- Processo Antonio Vaccarino
- De Donno: Antonio Vaccarino collaborò alle indagini per la cattura di Bernardo Provenzano
- Mario Mori: “Vaccarino collaborava con il Sisde”
10.8.2023 Matteo Messina Denaro parla di Vaccarino, l’infiltrato dei servizi segreti
17.3.2023 Chi scriveva i pizzini di Matteo Messina Denaro? Lui stesso!
- ANTONIO VACCARINO, alias Sventonio, il sindaco 007 che corrispondeva con u Siccu
- Cosa scriveva ANTONIO VACCARINO ai magistrati .
- Tumbarello. Le ricette per Messina Denaro e la vicenda “delicatissima” di Vaccarino
- Matteo Messina Denaro, il Sisde, la Procura, Vaccarino, e il caso Tumbarello
- Il segreto sulle stragi mafiose , lo strano ruolo del presunto pentito Calcara e il calvario dell’ex sindaco di Castelvetrano
- Arrestato Vaccarino: “Favoreggiamento alla mafia”
- Vaccarino, nome in codice ‘Svetonio’ – Le lettere con Messina Denaro
ANTONIO VACCARINO
AUDIO – Deposizioni ai processi
I “Pizzini” di Messina Denaro ricevuti da ex sindaco di Castelvetrano sono autentici
Una consulenza tecnica, richiesta dalla magistratura, in passato aveva escluso la riferibilità a Matteo Messina Denaro delle missive inviate ad Antonio Vaccarino, durante il periodo in cui quest’ultimo collaborava con il Sisde al fine di arrivare alla cattura del latitante, dicono i legali.
I “pizzini” ricevuti dall’ex sindaco di Castelvetrano Antonino Vaccarino e attribuiti al boss Matteo Messina Denaro sono stati realmente scritti dal boss. Lo ha accertato la criminalista Katia Sartori, che su incarico della moglie dell’ex sindaco ha effettuato una perizia calligrafica con lo studio e la comparazione di cinque diversi documenti inviati dal capomafia alla sorella Rosalia, ad Antonio Vaccarino e ai boss Lo Piccolo.
Gli avvocati Baldassare Lauria e Giovanna Angelo – ex difensori di Vaccarino – partendo dall’ipotesi spesso avanzata che l’allora latitante si servisse di un’altra persona per la sua corrispondenza, a seguito dell’esito delle conclusioni della consulenza ritengono «assolutamente inverosimile che Matteo Messina Denaro avesse bisogno di qualcuno che scrivesse al suo posto persino per le lettere inviate dallo stesso ai familiari».
«I contrassegni particolari riscontrati analogamente in tutti i documenti analizzati – si legge nelle conclusioni della consulenza – sono caratteristici dei singoli individui. A differenza dei connotati salienti, sono personali e riconducibili ad un particolare soggetto e solo allo stesso riferibili». Una consulenza tecnica, richiesta dalla magistratura, in passato aveva escluso la riferibilità a Matteo Messina Denaro delle missive inviate ad Antonio Vaccarino, durante il periodo in cui quest’ultimo collaborava con il Sisde al fine di arrivare alla cattura del latitante, dicono i legali. «Oggi, con la comparazione di più scritti inviati a più soggetti – affermano gli avvocati Lauria e Angelo – possiamo escludere che a Vaccarino scrivesse una persona diversa. Questo ci permette di poter scardinare le teorie complottiste e le fantasie di presunti. LIVE SICILIA
Vaccarino era davvero in contatto con Messina Denaro, quella è la grafia del boss
Non sarebbe stato un amanuense a scrivere al posto del boss le lettere all’ex sindaco di Castelvetrano Antonio Vaccarino che, per conto del Sisde, aveva agganciato Matteo Messina Denaro per contribuire alla sua cattura. I loro due nomi in codice erano Alessio e Svetonio e il primo pizzino viene inviato nel 2004, dopo l’incontro di Vaccarino con Salvatore Messina Denaro, fratello del latitante, avvenuto nello studio del dottor Tumbarello.
La consapevolezza che a scrivere quelle lettere firmandosi Alessio fosse proprio il boss, arriva dai pizzini trovati a casa della sorella Rosalia, arrestata venerdì scorso per aver aiutato il fratello nella sua latitanza. La grafia è la stessa.
Oggi, per la donna è previsto l’interrogatorio di garanzia, ma è davvero difficile che potrà dare ai magistrati i veri nomi e cognomi che si celano dietro ai diversi nickname presenti nei pizzini trovati nella casa dove abitava, in via Alberto Mario, e in quella nella campagna di Contrada Strasatto.
Oltre a quello che ha portato alla sua cattura, ce ne sono tantissimi altri, forse un migliaio, compresi quelli trovati nel “covo” di via Cb31 a Campobello di Mazara. A chi appartengono nomi come Fragolina, Ciliegia, Mela, Condor, Malato, Reparto, Parmigiano?
Non è difficile ipotizzare che Fragolone (questo il nomignolo che l’ex latitante aveva dato alla sorella nelle sue “missive”) davanti ai pm farà scena muta. O, al massimo, risponderà senza di fatto rivelare nulla, proprio come il fratello.
Certo sono pizzini che contengono un sacco di cose interessanti che gli investigatori, coordinati dal procuratore di Palermo Maurizio De Lucia, dall’aggiunto Paolo Guido e dai pm Piero Padova e Gianluca De Leo, stanno cercando di decriptare, in modo da ricostruire la ragnatela di supporto alla latitanza e gli affari con alcuni imprenditori, nel corso del lungo periodo iniziato nel giugno del 1993. Ovvio, ci vorrà del tempo. Ma molte risposte sono destinate ad arrivare, a prescindere dall’eventuale collaborazione (pura utopia) della sorella del boss.
Intanto però, come dicevamo all’inizio, alcune risposte sono già arrivate.
Era proprio Messina Denaro e non uno scrivano, a comunicare per iscritto con l’ex sindaco di Castelvetrano Antonio Vaccarino.
A farlo notare è il giornalista Gian Joseph Morici, direttore de La Valle dei Templi, che ha confrontato la grafia delle lettere inviate dall’ex superlatitante alla sorella Rosalia, con quelle inviate da Alessio a Svetonio.
“Oltre alla grafia, che appare identica – scrive Morici – tanto i pizzini inviati alla sorella, quanto quelli a Svetonio, hanno un segno distintivo che a colpo d’occhio li individua come scritti dalla stessa mano. In entrambi i pizzini, il “che” è scritto con le prime due lettere in corsivo e con la vocale in stampatello, senza considerare la “c” allungata e collegata alla “h” allo stesso modo”.
Noi aggiungiamo anche un altro pizzino, inviato invece una quindicina di anni fa al boss palermitano Salvatore Lo Piccolo. Anche lì lo stesso segno distintivo.
A meno che non si voglia ipotizzare che questo ipotetico scriba si occupasse anche delle lettere inviate alla sorella (e non solo), questo dimostrerebbe che Vaccarino era davvero in contatto con Matteo Messina Denaro e che la possibilità che il boss si potesse catturare già quindici anni fa, grazie all’ex sindaco in contatto col Sisde, era reale. Ma Vaccarino fu stoppato e le cose andarono diversamente.
Egidio Morici
TP24 6.3.2023
Matteo Messina Denaro l’inafferrabile – Intervista ad Antonio Vaccarino.(Prima parte) – (Seconda parte)
1991 – (Prima parte) – A Castelvetrano si riunisce il gota di “cosa nostra”. Obiettivo, organizzare le stragi dell’anno successivo, nel corso delle quali avrebbero perso la vita Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e le rispettive scorte. A partecipare ai summit, Matteo Messina Denaro, oggi latitante e imputato nel processo in corso a Caltanissetta. Indagini, processi pentiti e depistaggi, hanno infarcito la storia post-stragi che ha visto Scarantino autoaccusarsi di aver partecipato all’attentato contro il Giudice Paolo Borsellino, salvo poi ritrattare sei anni dopo, dichiarando di essere stato un falso pentito manovrato da altri e trovando in questo conferma nelle dichiarazioni di Spatuzza, autore del furto dell’auto utilizzata per la strage. Se quello che accadde dopo la strage è stato oggetto – e lo è tutt’ora – di approfondimenti investigativi da parte della Procura della sede per la quale è processo, se in parte di quei fatti l’opinione pubblica è ormai a conoscenza, su quell’autunno del ’91 pesano ancora le ombre dei depistaggi, dei coinvolgimenti, degli interessi politici ed economici, che hanno permesso a Matteo Messina Denaro di organizzare gli attentati e vivere poi la sua lunga latitanza. Di questi ed altri aspetti, trattiamo nel corso delle tre puntate dell’intervista ad Antonio Vaccarino – ex sindaco di Castelvetrano – che con lo pseudonimo di Svetonio collaborò con il Sisde, fin quando i servizi non comunicarono ai magistrati che stava agendo per conto loro nella cattura di Matteo Messina Denaro e il giorno dopo tutta la stampa del mondo pubblicò la notizia del Sindaco 007. Mafia, politica, pentiti e depistaggi, ma anche “errori” di chi ha finito con il favorire la lunga latitanza dell’inafferrabile Matteo Messina Denaro. Perché finì Democrazia Cristiana? Chi erano gli uomini all’interno del partito che avevano timore di una corrente che voleva far pulizia all’interno del partito? Strage di Via D’Amelio, perché? Matteo Messina Denaro fa paura? A chi?
2007 – (Seconda parte) – Sono trascorsi 12 anni da quando l’operazione condotta dal Sisde con Vaccarino-Svetonio sembrava dover raggiungere il risultato della cattura di Matteo Messina Denaro. Perché fallì il piano per la cattura di Matteo Messina Denaro? Ne parliamo con l’ex sindaco di Castelvetrano che nel corso dell’intervista ci racconta particolari inediti della cosiddetta “Operazione Palma”, quando, a seguito delle propalazioni dello pseudo pentito Vincenzo Calcara vennero arrestati per mafia soggetti poi risultati innocenti. Mafia-appalti, l’inchiesta della quale nessuno sembra voglia parlare, affidata al Giudice Paolo Borsellino, dopo sue insistenti richieste, e comunicata allo stesso alle 7 del mattino del 19 luglio 1992, il giorno della strage. Un’inchiesta archiviata subito dopo la morte del Giudice Borsellino. La lettera a Pietro Grasso, superprocuratore antimafia. Nella puntata successiva, tutti i documenti atti a provare l’inaffidabilità di quanti accusarono ingiustamente persone innocenti, evitando accuratamente di fare il nome di Matteo Messina Denaro. Gian J. Morici
Mafia, antimafia, fede e politica Firmato Messina Denaro Tra le poche cose che fanno di Matteo Messina Denaro un uomo in carne e ossa e non un fantasma c’è un carteggio. Risale ad alcuni anni fa, ma offre, ancora oggi, una delle rare opportunità per entrare nella mente del boss latitante. Per provare, nel giorno del suo cinquantaquattresimo compleanno, a capire come riesca a fuggire ormai da 23 lunghi anni.
Se c’è qualcosa che lo manda su tutte le furie sono gli errori, le leggerezze che possono costare caro. Figuriamoci se a commetterli è stato uno come Bernardo Provenzano. Al momento del suo arresto, il capo si era fatto trovare con una pila di pizzini, alcuni dei quali a firma “Alessio”, lo pseudonimo di Messina Denaro.
“La devo informare di alcune vicende accadute. Come lei sa a quello hanno trovato delle lettere. In particolare delle mie pare ne facesse collezione. Non so perché ha agito così e non trovo alcuna motivazione”: scriveva così nel giugno del 2006 il boss trapanese a Svetonio, e cioè l’ex sindaco di Castelvetrano, Tonino Vaccarino. Al suo nome si era risaliti perché veniva citato nei pizzini trovati a Provenzano nel covo di Montagna dei cavalli. L’inchiesta per mafia nei confronti del politico venne archiviata. Anni dopo si sarebbe scoperto che Vaccarino era stato assoldato dai servizi segreti per stanare il latitante. Fra Alessio e Svetonio ci fu una lunga corrispondenza fra il 2004 e il 2006. Le lettere di Alessio erano state scritte dalla stessa mano che aveva firmato quelle trovate nel covo di Montagna dei cavalli e attribuite a Messina Denaro. Stessa mano ma contenuti che sembravano pensati da persone diverse.
Il capo della mafia trapanese si fidava di Svetonio che era stato amico del padre, Ciccio Messina Denaro. A lui aveva deciso di confidare il suo stupore e di attribuirgli il nome in codice per evitare che si potesse risalire alla sua vera identità: come era potuto accadere che un personaggio del calibro di Provenzano avesse messo nelle mani dei poliziotti le lettere, sue e di altri boss. Proprio lui, che aveva fatto della prudenza la regola vincente per diventare l’inafferrabile capo di Cosa nostra.
Le lettere di allora tracciavano un ritratto del boss che non sappiamo quanto corrisponda a quello di oggi. Un boss che amava il lusso, le belle donne, gli affari milionari, e s’interessava di cultura e politica. Ed anche uno stratega. A una precisa strategia, infatti, rispondeva con tutta probabilità la scelta di non scrivere le lettere di suo pugno anche se una serie di riferimenti portavano inequivocabilmente a lui. Uno psicologo incaricato dalla polizia di studiare le sfaccettature della personalità del boss, leggendo tra le righe di quella corrispondenza, ipotizzò che un misterioso scrivano elaborasse i suoi pensieri su commissione. Messina Denaro gli affidava le sue riflessioni e lui le elaborava in modo articolato, ricco di citazioni, colto.
Messina Denaro parlava anche di politica: “Oggi per essere un buon politico basta che faccia antimafia, più urla e più strada fa, ed i politici più abietti sono proprio quelli siciliani che hanno sempre venduto questa nostra terra al potente di turno. Troppo semplicistico per lo stato italiano relegare il fenomeno Sicilia come un’orda di delinquenti. Abbiamo più storia noi che questo stato italiano”.
