Dov’è la ‘ndrangheta in Italia

 

L’operazione Propaggine, nel corso della quale sono stati arrestati a Roma 43 presunti appartenenti al clan ‘ndranghetista Alvaro di Sinopoli (Reggio Calabria), confermerebbe secondo la Direzione investigativa antimafia la capacità della mafia calabrese di insediarsi in molte parti d’Italia creando quelle che, nel linguaggio degli affiliati adottato anche da chi fa le indagini, sono chiamate le “locali” (molti, anche nei documenti di polizia e magistratura, declinano al maschile: i locali). Si tratta di filiali create in territori lontani dalla Calabria con il consenso dei boss del clan.
Oltre alle attività criminali la locale replica nel territorio in cui si insedia riti, usanze, linguaggi di quella che si può chiamare “casa madre”. Le decisioni fondamentali devono essere sempre avallate dalla Provincia o Crimine, come viene chiamata la commissione a cui spetta l’approvazione finale di tutte le attività. Le decisioni vengono prese durante le cosiddette “mangiate”, pranzi che durano tutto il giorno.
A Roma sarebbe la prima volta che viene scoperta la presenza così organizzata di un clan. La criminalità ‘ndranghetista nella capitale c’è da tempo, ma non era mai stata segnalata una locale. Nel Nord Italia, invece, le locali sono molte e sono presenti e attive fin dagli anni Cinquanta quando, con decisioni che si rivelarono poi controproducenti, boss della ‘ndrangheta, ma anche della mafia e della camorra, vennero spediti al soggiorno obbligato in centri del Nord.
La presenza della ‘ndrangheta, soprattutto in Lombardia, divenne poi invadente e prominente negli anni Ottanta. Furono gli anni in cui Buccinasco, in provincia di Milano, iniziò a essere chiamata la Platì del Nord, dal nome del paese calabrese dove vivevano i Papalia e i Barbaro. Da lì gestivano affari non solo in Italia ma in tutta Europa: comprarono alberghi, ristoranti, bar e vari tipi di attività commerciale. Furono anche gli anni in cui i clan della ‘ndrangheta guidati da Pepè Flachi strinsero alleanze d’affari nel Nord Italia con la camorra e la banda milanese di Renato Vallanzasca.

Dagli anni Ottanta a oggi il giro d’affari criminale della ‘ndrangheta è cresciuto, approfittando anche dell’indebolimento della mafia siciliana contro la quale, dopo le stragi dei primi anni Novanta, si concentrò l’attività di repressione dello Stato. Quelli calabresi sono i clan criminali attualmente più forti: la ‘ndrangheta è leader assoluta nel traffico della cocaina, ma è stata anche capace di intrecciare rapporti con funzionari e rappresentanti degli enti locali, sia in Calabria sia in altre parti d’Italia, così come con imprenditori, liberi professionisti, dirigenti d’azienda. Ha scelto di essere un’organizzazione più “silente” per infiltrarsi con maggiore successo nell’economia.
L’affermazione della ‘ndrangheta è dovuta anche, come spiega l’ultimo rapporto della Direzione investigativa antimafia sul primo semestre 2021, «alla composizione organizzativa su base familiare sempre coesa all’interno».
È vero anche però che ormai esiste un numero elevato di ‘ndranghetisti divenuti collaboratori di giustizia, grazie ai quali ci sono state importanti operazioni di polizia. La “competitività” della ‘ndrangheta è ancora però forte e solida anche grazie alla notevole capacità, si legge nel rapporto della Dia, «
di relazionarsi agevolmente e con egual efficacia sia con le sanguinarie organizzazioni del narcotraffico sudamericano, sia con politici, amministratori, imprenditori e liberi professionisti.
La ‘ndrangheta esprime un sempre più elevato livello di infiltrazione nel mondo politico-istituzionale, ricavandone indebiti vantaggi nella concessione di appalti e commesse pubbliche
».
Secondo la Dia, con la sua attività di corruzione la ‘ndrangheta arriva a condizionare gli enti locali «sino a controllarne le scelte, pertanto inquinando la gestione della cosa pubblica e talvolta alterando le competizioni elettorali». La mafia calabrese è anche quella che più riesce ad arruolare nuove leve.
Sempre la relazione della Direzione investigativa antimafia parla di una specie di «propaganda
criminale» anche attraverso i social network, rivolta specialmente ai giovani disoccupati.

