, la Wsf ag e la Pp finanz ag che dovevano occuparsi di raccogliere i capitali di investitori svizzeri e internazionali per intervenire sul mercato Forex ed operare transazioni su divise.
In realtà tali finanziarie erano divenute il luogo ove depositare e far transitare ingenti somme provenienti dalle attività illecite della cosca. A partire dall’inizio degli anni 2000, era iniziata la programmata spoliazione delle società stesse, con il dirottamento dei capitali, sia quelli di provenienza illecita sia quelli affidati dagli investitori a conti offshore e società nella disponibilità degli amministratori, tutti legati direttamente o indirettamente alla ’ndrangheta.
Prima che il caso esplodesse e che nel 2003 fosse dichiarato il fallimento di entrambe le società operanti in Svizzera, con la distrazione di decine di milioni di franchi, l’obiettivo dell’operazione era il reimpiego dei capitali puliti in investimenti immobiliari di prestigio in Sardegna e in Spagna, sempre controllati dalla cosca regista del progetto.
Tali investimenti, che avrebbero così consentito di far rientrare in Italia e di ripulire somme notevoli in attività formalmente lecite, sono stati interrotti solo dalle indagini.
L’indagine Dirty Money, caratterizzata da complessi accertamenti finanziari, costituisce un passo importante perché forse per la prima volta in Lombardia non ci si è trovati di fronte al caso tipico di riciclaggio reso possibile dall’intervento di un funzionario di banca compiacente o al riciclaggio consueto in esercizi di ristorazione.
È un fenomeno ben diverso e, per così dire, “strutturale”, costituito dalla scelta del gruppo criminale di allestire in proprio una grossa macchina societaria, funzionale ai suoi scopi e utilizzata non solo per inghiottire i depositi degli investitori, ma per ripulire ingenti masse di denaro provenienti dalle attività illecite condotte in Italia.
Le indagini attualmente più significative evidenziano preoccupanti segnali della persistente presenza di organizzazioni di tipo mafioso, che, soprattutto nell’area metropolitana di Milano e nelle province confinanti, si caratterizzano più per una capillare occupazione di interi settori della vita economica e politico-istituzionale, che per la tradizionale e brutale gestione militare del territorio in connessione con le attività tipiche delle associazioni mafiose: dal traffico di stupefacenti all’usura, allo sfruttamento della prostituzione e alle estorsioni in danno dei pubblici esercizi, ecc..
In sostanza, nelle zone a più alta densità criminale, Rozzano, Corsico, Buccinasco, Cesano Boscone, per citarne alcuni, le tradizionali famiglie malavitose di origine meridionale, sempre più saldamente radicate al territorio, hanno iniziato a gestire e a sfruttare le zone di influenza, stringendo, dal punto di vista istituzionale, alleanze con spregiudicati gruppi politico-affaristici e, dal punto di vista economico, inserendosi nel campo imprenditoriale con illimitate disponibilità economiche.
Altra indagine di rilievo nasce dagli accertamenti espletati dal Ros Carabinieri, in aggiunta a quelli già svolti dalla Dia in relazione ad un esposto anonimo, che segnalava inquietanti rapporti tra personaggi di un Comune dell’hinterland milanese e gruppi malavitosi organizzati di stampo mafioso localizzati nel medesimo comune e in quelli limitrofi.
Le più recenti acquisizioni investigative hanno anche confermato l’esistenza in un altro Comune dell’hinterland milanese di un gruppo politico-affaristico ed un continuo riferimento ai “calabresi”, anche in relazione alle recenti elezioni amministrative. Nell’ambito di un altro procedimento penale è emerso il coinvolgimento di elementi appartenenti alla Cosca di Isola Capo Rizzuto nell’acquisizione illecita degli appalti dell’alta velocità ferroviaria e del potenziamento dell’autostrada Milano-Torino in diverse tratte lombarde.
Avvalendosi delle potenzialità fornite dalla prima piazza economico finanziaria a livello nazionale, la ‘ndrangheta attua il riciclaggio e/o il reimpiego dei proventi derivanti dalla gestione, anche a livello internazionale, di attività illecite (traffico di sostanze stupefacenti, armi ed esplosivi, immigrazione clandestina, turbativa degli incanti, ecc.), inserendosi insidiosamente nel tessuto economico legale, grazie all’esercizio di imprese all’apparenza lecite (esercizi commerciali, ristoranti, imprese edili, di movimento terra, ecc).
La prevalenza criminale calabrese, peraltro, non è mai sfociata in assoluta egemonia, sicché altre organizzazioni italiane (Cosa nostra, Camorra e Sacra Corona Unita) e straniere (albanesi, cinesi, nord africane, ecc.) con essa convivono e si rafforzano, generando l’attuale situazione di massima eterogeneità.