Si rammaricava del fatto di non avere potuto studiare: “Io qualche rimpianto nella vita ce l’ho. Il non avere studiato è uno di essi. E’ stato uno dei più grande errori della mia vita. La mia rabbia peggiore è che ero un bravo studente. Se potessi tornare indietro conseguirei la laurea. Non dico ciò perché avrei voluto un’altra vita, no io sono soddisfatto della vita che ho avuto e la rifarei. Vorrei la laurea solo per me stesso”.
Parlava di fede: “In me in passato non c’è stato niente di soprannaturale e il supremo. Tutto è accaduto al di là della mia volontà. Poi ad un tratto mi accorsi che qualcosa dentro di me si era rotta. Mi resi conto di avere smarrito la mia fede. Mi sono convinto che dopo la vita c’è il nulla, e sto vivendo per come il fato mi ha destinato”. 27.4.2016 LIVE SICILIA
Nome in codice Svetonio – Le lettere con Messina Denaro Si firmava Svetonio nella corrispondenza con Matteo Messina Denaro. Si era guadagnato la fiducia di Bernardo Provenzano. Ha collaborato con i servizi segreti. Uomo influente, ieri come oggi. Chi è davvero Antonino Vaccarino, nato a Corleone, 74 anni fa e arrestato con l’accusa di avere favorito la mafia passando ad un vecchio amico e boss notizie investigative riservate?
Il 6 maggio 1992 Vaccarino viene arrestato nel blitz “Palma”. Con il gotha della mafia trapanese condivide le accuse di associazione mafiosa e traffico di droga. In primo grado il Tribunale di Marsala lo condanna a diciotto anni di reclusione, anche sulla base delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Vincenzo Calcara.
Sotto processo ci sono pure don Ciccio Messina Denaro, il padre del latitante Matteo, Franco Luppino e Vincenzo Santangelo, l’uomo a cui nel 2017 Vaccarino consegna la trascrizione di un’intercettazione ricevuta dall’ufficiale della Dia Alfio Marco Zappalà. Episodio per il quale ora è tornato in carcere.
Vaccarino viene addirittura considerato il reggente della mafia di Castelvetrano. In appello, però, l’accusa di associazione mafiosa non regge. La condanna arriva per la droga e viene ridotta a sei anni.
Nel 2006 si torna a parlare di Vaccarino in occasione della cattura di Bernardo Provenzano. Nel casolare di Montagna dei Cavalli, dove finisce la latitanza del padrino corleonese, vengono trovati dei pizzini del 2004 e 2005. A scriverli è stato Matteo Messina Denaro, alias Alessio, che faceva riferimento all’amico e stimato Vac o Vc, imparentato tramite la moglie con Carmelo Gariffo, nipote di Provenzano: “… tengo a precisare che per me è una brava persona che voglio bene e che stimo…io so che lui agirà sempre In bene per tutti noi e per la nostra causa”.
Dal 2006 l’ex sindaco di Castelvetrano, c’è anche molta politica nella sua vita, finisce sotto intercettazione e si scopre che è un collaborazione del Sisde. Su indicazione dei servizi segreti Vaccarino, alias Svetonio, ha attivato una corrispondenza epistolare con Matteo Messina Denaro, tramite il cognato del capomafia di Castelvetrano, Vincenzo Panicola. Il livello di confidenza è intimo. Vaccarino spiega che è stato incaricato di stanare il latitante, ma finisce di nuovo sotto inchiesta per mafia a Palermo.
Vaccarino e Messina Denaro – Condannato l’ex sindaco L’ex sindaco Dc di Castelvetrano Antonio Vaccarino, 74 anni, processato per concorso in rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento personale con l’aggravante per mafia, è stato condannato dal Tribunale di Marsala a sei anni di carcere. Vaccarino era stato arrestato il 16 aprile del 2019 insieme a due carabinieri (il tenente colonnello Marco Alfio Zappalà e l’appuntato Giuseppe Barcellona, entrambi condannati oggi dal gup di Palermo Annalisa Tesoriere, il primo a quattro anni di carcere in abbreviato, il secondo a un anno con pena patteggiata), nell’ambito delle indagini sul boss latitante Matteo Messina Denaro.
Secondo i pm della Dda, l’ex sindaco, che lo scorso anno era stato scarcerato 15 giorni dopo l’arresto, per poi essere arrestato nuovamente lo scorso 10 gennaio, nel febbraio 2018 avrebbe ricevuto da Zappalà, all’epoca in servizio alla Dia di Caltanissetta, uno stralcio di una intercettazione e l’avrebbe girata a Vincenzo Santangelo, titolare di un’agenzia funebre già condannato per mafia. Ad essere intercettata fu una conversazione tra due persone che parlavano del funerale di Lorenzo Cimarosa, cugino acquisito di Matteo Messina Denaro e collaboratore di giustizia morto nel gennaio 2017 per una grave malattia. Alla prima udienza del processo, lo scorso 25 febbraio, Vaccarino chiese di rendere dichiarazioni spontanee.
“Ho sempre combattuto la mafia – si difese l’ex sindaco di Castelvetrano -. Ho contribuito alla sconfitta della sua manovalanza. Le forze dell’ordine lo possono confermare. Ho collaborato con i servizi segreti e a questo devo la mia condanna a morte da parte del sanguinario Matteo Messina Denaro. Per i mafiosi sono un morto che cammina, ma io, da ex sindaco, non fuggo. Però, mi strazia il cuore l’infamia di un favoreggiamento a persone che ho sempre combattuto”. E dopo parole di stima per i giudici, concluse dicendo che crede “nel giudizio di Dio”. Lo scorso 26 maggio, per Vaccarino i pm della Dda Francesca Dessì e Pierangelo Padova avevano chiesto la condanna a sette anni di carcere. Il pm Padova, inoltre, rivelò che Vaccarino, parlando con Santangelo, “non sapendo di essere intercettato, disse di Lorenzo Cimarosa ‘questo fango che si è pentito’”. Sul punto, però, gli avvocati difensori Baldassare Lauria e Giovanna Angelo hanno contestato che si stesse parlando di Lorenzo Cimarosa, ma i due pubblici ministeri hanno ribadito che il morto di cui si stava parlando nella conversazione intercettata non poteva che essere Lorenzo Cimarosa. 2.7.2020 LIVE SICILIA
PROCESSO VACCARINO – LAURIA: QUELLA DI ANTONIO VACCARINO È UNA STORIA DA PAZZI “Diceva Ernest Hemingway – ha dichiarato il Dottor Padova – ‘Non lasciare che la verità rovini una bella storia’. Siccome qui siamo in un’aula di giustizia io credo che invece si debba applicare un principio radicalmente opposto e cioè non lasciare che una bella storia ci impedisca di vedere i fatti”. A replicare alle parole di Padova, pubblico ministero al processo che vede imputato Antonio Vaccarino, ex sindaco di Castelvetrano, è Baldassare Lauria, avvocato difensore di quest’ultimo.
“Vaccarino è stato sottoposto al regime carcerario di Pianosa che di legale aveva ben poco. Una storia drammatica quella che vede il professore Vaccarino non come un vincente ma come un perdente. Vaccarino è una vita che insegue un significato di giustizia. Quando mi contattò disse: ‘io non posso chiudere gli occhi se non faccio chiarezza su quella porcata di sentenza che mi condanna per droga’. Quella del professore Vaccarino non è una bella storia, è una storia drammatica, una storia da pazzi.” Forse, non è soltanto una storia da pazzi, forse come suggeriva Luigi Pirandello, in un suo libro, ’Basta che lei si metta a gridare in faccia a tutti la verità. Nessuno ci crede, e tutti la prendono per pazza!’
Antonio Vaccarino, ex sindaco di Castelvetrano era stato arrestato il 16 aprile dello scorso anno, insieme al colonnello Marco Alfio Zappalà della Dia di Caltanissetta e l’appuntato scelto Giuseppe Barcellona, in servizio a Castelvetrano, nell’ambito di un’indagine su una presunta fuga di notizie. Il 26 maggio, presso il tribunale di Marsala, si è tenuta l’udienza al termine della quale i pm della Dda di Palermo, Francesca Dessì e Pierangelo Padova, hanno chiesto sette anni di carcere per Vaccarino, con l’accusa di concorso in rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento personale, con l’aggravante mafiosa. Un’udienza durata tre ore e mezzo, nel corso delle quali l’accusa ha evidenziato i trascorsi di Vaccarino, accusato dall’ex pentito Vincenzo Calcara (ritenuto un falso pentito in più sentenze) di aver fatto parte di ‘Cosa nostra’, in una posizione apicale e di aver preso parte a un traffico di stupefacenti, per la cui accusa l’ex sindaco di Castelvetrano riportò e scontò una condanna definitiva, oggi oggetto di richiesta di revisione per la quale la Procura Generale di Catania ha già espresso parere favorevole. Dall’accusa di aver fatto parte di ‘Cosa nostra’, era già stato assolto in appello. Ne bis in idem, ma questo non è sufficiente per non riportare in un’aula di tribunale le pregresse vicende giudiziarie di Vaccarino, le accuse dello screditato pentito Calcara e i rapporti dell’ex sindaco con il Sisde, poichè i pubblici ministeri proprio su questi trascorsi hanno fatto affidamento per avvalorare l’accusa, depositando atti giudiziari contestati dalla difesa dell’imputato perché inutilizzabili. Nel corso dell’esame dell’imputato le domande poste dal pubblico ministero Padova hanno avuto per oggetto principalmente due aspetti. Il primo, l’incontro avvenuto con il colonnello Zappalà presso l’abitazione del Vaccarino; il secondo, il successivo incontro tra Vaccarino e Vincenzo Santangelo. Padova ha chiesto di sapere se nel corso dell’incontro avvenuto con il colonnello Zappalà, avessero parlato dell’intercettazione inviata da questi a Vaccarino, nella quale tali Ciro e Sebastiano parlavano tra loro del funerale del collaboratore di giustizia Lorenzo Cimarosa, e che secondo l’accusa Vaccarino avrebbe successivamente consegnato al Santangelo già condannato per mafia. L’intercettazione riguardava tali Ciro e Sebastiano, che parlando tra loro facevano riferimento al fatto che Vincenzo Santangelo avrebbe organizzato a titolo gratuito il funerale di Cimarosa. Vaccarino rispondendo alle domande del pm ha dichiarato di non aver parlato dell’argomento nel corso dell’incontro con il colonnello Zappalà, precisando che l’incontro con il Santangelo – nonostante questi abitasse a 500 metri da casa sua – era avvenuto per caso e che la conversazione in merito a Ciro e Sebastiano, che Vaccarino non conosceva, nasceva dalla preoccupazione di quest’ultimo del fatto che i due avessero definito ‘fango’ il Cimarosa. “Io vivo con la minaccia di essere ammazzato – ha dichiarato Vaccarino – il chiacchiericcio che c’era anche su Cimarosa era quello che da un momento all’altro, anche lui era un morto che camminava, come me doveva essere ucciso”. Vaccarino si riferisce a Giuseppe Cimarosa, figlio del pentito Lorenzo, che nel corso di questo processo ha anche testimoniato raccontando di come dopo il pentimento del padre gli unici che lo sostennero furono l’ex sindaco Vaccarino e il figlio, il quale nel corso di un consiglio comunale ne prese anche le difese. Secondo l’accusa quando avviene l’incontro tra Vaccarino e Santangelo la polizia giudiziaria avrebbe trascritto ‘rumore di carta che viene sfogliata’, quindi il pm ha chiesto a Vaccarino se quando si è trovato a parlare con il Santangelo avesse avuto in mano una stampa dei file che gli erano stati inviati dal colonnello Zappalà. Vaccarino ha sottolineato di non aver avuto file stampati e che il fruscio poteva essere dovuto a qualsiasi altra cosa, ricordando inoltre come prima di questo casuale incontro da oltre vent’anni non avesse avuto alcun rapporto, neppure di saluto, con il Santangelo. Invero, la polizia giudiziaria non aveva messo a verbale ‘rumore di carta che viene sfogliata’, bensì ‘verosimilmente rumore di carta’. Secondo il pm Padova, Vaccarino, parlando con Santangelo, avrebbe indicato nel Lorenzo Cimarosa un ‘pezzo di fango’. Cosa dice Vaccarino a un certo punto – sostiene il pm – dice ‘che c’è andato a fare il funerale, fa finta, a questo fango che si è pentito è che si lanzò tutto.’ Chi è il fango che si è pentito e si lanzò tutto? Lorenzo Cimarosa, il padre di Giuseppe Cimarosa, parlando col quale invece Vaccarino manifesta grande solidarietà, ‘Tuo padre ha fatto la scelta giusta’, nello stesso arco di tempo, intercettato senza sapere ovviamente di essere intercettato – conclude Padova – Vaccarino come si esprime nei confronti di Lorenzo Cimarosa? ‘Questo fango”. Un voler rimarcare come Vaccarino, secondo l’accusa, nutra disprezzo nei confronti del defunto Lorenzo Cimarosa, dovuto proprio al pentimento di quest’ultimo. Però, ancor prima che l’accusa si soffermasse sulla presunta offesa alla memoria del pentito Cimarosa, lo stesso Vaccarino all’inizio dell’udienza, sia rispondendo alle domande del Pubblico Ministero che nel corso delle sue dichiarazioni spontanee, aveva fatto riferimento a quanto si erano detti Ciro e Sebastiano indicando nel Cimarosa ‘un fango’. Erano state proprio queste parole a preoccupare Vaccarino in merito a possibili pericoli che stessero correndo tanto lui quanto Giuseppe Cimarosa. Né nel corso del dibattimento il Pubblico Ministero ha contestato al Vaccarino di essere stato lui a utilizzare quel termine tanto offensivo, accettando dunque che lo stesso provenisse da quanto i due (Ciro e Sebastiano) si stessero dicendo nel corso della conversazione intercettata. Un aspetto che non è stato ignorato dalla difesa dell’imputato. “Devo dire con estrema onestà intellettuale – dichiara in udienza l’Avv. Baldassare Lauria – di avere apprezzato la requisitoria del dottore Padova nella sua ricostruzione dei fatti. Prima di questa udienza mi chiedevo come avrebbe fatto a mettere su il nulla in direzione accusatoria e invece c’è riuscito, e c’è riuscito con la polvere”. Lauria ripercorre dunque la requisitoria del pm, che a suo avviso travisa la realtà processuale, in merito all’unica intercettazione agli atti che riguarda l’imputato Vaccarino con Vincenzo Santangelo, riportata nelle memorie depositate poco prima dalla stessa accusa, evidenziando come proprio l’intercettazione depositata dall’accusa dimostri che Vaccarino aveva detto l’esatto contrario. “Cioè – afferma Lauria – una ricostruzione assolutamente falsa, infedele rispetto alla lettera della conversazione che il pubblico ministero ha la bontà di indicare integralmente nella sua memoria. Per questo dicevo che il ragionamento ricostruttivo che fa il pubblico ministero è un vero e proprio sofisma che cerca di buttare polvere negli occhi per coprire un vuoto probatorio assoluto”. Una storia da pazzi – aveva dichiarato l’avvocato Lauria riferendosi alla storia di Vaccarino. Una storia da pazzi, che vede riesumato un pentito ormai screditato, come spiega l’avvocatessa Giovanna Angelo – difensore insieme al collega Lauria, di Vaccarino – nel ribadire che l’accusa di favoreggiamento è destituita di qualsiasi fondamento, ricordando come la ricostruzione dei trascorsi dell’ex sindaco di Castelvetrano in merito all’accusa di far parte di ‘Cosa nostra’, venne puntualmente smentita dalle sentenze prodotte anche nel corso di questo processo.