La ‘ndrangheta è la più internazionale delle organizzazioni. Opera in Spagna, Francia, Regno Unito, Belgio, Paesi Bassi, Germania, Austria, Slovacchia, Romania e Malta, nonché in Australia, Canada e Stati Uniti.

In Italia sono state censite 47 locali: 25 in Lombardia, 16 in Piemonte, tre in Liguria, una in Veneto, una in Valle d’Aosta e una in Trentino-Alto Adige.

L’organizzazione criminale calabrese, dice la relazione della Dia, «è perfettamente radicata e ben inserita nei centri nevralgici del mondo politico-imprenditoriale anche nei contesti extra regionali e i numeri dimostrano la capacità espansionistica delle cosche e la loro vocazione a duplicarsi secondo gli schemi tipici delle strutture calabresi».
Prova ne sono i tanti consigli comunali sciolti per ingerenze ‘ndranghetiste.
Un esempio tra tutti è quello di Saint-Pierre, meno di 3mila abitanti, in Valle d’Aosta, dove secondo le inchieste della magistratura una locale della cosca Nirta-Strangio di San Luca, nella provincia di Reggio Calabria, aveva condizionato i lavori degli amministratori pubblici.
Nicola Gratteri, procuratore di Catanzaro, ha detto recentemente che «la ‘ndrangheta spara meno però corrompe di più, ha sempre più rapporti con il mondo dell’imprenditoria e della politica». Indagini e arresti sembrano confermarlo in tutta Italia, anche se le cosche non hanno smesso di occuparsi di traffico di droga, usura, estorsioni, in generale di “marcare il territorio” ricorrendo, quando lo ritengano necessario, alla violenza.
D’altra parte il settore delle sostanze stupefacenti, come conferma la Dia, «non fa registrare flessioni». E la ‘ndrangheta è considerata dai narcotrafficanti sudamericani l’organizzazione più affidabile, in grado di gestire enormi quantitativi di droga in arrivo nei porti italiani di Gioia Tauro, La Spezia, Genova, Livorno, Vado Ligure.

 

Un fermo immagine da un video diffuso dai carabinieri del Comando provinciale di Milano: nella sala di un ristorante sono riuniti capi delle locali lombarde della ‘ndrangheta e rappresentanti della “casa madre” calabrese. ANSA/ US CARABINIERI

Lombardia
Per comprendere la presenza della ‘ndrangheta in Lombardia è invece utile partire da alcuni numeri: la regione è la quarta, dopo quelle d’origine delle tre grandi organizzazioni criminali, per numero di beni sequestrati e confiscati. In Lombardia gli immobili tolti alla criminalità organizzata sono 3.256. In Sicilia 14.036, in Campania 6.092 e in Calabria 4.893.

Da metà anni Ottanta esiste quella che in gergo ‘ndranghetista è chiamata Camera di Controllo Lombardia, o anche semplicemente Lombardia, che coordina le attività di tutte le locali e le rappresenta poi con le strutture di vertice in Calabria. Le locali sono presenti in provincia di Milano (Bollate, Bresso, Cormano, Corsico, Pioltello, Rho, Solaro e Legnano), Como (Erba, Canzo-Asso, Mariano Comense, Appiano Gentile, Senna Comasco, Fino Mornasco-Cermenate), Monza-Brianza (Monza, Desio, Seregno, Lentate sul Seveso, Limbiate), Lecco (Lecco e Calolziocorte), Brescia (Lumezzane), Pavia (Pavia e Voghera) e Varese (Lonate Pozzolo).