Le attività della ‘Ndrangheta in Lombardia

In definitiva, quanto alle caratteristiche peculiari delle organizzazioni criminali monitorate, è stato possibile individuare due distinte realtà territoriali, le quali hanno, però, mostrato un’incidenza criminale omogenea: Milano e il suo hinterland, quale centro nevralgico della gestione di attività illecite aventi connessioni con vaste zone del territorio nazionale; area brianzola (Province di Milano, Como e Varese), dove il denaro proveniente dalle attività illecite viene reinvestito in considerazione della “felice” posizione geografica che la vede a ridosso del confine con la Svizzera e della ricchezza del tessuto economico che la caratterizza.
Nel corso degli ultimi anni, una ulteriore conferma della forte presenza della ‘ndrangheta si è rilevata nell’area dell’hinterland sud–ovest del capoluogo lombardo (in particolare nei comuni di Corsico, Cesano Boscone, Rozzano, Buccinasco, Trezzano sul Naviglio ed Assago) con particolare riferimento alle ‘ndrine provenienti dalla Locride, nonché dalla piana di Gioia Tauro.

Le principali ‘ndrine sono: “Morabito-Bruzzaniti-Palamara”, “Morabito-Mollica”, “Mancuso”, “Mammoliti”, “Mazzaferro”, “Piromalli”, “Iamonte”, “Libri”, “Condello”, “Ierinò”, “De Stefano”, “Ursini-Macrì”, “Papalia-Barbaro”, “Trovato”, “Paviglianiti”, “Latella”, “Imerti-Condello Fontana”, “Pesce”, “Bellocco”, “Arena-Colacchio”, “Versace”, “Fazzari” e “Sergi”.

Geograficamente il territorio lombardo può essere così suddiviso:

  • A Milano e hinterland opera attivamente la Cosca Morabito-Palamara-Bruzzaniti, che, tra l’altro, “utilizza” varie società aperte presso l’ortomercato, per fare arrivare nella metropoli ingenti “carichi di neve”, la cui domanda si è capillarmente diffusa tra i vari ceti sociali.
  • A Monza le “famiglie” Mancuso, Iamonte, Arena e Mazzaferro; • A Bergamo, Brescia e Pavia le “famiglie” Bellocco e Facchineri;
  • A Varese, Tradate e Venegono le “famiglie” Morabito e Falzea;
  • A Busto Arsizio e Gallarate la “famiglia” Sergi.

Le categorie economiche maggiormente a rischio di infiltrazione da parte della criminalità organizzata si possono indicare così:

  • – costruzioni edili attraverso piccole aziende a non elevato contenuto tecnologico, che si avvalgono della compiacenza di assessori ed amministratori locali amici e si infiltrano negli appalti pubblici;
  • – autorimesse e commercio di automobili;
  • – bar, panetterie, locali di ristorazione;
  • – sale videogiochi, sale scommesse e finanziarie;
  • – stoccaggio e smaltimento rifiuti;
  • – discoteche, sale bingo, locali da ballo, night clubs e simili (che implicano possibilità di conseguire ingenti incassi e di fare “girare” droga);
  • – società di trasporti;
  • – distributori stradali di carburante;
  • – servizi di facchinaggio e pulizia;
  • – servizi alberghieri;
  • – centri commerciali;
  • – società di servizi, in specifico, quelle di pulizia e facchinaggio.

I canali attraverso i quali viene “lavato” il denaro appaiono i più ingegnosi e diversificati. Recenti inchieste, ad esempio, raccontano che le cosche sono sempre più interessate ai cosiddetti Money transfert, gli sportelli da cui gli stranieri inviano denaro all’estero.
Sul territorio nazionale restano gli euro puliti dei lavoratori extracomunitari, fuori dai confini si volatilizzano i soldi sporchi. Altro canale utilizzato è quello dei supermercati e dei loro scontrini.
I registratori di cassa, emettono ricevute a raffica, anche con qualche cifra in più; così gli ‘ndranghetisti stanno aprendo catene di negozi e centri commerciali in società con cinesi. Altro settore su cui scommette la criminalità calabrese è quello dei giochi: nell’anno 2006, in Lombardia, i locali specializzati hanno fatturato 4,6 miliardi di euro, laddove le sale scommesse (54 in Lombardia, 41 in Milano e provincia) hanno registrato 1,5 miliardi di euro di puntate, il 55 per cento in più rispetto all’anno precedente.
Le cosche calabresi hanno fatto un definitivo salto di qualità, non limitandosi più a dare vita a delle s.r.l., ma anche a S.p.A., acquisendo, come nelle società quotate in borsa, i trucchi della scatole cinesi. La ‘ndrangheta è diventata, peraltro, una autentica banca parallela, “aiutando” imprenditori in difficoltà, offrendo fideiussioni bancarie e prestiti.
Negli istituti di credito i protetti dalle cosche ottengono “affidamenti mafiosi” per attività perennemente in perdita o mutui per immobili già di proprietà dell’organizzazione perché i direttori della filiale bene sanno che le garanzie sono altrove.
In cambio lo sportello “’ndranghetista” riceve capitali puliti o deleghe per conti correnti ed assegni da utilizzare nei circuiti ufficiali. Gli adepti, per i loro traffici, utilizzano internet con abilità singolare, ma, al contempo, doppi fondi e spalloni, criptano le loro comunicazioni con sistemi come Voip e Skype e poi parlano al telefono con l’antichissimo linguaggio dei pastori.
La ‘ndrangheta ha costruito una rete fatta di broker e commercialisti, avvocati e dirigenti di banca: una mafia “invisibile” più profusa alle transazioni online che ai picchetti armati ed alle estorsioni (in Lombardia, l’unica faida in corso insanguina la provincia di Varese, zona calda per la presenza dell’aeroporto di Malpensa) e le armi che continuano a pervenire dall’est europeo e dalla Svizzera vengono riposte negli arsenali.
In quanto “globale e locale” da semplice organizzazione si è tramutata in sistema.