Secondo l’accusa, Vaccarino, anche durante la sua collaborazione con i servizi segreti, non collaborò con l’Autorità Giudiziaria. Un aspetto contestato dall’avvocatessa Angelo che ha prodotto documentazione per dimostrare come il suo assistito più volte si offrì di collaborare con l’Autorità Giudiziaria – anche con la Procura di Palermo che oggi muove l’accusa – così come pure dimostrato dalla testimonianza a questo stesso processo, del Dottor Gabriele Paci, Procuratore Aggiunto di Caltanissetta. Una storia da pazzi quella di Vaccarino alla quale fa seguito un processo con continui colpi di scena. Le testimonianze del generale Mario Mori e del colonnello Giuseppe De Donno che hanno narrato non solo di come Vaccarino collaborò con il Sisde al fine di catturare Matteo Messina Denaro, ma anche come lo stesso Vaccarino – come dichiarato da De Donno – collaborò nella cattura di Bernardo Provenzano. Eppure, sembra che per l’accusa la collaborazione con il Sisde non sia di alcuna rilevanza.
Quali altri colpi di scena ci attendono in questo processo? Una piccola anticipazione sui prossimi articoli nel corso dei quali passeremo in esame le accuse mosse dai pm della Dda di Palermo e le repliche da parte dei difensori di Vaccarino, talune delle quali proprio sul piano tecnico, sull’utilizzazione di alcuni atti, e facendo riferimento ad aspetti normativi e di consolidata giurisprudenza, che mirano a smontare il castello accusatorio, in parte proprio partendo da aspetti inediti di questa vicenda, che vede intercettati due soggetti che parlano tra loro di un funerale, i quali non erano neppure indagati. Così come indagato non lo era neppure il Santangelo, al quale il Vaccarino si è rivolto in quell’unica conversazione intercettata per comprendere, a suo dire, se lui e Giuseppe Cimarosa stessero correndo dei rischi. Ma v’è di più. come emerso nel corso dell’udienza, l’unica indagine in corso sarebbe stata quella rispetto la latitanza di Matteo Messina Denaro. Un’indagine di almeno otto anni prima, rispetto la quale, peraltro, nulla è stato contestato a Vaccarino, e della quale, tanto l’imputato che i suoi difensori, apprendono soltanto nel corso del processo. Probabilmente, come affermato dall’avvocato Lauria, “È come se il pubblico ministero venisse da Marte, vede una comunicazione di un’intercettazione nel territorio di Castelvetrano la patria del noto latitante Messina Denaro Matteo, e ritiene quella notizia così rilevante per la vita dell’associazione mafiosa nell’articolazione castelvetranese da ritenere si possa applicare l’aggravante. Parliamo di un territorio in cui le intercettazioni sono come il pane quotidiano e nel caso in specie parliamo di uno stralcio di conversazione che aveva un contenuto assolutamente irrilevante e sterile.” Una storia da pazzi? No, soltanto una storia siciliana, nella quale hanno un ruolo determinante pentiti (poi giudicati falsi tali) soggetti non indagati e un’indagine vecchia di 12 anni addietro, su un boss latitante, un autentico fantasma, oggi imputato a Caltanissetta per le stragi nelle quali morirono i giudici Falcone e Borsellino e le loro scorte. Stragi, rispetto le quali, Vaccarino ha dato indicazioni a un colonnello della Dia incaricato dalla Procura. Che dire di Vincenzo Calcara, lo pseudo pentito che proprio mentre a Castelvetrano si pianificavano le stragi, distoglieva l’attenzione da Matteo Messina Denaro, del quale non parlò mai, e che solo dopo quasi trent’anni si ricorda di lui e vorrebbe testimoniare al processo? Una storia da pazzi, una storia tutta siciliana… Gian J. Morici 6.6.2020 LA VALLE DEI TEMPLI
Mafia, Mori a processo Vaccarino: «I suoi rapporti con il Sisde, noti dal 2004» L’ ex capo del Sisde sentito come imputato di reato connesso al processo in cui l’ex sindaco di Castelvetrano, è accusato di favoreggiamento aggravato alla mafia «Già dal 2004 parlai all’allora procuratore di Palermo, Piero Grasso, del rapporto che il Sisde aveva avviato con Antonio Vaccarino per arrivare alla cattura di Messina Denaro e per individuare la rete di imprenditori a lui vicini. Si era pensato a Vaccarino, come tramite per giungere all’arresto del capomafia in virtù delle relazioni che c’erano tra i due». A parlare del ruolo di «confidente» dei Servizi dell’ex sindaco di Castelvetrano Antonio Vaccarinio è l’ex capo del Sisde Mario Mori, sentito come imputato di reato connesso al processo in cui Vaccarino è accusato di favoreggiamento aggravato alla mafia.
Vaccarino, arrestato a fine 2019 e ancora detenuto, è coinvolto in una indagine che ha svelato una rete di talpe tra ufficiali dell’Arma che avrebbero passato informazioni segrete su inchieste a carico di Messina Denaro. In carcere finirono il carabiniere Alfio Marco Zappalà, accusato di rivelazione di notizie riservate, e l’appuntato Giuseppe Barcellona, che risponde di accesso abusivo al sistema informatico. Secondo i magistrati Barcellona, addetto a trascrivere i contenuti delle intercettazioni disposte nell’ambito della cattura del boss latitante Matteo Messina Denaro, avrebbe passato a Zappalà, funzionario della Dia di Caltanissetta, un verbale di conversazione tra due indagati in cui si faceva riferimento a dinamiche interne alla famiglia mafiosa di Castelvetrano. Zappalà a sua volta avrebbe girato l’intercettazione all’ex sindaco di Castelvetrano Vaccarino che l’avrebbe data al boss Vincenzo Santangelo, condannato per mafia in passato in un processo in cui era imputato anche l’ex sindaco. Zappalà è sotto processo in abbreviato; Barcellona ha patteggiato.
L’udienza in cui Mori, attualmente imputato in appello nel dibattimento sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, ha deposto si è svolta davanti al tribunale di Marsala.
Mori ha raccontato di aver continuato a informare Piero Grasso dei rapporti tra il Sisde e Vaccarino anche dopo il trasferimento del magistrato alla Dna e ha sostenuto che Grasso gli avrebbe assicurato che della vicenda avrebbe riferito alla Procura di Palermo. Circostanza che cozza con l’indagine che su Vaccarino i pm del capoluogo siciliano aprirono, nel 2006, dopo la cattura del boss Bernardo Provenzano. Nel covo del padrino corleonese furono trovati ‘pizzinì di Messina Denaro. Nello scambio epistolare i due boss parlavano anche di un certo Vac definendolo affidabile. Si accertò che Vac fosse Vaccarino. La Procura, dunque, sarebbe venuta al corrente dei rapporti tra l’ex sindaco e il latitante trapanese solo allora. E solo allora l’ex sindaco sarebbe stato intercettato e sarebbero stati scoperti i suoi legami con il Sisde. La notizia del ruolo di Vaccarino nel tentativo di catturare il boss uscì sui giornali, la pista per arrivare all’arresto del boss saltò e Messina Denaro scrisse una lettera all’ex amico sindaco minacciandolo di morte. Al processo che lo vede imputato a Marsala, però, Vaccarino si difende rivendicando che, come nel passato da informatore del Sisde, avrebbe solo cercato di contribuire alla cattura del capomafia trapanese. Il dibattimento è alle battute finali. Il 26 maggio dovrebbe cominciare la discussione del pm. 18/04/2020 – LA SICILIA
Processo Vaccarino, Mori: ”Era uno del Sisde e lo dissi a Grasso” Il Generale: “La Procura al corrente che il sindaco di Castelvetrano fosse un informatore” “Già dal 2004 parlai all’allora procuratore di Palermo, Piero Grasso, del rapporto che il Sisde aveva avviato con Antonio Vaccarino per arrivare alla cattura di Messina Denaro e per individuare la rete di imprenditori a lui vicini. Si era pensato a Vaccarino, come tramite per giungere all’arresto del capomafia in virtù delle relazioni che c’erano tra i due”. A raccontarlo è l’ex capo del Sisde Mario Mori che ieri ha deposto a Marsala (sentito come imputato di reato connesso dopo la condanna in primo grado a 12 anni nel processo per la Trattativa Stato mafia) in un processo per favoreggiamento alla mafia contro l’ex sindaco di Castelvetrano. Vaccarino, arrestato a fine 2019 e ancora detenuto, è coinvolto in una indagine che ha svelato una rete di talpe tra ufficiali dell’Arma che avrebbero passato informazioni segrete su inchieste a carico di Messina Denaro. Nel corso dell’udienza Mori ha anche aggiunto di avere proseguito a informare Grasso di quel rapporto Vaccarino-Sisde anche quando questi fu trasferito alla Direzione nazionale antimafia. E sarebbe stato lo stesso Grasso ad assicurargli che della vicenda avrebbe informato la procura di Palermo. Processualmente parlando, però, il dato non era mai emerso. Basta andare a rileggere le carte dell’inchiesta che fu aperta dai pm di Palermo nei confronti di Vaccarino, nel 2006, dopo la cattura del boss Bernardo Provenzano. Nel covo del boss corleonese, arrestato a Montagna dei Cavalli nell’aprile 2006, furono trovati ‘pizzini’ di “Alessio”, poi individuato come il superlatitante trapanese Matteo Messina Denaro. Nello scambio epistolare i due boss parlavano anche di un certo Vac definendolo affidabile. I magistrati accertarono che quel Vac fosse Vaccarino ed iniziarono anche ad intercettarlo. E’ nell’ambito di quell’attività investigativa che emersero contatti con utenze telefoniche intestate al Ministero degli Interni, presso la sede degli uffici del Sisde. Solo dopo la richiesta di informazioni esplicita della Procura in ordine all’esistenza di contatti tra personale del Servizio e Vaccarino, il 23 agosto 2006 l’allora direttore Mario Mori aveva confermato il rapporto spiegando la natura di quei contatti con il boss trapanese ed aggiungendo che un discorso “parallelo” fu fatto contattando Carmelo Gariffo, soggetto vicino a Bernardo Provenzano, e per promuovere un’interlocuzione anche con l’allora latitante corleonese. Quindi si scoprì che con il nome in codice di Svetonio, Vaccarino intratteneva da un paio d’anni una corrispondenza con il boss, blandendolo ed elogiandolo e offrendosi come “facilitatore politico”, tra le altre cose, anche per la realizzazione di un autogrill sull’autostrada Palermo-Trapani. Vi fu una fuga di notizie e quel rapporto tra Vaccarino ed il Sisde, finalizzato alla cattura di Messina Denaro, venne addirittura pubblicato sui giornali. Messina Denaro non fece mancare il suo disappunto, tanto che il 15 novembre 2007 inviò un’ultima lettera a Vaccarino dal contenuto esplicito ed una minaccia di morte: “…ha buttato la sua famiglia in un inferno… la sua illustre persona fa già parte del mio testamento… in mia mancanza verrà qualcuno a riscuotere il credito che ho nei suoi confronti…”. Vaccarino è stato di nuovo arrestato dal Ros un anno fa con l’accusa di avere consegnato a Vincenzo Santangelo, condannato per mafia, il contenuto riservato di un’intercettazione fatta uscire dagli uffici investigativi grazie alla complicità, secondo l’accusa, di due carabinieri, raccomandandogli: “Con l’uso che tu sai di doverne fare e con la motivazione che la tua intelligenza sa che mi spinge”.
Ma torniamo al dato originario. E’ vero che la Procura di Palermo era informata di quella attività o siamo nel solito “modus operandi” adottato da Mori nel corso della sua carriera?