Ha detto il questore di Milano Giuseppe Petronzi parlando del rischio di infiltrazione della ‘ndrangheta negli appalti relativi ai fondi del PNRR: «Oramai il legame identitario tra i fenomeni criminali e l’economia nel Nord Italia è così forte da poter affermare che il concetto di “mafia imprenditrice” ha preso il sopravvento su qualsiasi visione militare di penetrazione del territorio». Secondo Petronzi si può parlare di «welfare criminale di prossimità, per la presenza di un parterre di utenza di enorme interesse per le mafie (basti pensare alle famiglie in crisi, ai lavoratori precari, alle aziende al collasso) sia in un’ottica di gestione delle attività facilmente accaparrabili, sia per il reperimento di manovalanza a basso costo ma soprattutto come potenziale bacino di voti da utilizzare in prospettiva elettorale per la penetrazione degli apparati pubblici».
Nel gennaio del 2021 con l’operazione Cardine – Metal Money fu scoperto un traffico clandestino di metalli e rifiuti ferrosi in provincia di Lecco, da cui derivavano secondo la procura fondi per finanziare gli imprenditori a tassi di usura. Alessandra Dolci, coordinatrice della Direzione distrettuale antimafia, disse che gli usurai della ‘ndrangheta vogliono direttamente l’attività commerciale che la loro vittima non riesce più a mantenere, «perché per loro è un presidio sul territorio, sul quartiere, più importante del denaro». Secondo Dolce gli ‘ndranghetisti «vogliono colonizzare i locali del centro di Milano», e sono agevolati nell’attività di usura dalla crisi economica.
L’usura viene esercitata prevalentemente attraverso prestiti mascherati tramite false fatturazioni emesse da società di copertura. In questo modo i ricavi vengono contabilizzati all’interno dei bilanci societari andando a costituire un patrimonio apparentemente lecito. Se l’imprenditore che ha richiesto il prestito non riesce a ripagare l’organizzazione criminale, viene costretto alla cessione di quote societarie o dell’intera impresa.  
Le locali in Lombardia sono così forti che alcune si sono conquistate una forte autonomia rispetto alla propria Provincia. Ogni tanto nasce anche qualche istanza secessionista, subito però sopita dal potere centrale.  
Il 14 luglio 2008 un importante boss, Carmelo Novella, fu ucciso da due uomini con cinque colpi di pistola mentre giocava a carte nel circolo ex combattenti e reduci di San Vittore Olona, in provincia di Milano.  
Per gli inquirenti si trattava di un delitto inspiegabile. Solo mesi più tardi si scoprì che Novella voleva portare all’indipendenza la locale di Legnano-Lonate Pozzolo, di cui era al vertice.
Novella sapeva di stare rischiando molto.
Un avvertimento gli era arrivato qualche settimana prima quando non era stato invitato a un importante matrimonio della figlia di un boss di Gioiosa Ionica, in Calabria: matrimoni e battesimi sono fondamentali nella ritualità della ‘ndrangheta, e non essere invitati rappresenta un preciso segnale.
Disse Novella a un amico nel corso di una telefonata intercettata: «Qui stanno impostando un discorso, compare. Rocco Aquino non mi mandò l’invito, a Cosimo e a ‘u Panetta sì. Noi non sappiamo che c’è sotto, che cazzo stanno preparando».



Piemonte
Il Piemonte è, dopo la Calabria e la Lombardia, la regione in cui la ‘ndrangheta è più forte. Il radicamento iniziò con la grande emigrazione degli anni Cinquanta dal Sud al Nord Italia ma è stato agevolato negli ultimi anni dalla presenza nelle carceri di Cuneo e Novara di boss sottoposti a regimi carcerari speciali. Con i boss in carcere in Piemonte, molti loro familiari si sono trasferiti nelle zone del novarese e del cuneese creando  quelli che la Dia chiama «presupposti di radicalizzazione».

Il primo comune sciolto per mafia nel Nord Italia fu proprio in Piemonte: Bardonecchia, nel 1995. Nella cittadina in val Susa era stato mandato nel 1963 al soggiorno obbligato Rocco Lo Presti, di Gioiosa Ionica: dopo pochi anni lui e altri ‘ndranghetisti avevano già preso il controllo di tutte le attività illegali della zona fino a  infiltrarsi nell’amministrazione pubblica. Altri due comuni, Leinì e Rivarolo, sempre in provincia di Torino, vennero sciolti nel 2012 per infiltrazioni della ‘ndrangheta. 