 


11.11.2018 – «La ‘Ndrangheta ha colonizzato il Nord Italia»

Alessandra Dolci, magistrato soresinese, capo della procura distrettuale antimafia di Milano, racconta il volto nuovo della mafia.
«Attività variegate. Il traffico dei rifiuti l’ultimo business. Hanno un profilo basso per acquisire il consenso sociale»
Venerdì mattina era a Reggio Emilia, al convegno organizzato dai commercialisti sull’attività dell’amministrazione giudiziaria nel contrasto alle attività delle organizzazioni criminali. Il pomeriggio, il procuratore aggiunto Alessandra Dolci, origini soresinesi, capo della procura distrettuale antimafia di Milano, vincitrice, ad ottobre, del prestigioso ‘Premio Borsellino 2018’ e da oltre trent’anni in prima linea nella lotta contro la ‘Ndrangheta, era a Cremona, a Palazzo Cittanova, all’incontro organizzato dallo Zonta Club (ne è presidente Cristina Piazzi), moderato da Francesca Morandi, giornalista de La Provincia. Il procuratore aggiunto Dolci ha, tra le altre, coordinato l’operazione ‘Crimine-Infinito’, la più importante indagine antimafia: oltre 200 arresti, da Milano a Reggio Calabria). Al Cittanova ha raccontato il volto nuovo della ‘Ndrangheta che più che «essersi infiltrata», ha ormai «colonizzato» il Nord Italia. Quel volto imprenditoriale con interessi variegati: edilizia, sanità, ristorazione, compravendite immobiliari. L’ultima frontiera del business, il traffico illecito dei rifiuti. «Hanno un profilo basso per acquisire il consenso sociale». LA PROVINCIA DI CREMONA

 


11.11.2015 – ‘Ndrangheta a Milano, l’allarme di Ilda Boccassini: “Colonizzata parte dell’hinterland”