Va detto che già in un’intervista a tempi.it, nel settembre 2012, Mori era intervenuto sul punto addirittura dando a Grasso una responsabilità specifica: “Individuammo un personaggio che poteva essere la pista giusta per giungere al latitante. Antonio Vaccarino era ex sindaco di Castelvetrano, il paese di Messina Denaro, e suo ex insegnante. Il boss si sarebbe potuto fidare. Vaccarino iniziò una corrispondenza col boss, attraverso pizzini. Di fatto glieli dettavamo noi, d’accordo con il procuratore palermitano Pietro Grasso (oggi senatore della Repubblica, Liberi e Uguali, ndr), con cui avevamo deciso le tappe dell’inchiesta, perché i servizi non possono svolgere attività di polizia“. Grasso dunque ha, o non ha, informato la Procura di Palermo? La domanda resta aperta perché la circostanza cozza con i dati raccolti nell’indagine del 2006. Se la Procura fosse stata messa al corrente dell’operato di Vaccarino, che senso aveva aprire l’indagine? Certo è che dopo tanti anni Vaccarino si trova nuovamente inquisito e l’accusa è pesante perché riguarderebbe proprio il favoreggiamento del boss di Castelvetrano. Nell’inchiesta finirono il carabiniere Alfio Marco Zappalà, accusato di rivelazione di notizie riservate, e l’appuntato Giuseppe Barcellona, che risponde di accesso abusivo al sistema informatico. Secondo i magistrati Barcellona, addetto a trascrivere i contenuti delle intercettazioni disposte nell’ambito della cattura del boss latitante Matteo Messina Denaro, avrebbe passato a Zappalà, funzionario della Dia di Caltanissetta, un verbale di conversazione tra due indagati in cui si faceva riferimento a dinamiche interne alla famiglia mafiosa di Castelvetrano. Zappalà a sua volta avrebbe girato l’intercettazione all’ex sindaco di Castelvetrano che l’avrebbe data al boss Vincenzo Santangelo, condannato per mafia in passato in un processo in cui era imputato anche l’ex sindaco. Zappalà è sotto processo in abbreviato; Barcellona ha patteggiato. Vaccarino, da parte sua, si difende rivendicando che, come nel passato da informatore del Sisde, avrebbe solo cercato di contribuire alla cattura del capomafia trapanese. Il processo proseguirà il prossimo 26 maggio quando, secondo il programma, dovrebbe cominciare la discussione del pm. amduemila 19 Aprile 2020 di Aaron Pettinari
LA PROCURA DÀ RAGIONE A VACCARINO SUL PROCESSO DEL 1992: QUELLO DI CALCARA FU DEPISTAGGIOGiovedì scorso si è svolta l’udienza per la revisione del processo di Antonio Vaccarino. Si tratta di quell’udienza che era stata fissata per l’8 maggio a Catania (ne avevamo parlato qui) e che, dopo gli arresti dell’ex sindaco (poi scarcerato) e dei due carabinieri, era appunto stata rinviata al 27 giugno. La revisione è relativa alla condanna di Vaccarino per traffico di droga, in seguito all’arresto del 1992 (operazione Palma). Un processo nel quale si è sempre dichiarato vittima del controverso collaboratore di giustizia Vincenzo Calcara, che fu uno dei suoi principali accusatori Ma stavolta sarebbe stata proprio la stessa Procura generale a chiedere l’accoglimento della revisione del processo, parlando delle falsità delle accuse del Calcara e facendo riferimento ad un depistaggio. Che il giudice possa accogliere la revisione diventa ormai una quasi certezza, che farebbe scaturire tutta una serie di domande, soprattutto sul depistaggio La vicenda, a questo punto, non riguarderebbe soltanto l’ingiusta condanna subita da Vaccarino per gli arresti del 1992. Soprattutto se il depistaggio venisse collegato con le stragi. In questo caso potremmo trovarci di fronte ad un altro “caso Scarantino”. Intanto Vaccarino, molto soddisfatto di un’udienza che è andata oltre le sue aspettative, ha manifestato la sua gratitudine agli avvocati Giovanna Angelo e Baldassare Lauria, “entrambi miei validissimi Difensori”. 30 giugno 2019 di Egidio Morici TP24
Vaccarino, “Stavamo per catturare Messina Denaro, informai io Piero Grasso” Il procuratore antimafia Piero Grasso era a conoscenza dell’operazione dei servizi segreti per la cattura di Matteo Messina Denaro. A dichiararlo è l’ex generale e capo del SISDE Mario Mori. Ascoltato in aula a Marsala circa due settimane fa nel processo che vede coinvolto l’ex collaboratore dei servizi Antonio Vaccarino, Mori ha infatti dichiarato in qualità di testimone di reato connesso: “Già dal 2004 parlai all’allora procuratore di Palermo Piero Grasso del rapporto che il Sisde aveva avviato con Antonio Vaccarino per arrivare alla cattura di Messina Denaro e per individuare la rete di imprenditori a lui vicini. Si era pensato a Vaccarino, come tramite per giungere all’arresto del capomafia in virtù delle relazioni che c’erano tra i due”. Una versione dei fatti che nella sostanza coincide perfettamente con quanto Vaccarino stesso ha dichiarato sulla stessa vicenda durante la nostra intervista, ma che non corrisponde nei tempi e nelle modalità alla ricostruzione dell’ex generale. Durante l’operazione dei servizi segreti nota per lo scambio epistolare tra Vaccarino e Matteo Messina Denaro, alias rispettivamente Svetonio e Alessio, ad avvisare l’allora procuratore antimafia Piero Grasso sarebbe stato lo stesso Vaccarino nonostante la ritrosia di Mori e De Donno che, a suo dire, avrebbero preferito allertare l’autorità giudiziaria in un’altra fase dell’operazione, così come previsto dal protocollo. Secondo quanto affermato dall’ex sindaco castelvetranese, oltre a questioni di tempismo e di protocollo, la mancata volontà di mettere al corrente l’autorità giudiziaria sarebbe stata legata anche ad una mancanza di fiducia, tanto che Mori e De Donno gli avrebbero confidato: “Ma di chi ci si può fidare?”, temendo forse per la buona riuscita dell’operazione. Ma nonostante la contrarietà di chi era alla guida dell’operazione, Vaccarino non si sarebbe comunque fermato: “Io ho scritto al superprocuratore antimafia di allora, che si chiama Piero Grasso, parlandogli della situazione in cui ci ritrovavamo”, ha dichiarato l’ex sindaco. “Mi sarei aspettato un intervento indispensabile per un’operazione che era ormai nella sua fase finale. Piero Grasso scrisse all’autorità investigativa di Trapani, dopo un paio di giorni sono stato convocato dalla Dia di Trapani e ho detto tutto quello che c’era da dire allo Stato. Dopo nemmeno 24 ore, tutto ciò che avevo detto ai funzionari della Dia finì su tutti i giornali e ‘stranamente’ Matteo Messina Denaro non fu più catturato”. Una cosa è certa. Sia Mori che Vaccarino sostengono comunque che Piero Grasso fosse al corrente dell’operazione. Se così fosse, allora sarebbe da chiarire il perché l’ex sindaco fu indagato dopo il ritrovamento dei pizzini di Matteo Messina Denaro nel covo di Bernardo Provenzano. La sigla Vac corrispondeva a Vaccarino. E i pizzini risalgono proprio al periodo dell’operazione del SISDE. Ma se la dichiarazione di Mori potrebbe ribaltare la narrazione dei fatti relativi al 2000, a scompaginare la storia del recente arresto di Vaccarino, Zappalà e Barcellona, accusati sulle prime di essere delle talpe del super latitante, è l’affermazione del procuratore aggiunto di Caltanissetta Gabriele Paci, ascoltato anche lui in aula a Marsala. Paci, oltre ad aver confermato il rapporto di collaborazione tra Vaccarino e il SISDE, ha anche dichiarato che le indagini del colonnello Zappalà a Castelvetrano venivano svolte proprio su sua delega. E non riguardavano la cattura di Messina Denaro, ma le stragi. “Vaccarino è stato, da parte della Procura di Caltanissetta, diciamo un portatore di informazioni”, ha dichiarato Paci – dal momento che l’ex sindaco avrebbe avuto una “rilettura critica delle vicende processuali che l’hanno riguardato”. Una lettura critica che secondo Vaccarino, ha aggiunto Paci, “per alcuni versi riguarderebbe anche la vicenda stragista, le vicende stragiste del ’92. E sotto questo profilo insomma era interesse dell’ufficio sentirlo”. Affermazioni, queste, in netta contraddizione con la possibilità che l’ex sindaco ed i due militari potessero essere delle talpe del boss. Le domande su questa vicenda dai contorni ambigui sono destinate a moltiplicarsi. Anche alla luce dell’appello che Vaccarino pochi mesi fa aveva rinnovato a Matteo Messina Denaro, approfittando delle nostre videocamere: “Matteo Messina Denaro, da tempo, comincia a diventare scomodo per quelli che lo hanno usato. Sono quasi certo che questa gente lo voglia morto. Ancora una volta l’appello che gli faccio è di dare ciò che meritano a questi che hanno strumentalizzato la tua veste di capo del nulla, se non delle malefatte, per raggiungere i loro obiettivi che ora vedono compromessi se tu continui con la latitanza. Per loro devi morire. Per me no, devi vivere. Perché devi spiegare alla collettività che ti ha dato i natali, perché sei arrivato a questo punto, chi ha manovrato alle tue spalle, chi hai manovrato tu. Matteo Messina Denaro, se mi ascolti, ti ribadisco che questa è la sorte che c’è chi ha stabilito per te”. TP24 3.4.2020
MAFIA, CHIUSE LE INDAGINI SU VACCARINO: DUE CARABINIERI AGLI ARRESTI L’ex sindaco di Castelvetrano Antonino Vaccarino I pm della Dda di Palermo hanno notificato l’avviso di conclusione delle indagini sull’ex sindaco di Castelvetrano, Antonio Vaccarino e due carabinieri. I tre furono arrestati lo scorso 16 aprile dai militari del Ros di Monreale nell’ambito delle indagini che riguardano la caccia al latitante Matteo Messina Denaro. Pochi giorni dopo il Riesame annullò gli arresti per l’ex politico Dc per «mancanza di gravi indizi di colpevolezza» mentre si trovano ancora sottoposti a misura cautelare Giuseppe Barcellona, in servizio alla compagnia di Castelvetrano, e Marco Alfio Zappala, applicato al centro operativo della Dia di Caltanissetta. Il primo è agli arresti domiciliari, il secondo è detenuto nel carcere di Enna. L’appuntato Barcellona si occupava della trascrizione delle intercettazioni telefoniche e ambientali su delega della Procura di Palermo. «Abbiamo presentato nuovamente istanza di scarcerazione – dice l’avvocato Gianni Carracci, legale di Barcellona – ma già il Riesame ha escluso che i due militari abbiano potuto favorire Cosa Nostra, per questo riteniamo inesatto il termine «talpe» utilizzato sinora per parlare dei due». L’indagine è stata coordinata dall’aggiunto Paolo Guido e dai sostituti Francesca Dessì e Piero Padova. Secondo l’accusa, Zappalà avrebbe ricevuto da Barcellona alcuni ‘screenshot’ di conversazioni tra due soggetti sottoposti ad indagine che riguarda la ricerca del latitante Matteo Messina Denaro. A sua volta il tenente colonnello della Dia avrebbe inviato il contenuto di questi ‘screenshot’ arrivano a Vaccarino noto per aver intrattenuto tra il 2006 e il 2007 una corrispondenza con Messina Denaro, attraverso una serie di lettere in cui l’ex esponente democristiano (peraltro già condannato a 6 anni e sei mesi per stupefacenti) si firmava Svetonio e il latitante gli rispondeva con lo pseudonimo di Alessio. Vaccarino è stato condannato definitivamente per traffico di droga, anche sulla base delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Vincenzo Calcara, ma lo scorso scorso 27 giugno la Procura generale di Catania ha chiesto la revisione della sentenza. (AGI 20 Luglio 2019)
4.5.2019 ANTONIO VACCARINO PENTITI !!!
LETTERA APERTA ALL’ EX SINDACO DI CASTELVETRANO ANTONIO VACCARINO : Caro Antonio Vaccarino , la prima cosa che ti suggerisco e’ quella di pentirti . Pentiti ,caro Vaccarino , fallo innanzitutto per tuo figlio che so’ che tu ami tanto e questo posso dirtelo perché non posso fare a meno di non ricordare l’ affetto e l’ orgoglio che tanto hai palesato il giorno della sua cresima nel 1981.
E’ fondamentale che tu ti penta prima interiormente per far in modo che la tua collaborazione sia totale e veritiera .
Fino adesso oltre UN MILIONE di persone di tutta Italia hanno ascoltato la mia intervista che ho rilasciato a Fanpage e su You Tube .
Ho voluto , con prove inconfutabili, parlare di te , in particolare di un episodio che ricorderai sicuramente , poiché e’ avvenuto a Castelvetrano , precisamente a casa tua . Quel giorno c’ eri tu , io -che ero latitante – , Francesco Messina Denaro …. Proprio tu , con le tue mani , hai scritto e mi hai consegnato un biglietto sul quale c’erano i nomi di ” amici ” dell’ Australia ai quali mi sarei dovuto rivolgere dopo aver ucciso il Dott. Paolo Borsellino .
In quello stesso giorno , Francesco Messina Denaro – padre di Matteo- , mi diede l’ incarico di tenermi pronto per uccidere Paolo Borsellino , perché di questo giudice non dovevano rimanere neanche le idee , doveva morire e basta ! . Tu eri presente , ricordo il tuo sguardo che annuiva freddo come la neve !!! Ti ricorderai bene la data : autunno 1991 . Questo non puoi negarlo , sia perché e’ stata effettuata una perizia calligrafica dalla quale e’ emerso che sei stato proprio tu a scriverla , sia perché c’e’ una condanna definitiva in cui e’ stata provata pienamente la tua colpevolezza per quanto riguarda il traffico internazionale di droga che abbiamo fatto insieme a uomini di ” cosa nostra” che tu ben conosci e che sono stati tutti condannati . Te ne cito alcuni : Francesco Messina Denaro , Vincenzo Santangelo , Francesco Luppino e altri …
Adesso ti invito a leggere la sentenza della Corte d’ Appello di Roma – ALLEGO LA SENTENZA-, nella quale e’ provato il trasporto di dieci miliardi di vecchie lire che io , tu , Francesco Messina Denaro , Vincenzo Furnari , Stefano Cannata e altri abbiamo trasportato da Castelvetrano fino a Roma , precisamente a casa del notaio ALBANO – quest’ ultimo membro dei cavalieri del santo sepolcro insieme a MARCINKUS e ANDREOTTI- . Sai benissimo che questi soldi li abbiamo consegnati al vescovo MARCINKUS il quale , a sua volta , li ha riciclati dentro la banca del Vaticano .