A Torino, dice la relazione della Dia, ci sono le locali dei Giorgi, originari di San Luca, dei Cua-Ietto-Pipicella, che sono di Careri, dei Carrozza di Roccella Ionica, dei Cataldo di Locri – tutti comuni della provincia di Reggio Calabria. Ma ci sono locali anche a Volpiano, a Rivoli, a San Giusto Canavese, a Chivasso, a Moncalieri, a Giaveno, a San Mauro Torinese – tutti comuni in provincia di Torino.

Spostandosi nella provincia di Cuneo, nel giugno 2020 nel corso dell’inchiesta Altan furono arrestati a Bra 12 affiliati dei clan Alvaro di Sinopoli (RC). Dalle indagini emerse che la locale aveva riprodotto perfettamente la struttura gerarchica della casa madre con riti di affiliazione e l’obbligo per gli ‘ndranghetisti di mantenere una cassa comune e sostenere le spese economiche dei membri del clan detenuti.

Nelle zone di Cuneo, di Alessandria e di Asti è attiva la cosiddetta locale del Basso Piemonte: in queste zone, soprattutto tra Alba, Sommariva del Bosco e Novi Ligure, la ‘ndrangheta è molto attiva. Negli ultimi tempi sono stati presi molti provvedimenti interdittivi antimafia nei confronti di aziende del settore dei rifiuti, degli autotrasporti e delle costruzioni.

Liguria
La Liguria è una regione fondamentale per la ‘ndrangheta, essenzialmente per due motivi. Il primo è che dalla frontiera di Ventimiglia passano i corrieri di hashish e marijuana provenienti soprattutto dal Nord del Marocco. Nel 2021 a quella frontiera sono stati sequestrati il 44,73% di tutta la marijuana e il 99,38% di tutto l’hashish sequestrati in Italia. L’altro motivo è che nei porti di La Spezia, Genova e Vado Ligure arrivano via nave enormi quantitativi di cocaina provenienti dal Sud America. Il 39% della cocaina sequestrata in Italia passa dai porti liguri.

Nell’area portuale di Genova Prà la Guardia di Finanza ha sequestrato a febbraio 450 chili di cocaina divisi in 400 panetti, contenuti in 14 borsoni nascosti in una spedizione di caffè sbarcata da una nave. Sempre a febbraio a Vado Ligure 280 chili di cocaina erano stati trovati cuciti all’interno di pellame in un container appena scaricato da una nave proveniente da Santo Domingo. Un mese prima a La Spezia erano stati sequestrati 412 chili di cocaina nascosti in una spedizione di carta da macero.

In Liguria la ‘ndrangheta è poi attiva in altri settori: fin dagli anni Cinquanta la regione, come scrive il rapporto della Dia, ha rappresentato «una forte attrattiva per il florido tessuto economico essendo tra l’altro un crocevia strategico tra Versilia, Costa Azzurra, regioni del Nord Italia e Nord Europa». Le locali più forti sono a Genova, Lavagna e Ventimiglia. Quest’ultima garantisce «continuità operativa e strategica con le analoghe strutture ultra-nazionali presenti in Costa Azzurra».

Le altre regioni
Il Trentino-Alto Adige, fin dagli anni Settanta, ha rappresentato per la ’ndrangheta una testa di ponte per le sue operazioni in Germania. Una locale, secondo la Dia, è attiva a Lona Lases, in provincia di Trento. Nel 2020 nel corso di un’indagine denominata Perfido emerse secondo la Procura di Trento che una ‘ndrina aveva assunto il controllo di aziende operanti nell’estrazione del porfido.

In Veneto sono le piccole e medie imprese, spesso a conduzione familiare e in crisi di liquidità, a essere obiettivo delle organizzazioni criminali. Due recenti inchieste, Isola scaligera e Taurus, nel veronese, hanno coinvolto con arresti e successive condanne in primo grado membri delle famiglie Arena-Nicoscia di Isola Capo Rizzuto (Crotone) e Gerace-Albanese-Napoli-Versace, originarie della Piana di Gioia Tauro. Commentando l’inchiesta il procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Venezia Bruno Cherchi disse: «Tutto il Veneto, da est a ovest, ha una presenza articolata e radicata di organizzazioni criminali nella struttura sociale. Non è più un grido di allarme ma l’evidenziazione di un sistema che è presente ed è finalmente noto alle cronache giudiziarie». Cherchi ricordò che «da tempo ci siamo rivolti alle organizzazioni imprenditoriali perché elevino l’attenzione a questi fenomeni, un dato acquisito che sta inquinando la vita economica e rompe il rapporto sano della domanda e dell’offerta».