 
E’ un grido d’allarme quello che il procuratore capo di Milano, Edmondo Bruti Liberati, a quattro giorni dalla pensione, lancia nel suo ‘Bilancio di responsabilità sociale’, una sorta di analisi di un anno di lavoro della procura. Alla fine della sua relazione, Bruti – che ha ricordato anche le vittime della sparatoria in tribunale (“il modo migliore per onorarne la memoria, è impegnarsi ciascuno nel proprio ruolo”) – è stato applaudito da magistrati e avvocati che si sono alzati in piedi.
“Il servizio giustizia a rischio paralisi”. Le gravi carenze di organico amministrativo chiamano la politica a interventi urgenti, “altrimenti la procura rischia la paralisi”. Perché “si è giunti a un punto limite”, accusa Bruti. Serve “un intervento riformatore sul processo penale, in difetto del quale tutto l’impegno organizzativo rischia di diventare vano”. Il procuratore ricorda anche come il personale amministrativo “preveda 379 unità, mentre in servizio ce ne sono 295”. La “scopertura si attesta così al 22 per cento, ben superiore alla media nazionale (18,50)”. Una situazione molto critica, visto “che le carenze più gravi riguardano le qualifiche professionali fondamentali”.
Bilancio Procura Miliano, Bruti: “Intercettazioni strumento essenziale per le indagini”
Spese diminuite del 44 per cento. Le spese di gestione della procura “si sono ridotte del 44 per cento” nel quadriennio 2011-2014, a seguito di una diminuzione rilevante delle spese di giustizia (legate alle attività di indagine). Mentre sono aumentate del 128 per cento le entrate, un dato legato in particolare alle somme in sequestro “che hanno raggiunto i 120 milioni di euro”. Uno dei punti su cui ha puntato maggiormente il procuratore in questi anni, è stata anche la diminuzione dell’uso delle intercettazioni telefoniche nelle indagini. Nel quadriennio la riduzione “è stata del 48 per cento e del 14 per cento nell’ultimo anno. Nell’anno 2009-2010, i soggetti intercettate dalla procura erano 14.125 unità”. Nell’anno scorso – dati aggiornati a giugno – il numero è sceso a 7.277.
“Colonizzazione della ‘ndrangheta”. E’ impressionante il rapporto della Direzione distrettuale Antimafia di Ilda Boccassini. Secondo il rapporto di un anno di attività, soprattutto la ‘ndrangheta sembra aver messo radici in pianta stabile a Milano e nell’hinterland. Secondo Boccassini, “alcuni piccoli paesi della Calabria (San Luca, Vibo Valentia, Rosarno, Limbadi, Grotteria e Giffoni), hanno di fatto colonizzato alcuni comuni dell’hinterland. Si è trattato di una sorta di colonizzazione al contrario. Se di regola la colonizzazione presuppone una sorta di superiorità economica e culturale del colonizzatore sul colonizzato, la persuasiva presenza della ‘ndrangheta in territorio lombardo fa registrare un fenomeno esattamente inverso, dove una sottocultura criminosa ha la meglio in aree altamente industrializzate e ricche di servizi pubblici”.
Bruti: “Expo? Le indagini non si sono fermate”
Expo, “indagini rapide”. L’analisi del procuratore non poteva tralasciare Expo che ha impegnato anche i magistrati per mesi. La Procura di Milano si è mossa “con eccezionale rapidità” permettendo “alla struttura Expo 2015 di adottare tempestivamente i provvedimenti per la sostituzione dei manager” arrestati. Qualcuno, ha aggiunto Bruti nella sua relazione, “aveva detto: ‘bene arrestare i corrotti, ma si rischia di bloccare i lavori’, ma la Procura di Milano ha gestito la situazione e ciò non è avvenuto”.
“In 4 anni recuperati 3 miliardi e 600 milioni per frodi fiscali”. La lotta alla evasione fiscale ha segnato un recupero di denaro notevole. “A Milano – si sottolinea nel bilancio sociale – tra il 2010 e il 2014 relativamente a posizioni correlate a denunzie per frode fiscale, dichiarazione infedele ed omessa dichiarazione, gli incassi sono ammontati a 3 miliardi e 611 milioni di euro”. L’attività della procura – per molti aspetti – sembra rispecchiare anche l’andamento del Paese. Sempre il dipartimento per la lotta ai reati finanziari diretto da Francesco Greco, per esempio, registra “una leggera flessione delle dichiarazioni di fallimento e quella più marcata delle richieste di concordato preventivo e segnano indubbiamente una seppur timida inversione rispetto agli anni precedenti”. Mentre nella lotta ai reati fiscali, alcune indagini condotte con la collaborazione di Banca d’Italia, ha permesso di scoprire presunte evasioni da centinaia di migliaia di euro, che, in prospettiva potrebbero garantire entrate consistenti alle casse dell’Erario.

La mappa (e gli affari) dei clan della ‘ndrangheta attivi in Lombardia

‘NDRANGHETA IN LOMBARDIA, STRUTTURA IN CONTATTO CON LA CALABRIA

Secondo l’ultimo rapporto, relativo alla seconda parte del 2016, l’importanza strategica della Lombardia ha fatto sì che la ‘ndrangheta vi insediasse, come anche in Liguria, una struttura di riferimento regionale, denominata appunto ‘la Lombardia‘. È una sorta di ‘Camera di controllo’, un organismo di coordinamento e di comunicazione con la ‘casa madre’ reggina (rappresentata dal ‘Crimine di Polsi‘) e sovraordinata rispetto alle locali (i piccoli gruppi di ‘ndranghetisti) della zona.