Di questo trasporto nessuno di noi e’ stato condannato , poiché il reato e’ andato in prescrizione ma le prove che ho portato sono rimaste !!! .
Sempre che tu non l’ abbia dimenticato , su ordine di Francesco Messina Denaro , dovevo sottostare a te e ubbidirti ciecamente . Ti ricordo di quando mi hai ordinato di andare a lavorare dentro la dogana dell’ aeroporto di Linate – Milano . Anche questo , ovviamente e’ provato .
Ci sono mille altre cose che abbiamo fatto insieme e tantissime altrettante che mi hai ordinato di eseguire e io ti ho ubbidito e sei anche consapevole che io ero sempre pronto a dare la vita per te , poiché con il tuo solito fare filosofico e diplomatico eri riuscito a plasmare completamente la mia vita !!! . Sei anche riuscito a convincermi che ogni ordine che tu mi davi fosse giusto e io lo eseguivo senza farmi tante domande .
Conoscendoti , penso che tu stia continuando a seguire quella che tu consideri una ”giusta causa” , la stessa che un tempo seguivo anch’ io .
Io ho avuto la grande fortuna di incontrare il Dott. Paolo Borsellino – l’ uomo che avrei dovuto uccidere – che mi ha fatto comprendere che la ” giusta causa ” fatta di omerta’ , favoreggiamenti alla mafia e modi di pensare e di agire di stampo mafioso non e’ quella da seguire , perché esiste una VERA CAUSA fatta di amore di Verita’ e Giustizia che da ventisei anni seguo e che continuero’ a seguire . Per questo l’ unica cosa che col cuore voglio dirti e’ : PENTITI , Antonio Vaccarino , PER AMORE DI VERITA’ E GIUSTIZIA !!! Il tuo contributo , se e’ autentico al cento per cento , sara’ sicuramente prezioso !!! Concludo informandoti che al piu’ presto andro’ a deporre alla Corte d’ Assise di Caltanissetta dove e’ imputato Matteo Messina Denaro per la strage di Via d’ Amelio . In quel processo sicuramente verrai anche tu a deporre poiché io ho gia’ citato e continuero’ a citare il tuo nome. Vincenzo Calcara
8.7.2020. Carissime Amiche , Carissimi Amici , per quanto riguarda l’ arresto e la condanna dell’ ex sindaco di Castelvetrano Antonio Vaccarino si e’ fatto riferimento alla mia persona , tanto e’ vero che la Procura di Palermo ha chiesto che fosse acquisita la documentazione da me fornita relativa al vissuto storico del Vaccarino , atti che durante il dibattimento i P.M della D.D.A di Palermo Padova e Dessi’ hanno chiesto di produrre e che sono stati acquisiti .
L’ accusa ha fatto riferimento a tutto cio’ che ho sempre dichiarato sul Vaccarino , definendo quest’ ultimo un doppiogiochista affiliato a ” cosa nostra” .
Nonostante i testimoni chiamati in difesa del Vaccarino , l’ esito del Processo di 1° grado e’ stata una condanna per Antonio Vaccarino a sei anni di reclusione per concorso in rivelazione di segreto d’ ufficio con l’ aggravante di favoreggiamento personale alla mafia .
Come tutti sapete , la Procura di Palermo, fino ad ultimamente, ha avuto degli ottimi risultati per quanto riguarda la lotta a ” cosa nostra” ( Il Dott. Paolo Borsellino faceva parte di questa Procura) .
Non dimentichiamoci che grazie al lavoro integerrimo e professionale svolto dalla Procura di Palermo , sono stati arrestati Toto’ Riina , Provenzano e tantissimi altri pericolosi latitanti mafiosi .
Dalla fine del 1991 fino in data odierna ho collaborato con questa Procura che fino ad oggi mi ritiene un Collaboratore di Giustizia attendibile e di questo ne sono molto orgoglioso !!!
Con l’ affetto e la stima di sempre , mando ad ognuno di Voi un caloroso e fortissimo abbraccio VINCENZO CALCARA
CALCARA, PERCHÉ VACCARINO? Una domanda, alla quale probabilmente non saprebbe rispondere neppure lo stesso Vincenzo Calcara che quando nel ’91 iniziò a collaborare con la giustizia dichiarò un suo assai improbabile ruolo di uomo d’onore riservato a servizio di Francesco Messina Denaro. Calcara, autore di quelle che riteniamo ormai si possano tranquillamente definire autentici insulti alla logica e al buon senso (dai dieci miliardi consegnati a Marcinkus all’omicidio commesso alla presenza di Giulio Andreotti ecc) è la figura chiave di uno scempio della verità e della giustizia, funzionale a quel depistaggio messo in atto nel ’91 al fine di permettere a Matteo Messina Denaro di pianificare le stragi del ’92. Il presunto pentito, infatti, accusò diversi soggetti indicandoli come appartenenti a “Cosa Nostra”, guardandosi bene dal fare il nome di Matteo Messina Denaro. Tra i tanti accusati, talvolta innocenti, altre volte persone delle quali si conosceva già la caratura criminale, l’ex sindaco di Castelvetrano, Antonio Vaccarino. Nei giorni scorsi a seguito della testimonianza della pentita di mafia Giusi Vitale, ci eravamo posti delle domande in merito alla credibilità che Calcara acquisì presso la magistratura dopo l’uccisione del Giudice Paolo Borsellino, non riuscendo a spiegarci come nessun magistrato si fosse accorto che Calcara, il quale aveva accusato Antonio Vaccarino di far parte di “cosa nostra” (reato per il quale Vaccarino venne assolto e Calcara rinviato a giudizio per calunnia aggravata) aveva ottenuto la sua condanna per un traffico di sostanze stupefacenti che – come riportato nella sentenza dell’omicidio del giornalista Rostagno – aveva attribuito a tale Lucchese, lasciando del tutto estraneo Vaccarino, quando, da correo, patteggiò la propria pena. Un caso “stravagante” che potrebbe rientrare nella casistica degli errori giudiziari causati dall’approssimazione di chi chiamato a giudicare condannando un uomo ad anni di carcere, non si accorse che Calcara – così come scrivono i giudici nella sentenza Rostagno – “dimentico, forse, di queste propalazioni sul conto del Lucchese, nel prosieguo della sua deposizione il Calcara ha attribuito esattamente le stesse cose ad un altro personaggio da lui chiamato in causa, Tonino Vaccarino”. Il processo in corso a Caltanissetta, che vede imputato Matteo Messina Denaro per le stragi del ’92, ci offre lo spunto per scrivere di un altro “caso stravagante”. All’udienza del 18/09/2017, viene sentito nella qualità di teste il luogotenente Di Pietro Giovanni, in servizio al Comando Provinciale Carabinieri, Nucleo Investigativo Trapani, che a proposito dell’appartenenza di Antonio Vaccarino a “Cosa Nostra”, sul quale aveva svolto indagini, dichiara che nel ’93 il Vaccarino viene arrestato per associazione mafiosa e traffico di stupefacenti sulla base delle dichiarazioni di un collaboratore di Giustizia, Vincenzo Calcara, venendo assolto dal reato per associazione mafiosa, ma condannato per traffico di stupefacenti, precisando che ne prima ne dopo l’assoluzione di Vaccarino, risultò mai un suo inserimento organico o comunque sia a una vicinanza a “Cosa Nostra”. Stravaganza del caso, nonostante l’esito delle indagini, Vaccarino venne condannato a diciotto anni di carcere (il pubblico ministero ne aveva chiesti ventiquattro) per associazione a delinquere di stampo mafioso. Successivamente, in appello, venne assolto dai reati di mafia. La domanda che sorge spontanea, è: ma l’esito delle indagini, l’accusa e il giudicante lo conoscevano? Come si possono chiedere ventiquattro anni di detenzione per una persona che dalle indagini risulta estraneo al reato contestato e come la si può condannare a diciotto anni? Tranne che la relazione del luogotenente Di Pietro non sia stata messa agli atti (perché?) viene da dar ragione a chi sostiene che la Giustizia muore ogni giorno nelle aule dei tribunali e che un’organizzazione di lavoro irrazionale, l’approssimazione con la quale talvolta viene amministrata la giustizia, danneggia – oltre il condannato-innocente – anche quella Magistratura che lavora seriamente senza cercare alcun palcoscenico mediatico. Ma torniamo all’udienza del processo a Matteo Messina Denaro, nel corso della quale il pubblico ministero chiede al teste Di Pietro di mostrare la relazione per poterla acquisire. L’importanza del documento, non poteva sfuggire al Vaccarino, che aveva subito una ingiusta condanna a diciotto anni, il quale tramite il proprio legale di fiducia, avvocato Giovanna Angelo, ne faceva richiedere copia alla cancelleria del tribunale. Nonostante dal verbale d’udienza risulti che la relazione è stata acquisita, nonostante pubblico ministero e giudici diano parere favorevole al rilascio della copia, agli atti della cancelleria del tribunale non v’è traccia. La spiegazione potrebbe essere quella che probabilmente il pubblico ministero,così come i giudici, dopo averla esaminata, abbiano ritenuto irrilevante il contenuto ai fini del processo contro Matteo Messina Denaro. Ma così non è per Vaccarino, che potrebbe dimostrare non solo l’infondatezza dell’accusa da parte di Calcara (tanto da essere stato assolto in appello) ma finanche che la condanna in primo grado fosse stata pronunciata senza alcun riscontro alle accuse, tanto che appartenenti alle forze dell’ordine, che sul caso avevano condotto indagini (e non ci riferiamo al solo Di Pietro) avevano escluso qualsiasi vicinanza dell’ex sindaco a “Cosa Nostra”. Per avere copia del documento acquisito e esaminato dai magistrati, l’avvocato Giovanna Angelo dovrà adesso produrre un’ulteriore richiesta alla procura. Sarà interessante conoscere la relazione di cui sopra, con l’esito delle indagini – che comunque già conosciamo grazie alla lettura del verbale d’udienza – per cercare di capire cosa possa avere indotto il pubblico ministero a chiedere ventiquattro anni di carcere, e la Corte a comminare, in primo grado, una pena detentiva a diciotto anni. Intanto, dopo una serie interminabile di post sulle pagine Facebook di Vincenzo Calcara, dopo la promessa di pubblicare video per denunciare fatti clamorosi (in realtà ne pubblicò tre – insignificanti visto che non aggiungevano nulla a quanto detto in precedenza – l’ultimo dei quali, peraltro ha anche rimosso da YouTube) da oltre un mese non scrive e non dice più nulla. Che gli abbiano fatto notare come l’andare a ruota libera ci abbia permesso di fare le pulci al cosiddetto pentito, portando a conoscenza dell’opinione pubblica fatti che potrebbero rimettere in discussione alcune sentenze? Fatte le dovute considerazioni, in virtù da quanto emerso in questi mesi, l’ipotesi che Vincenzo Calcara, consapevolmente o inconsapevolmente, sia stato strumento di un depistaggio ante stragi, appare tutt’altro che peregrina e se un domani, si aprisse questa maglia, pure la relazione del luogotenente Di Pietro acquisterebbe una nuova valenza anche nell’ambito di un ulteriore processo a Matteo Messina Denaro e a quanti si siano resi eventualmente complici di un depistaggio finalizzato a poter portare a termine, indisturbati, le stragi del ’92. “Calcara, perché Vaccarino?” Un’idea noi ce la siamo fatta e va al di là del solo depistaggio che favorì Matteo Messina Denaro. La stessa domanda, potrebbe oggi essere formulata in ben altre sedi nel tentativo di conoscere i retroscena di quelle propalazioni del pentito che portarono ad allontanare le attenzioni dallo stragista Matteo Messina Denaro, per concentrarle su soggetti a carico dei quali, come ribadito in aula dal luogotenente Di Pietro, non risultava alcun inserimento organico o comunque sia a una vicinanza a “Cosa Nostra”. Gian J Morici 11.11.2018 LA VALLE DEI TEMPLI