L’Emilia-Romagna è un’altra delle regioni dove cosche della ‘ndrangheta sono insediate da tempo. In particolare è attiva la locale della famiglia Grande-Aracri, originaria di Cutro, in provincia di Crotone. Nel marzo 2021 dieci persone furono arrestate con l’accusa di appartenere alla ‘ndrangheta e quindi di svolgere attività criminali soprattutto nelle zone di Parma e Reggio Emilia. Era scritto nell’ordinanza di custodia cautelare: «La consorteria ‘ndranghetista emiliana si connota per una spiccata vocazione imprenditoriale e finanziaria in grado di infiltrarsi nel ricco tessuto economico e produttivo della Regione evitando per deliberata strategia di porre in essere fatti eclatanti (in particolare: di sangue) onde evitare di attirare l’attenzione delle Forze dell’Ordine sul fenomeno mafioso in Regione».

In Toscana accade lo stesso. La ‘ndrangheta ha scelto un profilo basso, acquisendo il controllo di alcune aziende del mercato del movimento terra. Capitolo a parte è quello che riguarda il porto di Livorno dove a gestire gli ingenti quantitativi di cocaina in arrivo dal Sud America sarebbe la cosca Gallace, originaria di Guardavalle, in provincia di Catanzaro. Nel 2020 il porto di Livorno ha fatto registrare il picco dei sequestri degli ultimi dieci anni (3.370,79 kg), secondo soltanto a quello di Gioia Tauro per quantità di cocaina sequestrata.

Attività della ‘ndrangheta sono segnalate dalla Dia anche in Umbria, nelle Marche, in Abruzzo e in Molise, regione che già tre anni fa, secondo il Procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho, stava perdendo le caratteristiche di «isola felice». 

Una regione che secondo la Dia «appare tuttora estranea a forme di criminalità organizzata di tipo mafioso» è la Sardegna. Eppure in qualche modo la ‘ndrangheta è attiva anche sull’isola, collaborando con gli spacciatori locali.


L’importanza dei riti, e dei ghiri, per la ‘ndrangheta

 

Le iniziazioni sono seguite da grandi mangiate di roditori, in una delle tante tradizioni bizzarre ma centrali dell’organizzazione

Durante una recente perquisizione a Delianova, in provincia di Reggio Calabria, in un’operazione antidroga, i carabinieri hanno trovato nel freezer di un’abitazione 235 ghiri surgelati. Altri erano vivi, in gabbie, pronti per essere ingrassati e poi uccisi. Le cene a base di ghiro, animale protetto e considerato da qualcuno un cibo proibito, non sono rare in alcune zone della Calabria. È una tradizione antica, un piatto che risale agli antichi romani, presente anche in altre regioni italiane e che in Calabria riguarda anche i riti di ‘ndrangheta.

È un’abitudine radicata soprattutto in alcune zone, sull’altipiano della Sila, nel cosentino, e nelle serre dove si incontrano le province di Reggio Calabria, Vibo Valentia e Catanzaro. Secondo un rapporto della Lav, la Lega antivivisezione, nel solo comune di Guardavalle, in provincia di Catanzaro, ne vengono catturati 20.000 l’anno.

Grandi cene a base di ghiri, in tegame o in umido, seguono i battesimi, e cioè le iniziazioni dei nuovi affiliati della ‘ndrangheta, oppure gli incontri che sanciscono le alleanze o la risoluzione di una disputa. È anche il piatto da offrire agli ospiti, un messaggio che simboleggia l’evasione della legge dello stato, l’esistenza di regole locali. Due anni fa un gruppo di affiliati a una ‘ndrina – una cosca della ‘ndrangheta – fu individuato mentre era a caccia di ghiri di notte: ne aveva catturati 200. La caccia avviene sempre di notte, quando ogni tipo di caccia è vietata, soprattutto tra settembre e ottobre quando i ghiri si preparano al letargo.