‘NDRANGHETA IN LOMBARDIA, MAPPA DEI CLAN

Gli interessi della criminalità organizzata calabrese in Lombardia risultano sempre più stratificati. Si passa dall’edilizia alla ristorazione e alla gestione di locali notturni: attività che, insieme al traffico di stupefacenti, hanno facilitato l’infiltrazione e il radicamento nella società lombarda, soprattutto a livello istituzionale ed economico, spesso con la compiacenza e il sostegno reciproco o addirittura l’assoggettamento di appartenenti al mondo istituzionale ed imprenditoriale. Uno dei casi più significativi è l’operazione ‘Underground’ che lo scorso anno ha riguardato un sodalizio criminale costituito da imprenditori bergamaschi e calabresi finalizzato alla corruzione e alla acquisizione di subappalti di opere pubbliche, tra le quali anche la linea ferroviaria che collega i terminal 1 e 2 dell’aeroporto di Malpensa. Nell’ambito dell’operazione non sono stati contestati reati di mafia ma i magistrati hanno riscontrato tuttavia una contiguità con famiglia di ‘ndrangheta, come quelle del Macrì-Commissodi Siderno (Reggio Calabria) e i Piromalli e i Mulè di Gioia Tauro (sempre nel Reggino).
Negli stessi mesi un’altra operazione, denominata ‘Rent’, che ha interessato le province di Milano, Mantova, Bergamo, Brescia, Bologna, Catania e Reggio Calabria, ha portato al sequestro di un patrimonio di circa 15 milioni di euro riconducibile ad alcuni imprenditori del Nord ritenuti contigui alle cosche Coluccio-Aquino di Marina di Gioiosa Ionica (Rc) e Piromallo-Bellocco di Rosarno (Rc). Dalle indagini sono emersi anche interessi nella realizzazioni di opere all’Expo 2015 come le infrastrutture di base e i padiglioni di Cina ed Ecuador.
Altri sequestri della Dia, ai danni di un imprenditore che aveva sviluppato attività tra Milano e Catania, hanno invece fatto emergere gli interessi sul territorio lombardo dei clan Pesce-Bellocco e Condello. Ma significativa è anche l’operatività della locale di Laurena di Borrello, formata dalle famiglie del reggino Ferrentino-Chindamo e Lamari, della ‘ndrina Grande Aracri di Cutro (in provincia di Crotone) e della cosca Marrazzo di Belvedere Spinello (ancora nel Crotonese). Nel basso Milanese intanto è risultata attiva, tramite la famiglia Ietto, la locale di Natile di Careri (Rc). In provincia di Brescia si registrano nel traffico di droga interessi della famiglia Franzè di Fabrizia (Vibo Valentia). Per quanto riguarda la Brianza, poi, la Dia ha segnalato l’attività di affiliati alla locale di Seregno. Mentre nel Pavese emersi interessi del clan Arena di Isola Capo Rizzuto (Kr). Va poi segnalata l’operazione ‘Pecunia Olet’ riguardante il traffico di proventi illeciti, nell’ambito della quale sono stati effettuati sequestri per circa 10 milioni tra Italia e Svizzera e che ha fatto emergere interessi delle famiglie reggine Facchineri di Cittanova (Rc) e Feliciano di Oppido Mamertina (Rc) su più province (Brescia, Bergamo, Como, Milano e Mantova).
La relazione della Dia sul primo semestre dello scorso anno racconta che la Lombardia è anche rifugio di criminali in fuga. A maggio 2016 a Lodi Vecchio(Lo) è stato arrestato un latitante che si era sottratto all’esecuzione di una misura cautelare emessa dal Tribunale di Reggio Calabria. Era contiguo alla cosche Alvaro di Sinopoli (Rc) e Pesce di Rosarno (Rc). Un’operazione della Polizia compiuta nel mese di marzo ha invece dato atto del reimpiego di capitali proventi di traffico di droga da parte delle famiglie Marando, Romeo e Calabrò, un riciclaggio avvenuto anche con l’acquisto di una farmacia in una zona centrale di Milano avvalendosi dell’operato di un direttore di un ufficio postale calabrese. Infine, sempre in relazione al traffico di stupefacenti, l’operazione ‘Mar Jonio’ conclusa dai Carabinieri ad aprile: a Milano è stata disarticolata un’organizzazione composta da calabresi contigui alla cosca Ruga-Loiero-Metastasio di Monasterace (Rc).


4.3.2014 – ‘Ndrangheta in Lombardia: 40 arresti. Banca clandestina a Seveso: giro d’affari da centinaia milioni di euro

Milano, 4 marzo 2014 – ‘Ndrangheta in Lombardia, blitz in Brianza. La Polizia di Stato di Milano, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Milano, ha eseguito numerosi arresti nei confronti di appartenenti alla ‘ndrangheta operante in Lombardia, e in particolare in Brianza. Eseguiti anche sequestri di beni (mobili, immobili e società) del valore di decine di milioni disposti dal gip del Tribunale di Milano, oltre a decine di perquisizioni. L’inchiesta ha portato all’emissione di ordinanze a carico di 40 persone (21 in carcere e 19 ai domiciliari). Gli investigatori hanno scoperto a Seveso (Monza e Brianza) una vera e propria “banca clandestina”, in cui venivano riciclati i proventi delle estorsioni e dell’usura, grazie ad un’ampia rete di società ma anche alla collusione di imprenditori e di impiegati postali e bancari. Gli arrestati sono dei presunti appartenenti alla ‘Ndrangheta operanti in Lombardia che avevano assunto anche la reggenza della ‘locale’ di Desio. (Le immagini dell’operazione)

LA BANCA CLANDESTINA – Giuseppe Pensabene (presunto capo del clan) e il suo gruppo criminale, spiega il gip, ”hanno operato come una vera e propria banca clandestina”. Si faceva chiamare “Banca d’Italia”, a Seveso, attraverso cui riciclare denaro sporco, non solo esportandolo in Svizzera e San Marino ma venivano anche reimpiegati dall’organizzazione attraverso l’acquisizione di attività economiche nel settore edilizio, negli appalti e nei lavori pubblici, nei trasporti, nella nautica, nelle energie rinnovabili e nella ristorazione. Secondo gli inquirenti, i membri dell’organizzazione avevano anche organizzato una raccolta di denaro per sostenere i familiari di ‘ndranghetisti detenuti.

