PAOLO BORSELLINO, un grande magistrato ma non solo.

Borsellino

 

PAOLO BORSELLINO “La sensazione di essere un sopravvissuto e di trovarmi, come viene ritenuto, in estremo pericolo, è una sensazione che non si disgiunge dal fatto che io credo ancora profondamente nel lavoro che faccio, so che è necessario che lo faccia, so che è necessario che lo facciano tanti altri insieme a me. E so anche che tutti noi abbiamo il dovere morale di continuarlo a fare senza lasciarci condizionare dalla sensazione che, o financo, vorrei dire, dalla certezza che tutto questo può costarci caro” .
Temo la fine perché la vedo come una cosa misteriosa, non so quello che succederà nell’aldilà. Ma l’importante è che sia il coraggio a prendere il sopravvento…Se non fosse per il dolore di lasciare la mia famiglia, potrei anche morire sereno”.


AGNESE BORSELLINO: Paolo non riesce a trovare il tempo per occuparsi della famiglia. Carte, solo carte. Finisce in ufficio e torna a casa con la borsa piena di documenti da leggere, telefonate da fare, appuntamenti da riordinare. Con me e i miei figli parla solo di notte, quando tutti gli altri dormono. È diventato quasi una macchina. No, nessuno di noi gliene fa una colpa. Se trascura moglie e figli, ha motivi gravissimi, lo sappiamo bene. In gioco ci sono cose troppo importanti. Si è reso conto, pur nella sua umiltà, che in quel momento è l’unico ad avere la capacità e la volontà di lavorare con questi ritmi massacranti.»  La figlia Lucia ricorda lo sforzo di mantenere alto il livello del suo impegno contro la mafia, nonostante i mille ostacoli messi sulla sua strada dal procuratore capo Giammanco. «Pur di continuare il suo lavoro è disposto ad accettare certi limiti che gli pone sempre più spesso Giammanco. Gli costa un sacrificio doppio sapere che per motivi gerarchici è tenuto a raccontare al suo superiore i passi delle sue indagini, senza però ricevere in cambio, ne è convinto, lo stesso flusso di informazioni. Capisce che gli vengono nascoste conoscenze acquisite dall’ufficio, episodi che potrebbero interessarlo, anche fatti gravi.» (“L’agenda rossa di Paolo Borsellino”)


Sul lungomare di Carini, il giorno prima di morire, Paolo mi disse che non sarebbe stata la mafia ad ucciderlo, della quale non aveva paura, ma sarebbero stati i suoi colleghi e altri a permettere che ciò potesse accadere” (Ti racconterò tutte le storie che potrò)


Ci sono uomini che grazie al loro operato riescono a diventare dei simboli, e come tali passare alla storia. Paolo Borsellino è uno di questi. Con Giovanni Falcone é diventato il simbolo della lotta alla mafia e di una fedeltà allo Stato assoluta, spinta fino al sacrificio della propria vita. 