Ha detto al Post Enzo Ciconte, docente di Storia della criminalità organizzata e autore del libro Riti criminali –  I codici di affiliazione alla ‘ndrangheta: «Le cosiddette “mangiate” sono importantissime per l’organizzazione criminale. Vale la stessa regola dei matrimoni: essere invitati o esclusi ha un significato preciso. Vale come esempio la storia di Carmelo Novella, detto “lo scissionista” che voleva rendere indipendente il suo ramo lombardo dell’organizzazione dalla madre patria Calabria. Quando ci fu un importante matrimonio in Aspromonte, talmente grande che dovettero prenotare due ristoranti, lui non fu invitato. Poco dopo lo ammazzarono».

La ‘ndrangheta si basa su riti e tradizioni, alcuni appaiono grotteschi ma servono sempre a sancire appartenenza e lealtà. È un’organizzazione criminale che fa affari in tutto il mondo, che si è impiantata nel Nord Italia e nei Paesi Bassi, in Germania e in Canada, in Spagna e Regno Unito che siede in consigli d’amministrazione e controlla aziende, che guadagna enormi quantità di denaro. Ma ovunque si trovino, gli affiliati rinforzano il legame con il territorio dei padri e dei nonni.

Nelle tasche di una delle vittime della strage di Duisburg, in Germania, dove il 15 agosto del 2007 sei esponenti della famiglia Pelle-Vottari furono uccisi dagli affiliati alla ‘ndrina Nirta-Strangio, fu trovato un santino bruciato, segno che era appena terminato un rito di affiliazione.

Sempre in Germania, in un bar di Singen nel Land del Baden-Wurttemberg, ci fu una riunione di ‘ndrangheta filmata dalla polizia. Prima di iniziare il capo della ‘ndrina, per battezzare il locale, pronunciò queste frasi: «Io lo battezzo come lo hanno battezzato i nostri tre cavalieri di Spagna… i nostri tre cavalieri che dalla Spagna sono partiti, se loro hanno battezzato con ferri e catene, con ferri e catene lo battezzo io… se loro hanno battezzato con carceri scuri e carceri penali, con carceri scuri e carceri penali lo battezzo io».

In Svizzera, a Frauenfeld, venne ripresa un’altra riunione. Lì prima di iniziare il capo disse: «Io vi battezzo utilizzando ceppi e catene, nella stessa maniera in cui i nostri cavalieri Osso, Mastrosso e Carcagnosso l’avevano fatto in Spagna, nel 1830, prima del loro arresto in Calabria».

È una filastrocca, una leggenda che le famiglie della ‘ndrangheta si tramandano da generazioni. Osso, Mastrosso e Carcagnosso erano cavalieri spagnoli che facevano parte della Garduña, società segreta di Toledo, che arrivarono in Italia nel 1412, fuggiti perché colpevoli di un delitto d’onore: avevano ucciso un uomo che aveva offeso una loro sorella. Restarono, secondo la leggenda, 9 anni, 11 mesi e 29 giorni nell’isola di Favignana, davanti a Trapani, in Sicilia, che poi lasciarono dopo aver scritto le regole della società, e cioè le leggi mafiose. Andarono in Sicilia, Calabria e Campania dove fondarono mafia, ‘ndrangheta e camorra.

Secondo altre credenze, sia della ‘ndrangheta sia della camorra, Osso rappresenta Gesù Cristo, Carcagnosso raffigura San Pietro e Mastrosso San Michele Arcangelo. «È una storia inventata che ha uno scopo identitario» spiega Ciconte. «I ragazzini della ‘ndrangheta crescono ascoltando questa favola così come altri crescono con Cappuccetto Rosso. I giovani ‘ndranghetisti saranno così convinti di discendere da una stirpe nobile, i tre cavalieri, e di avere un compito d’onore e non di essere semplici delinquenti. È la stessa storia dei Beati Paoli siciliani, la setta dei vendicosi. Non sono probabilmente mai esistiti ma i mafiosi se la tramandano come segno di appartenenza a una stirpe nobile».