IL SILENZIO DEGLI IMPRENDITORI – “Nessuno degli imprenditori o commercianti vittima di usura ha mai presentato denunzia all’autorità giudiziaria’’. L’omertà degli imprenditori, spiega il giudice, “si spiega chiaramente se si tiene conto della strategia intimidatoria tipicamente mafiosa, a volte esplicita e sfociata in concrete condotte estorsive, a volte più sottile ed implicita, esercitata dall’associazione mafiosa nei loro riguardi, strategia che ha determinato chiaramente un diffuso clima di soggezione e di omertà per i debitori usurati ed intimiditi’’.In altre parole, osserva il gip, “la presente indagine che si inserisce e costituisce integrazione e sviluppo delle altre rilevanti indagini dirette dalla Dda di Milano sul fenomeno della ‘ndrangheta lombarda rende evidente come tale struttura criminale essenzialmente unitaria risulti essersi infiltrata’’ in taluni settori “strategici della economia nazionale”.

PENSABENE E I VOTI – Domenico Zema, ex assessore in un comune della Brianza e uno dei presunti capi della locale di ‘ndrangheta di Desio, avrebbe portato ”voti” a favore dell’ex assessore regionale lombardo Massimo Ponzoni. Lo sostiene in una telefonata intercettata il presunto boss Giuseppe Pensabene. Stando a quanto riferito dall’agenzia Ansa, in una intercettazione ambientale dell’aprile 2010, parlando con un presunto affiliato alla cosca e riferendosi a Zema diceva: “…Ponzoni, Ponzoni … Lo ha appoggiato forte Zema tutte le amicizie sue, i voti suoi glieli ha dati tutti a questo Ponzoni. Poi hanno litigato”.

ERA CHIAMATO “PAPA” O “SOVRANO” – Dall’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip di Milano, Simone Luerti, emerge il ruolo preminente di Giuseppe Pensabene. La sua presenza “è costante in tutta l’attivita’ di indagine, come ideatore, direttore e gestore delle complesse operazionifinanziarie gestite dal suo gruppo criminale. Non soltanto – si legge ancora – viene chiamato ‘capo’, o addirittura ‘Papa’ o ‘Sovrano’ da alcuni degli appartenenti all’associazione mafiosa, ma le sue decisioni vengono sempre accettate e puntualmente eseguite da tutti gli associati”.

LE INTERCETTAZIONI – Il suo ”ruolo di vertice all’interno della associazione mafiosa” si e’ ancora piu’ accentuato ”a seguito della dei 170 arresti colegati all’inchiesta Infinito, che nel luglio 2010 inferse un duro colo alla ‘ndrangheta in Lombardia. In una intercettazione del marzo 2012 uno dei presunti affiliati ”commentava – scrive il gip – l’atteggiamento calmo ma inflessibile, da vero capo, usato da Pensabene Giuseppe” in una telefonata ”dicendo: ‘ho detto: il picciotto urla, il sovrano risolve, e fa business nel momento di difficolta’ Pochi giorni dopo, il 6 aprile, era lo stesso Sovrano nel suo ufficio di Seveso a spiegare il metodo da utilizzare: infiltrarsi “come polipi” che “si devono agganciare dappertutto, i tentacoli devono arrivare dappertutto, ci sono le condizioni per poterlo fare”. Secondo il giudice Luerti dimostra “come l’associazione mafiosa” guidata da Pensabene aveva cercato anche e soprattutto di penetrare nel tessuto economico per gestire e controllare le piu’ svariate attivita’ e aggiudicarsi appalti e lavori pubblici nei settori edilizio, dei trasporti della nautica e delle energie rinnovabili.

TENTACOLI A RHO – In un’altra intercettazione finita agli atti, Giuseppe Pensabene afferma: “Per i soldi sono meglio le Poste”. Il boss, infatti, per i suoi traffici preferiva utilizzare conti aperti in uffici postali da aziende vicine alla sua organizzazione. In alcuni casi, il gruppo di Pensabene poteva anche contare sulla complicità di alcuni dipendenti delle Poste, come il direttore e il vicedirettore degli uffici di Rho (Milano), entrambi agli arresti domiciliari, che non compilavano mai le dichiarazioni antiriclaggioanche a fronte di prelievi di ingenti somme di denaro.

“Alle poste è meglio perchè possiamo avere subito 100-200mila euro da usare per i nostri affari”, dice Pensabene in un’altra conversazione intercettata nel corso delle indagini. A fare notare il fatto che i controlli alle Poste siano stati alle volte meno efficienti sono stati il sostituto Giuseppe D’Amico e il procuratore aggiunto Ilda Boccassini nel corso della conferenza stampa organizzata in questura per presentare l’operazione. “A livello legislativo – ha fatto notare il pm D’Amico – bisogna intervenire perchè Poste Spa è diventata una banca a tutti gli effetti”.

