Borsellino; un buon padre di famiglia. Un film da rivedere

LA STAMPA 30 ottobre 2004

 

PAOLO BORSELLINO 1° Parte

PAOLO BORSELLINO 2° Parte

 


30 ottobre 2004

Borsellino; un buon padre di famiglia

IL MAGISTRATO SICILIANO SARÀ RACCONTATO PIÙ NEI MOMENTI TENERI CON I FIGLI CHE NELL’ATROCITÀ DELLA MORTE
Lo sceneggiato sceglie la linea delle emozioni «private»

Borsellino era innanzitutto un padre di famiglia. . Un buon padre di famiglia che al primo posto, nella scala dei propri doveri, aveva messo la «buona riuscita dei figli».
Perciò cercava di stare loro vicino e quando il lavoro lo teneva distante da casa, tentava di riempire il «vuoto» anche soltanto con una telefonata. Paolo Borsellino era anche un magistrato, un «lavoratore» della giustizia.
Un giudice con un alto senso etico e dello Stato, ma non per questo propenso ad autocollocarsi più in alto di un qualunque cittadino che facesse il proprio dovere.
Paolo Borsellino aveva il mito dell’amicizia e della solidarietà: per questo poteva riuscire a dare molto, anche in un rapporto come quello con Giovanni Falcone che – così come imponeva lo stato delle cose – nel copione della rappresentazione della lotta alla mafia impersonava il ruolo del protagonista.
Ma, si può star certi, mai e poi mai Paolo avrebbe rimproverato all’amico Giovanni anche una sola parola di una qualche dichiarazione.
Anzi, quando Falcone si trovò in difficoltà, accerchiato dalle maldicenze e dalle infamie, il generoso Paolo non esitò ad «esporsi» in prima persona, criticando le istituzioni che fingevano di non capire quanto fosse importante non privarsi dell’apporto della professionalità dell’amico.
È questo Paolo Borsellino che gli italiani vedranno, lunedì 8 e martedì 9, nello sceneggiato in programma su Canale 5.
Il giudice siciliano, interpretato dal bravissimo Giorgio Tirabassi, sarà raccontato più attraverso le emozioni suscitate dalla sua vita privata che col ricorso allo sdegno per la sua atroce morte. Borsellino colto nei momenti teneri del rapporto coi figli, nell’angoscia della consapevolezza del vivere pericolosamente, una scelta die avrebbe fatto molto soffrire la figlia Lucia.
Commovente la scena della crisi di panico della ragazza dopo uno dei tanti funerali riservati a servitori dello Stato che i ragazzi di Paolo avevano frequentato ed amato come parenti, dal capitano Emanuele Basile al giudice Rocco Chinnici, allo stesso Giovanni Falcone.
Già, Borsellino «solo», sotto la pioggia, che vaga – dopo l’abbraccio col «vecchio» Caponnetto per i vicoli del mercato della Vucciria. Borsellino-Tirabassi che quasi si isola per poter piangere più liberamente, senza farsi vedere dai ragazzi ai quali ha insegnato anche il pudore della morte raccomandando loro di soffrire quasi in silenzio perché «non dobbiamo dare spettacolo».
Il giudice addolorato che lascia la chiesa di San Domenico, col cuore gonfio per la perdita di Giovanni e Francesca, quasi scordandosi che è senza scorta. Borsellino incurante del rischio.
Perché la paura, che pure doveva avere anche se mai esternata, era diventata quasi la sua compagnia. Non si capirebbe altrimenti la «scelta» di andare avanti, anche nella consapevolezza, nella certezza di camminare su un campo minato.
Una scelta che era un dovere: nei confronti di Giovanni morto, di Francesca, nei confronti della sua terra «che è bellissima», come – all’inizio dello sceneggiato – gli dice un capitano Basile giovane, prima di cadere sotto i colpi dei «corleonesi» appena sbarcati a Palermo.
Un sacrificio, la morte di Paolo.
Consapevole e frutto di quel bagaglio di valori che molti siciliani conservano, anche se la storia della loro terra può indurre a giudizi affrettati.
Gli stessi valori che il regista, Gianluca Maria Tavarelli (autore della sceneggiatura insieme con Giancarlo De Cataldo, Leonardo Fasoli e Mimmo Rafele), fissa – a conclusione della storia – negli sguardi e nei volti innocenti dei numerosi giovani presenti alla commemorazione che Borsellino fa dell’amico Giovanni prima di andare all’appuntamento con l’esplosivo di via D’Amelio.
I volti di tante persone scese in strada, armati solo di lenzuoli bianchi, per gridare i nomi di Paolo e Giovanni, alla ricerca di quella cosa semplice che Borsellino nel film chiama «il fresco profumo della libertà»

 

 

La storia di un uomo che «serviva lo Stato»

SU CANALE 5 LA FICTION DEDICATA AL GIUDICE ASSASSINATO
La storia di un uomo che «serviva lo Stato» Protagonista è Giorgio Tirabassi, ispettore di «Distretto di polizia» Accanto a lui Ennio Fantastichini. Il regista è il torinese Tavarelli.
Fare un film «per saldare almeno una piccolissima parte dell’enorme debito di riconoscenza che abbiamo nei confronti di quelle persone straordinarie».
Prima di iniziare le riprese del film-tv sulla storia del pool anti-mafia e dell’assassinio del magistrato Paolo Borsellino, il regista torinese Gianluca Maria Tavarelli aveva spiegato con queste parole le sue motivazioni. Autore apprezzato e sensibile di un cinema di sentimenti e di atmosfere, Tavarelli si è lanciato con entusiasmo in un’impresa nuova: «Sulle prime, quando il produttore Valsecchi mi ha proposto il progetto, ho preso tempo, ho detto che m’interessava più il cinema che la tv.
 
 
Poi ho iniziato a leggere i libri sull’argomento e sono rimasto conquistato». Nel film, prodotto dalla Taodue di Pietro Valsecchi per R.T.I., in onda 1*8 e il 9 novembre su Canale 5, il ruolo di Paolo Borsellino è affidato a Giorgio Tirabassi, volto noto del cinema italiano e anche della tv, soprattutto grazie all’ispettore Ardenzi interpretato in «Distretto di polizia»: «L’obiettivo è dare un messaggio alle nuove generazioni, perché certe cose non si ripetano». Al suo fianco Ennio Fantastichini recita nei panni di Giovanni Falcone. «Parliamo ha spiegato Tavarelli – di gente appartenente a una categoria superiore, servitori dello Stato che svolgevano il loro lavoro senza mai fare un passo indietro, sapendo bene che questo li avrebbe portati alla morte». Giorgio
 
LA STAMPA