Nella sentenza emessa dal Tribunale di Reggio Calabria al termine del processo Crimine-Infinito contro le cosche impiantate nel Nord Italia si legge: «È evidente che non può parlarsi di una ‘ndrangheta vecchio stile che si limita a rituali inoffensivi e di una ‘ndrangheta militare che si insinua negli affari o che si dedica al narcotraffico: la ‘ndrangheta, anche quella che importa dal Sudamerica o che ricicla nei mercati finanziari mondiali ingenti risorse economiche, è quella che ha come substrato imprescindibile rituali e cariche, gerarchie e rapporti che hanno il loro fondamento in una subcultura ancestrale risalente nel tempo, che la globalizzazione del crimine non ha eliminato ma che probabilmente costituisce la forza di quella organizzazione e il suo valore aggiunto».

Non esiste, in sostanza, una ‘ndrangheta moderna e spietata e un’altra che celebra ricorrenze con cene a base di ghiri pronunciando strane formule di rito: è la stessa, che rimane legata alla tradizione nonostante i ricambi generazionali. Qualsiasi cambiamento non può prescindere dal rispetto delle liturgie e delle regole. Durante un processo il collaboratore di giustizia Giovanni Iannò disse alla Corte: «la ‘ndrangheta è una e sola, ordina delitti, ci sono state le faide, ci sono stati omicidi fra di loro, faide locali e tutte cose ma è una ‘ndrangheta. È un corpo, ha regole e nasce a Reggio Calabria e si radica in tutte le parti del mondo».

Quando cominciò l’operazione Crimine-Infinito, nei primi anni Duemila, nell’elenco di indagati in Lombardia c’erano 17 imprenditori nel campo dell’edilizia. C’erano un architetto, un biologo, cinque pensionati, un cuoco, un organizzatore di meeting, il titolare di una ditta di abbigliamento, il proprietario di un vivaio. Il pubblico ministero di Milano, Alessandra Dolci, disse: «Mi sono chiesta, ma come può un imprenditore che sta in Lombardia da vent’anni, che ha condizioni agiate, ha una fabbrica, dipendenti, una famiglia, chiedere lui, perché è così, perché così è andata, di essere affiliato alla ‘ndrangheta? Perché?».

Molti di quegli indagati erano stati filmati dalle forze dell’ordine il 2 settembre, quando la tradizione ‘ndranghetista vuole che i capi si ritrovino a rendere omaggio al santuario della Madonna di Polsi, a San Luca, in una valle nell’Aspromonte.

Spiegò Nicola Gratteri, magistrato impegnato da anni nella lotta alla ‘ndrangheta: «Ogni anno a settembre nel santuario della Madonna di Polsi in pieno Aspromonte, nel Comune di San Luca, i capimafia si riuniscono per discutere le strategie criminali. È considerato un luogo sacro non solo per i pellegrini ma anche per la ’ndrangheta. Si riuniscono a Polsi perché è il luogo della custodia delle 12 tavole della ‘ndrangheta. Perché la forza della santa, rispetto alle altre organizzazioni criminali, è che fa osservare in modo ortodosso le regole». La Santa è la società maggiore, cioè il livello più alto dell’organizzazione. Le 12 tavole sono quelle in cui, secondo la leggenda, sono scritte le regole dell’organizzazione e che sarebbero custodite proprio a Polsi.

Già nel 1901, in un rapporto di un tenente dei carabinieri alla Regia Procura di Reggio Calabria, c’era scritto: «L’ingresso nella società ha luogo ordinariamente il 2 settembre di ogni anno alla festa della Madonna di Polsi d’Aspromonte, in prossimità del convento dove si radunano i principali capi delle associazioni a delinquere dell’intera provincia e di quelle vicine».

Da allora molte cose sono rimaste uguali. Un collaboratore di giustizia, Rocco Varacalli, disse che prima di riunirsi i capi devono lasciare le armi a una cosiddetta sentinella che le ritira pronunciando questa cantilena: «Mi travesto da sbirro d’omertà e perquisisco ogni uomo della società». Anche il rito della perquisizione è antico: serviva a evitare che le discussioni potessero degenerare in scontri ma anche ad assicurarsi che ogni affiliato avesse con sé un’arma, cosa imprescindibile per gli uomini d’onore. Varacalli racconta che quando fu affiliato, alla fine della cerimonia gli venne chiesto che cosa aveva da offrire all’organizzazione. «Io risposi la Jeep, pensando che dovessi regalare qualcosa. Tutti si misero a ridere e gli spiegarono che doveva offrire una cena e baciare in fronte tutti i presenti».