Come ha scritto Alessandra Turrisi: “Per Paolo Borsellino l’attenzione all’uomo veniva prima di tutto. Si trattasse di un amico sincero, di un testimone di giustizia, di un criminale.  
Ciò che di lui  resta sono i preziosi ricordi custoditi nella memoria di chi lo ha conosciuto nel quotidiano e ne può testimoniare una integrità morale fatta non di gesti eroici, ma di piccole azioni.
Dalle testimonianze di chi l’ha conosciuto e per varie ragioni frequentato, oltre al profilo  del magistrato dalle straordinarie qualità emerge la dimensione umana e quotidiana di una persona, di un marito e di un padre dalle caratteristiche non comuni e che qui abbiamo cercato di documentare e raccontare attraverso molteplici fonti.
L’umanità di «un uomo che riesce a essere sempre sé stesso quando è magistrato e quando è padre di famiglia, quando è amico, quando è collega, quando interroga un criminale.
FEDE E RISERVATEZZA Una cura per l’altro che probabilmente era frutto della sua profonda fede cristiana, mai ostentata, eppure vissuta ogni giorno, alimentata dalla partecipazione alla Messa domenicale, dalle assidue confessioni, dai colloqui con alcuni sacerdoti nei momenti più difficili della sua esistenza. Una voce “laica” come quella del suo giovanissimo sostituto alla procura di Marsala, alla metà degli anni Ottanta, Diego Cavaliero, lo descrive con efficacia: «Credo che la fede lo abbia aiutato in quello che è il concetto di morale, che va anche al di là della religione, ma individua ciò che è giusto o sbagliato in senso assoluto. Borsellino era credente, cattolico praticante, ciò gli indicava la strada nell’applicazione della pietas cristiana, nel rispetto dell’altro, perché Paolo era convinto che dietro a ogni imputato ci sia un uomo che va anche rispettato. La fede non faceva altro che rafforzare la sua personalità votata alla ricerca del rapporto con l’altro. Il suo rapporto con la fede era intimo. È certamente un uomo di misericordia».
La domenica mattina, alla prima Messa delle 8.30 di Santa Luisa di Marillac, il dottor Borsellino manca raramente, proclama quasi sempre una delle letture. Oltre ai numerosi abitanti di questa zona residenziale, ne è testimone monsignor Francesco Ficarrotta, dal 1979 al novembre 1991 guida della parrocchia che si trova proprio davanti all’alto condominio di via Cilea in cui vive il giudice con moglie e figli.
«Un giorno mi confessa il rammarico per non avere la forza, quando gli capita di partecipare ai funerali di uomini importanti, magari uccisi dalla mafia, di disporsi in fila per ricevere la Comunione», spiega Ficarrotta. «Vuole evitare di mettersi in mostra, ma così, e questo è il suo cruccio, non dà la giusta testimonianza di cristiano. Borsellino è veramente un uomo di fede» continua l’ex parroco.
PRONTO AL SACRIFICIO Don Cosimo Scordato, rettore della chiesa di San Francesco Saverio all’Albergheria, un antichissimo quartiere del centro storico di Palermo, riesce a catturare un altro aspetto di questa figura di magistrato cristiano, ucciso a causa della giustizia. Di tanto in tanto, il giudice fa capolino all’Albergheria, attirato dall’intensa attività di volontariato che la figlia più piccola, Fiammetta, svolge con i bambini più poveri del quartiere. «In realtà, incontro Paolo in occasioni molto disparate. Ricordo un evento in particolare. Siamo negli anni Ottanta e stiamo celebrando i venticinque anni di matrimonio di un suo cugino omonimo, Paolo Borsellino», racconta don Cosimo. «Dopo la Messa, molto partecipata, andiamo a festeggiare tutti insieme. In quell’occasione ho scoperto che il giudice Paolo è una persona di grande carattere, ha voglia di divertirsi».
Una ricchezza d’animo che don Cosimo impara a conoscere poco a poco. «Alcune volte Paolo si reca a San Saverio per partecipare alla Messa domenicale. Si siede quasi in fondo, durante la consacrazione, è tra i pochissimi fedeli a mettersi sempre in ginocchio. Rientra tra quelle persone il cui cammino di fede è segnato da un incontro particolare, magari un parroco, qualcuno che diventa determinante non per i tanti discorsi ma perché va all’essenziale. La dimensione religiosa la intravedo come il dato unificante della sua vita. E, nell’osservarlo, mi fa piacere vedere come quella persona riesca a tenere uniti due aspetti della sua vita apparentemente così lontani, ma invece vicinissimi. Sa essere un ragazzone scherzoso, che diverte con tutta la sua verve, e insieme un uomo con un’interiorità profonda».
Il giorno prima della strage don Rattoballi incontra il magistrato al Palazzo di giustizia. Quello che si trova davanti è un uomo che ha consapevolezza di andare incontro all’estremo sacrificio: «Vado a trovarlo in Procura alla vigilia della sua morte e, dopo un lungo colloquio, mi dice: “Fermati, voglio confessarmi. Vedi, mi sto preparando”. Aveva un senso profondo di ciò che doveva accadere»


ANTONINO CAPONNETTO  ”Paolo ebbe estrema semplicità, profonda umiltà e immensa umanità, enorme carica d’amore verso il prossimo, senso religioso del lavoro, generosità e coraggio con cui affrontò vita e andò incontro a morte annunciata.
“Paolo, arrivederci a presto”. Non è facile descrivere, né dimenticare lo sguardo che mi dette Paolo […] “Ma sei sicuro” -disse- “Antonio, che ci rivedremo?”. La domanda mi turbò, mi turbò molto, cercai di mascherare il mio turbamento, la volsi un po’ in tono scherzoso: “Ma che stai dicendo, Paolo? Certo che ci rivedremo”. E allora mi abbracciò, ma mi abbracciò con una, con una forza… che mi fece male! Mi strinse, non se ne rendeva conto… ma mi abbracciò come… come a non volersi distaccare, come a volere… tenere avvinto qualcosa di caro e portarselo via. Ecco, quello è stato… lì ho sentito che era l’addio di Paolo.
Ognuno di noi e non solo lo Stato gli e’ debitore; ad ognuno di noi egli ha donato qualcosa di prezioso e di raro che tutti conserveremo in fondo al cuore.  

PAOLO BORSELLINO La sensazione di essere un sopravvissuto e di trovarmi, come viene ritenuto, in estremo pericolo, è una sensazione che non si disgiunge dal fatto che io credo ancora profondamente nel lavoro che faccio, so che è necessario che lo faccia, so che è necessario che lo facciano tanti altri insieme a me. E so anche che tutti noi abbiamo il dovere morale di continuarlo a fare senza lasciarci condizionare dalla sensazione che, o financo, vorrei dire, dalla certezza che tutto questo può costarci caro” .
Temo la fine perché la vedo come una cosa misteriosa, non so quello che succederà nell’aldilà. Ma l’importante è che sia il coraggio a prendere il sopravvento…Se non fosse per il dolore di lasciare la mia famiglia, potrei anche morire sereno”.