ANCHE DIRIGENTI SPORTIVI TRA LE VITTIME DELL’USURA – Ci sono anche il vice presidente esecutivo del Genoa Antonio Rosati (ex presidente del Varese), e il dg della Spal Giambortolo Pozzi tra gli imprenditori finiti nella morsa dell’organizzazione della ‘ndrangheta smantellata. Fanno parte di una lunga lista di imprenditori diventati vittime. L’ex presidente della Nocerina è stato addirittura picchiato (lesione alla retina) per indurlo a pagare il debito.

BLITZ ANCHE IN PROVINCIA DI BERGAMO – Tra le persone sottoposte a ordinanza di custodia cautelare in carcere ci sono anche V.C, 41enne nato a Treviglio e residente a Calvenzano, M.M., 49enne calabrese di fatto residente ad Almè, e R.G.S., 30enne nato a Treviglio e residente a Misano Gera d’Adda.


28.10.2014 ‘Ndrangheta in Lombardia: 13 arresti, da Como a Reggio Calabria

 


14.3.2011 ‘Ndrangheta: 35 arresti in Lombardia Boss si riunivano a Niguarda e al Galeazzi

Accuse di associazione per delinquere, estorsione, spaccio di droga, minacce e smaltimento illecito di rifiuti

MILANO – Si riunivano negli uffici di due funzionari amministrativi definiti «di alto livello» degli ospedali milanesi Niguarda e Galeazzi, Giuseppe Flachi, boss noto alle cronache, e Paolo Martino, altro boss diretto esponente della famiglia De Stefano di Reggio Calabria. Lo ha affermato il procuratore aggiunto Ilda Boccassini nell’ambito dell’incontro con la stampa in cui ha illustrato l’indagine che, all’alba di lunedì, ha portato all’arresto di 35 persone. «Si tratta – ha sottolineato il magistrato – di un fatto allarmante che è stato documentato». I due dirigenti degli ospedali non sono indagati, ma quanto è stato monitorato è per gli investigatori «inquietante». Addirittura, dicono gli inquirenti, il figlio di Flachi si premurava di bonificare la zona prima di una riunione del padre in ospedale, in una sorta di piccola azione militare. In particolare, si sottolinea «la funzione dell’ospedale Galeazzi (che si trova a Bruzzano dove i Flachi sono padroni da decenni), ridotto a luogo d’incontro riservato al servizio della ’ndrangheta», scrive il gip Giuseppe Gennari. Le indagini avrebbero individuato nel «capo ufficio ricoveri» e nel «responsabile ufficio infermieri i due contatti del gruppo all’interno dell’ospedale». I due mettevano i loro uffici a disposizione di Giuseppe Flachi per i suoi incontri con altri indagati e del figlio Davide per i suoi «incontri “sentimentali”» con una donna. Secondo Gennari, «la presenza di uomini di fiducia della mafia calabrese all’interno delle strutture sanitarie lombarde era emersa in modo netto nella indagine Valle in relazione al ricovero fittizio di don Ciccio Valle e – in modo più esteso – con l’arresto di Chiriaco, vertice dell’Asl di Pavia».

IL BLITZ – Il blitz di lunedì mattina del nucleo di Polizia tributaria della Guardia di Finanza di Milano, dei Carabinieri del Ros, in collaborazione con la Polizia locale, ha portato all’arresto di 35 presunti affiliati alla ‘ndrangheta e al sequestro di beni per 2 milioni di euro. Gli arrestati sono indagati per associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione, minacce, smaltimento illecito di rifiuti e spaccio di sostanze stupefacenti. L’operazione è coordinata, oltre che dalla Boccassini, dai pm Alessandra Dolci, Paolo Storari e Galileo Proietto.

ALLARME – L’operazione giunge a quattro giorni di distanza dall’allarme lanciato nella relazione annuale della Direzione nazionale antimafia per la «penetrazione con il modello della colonizzazione» delle cosche calabresi di ‘ndrangheta in Lombardia.