L’EX PENTITO VINCENZO CALCARA CONDANNATO PER DIFFAMAZIONE A EX SINDACO VACCARINO Il giudice monocratico di Palermo Maria Ciringione ha condannato l’ex collaboratore di giustizia Vincenzo Calcara a 700 euro di multa per diffamazione in danno dell’ex sindaco Dc di Castelvetrano Antonino Vaccarino. A quest’ultimo, inoltre, il giudice ha riconosciuto una risarcimento danni di 1500 euro. Calcara è stato condannato per uno dei due casi contestati, e cioè alcune frasi scritte, il l8 dicembre 2010, su facebook, mentre per le dichiarazioni rilasciate al giornalista Gianfranco Criscenti (che è stato assolto) e riportate in un articolo pubblicato dal Giornale di Sicilia il 23 dicembre 2010 è stato scagionato dall’accusa. A difendere Calcara è stato l’avvocato marsalese Antonio Consentino, che dopo la sentenza ha dichiarato: “Ci riteniamo soddisfatti per l’assoluzione ottenuta per il capo B, mentre per il capo A faremo appello, rinunciando alla prescrizione”. Il capo “A”, per il quale Calcara è stato condannato a 700 euro di multa e a un risarcimento danni a Vaccarino di 1500 euro (il pm aveva complessivamente chiesto un anno di reclusione e 500 euro di multa), è relativo alle frasi scritte dall’ex collaboratore di giustizia sul più popolare dei social network. Per l’accusa, la reputazione di Vaccarino fu offesa con espressioni quali “brutto vigliacco, prima di nominare il nome e cognome del Dr. Paolo Borsellino, ti devi sciacquare la bocca con l’acido muriatico, hai capito? …. perchè non vai a porta a porta ??? Magari a chiedere l’elemosina !!! dove sono andati a finire tutti i miliardi che hai guadagnato con la droga ? Chi sono i tuoi prestanome ? ….siete riusciti ad ingannare i Servizi Segreti mettendo in atto un bellissimo stratagemma di doppio gioco …. di quei Servizi Segreti deviati che in passato il VACCARINO ha avuto a che fare …. continua a beffarsi della società civile!! ….”. Nel capo B, invece, “per avere offeso la reputazione di VACCARINO Antonio, comunicando con piu persone tramite il mezzo della stampa e, nello specifico, per avere nell’ambito di una intervista telefonica rilasciata al giornalista del Giornale di Sicilia Gianfranco Criscenti, utilizzato nei confronti del VACCARINO le seguenti espressioni: Doppiogiochista, se davvero avesse lavorato per facilitare la cattura del boss, sarebbe già morto ….”. Nel processo, l’ex sindaco si è costituito parte civile, con gli avvocati Giovanni Gilletta e Giovanna Angelo. Il giornalista Criscenti – che non fu querelato da Vaccarino, ma fu il pm ad estendere l’accusa anche a lui per altre dichiarazioni pubblicate in un articolo in cui si presentava una conferenza in programma al Teatro Selinus e alla quale dovevano intervenire Calcara e l’ex procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia – è stato, invece, difeso dall’avvocato Gioacchino Sbacchi. Nell’udienza dello scorso 29 maggio, Vincenzo Calcara ha chiesto di rendere dichiarazioni spontanee per affermare che i fatti dai quali è scaturito il processo sono derivati da una reazione ad un’intervista rilasciata da Antonio Vaccarino il 13 giugno 2008 sull’inserto del GdS, Magazine, in cui l’ex sindaco affermava, fra l’altro, che Calcara era un falso pentito, di essersi prodigato per la cattura del boss latitante Matteo Messina Denaro attraverso un collaborazione con i servizi segreti, e metteva in discussione i buoni rapporti fra la famiglia del procuratore Paolo Borsellino e Calcara. 6.6.2018 TP24
“Hanno svelato un’indagine su Messina Denaro”. Agli arresti un ufficiale della Dia e un carabiniere L’accusa è di favoreggiamento alla mafia e accesso abusivo al sistema informatico. In manette anche l’ex sindaco di Castelvetrano Antonio Vaccarino. Ombre sul ruolo di Mori “Svetonio”, al secolo Tonino Vaccarino, ex sindaco di Castelverano, è tornato in manette. L’alias Svetonio glielo aveva attribuito il boss latitante Matteo Messina Denaro all’epoca in cui Vaccarino, per incarico del Sisde del generale Mario Mori, intrattenne una corrispondenza con il capo mafia latitante, si dice all’insaputa di questi, sperando in una resa. Il boss, una volta scoperto il doppio gioco, le minacce non gliele mandò a dire. Stanotte i Ros hanno arrestato Vaccarino e con lui un colonnello della Dia, Marco Zappalà, e un appuntato dei Carabinieri in servizio a Castelvetrano, Giuseppe Barcellona. Indagini nell’ambito delle ricerche del latitante di Cosa nostra. Già l’indagine “Artemisia” dei Carabinieri sulla massoneria segreta trapanese, con l’arresto di tre poliziotti, aveva messo in luce incredibili lacerazioni nella rete calata dalle forze dell’ordine per la cattura del latitante, adesso questa operazione conferma come Matteo Messina Denaro avrebbe al suo servizio proprio alcuni di quegli investigatori che sulla carta sono impegnati nella sua cattura. Zappalà, Barcellona con Vaccarino sono accusati di essere state delle “talpe”, per aver passato notizie riservate a un mafioso trapanese dell’entourage del padrino ricercato. A firmare gli arresti il procuratore Lo Voi, l’aggiunto Guido, i pm Padova e Dessì, a firmare l’ordinanza il gip Morosini. Pesanti le accuse per tutti e tre, in particolare Barcellona, addetto alle intercettazioni, ne avrebbe svelato una in tempo reale. Le indagini poi su Vaccarino confermano quello che da tempo si sospettava sull’ex sindaco Vaccarino e cioè che lui incaricato dal Sisde di tenere una corrispondenza con Messina Denaro, di fatto avrebbe fatto il doppio gioco, e questa circostanza aprirebbe squarci anche sul vero ruolo del generale Mori, all’epoca capo dei servizi segreti civili. LA STAMPA 16.4.2019
Ammessa la revisione condanna Vaccarino per droga. Trapani, 20 nov. – La Corte d’appello di Caltanissetta ha ammesso la richiesta di revisione della condanna a sei anni e mezzo inflitta ad Antonio Vaccarino il 16 aprile 1997 dalla Corte di Appello di Palermo, per un presunto traffico di sostanze stupefacenti che aveva come base logistica l’aeroporto di Linate a Milano. L’ex sindaco di Castelvetrano, 75 anni, noto per aver intrattenuto una corrispondenza con il latitante Matteo Messina Denaro, a gennaio è tornato in carcere nell’ambito di una recente indagine della Dda di Palermo per cui lo scorso 2 luglio è stato condannato a 6 anni di reclusione per rivelazione di notizie coperte dal segreto, con l’aggravante di avere favorito Cosa nostra. Le accuse nel processo per droga erano state mosse sulla scorta delle dichiarazioni rese dall’ex collaboratore di giustizia Vincenzo Calcara, che indicava Vaccarino quale membro di Cosa nostra. Quest’ultima accusa, in primo grado accolta dal Tribunale di Marsala che lo ha condannato a 18 anni di reclusione, è stata poi ritenuta infonda – La richiesta di revisione della condanna è stata avanzata dagli avvocati Baldassare Lauria e Giovanna Angelo, sulla scorta di dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia e funzionari dei carabinieri e polizia che “attestano – affermano i legali – le falsità delle accuse a suo tempo mosse dal discusso collaboratore Vincenzo Calcara, già ritenuto falso con sentenza della Corte di Assise di Caltanissetta nel processo per l’omicidio del giudice Ciaccio Montalto. Adesso tutto torna in discussione, la Corte di Appello ha disposto l’inizio del processo di revisione”. In precedenza il procuratore generale della Corte d’appello di Catania, cui era stata avanzata l’istanza di revisione, aveva chiesto la revoca della sentenza di condanna, ma si era dichiarata incompetente per territorio investendo così la Corte nissena. Il processo di revisione inizierà il 10 marzo 2021 con l’audizione di due nuovi testimoni che “hanno sostenuto di essere a conoscenza di circostanze rilevanti ai fini della definizione del presente procedimento”. Inoltre i giudici nisseni hanno disposto l’acquisizione della sentenza emessa lo scorso luglio dal Tribunale di Marsala. L’istanza presentata dai legali di Vaccarino si basa principalmente sulla presunta inattendibilità del collaboratore di giustizia Vincenzo Calcara, recentemente definito come un ‘inquinatore dei pozzi della verità’, durante la requisitoria del processo a Messina Denaro, in cui il latitante è stato condannato come mandante delle Stragi. All’epoca dell’arresto per mafia (avvenuto con il blitz “Palma” del maggio 1992) Vaccarino finì sui giornali perchè accusato dal pentito Calcara di essere il mandante di un attentato, in fase di programmazione, nei confronti del magistrato Paolo Borsellino. Alla fine Vaccarino venne assolto dall’accusa di associazione mafiosa e condannato per traffico di droga. Nel 2007 il suo nome tornò alla ribalta dopo il ritrovamento dei pizzini custoditi da Bernardo Provenzano, compresi quelli ricevuti dal latitante Matteo Messina Denaro, in cui descriveva al capomafia la sua corrispondenza con Vaccarino, indicato come ‘il professore’. (AGI) “
Castelvetrano, ok alla revisione del processo a Vaccarino: l’ex sindaco che scriveva a Messina Denaro. La seconda sezione penale del tribunale di Caltanissetta ha accolto l’istanza di revisione presentata dai legali dell’ex sindaco di Castelvetrano, noto per aver intrattenuto una corrispondenza con il latitante Matteo Messina Denaro su ipotetitco input dei servizi segreti Il pentito lo accusava anche di aver ordinato un attentato al giudice Paolo Borsellino. Al termine dei vari gradi di giudizio fu condannato solo per traffico di droga. Adesso quella sentenza degli anni Novanta sarà nuovamente discussa dalla Corte d’Appello di Caltanissetta. La seconda sezione penale, presieduta dal giudice Carmela Giannazzo, ha accolto l’istanza di revisione presentata dai legali di Antonio Vaccarino, ex sindaco di Castelvetrano, noto per aver intrattenuto una corrispondenza con il latitante Matteo Messina Denaro su ipotetitco input dei servizi segreti. La Procura generale, rappresentata in aula dal Procuratore capo, Lia Sava, aveva chiesto l’inammissibilità dell’istanza, accolta dalla Corte perchè “non può ritenersi manifestamente infondata“, si legge nel provvedimento. Il Tribunale di Marsala in primo grado lo aveva condannato a 18 anni per associazione mafiosa, credendo alle dichiarazioni del pentito Vincenzo Calcara. Accuse smontate dai giudici di Appello che nell’aprile 1997 hanno ridotto la condanna a 6 anni e sei mesi, per un presunto traffico di sostanze stupefacenti che aveva come base logistica l’aeroporto di Linate a Milano. Il processo di revisione inizierà il prossimo 21 marzo e saranno ascoltati due nuovi testimoni che “hanno sostenuto di essere a conoscenza di circostanze rilevanti ai fini della definizione del presente procedimento”. All’epoca dell’arresto per mafia (avvenuto nel maggio 1992 ndr) il suo volto finì sui giornali nazionali perchè accusato dal pentito Vincenzo Calcara di essere il mandante di un attentato, in fase di programmazione, nei confronti del magistrato Paolo Borsellino. Lui si è sempre dichiarato “vittima di una macchinazione che ha assunto un atteggiamento persecutorio che nulla ha a che vedere con la giustizia”. “Nel corso di questi anni abbiamo raccolto plurime prove dichiarative rese da collaboratori di giustizia e funzionari dei Carabinieri e Polizia che attestano le falsità delle accuse a suo tempo mosse dal discusso collaboratore Vincenzo Calcara”, dicono gli avvocati Baldassare Lauria e Giovanna Angelo, legali di Vaccarino. Nella sentenza di primo grado, del 26 maggio 1995, i giudici del Tribunale di Marsala le dichiarazioni di Calcara venivano indicate come “la principale fonte di prova a carico dell’imputato”. Le sue versioni poi vennero smentite da alcuni boss di primo piano, come Vincenzo Sinacori e Giovanni Brusca, nel frattempo divenuti collaboratori di giustizia. Il suo profilo è emerso anche nel processo in cui Messina Denaro è stato condannato per essere tra i mandanti delle Stragi del 1992, definito durante la requisitoria del pm Gabriele Paci, come un ‘inquinatore dei pozzi‘. Per tutta risposta Calcara denunciò il magistrato. Da un anno Vaccarino è tornato in carcere, nell’ambito di una recente indagine della Dda di Palermo, per cui lo scorso 2 luglio è stato condannato dal Tribunale di Marsala a sei anni per ‘rivelazione di notizie coperte da segreto‘. La corte d’Appello di Caltanissetta ha disposto anche l’acquisizione delle motivazioni della sentenza, che ancora non sono state depositate dai giudici marsalesi. IL FATTO QUOTIDIANO MARCO BOVA 20 NOVEMBRE 2020
Cosa scriveva Antonio Vaccarino ai magistrati?
Delle lettere tra Svetonio e Alessio, ovvero tra l’ex sindaco di Castelvetrano Antonio Vaccarino, e l’allora boss latitante Matteo Messina Denaro, nonostante gli aspetti che secondo alcuni andrebbero chiariti, qualcosa la sappiamo.
Quello di cui non abbiamo alcuna conoscenza, è ciò che Vaccarino avrebbe detto – o avrebbe voluto dire – a diversi magistrati.
Dopo la cattura di Matteo Messina Denaro, grazie a trasmissioni come Report (a opera di Marco Bova), e giornali come Il Riformista e Tp24, è stata posta sotto i riflettori la figura del dottor Alfonso Tumbarello, il medico di base di Andrea Bonafede, il geometra che ha prestato la sua identità a Matteo Messina Denaro, rivelando che già nel 2007, e successivamente nel 2012, del medico massone che avrebbe seguito professionalmente, quantomeno negli ultimi due anni, l’ex primula rossa di Castelvetrano, ne aveva parlato l’ex sindaco.
Nel 2007, nel corso di un interrogatorio scaturito dall’arresto di Bennardo Provenzano, quando vennero trovati “pizzini” nei quali si faceva riferimento ad Antonio Vaccarino e si scoprì la collaborazione di quest’ultimo con il Sisde nel tentativo di stanare il latitante castelvetranese, l’ex sindaco rese importanti dichiarazioni dinanzi i pm Roberto Scarpinato e Giuseppe Pignatone.
Tra le altre, il riferimento al dottor Alfonso Tumbarello quale tramite per arrivare a un incontro con Salvatore Messina Denaro, fratello del più noto Matteo Messina Denaro.
Ma fu quella l’unica volta che Vaccarino venne sentito o contattò questi magistrati?
Da notizie certe – e prove acquisite – possiamo affermare che non si trattò dell’unica volta.
Infatti, il 22 ottobre del 2014, Antonio Vaccarino scriveva a Roberto Scarpinato.
Cosa scriveva l’ex sindaco all’allora procuratore generale di Palermo?
Questo forse non lo sapremo mai, così come non è dato sapere se a quella lettera raccomandata fu dato seguito e se Vaccarino venne mai sentito in merito ai contenuti della missiva.