Enzo Ciconte nel suo libro riporta la testimonianza di un carcerato che venne affiliato alla ‘ndrangheta in cella a Saluzzo quando aveva già 30 anni (un’anomalia perché l’affiliazione arriva di solito a 14-15 anni). Così raccontò il rito del battesimo, che viene chiamato anche rimpiazzo oppure “fare qualcuno malandrino”: «Giurai che non sarei mai andato contro le regole della società a costo anche di andare contro la mia famiglia. Da quel momento non ero più quello di prima visto che occupavo un posto da uomo. Mi praticarono un taglio a forma di croce sulla parte superiore del pollice destro vicino all’unghia. Dal dito destro dovevano cadere tre gocce di sangue dentro un piatto».

Uno ‘ndranghetista di grado più elevato prese poi un santino di San Michele Arcangelo, lo bruciò parzialmente, mise la cenere sulla ferita. «Quindi bruciò completamente il santino e mi disse: “Quando non ci saremo più saremo come questa polvere”. Poi mi insegnò il gergo dello sgarrista, il primo livello dell’affiliato: “Osso è il capo società, Mastrosso il contabile, Carcagnosso il mastro di giornata, quello che svolge l’attività quotidiana. L’onorata società per noi è l’albero della scienza suddiviso in fusto, rifusto, ramo, ramoscello e fiore. I primi tre rappresentano la maggiore mentre gli altri due la minore. Tutto insieme è l’onorata società”». Per maggiore e minore si intendono i due livelli in cui è divisa l’organizzazione.

Anche in carcere il rito, che preferibilmente viene celebrato l’ultimo sabato del mese al tramonto, si conclude con la classica mangiata. E il ghiro difficilmente manca.

Il primo livello di uno ‘ndranghetista è quello di picciotto, non ancora affiliato. Poi, man mano che si conquista spazio nell’organizzazione, aumenta la dote (è il grado, ma nessuno dell’organizzazione utilizza il termine considerandolo “da poliziotti”). Scrisse in un memoriale il pentito Antonio Belnome, ‘ndranghetista di Giussano, in provincia di Monza e Brianza: «Una volta entrato a far parte della ‘ndrangheta non riuscirai a uscirne. È come una droga per un drogato, ti entra nella pelle e nel sangue, acquisisci la sua mentalità, diventi sempre più spietato. Una volta che si raggiunge l’apice è finita: non puoi più fidarti di nessuno, devi guardarti alle spalle, spostarti da un luogo all’altro, fuggire dai nemici. E alla fine ti ritrovi solo, senza famiglia e senza amici».

Dopo il picciotto c’è il camorrista e poi lo sgarrista. Quindi si entra nella società maggiore. Prima santista, poi vangelista, quindi quartino, trequartino e padrino. Per le doti maggiori i riti cambiano: a Osso, Mastrosso e Carcagnosso subentrano Mazzini, Garibaldi e Lamarmora oppure Gasparre, Melchiorre, Baldassarre e Carlo Magno. Per lo sgarrista, che ha come santa protettrice Elisabetta, i cavalieri sono Minofrio, Mismizzu e Misgarru. Per il padrino la formula è una specie di filastrocca: «A nome del principe russo, conte Leonardo e fiorentino di Spagna, con spada e spadino è formato il Padrino».

Durante un processo, il pentito Gianni Cretarola spiegò così i riti della ‘ndrangheta a un giudice: «Lei ieri mi ha fatto una precisazione dicendo “Parliamo dei riti o parliamo della favella dando un tono di colore a questa udienza”. Volevo precisare che queste cose che le ho raccontato non sono né una nota di colore né un folklore calabrese ma sono ciò che costituisce la vera forza, il vero collante della ‘ndrangheta: sono quello che la differenziano da tutte le organizzazioni criminali a livello mondiale; sono quello che fanno resistere gli affiliati all’interno delle carceri anni e anni di galera e di condanne»

IL POST