[an error occurred while processing this directive]LE ATTIVITÀ –Delle 35 ordinanze di custodia in carcere richieste dalla Dda di Milano e disposte dal gip Giuseppe Gennari, ben 14 contestano l’associazione per delinquere di stampo mafioso e sono indirizzate a personaggi di primo piano della ‘ndrangheta «milanese». Oltre al boss Giuseppe «Pepé» Flachi, suo figlio Davide ed Emanuele Flachi (ritenuti legati ai Pesce di Reggio Calabria, e da decenni imperanti dalla Comasina a Quarto Oggiaro, dalla Bovisa ad Affori fino a Bruzzano), per il 416 bis sono scattate le manette anche ai polsi di Paolo Martino, considerato «diretta espressione» della famiglia reggina dei De Stefano, e di Giuseppe Romeo e Francesco Gligora considerati punti di riferimento delle cosche di Africo in Lombardia. Nel quadro che emerge dall’operazione, denominata «Redux – Caposaldo» non c’è solo la «classica» e diffusissima infiltrazione nel settore del movimento terra nei cantieri edili di Milano, ma anche la gestione della «security» in molti, notissimi, locali notturni, l’estorsione agli esercizi pubblici che sorgono nelle stazioni della metropolitana, l’attività di «pizzo» ai chioschi dei «porchettari», il controllo dei posteggi fuori dalle discoteche più celebri, gestione di cooperative appaltatrici dei servizi di trasporto in Tnt (ex Traco) e persino una «tassa» imposta a chi intendeva spacciare in alcune piazze della città. La cosca che aveva una grande «capacità di penetrazione economica» nel tessuto lombardo è riuscita anche ad acquisire «attraverso intermediari fittizi» la discoteca «De Sade» di via Valtellina.

L’allarme della Boccassini

LEGAMI CON LELE MORA – Dall’ordinanza del gip emerge anche che Martino avrebbe avuto contatti con l’imprenditore dei vip Lele Mora: nel provvedimento ci sono anche alcune telefonate tra l’avvocato Luca Giuliante, legale di Mora – e primo legale che affiancò Ruby-Karima el Mahroug – ma in relazione ad un gara d’appalto nel settore edilizio in cui è coinvolta la famiglia Mucciola. Mora e Giuliante non sarebbero indagati. Emergono anche i rapporti tra il boss e una serie di personaggi del settore dello spettacolo dei locali notturni, tra cui l’ex «tronista» Costantino Vitagliano e Luca Casadei, titolare della discoteca Hollywood. Attraverso contatti nel mondo dello spettacolo, Martino si occupava anche di promuovere la rivista «Macao», organizzando anche interviste con noti giocatori di poker, tra i quali il campione Bonavena Salvatore».

IL PIZZO AI «PANINARI» – «Il lungo elenco di estorsioni relative ai “paninari” e soprattutto il contesto in cui esse si inseriscono documentano un totale dominio del territorio da parte del gruppo mafioso». È uno dei passaggi dell’ordinanza del gip Giuseppe Gennari. Nella parte dedicata al «pizzo» imposto agli ambulanti che vendono panini a bordo dei furgoni che stazionano nei luoghi più frequentati della città, «un settore tipico di intervento dell’ndrangheta» (tra l’altro già portato alla luce l’anno scorso dai magistrati reggini nei confronti del clan Pesce), il gip sottolinea che «giammai il dominio dei clan è posto in discussione da chi subisce le regole» e che «le regole le scrivono i calabresi e non si discutono». Da quanto emerge dalle indagini, le estorsioni che riguardano anche la scelta del luogo di parcheggio e il modo stesso di esercitare l’attività commerciale, viene contestata principalmente ai Flachi. L’ambulante che non paga quanto «dovuto per la protezione» si ritrova con il mezzo bruciato e nel 2010 tra Milano e provincia sono stati diversi i furgoni distrutti dal fuoco e «come sempre tutto accade nel più assoluto silenzio, nessuno denuncia nulla, nessuno sospetta nulla».

«SOFFIATE» DALLA SORELLA SUORA – A fornire informazioni sulle indagini al boss della ‘ndrangheta Paolo Martino è una suora, la sorella Rosa Alba Maria Martino appartenente all’ordine Paolino e vicedirettrice sanitaria dell’ospedale Regina Apostolorum di Albano Laziale (Roma): «la donna sfruttava le proprie conoscenze per acquisire informazioni riguardanti eventuali procedimenti penali in corso nei confronti del fratello», scrivono i gip, spiegando che in una conversazione emerge che la suora avvisa il fratello che un collaboratore di giustizia sta rendendo dichiarazioni nei suoi confronti.

COCKTAIL ELETTORALI – L’inchiesta della Dda ha anche messo ancora una volta in luce i contatti con la ‘ndrangheta lombarda «con il mondo politico» locale. Lo ha spiegato il procuratore Boccassini: alle ultime elezioni regionali i Flachi avevano deciso di sostenere Antonella Maiolo (Pdl), che non risulta indagata. Agli atti dell’inchiesta ci sono due incontri riservati della candidata con Francesco Piccolo e Davide Flachi. Dall’inchiesta emergono anche tentativi di appoggiare personaggi politici minori, come Renato Coppola, già sindacalista, dirigente delle Poste Italia di piazza Cordusio, e candidato in Forza Italia nel 2006. Inoltre, risulta che il boss Davide Flachi, figlio di Giuseppe, partecipava a cocktail elettorali organizzati da Massimiliano Bonocore (Pdl) – figlio di Luciano Bonocore, storico esponente della destra milanese, cofondatore del Pdl – in occasione delle elezioni amministrative.

 


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