Ma non al solo Scarpinato scrisse Vaccarino, il quale avendo avuto un primo contatto (si suppone fosse il primo) con Giuseppe Pignatone in occasione dell’interrogatorio del 2007, tornò a contattarlo tramite una raccomandata del 12 febbraio 2016, mentre questi era nel frattempo divenuto procuratore di Roma.
Difficile ipotizzare che l’ex sindaco scrivesse ai due magistrati lettere dello stesso tenore di quelle che abbiamo letto nel corso dello scambio epistolare tra Svetonio e Alessio, né possiamo credere che l’argomento – o gli argomenti – trattati con i due alti magistrati fosse il confronto su temi come il senso della vita, l’esistenza, la ricerca (se non quella dei ricercati) e la sapienza.
Del resto, anche gli antichi romani (Primum vivere deinde philosophari) ci hanno insegnato l’importanza della concretezza delle cose, prima ancora che il fare filosofia.
Non v’è dubbio però, che le tante missive indirizzate da Vaccarino a diversi magistrati, pongono più di un interrogativo.
Vaccarino, infatti, il 7 luglio del 2017, scriveva al dottor Paolo Guido, procuratore aggiunto, presso la Procura della Repubblica di Palermo.
Anche nel caso dell’operazione Svetonio-Alessio, Vaccarino aveva scritto a un alto magistrato, che – a suo dire – portava a conoscenza delle attività in corso con i servizi segreti.
Vaccarino-Svetonio, aveva infatti scritto a Piero Grasso, procuratore nazionale antimafia, il 7 aprile del 2006 (attenzione alla data), una lettera raccomandata.
Una missiva della quale Grasso ha sempre sostenuto di non sapere nulla.
Non gli fu consegnata? Eppure, la ricevuta di ritorno certifica l’avvenuta consegna alla Direzione Nazionale Antimafia.
Se Vaccarino l’avesse inviata dopo l’arresto del boss avremmo cento buone ragioni per poter pensare che lo avesse fatto per il timore che si scoprisse qualcosa che poteva riguardarlo, ma la data di invio della raccomandata, risale a quattro giorni prima dell’arresto di Provenzano.
Il 12 maggio 2020, presso il Tribunale di Marsala, si è tenuta l’udienza che vedeva imputato l’ex sindaco di Castelvetrano Antonio Vaccarino con l’accusa di aver favorito la mafia.
Un’indagine che aveva visto coinvolti anche un colonnello della Dia e un appuntato dei carabinieri in servizio a Castelvetrano in merito a informazioni su intercettazioni che riguardavano Matteo Messina Denaro.
Nel corso di quell’udienza, il Colonnello Giuseppe De Donno, nella qualità di teste, raccontò delle modalità con le quali l’ex sindaco era riuscito a contattare Matteo Messina Denaro, entrando poi nel merito delle indagini sull’allora boss latitante Bernardo Provenzano, precisando che Vaccarino aveva collaborato anche a quelle indagini prendendo contatti con Carmelo Gariffo, nipote del boss al quale quest’ultimo affidava la propria corrispondenza (“pizzini”).
Cosa disse l’ex sindaco di Castelvetrano – o cosa avrebbe voluto dire – al procuratore aggiunto Paolo Guido, che in quel momento guidava la caccia al latitante Matteo Messina Denaro?
Gli parlò, o gli avrebbe voluto parlare (come a suo dire aveva fatto in precedenza con Grasso, in occasione delle attività con il Sisde), della collaborazione con il colonnello Zappalà della Dia di Caltanissetta, a seguito della quale venne poi tratto in arresto, morendo successivamente in carcere con l’accusa di aver favorito la mafia?
Avrebbe voluto dare informazioni utili alle indagini sulla latitanza di Matteo Messina Denaro?
Tutte domande senza risposta, come lettere morte (o raccomandate?) perse nei cassetti, salvo poi – come nel caso della vicenda che ha visto coinvolto il dottor Alfonso Tumbarello – venire ripescate da qualche giornalista che non si limita a fare il megafono delle procure, e che inizia a porre domande alle quali il passar degli anni, e l’annebbiarsi anche del ricordo, rende difficile dare delle risposte.
L’unica certezza che abbiamo, la testimonianza dell’allora procuratore aggiunto di Caltanissetta, Gabriele Paci, che nel corso di una sua testimonianza al processo a Marsala, nel quale era imputato Vaccarino, spiegò che la delega data a Zappalà non era per catturare Matteo Messina Denaro, ma per andare a Castelvetrano a rapportarsi con Vaccarino, fonte di utili informazioni.
“Noi rivisitiamo tutto il passato” – riporta questo articolo de Il Dubbioall’epoca del processo di Marsala – ha sottolineato infatti procuratore aggiunto di Caltanissetta, Gabriele Paci. E dal passato emerge anche il ruolo del presunto pentito Vincenzo Calcara che fece arrestare ingiustamente anche Antonio Vaccarino a maggio del ’92 durante “l’operazione Palma”. Il procuratore Paci durante la sua deposizione come testimone sintetizza la vicenda. “Tra le tante questioni che nacquero – racconta Paci -, c’era proprio quella della infondatezza delle dichiarazioni di Calcara, sulla base di un presupposto più ampio: cioè che Calcara non fosse un pentito autogestito, ma che potesse essere stato eterodiretto, e che poi avevano portato anche all’arresto di Vaccarino. Così come per esempio l’assoluta totale assenza delle dichiarazioni di Calcara, che oggi rivendica il diritto di andare a processo per testimoniare contro Matteo Messina Denaro, che lui non toccò mai con le sue dichiarazioni del passato”.
Cosa scriveva Antonio Vaccarino agli altri magistrati?
Gian J. Morici La Valle dei Templi 15.2.2023
Matteo Messina Denaro, il Sisde, la Procura, Vaccarino, e il caso Tumbarello
Alfonso Tumbarello, è il medico di base di Campobello di Mazara, sospettato di aver aiutato Matteo Messina Denaro, prescrivendo i farmaci al latitante a nome di Andrea Bonafede, l’uomo – anche lui assistito dal dott. Tumbarello – che al boss castelvetranese aveva prestato la propria identità.
“Di Tumbarello, si è parlato durante la scorsa puntata di Report, su Raitre. Avrebbe fatto incontrare, nel 2002, Antonio Vaccarino con un altro suo assistito: Salvatore Messina Denaro, il fratello del boss – riporta l’articolo di oggi di Tp24, che ripercorre la storia dell’ex sindaco di Castelvetrano, Antonio Vaccarino, “che in quegli anni, lavorando per il Sisde guidato dal generale Mario Mori, cercava di entrare in contatto con il latitante e che di lì a poco avvierà il famoso scambio di “pizzini” Svetonio-Alessio. Nomi attribuiti dallo stesso Matteo Messina Denaro: Alessio per lui e Svetonio per Vaccarino. I pizzini che quest’ultimo riceveva ed inviava venivano condivisi col Sisde. Un’indagine che però è stata stoppata dalla Procura di Palermo, poco dopo l’arresto di Bernardo Provenzano. Nel suo covo a Montagna dei cavalli gli trovarono alcuni di questi pizzini in cui Messina Denaro faceva riferimento a Vaccarino, una sorta di autorizzazione per un affare che l’ex sindaco aveva proposto, in realtà un’esca che avrebbe portato all’arresto della primula rossa.
Come dicevamo, però, tutto si ferma”.
Il nome di Tumbarello, veniva già fuori dal 2007, quando Vaccarino, interrogato dai magistrati Pignatone e Scarpinato fa mettere a verbale che lo aveva utilizzato per un collegamento con Salvatore Messina Denaro – fratello del più noto latitante – precisando che era un massone.
Una vicenda, quella dell’interrogatorio del 2007 di Vaccarino, alla quale “il Riformista – si legge su Tp24 – ha dedicato alla vicenda due prime pagine, riportando le clamorose testimonianze di tre fonti diverse, tra le quali quella di un ex agente del Sisde che ha raccontato come 15 anni fa stessero per catturare Messina Denaro e furono fermati dalla Procura di Palermo”.
Qui il primo articolo, e questo il secondo.
Due articoli che hanno suscitato le ire dell’ex pm Roberto Scarpinato, il quale non ci sta a passare come uno di coloro che stopparono le indagini, e addossa le responsabilità al Sisde:
Mafia: Scarpinato (M5S): “Il Riformista prosegue la campagna diffamatoria nei miei confronti, attraverso articoli basati su gravi falsificazioni. Due loro pezzi di ieri e di oggi, fondati su presunte informazioni fornite da anonimi esponenti dei servizi segreti, sostengono che io e Giuseppe Pignatone nel 2006 avremmo fatto fallire un’operazione che avrebbe portato alla cattura di Matteo Messina Denaro. La nostra responsabilità sarebbe quella di aver reso nota senza validi motivi l’identità di un infiltrato del Sisde, Antonio Vaccarino, che era riuscito a entrare in contatto epistolare con il latitante Messina Denaro. Per conoscere i reali termini della vicenda e comprendere la falsificazione fatta dal Riformista, è sufficiente leggere gli atti ufficiali del tribunale e della procura di Palermo. L’11 aprile del 2006 – prosegue l’ex PG di Palermo – venne arrestato Bernardo Provenzano, nel suo casolare furono sequestrati numerosi ‘pizzini’ scambiati tra il boss ed alcuni tra i maggiori esponenti di Cosa nostra. Poiché l’identità dei destinatari dei messaggi e dei tramiti era nascosta dietro codici numerici e nomi di copertura, iniziammo una lunga e complessa ricerca delle reali identità. Messina Denaro risultò essere l’autore di alcuni messaggi, firmati ‘suo nipote Alessio’ in cui, informando Provenzano, faceva riferimento ad un soggetto, indicato come ‘VAC’ o ‘VC’, che stava gestendo lucrosi affari per conto di Cosa Nostra. La Polizia Giudiziaria scoprì che si trattava di Antonio Vaccarino: pregiudicato per reati di mafia (in realtà all’epoca mai condannato per reati di mafia – ndr), già assessore e sindaco di Castelvetrano, membro della massoneria di Castelvetrano, aderente al Grande Oriente d’Italia. Vaccarino venne ovviamente iscritto nel registro degli indagati, sottoposto a intercettazioni e interrogato. Dalle intercettazioni emersero contatti con utenze del Sisde. Facendo i dovuti accertamenti, scoprimmo che Vaccarino aveva intrapreso su istruzioni dello stesso Sisde una corrispondenza epistolare con Messina Denaro e che questi, dopo la scoperta del covo di Provenzano e il rinvenimento dei messaggi da lui inviati con il nome ‘Alessio’, aveva deciso di interrompere ogni comunicazione con Vaccarino. A quel punto, io e i colleghi Pignatone e Lari chiedemmo per lui l’archiviazione. La ricostruzione fondata su documenti ufficiali dimostra dunque che la responsabilità del disvelamento del ruolo svolto da Vaccarino va attribuita esclusivamente al Sisde, che non informò la Procura di Palermo dell’operazione in corso, persino dopo che era stato scoperto il covo di Provenzano ed era in pieno svolgimento l’indagine per identificare i soggetti menzionati nei pizzini sequestrati. Con quella omissione – conclude Scarpinato – i Servizi lasciarono che, come era inevitabile, Vaccarino finisse sotto indagine giudiziaria ed emergesse l’attenzione della magistratura nei suoi confronti“.
Non si è fatta attendere la replica del giornale di Sansonetti, che oggi risponde al senatore dei 5stelle, precisando come letti gli atti, tra questi c’è l’interrogatorio reso dal colonnello De Donno presso il Tribunale di Marsala, all’udienza del 12 maggio 2020 che vide imputato l’ex sindaco di Castelvetrano Antonio Vaccarino, poco prima di morire di Covid, il quale dichiarò che verosimilmente la fuga di notizie potrebbe aver mandato in fumo la cattura del latitante, precisando che Vaccarino era totalmente affidabile: “Al 100%”, aggiungendo che Vaccarino collaborò alle indagini su Provenzano e Matteo Messina Denaro, portando all’individuazione di fiancheggiatori e di altri soggetti interni all’organizzazione mafiosa.
“Sulle incomprensioni, i disguidi e gli errori di comunicazione tra catene di comando diverse – prosegue Il Riformista – è stato scritto molto. I Ros avvisarono per tempo la massima autorità giudiziaria competente, va detto in tutta onestà: la Procura nazionale antimafia allora diretta da Pietro Grasso era non solo al corrente dell’indagine sotto copertura Sisde, ma del tutto consonante e allineata. Lo stesso Grasso, che poi è diventato Presidente del Senato e per un breve periodo Presidente supplente della Repubblica, in seguito alle dimissioni di Giorgio Napolitano e fi no al giuramento di Sergio Mattarella, ingaggiò con Scarpinato una vivace polemica su chi avesse dovuto avvisare chi, e come, e perché”.
Sta di fatto che nome di Vaccarino venne pure pubblicato dalla stampa mettendo anche in pericolo di vita l’ex sindaco e la sua famiglia.
Il Riformista riporta inoltre che la “Procura di Palermo dirigendo le indagini sulla massoneria non approfondì mai la questione del medico Alfonso Tumbarello.
Su questo Gian Joseph Morici, direttore del quotidiano agrigentino La Valle dei Templi, da noi più volte consultato per il suo articolo Matteo Messina Denaro poteva essere catturato già da tempo precisa il suo pensiero: “Della figura di Tumbarello, ho detto che è centrale in questa vicenda per il fatto che Vaccarino, pur conoscendo Salvatore Messina Denaro, si rivolge a lui per un contatto. Questo rende chiara l’idea di come Vaccarino veda nel medico la persona della quale si fida il fratello del latitante”.
Un aspetto, quello che riguarda , il medico Tumbarello, ripreso correttamente da Egidio Morici (a scanso di equivoci non siamo parenti), giornalista di Tp24, il quale mi ha posto domande ben precise:
- Al collega abbiamo chiesto perché Vaccarino, che conosceva già Salvatore Messina Denaro dato che era stato un suo alunno, si sia rivolto a Tumbarello per un contatto?