Borsellino, un buon padre di famiglia


VIDEO

Ho avuto la fortuna di conoscere un uomo come Paolo Borsellino


Agnese Borsellino non si è mai tirata indietro quando le hanno chiesto di parlare degli uomini della scorta di suo marito:
“Erano persone che facevano parte della nostra famiglia. Condividevamo le loro ansie e i loro progetti. Era un rapporto, oltre che di umanità e di amicizia, di rispetto per il loro servizio. Mio marito mi disse ‘quando decideranno di uccidermi i primi a morire saranno loro’, per evitare che ciò accadesse, spesso usciva da solo a comprare il giornale e le sigarette quasi a mandare un messaggio ai suoi carnefici perché lo uccidessero quando lui era solo e non in compagnia dei suoi angeli custodi”.


19 luglio 2001. In occasione del nono anniversario dell’uccisione di Paolo Borsellino e della sua scorta la sorpresa forse più apprezzata é venuta da un ignoto ex collaboratore di giustizia a suo tempo pentitosi nella mani del procuratore di Marsala. Gli ha voluto rendere omaggio e ringraziarlo con una videocassetta dedicata «all’amico Paolo». Un gesto assai toccante, anche perchè estraneo alla suggestione da protagonismo: l’ex mafioso, infatti, non rivela la propria identità ma si limita a ricordare «l’uomo che mi ha salvato la vita, mi ha consentito di cambiare, di farmi una famiglia». «Se oggi vivo con una brava ragazza che mi ha dato amore e figli – racconta la voce incisa sulla scena di un mare sconosciuto – lo devo a quel giudice buono, a quell’uomo giusto». La cassetta è stata recapitata in forma anonima ad un sacerdote di Palermo.

Hanno detto di lui:

I figli

 



ALBUM di FAMIGLIA

 

 

Paolo Borsellino e Giovanni Falcone nei murales di TvBoy

Lo scrittore catanese Alfio Caruso nel suo libro “I Siciliani” annovera Paolo Borsellino nella sezione “I devoti di un dio minore” asserendo che:«sulla sponda del diritto e sulla sponda del sopruso si sono spesso fronteggiati appartenenti a una storia comune. Volti conosciuti, volti amati, volti di ragazzi assieme ai quali si sono condivisi gli sbadigli in classe, le gite dell’oratorio, le partite di pallone sulla spiaggia vicino al mare dell’innocenza. Tutti proiettati verso un immancabile destino di gioia. Molti sono andati a morire per l’ansia di mostrarlo. Ci si fa ammazzare dalla mafia per gli stessi motivi per cui la mafia ammazza. I camposanti sono pieni di siciliani uccisi per non essersi lasciati incantare dal clima, dal mare, dal sole, dagli amori, dagli odori, dagli “uomini di rispetto”, dagli “sperti e malandrini”, dai gattopardi, dai galantuomini, dai compari. I  migliori della generazione che pensava di sconfiggere la mafia, sono finiti sotto una croce per testimoniare che esiste un’altra Sicilia, che questa Sicilia non si arrende e mai si arrenderà, che ci sarà sempre una voce libera pronta ad alzarsi contro l’assuefazione al peggio, contro il ributtante imbroglio dell’ “onorata società”»


Ulteriori fonti di approfondimento:

TESI DI LAUREA



LIBRI

I libri che abbiamo censito e che raccontano l’uomo e il magistrato Borsellino sono tantissimi.  Ne segnaliamo alcuni in particolare in quanto sono anche il frutto del contributo diretto di testimonianze da parte dei sui famigliari:


FILM

Fra i diversi film che ne raccontano l’attività professionale e quella famigliare segnaliamo:


La storia di Rita Atria, la settima vittima di via D’Amelio

Ora che è morto Borsellino… Tutti hanno paura ma io l’unica cosa di cui ho paura è che lo Stato mafioso vincerà e quei poveri scemi che combattono contro i mulini a vento saranno uccisi. Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c’è nel giro dei tuoi amici, la mafia siamo noi ed il nostro modo sbagliato di comportarsi. Borsellino, sei morto per ciò in cui credevi ma io senza di te sono morta.  RITA ATRIA


«All’amico Paolo», grazie da un ex mafioso

 

GIOVANNI e PAOLO e il mistero dei pupi

 

PAOLO BORSELLINO: “I giovani la mia speranza”

 

 

 

🟧 PREFAZIONE di Fiammetta e Lucia Borsellino

🟧 PREMESSA di Claudio Ramaccini

🟥 PAOLO BORSELLINO, il coraggio della solitudine

🟥 CRONISTORIA DEL DEPISTAGGIO dal 1992 ad oggi

🟥 La DENUNCIA di FIAMMETTA BORSELLINO

🟥 ed ALTRO ANCORA 

🟥 DOCUMENTAZIONE

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