- “Una domanda precisa e puntuale questa tua, a cui spettava ad altri trovare la risposta. A differenza di quanto pubblicato oggi (ieri, ndr) da un quotidiano che mi attribuisce l’aver detto che lo fa perché ritiene il medico un soggetto di importante spessore mafioso, al quale sottopone tutti i messaggi perché vengano inviati all’allora latitante Matteo Messina Denaro (affermazioni che non mi appartengono e per le quali ho già chiesto la rettifica) l’unica spiegazione che posso dare al fatto, è quella che il Vaccarino vede nel Tumbarello un soggetto nel quale Salvatore Messina Denaro ripone stima e fiducia. Tumbarello, infatti, non si limita a mettere in contatto i due – non ce ne sarebbe stato bisogno visto che si conoscevano già – ma si presta a farli incontrare presso il suo studio. E’ probabile che sia stato anche presente all’incontro, essendone proprio il “garante” che – così come afferma Vaccarino nel corso dell’interrogatorio del 2007 – lui “utilizza” allo scopo di raggiungere il latitante”.
- In quell’interrogatorio, Vaccarino affronta anche il tema mafia-massoneria?
- “Certamente. E fa mettere a verbale fatti e nomi, raccontando anche di quando all’Ucciardone, mentre lui stesso era detenuto, personaggi come Mariano Agate, anche lui massone, e Nino Madonia, dimostravano di sapere dell’appartenenza di Vaccarino alla Massoneria, anticipandogli una possibile promozione gerarchica. Non capisco come mai la magistratura che indagava sui possibili contatti tra mafia e massoneria, abbia sottovalutato il ruolo di Tumbarello, che Vaccarino indicava già allora come massone. Va ricordato, inoltre, come l’allora procuratore di Trapani, Marcello Viola, e il sostituto alla Dda di Palermo, Teresa principato, abbiano indagato proprio su questi aspetti, prima di venire “stoppati”. Evidentemente si trattava di argomenti troppo scottanti”.
Interessante l’analisi che il giornalista di Tp24 aveva fatto rispetto l’arresto di Vaccarino nel 2019.
Una storia che era sembrata subito l’effetto di una guerra tra procure.
Sulle vicende che riguardavano le indagini condotte dall’allora procuratore di Trapani, Marcello Viola, e il sostituto alla Dda di Palermo, Teresa principato, abbiamo scritto più volte, ma alla luce anche dei nuovi fatti accaduti, è il caso di tornare a breve sulla figura di un collaboratore di giustizia ritenuto non attendibile, proprio nel momento in cui iniziava a parlare di Massoneria e mafia, in vicende che riguardavano l’allora latitante Matteo Messina Denaro.
Viola, proprio sulla Massoneria del trapanese, nel 2016 aveva depositato una lista con 460 massoni, tra banchieri, politici, imprenditori e appartenenti alle forze dell’ordine.
Tra i tanti, anche il nome di Tumbarello (ne avevamo scritto qui).
Gian J. Morici LA VALLE DEI TEMPLI
Matteo Messina Denaro poteva già essere catturato da tempo
Questa è la conclusione alla quale si arriva dopo aver visto la puntata di ieri di Report, che mostra un documento dal quale si apprende che gli investigatori sapevano della presenza di Matteo Messina Denaro a Campobello di Mazara già dal 2021.
Un documento del novembre 2021 illustrato dal giornalista Marco Bova, autore del libro “Matteo Messina Denaro latitante di Stato”.
Un’annotazione di una fonte anonima riferiva al comandante dei Carabinieri di Campobello di Mazara che Matteo Messina Denaro si trovava a Torretta Granitola.
A Torretta Granitola, spiega il giornalista, c’è un parco acquatico di cui uno dei soci è Andrea Bonafede, l’uomo che ha prestato la propria identità al latitante.
Ma già a far data dal 2017, diversi testimoni avevano sostenuto di aver visto in quella località il boss latitante.
Come mai – si chiede il magistrato Massimo Russo – in provincia di Trapani sono passati i vertici di “Cosa nostra” e non sono mai stati catturati?
Russo sciorina diversi nomi di mafiosi di primo piano di “Cosa nostra” che sono stati presenti in quella provincia, e spiega la mancata la cattura anche dell’ultimo boss corleonese con la rete di protezione che ne ha garantito la latitanza.
Che usasse ogni escamotage per rimanere fuori da tutto e non essere catturato lo conferma anche un altro ex magistrato, Teresa Principato.
Ma anche di sabotaggio delle indagini, nel momento in cui ci si trovava vicino alla cattura, parla Massimo Russo, al quale fa seguito Teresa Principato che racconta della cattura di Leo Sutera, il boss che incontrò più volte Messina Denaro e che seguivano per arrivare al latitante.
Nonostante l’opposizione della Principato e degli altri pm del pool, l’allora procuratore capo, Francesco Messineo, ne dispose l’arresto nell’ambito di un’indagine minore.
Sfuma così la pista più calda trovata in due decenni.
Secondo l’allora procuratore non era possibile rimandare l’arresto, poiché in materia di mafia vige l’obbligatorietà dell’azione penale.
Messineo viene denunciato al CSM, e nonostante il procedimento venga archiviato, decide di andare in pensione con due anni di anticipo.
L’ennesima pista bruciata. Un’indagine stoppata secondo la Principato.
La Principato a quel punto si concentra sulla massoneria, grazie a un collaboratore cooptato nella loggia di Castelvetrano che parla dell’interesse di Matteo Messina Denaro nella creazione di una loggia coperta.
Un collaboratore che fa i nomi di avvocati, medici, appartenenti alle forze dell’ordine e altri professionisti ,che sarebbero legati a questa nuova Loggia, ma nel momento in cui si inizia a seguire questa pista scoppia un nuovo conflitto.
Francesco Lo Voi, il nuovo capo della procura di Palermo, invita la Principato a interrompere la collaborazione con l’architetto massone Giuseppe Tuzzolino – questo il nome del collaboratore – ritenendolo non attendibile.
Eppure quanto sia importante il ruolo della massoneria in questa vicenda, ce lo conferma un nome ormai noto alle cronache dopo la cattura di Matteo Messina Denaro.
Quello del medico Alfonso Tumbarello, medico di base di Andrea Bonafede, ma anche medico dell’Andrea Bonafede-Matteo Messina Denaro.
Del professionista di Campobello di Mazzara, ne ha parlato Report ricostruendone il ruolo di mediatore per un contatto tra Salvatore Messina Denaro e Antonio Vaccarino, l’ex sindaco di Castelvetrano che, collaborando con il Sisde di Mario Mori, entrò in contatto con Matteo Messina Denaro.
Il latitante, con il nome di “Alessio”, scambiò diverse lettere con Vaccarino al quale aveva dato il nome di “Svetonio”.
Nel corso di un’udienza, nel 2012, Vaccarino aveva già fatto il nome di Tumbarello, come quello di colui a cui si sarebbe rivolto per entrare in contatto con Salvatore Messina Denaro, il fratello del boss.
Fu Tumbarello a organizzare un incontro nel suo studio, a seguito del quale l’ex sindaco di Castelvetrano riuscì ad entrare in contatto con il latitante.
Report ha recuperato la registrazione dell’interrogatorio.
“Appena ho sentito il nome del medico, ho fatto un balzo sulla sedia, perché Alfonso Tumbarello non è un personaggio da poco”, ha dichiarato nel corso della puntata di Report l’ex procuratore aggiunto della Dda Teresa Principato.
Eppure Vaccarino, da alcuni magistrati palermitani è stato indicato come il doppiogiochista vicino a “Cosa nostra”.
Avrebbe mai fatto il nome di Tumbarello se così fosse stato?
Quella di Vaccarino, della sua collaborazione con il Sisde di Mori, della fuga di notizie che fece scoprire il suo ruolo di infiltrato che collaborava alla cattura del mafioso latitante, è una storia che andrebbe riscritta anche alla luce di questi nuovi fatti che sembrano smentire le ipotesi della procura di Palermo.
E su quello che accadeva quando ci si avvicinava troppo all’ex latitante, mi piace ricordare Damiano Aliprandi (uno dei pochi giornalisti che ha il coraggio di andare controcorrente) che così chiudeva un suo articolo pubblicato da Il Dubbio, dopo la morte in carcere di Vaccarino: A proposito di giustizia c’è la quarta beatitudine del Vangelo che recita così: «Beati gli affamati e gli assetati di giustizia perché saranno saziati». Da tempo il giornalista Frank Cimini, che grazie al prolungato contatto con i magistrati, ha preso in prestito questa beatitudine del Vangelo per coniare una nuova massima che, anche in questa terribile vicenda, trova fondamento: «Beato chi ha fiducia nella giustizia perché sarà giustiziato».
Una domanda che viene spontaneo porsi, è cosa abbiano fatto i magistrati che secondo Report già dal 2012 sapevano che il tramite tra Vaccarino e il fratello del boss, era stato il medico Tumbarello, del quale tanto si parla in questi giorni.
Ma la storia sembra risalire ancora a qualche anno prima, quando la stessa narrazione, Vaccarino la fa a due noti magistrati: Giuseppe Pignatone e Roberto Scarpinato.
Secondo quanto appreso da testimoni, il Tumbarello, dopo che venne resa nota la collaborazione tra Vaccarino e il Sisde, troncò i rapporti con l’ex sindaco.
Un effetto secondario alla fuga di notizie che aveva fatto scoprire il ruolo del sindaco 007, bruciando di fatto qualsivoglia possibilità di continuazione dell’operazione Svetonio-Alessio, che – come si evince da documenti del 2007 – Vaccarino manifestava ai magistrati di voler continuare, nonostante l’elevato rischio per la sua vita e forse quella dei suoi cari.
Se la Principato ritenne stoppata l’indagine che riguardava la massoneria, non meno perplesso e deluso si dovette sentire l’allora procuratore di Trapani, che come lei, e talvolta insieme a lei, batteva la stessa pista.
Tra gli affari del boss, i magistrati ritengono di individuare il villaggio Valtur di Favignana.
Un luogo dove i politici svolgevano le cene a base di aragosta e champagne, tutto gratis compreso il soggiorno.
La7, nel corso del programma Piazza Pulita, mostra i documenti di questi soggiorni e cene gratuite di cui usufruivano molti politici.
Vacanze e cene gratuite fatte con il proprietario della Valtur, Carmelo Patti.
Tra i nomi, quello di Renato schifani, che una vacanza di poco meno di 20.000 euro, non la pagò neppure un centesimo.
Così come a costo zero è l’incontro di governo tra La Loggia, Schifani e D’Alì, anche questo offerto da Patti.
Non manca Salvatore Cuffaro, che usufruisce della benevolenza del patron della Valtur, con un capodanno alle Maldive da 15.000 euro a costo zero.
Sono gli anni in cui ai vertici della procura di Trapani c’è un magistrato, quando le indagini sugli interessi economici di Matteo Messina Denaro portano a richieste di sequestro beni per miliardi di euro.
Inchieste che vedono coinvolti nomi importanti dell’economia non solo isolana, dinanzi i quali, Marcello Viola, all’epoca procuratore di Trapani e attuale procuratore di Milano, non arretra di un passo.
Eh sì, ma Viola non si ferma lì.
Vuole indagare sulla latitanza di Matteo Messina Denaro, sulle coperture di cui gode, sulla massoneria trapanese.
Nel 2016 – come riporta Report – Viola deposita una lista con 460 massoni, tra banchieri, politici, imprenditori e appartenenti alle forze dell’ordine.
Tra i tanti, anche il nome di Tumbarello.
Un magistrato che per molti – non solo per il braccio armato della mafia – rappresenta un serio pericolo.
La strada spianata per una carriera brillante?
Macchè, poco ci manca che lo arrestano.
A condurre le indagini è la Guardia di Finanza che mette nel mirino due magistrati, Maria Teresa Principato e Marcello Viola, accusati di violazione del segreto d’ufficio con l’aggravante di aver favorito la mafia, avendo ostacolato la Dda di Palermo svolgendo le loro indagini.
Sì, proprio quelli che indagavano sulla massoneria e sulla latitanza di Matteo Messina Denaro
Con loro, anche l’appuntato della Guardia di Finanza Calogero Pulici, assistente della Principato.
Una storia che abbiamo narrato più volte, a partire dalle assoluzioni di Pulici, per arrivare al furto del suo computer all’interno di una delle stanze più blindate della procura di Palermo, che pare però non rappresenti reato.
Ma non finisce lì. Quantomeno non finisce lì per Viola.
Archiviata la vicenda dell’accusa di violazione del segreto d’ufficio (inesistente), per il magistrato, nel frattempo nominato procuratore generale di Firenze, sembra aprirsi la strada per una nomina a capo della procura di Roma.
Sì, proprio quella che vale un paio di ministeri.
Viola a Roma?
Non scherziamo con le cose serie.
Sulla successione dell’uscente Giuseppe Pignatone, si apre uno scontro violento, a colpi di fughe di notizie, ricorsi al Tar, al Consiglio di Stato, per arrivare – nonostante Viola li avesse vinti tutti – a mettere fuori gioco quello che era già il procuratore in pectore e garantire la successione di Pignatone.
Di Viola, indicato come l’unico non ricattabile, Sabrina Pignedoli, europarlamentare e giornalista antimafia, dirà:
“Certamente a ricoprire il ruolo di procuratore capo di Roma non poteva andare Marcello Viola: purtroppo ha un brutto vizio quel magistrato, fa le indagini e le fa in maniera indipendente. Addirittura a Trapani ha osato indagare sulle logge massoniche e i loro collegamenti con le mafie: cattivo, cattivo, cattivo!!! Non adatto per una procura delicata come Roma, dove tra palazzi del potere, potentati economici, logge di vari colori e Vaticano bisogna sapersi giostrare con la ‘giusta’ cautela”
«Beato chi ha fiducia nella giustizia perché sarà giustiziato».
Ma come fa un magistrato a non avere fiducia nella giustizia?
Gian J. Morici
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