ANTIMAFIA / LA PISTA ‘MAFIA-APPALTI’ PER LE STRAGI FALCONE-BORSELLINO NEL J’ACCUSE DI FABIO TRIZZINO

 

Il chiodo fisso di Giovanni Falcone era il rapporto mafia-appalti e lo fu anche di Paolo Borsellino, che era convinto che lì vi fosse la chiave della spiegazione della strategia criminale in corso. E’ un falso storico dire che Borsellino non conosceva il contenuto del rapporto del ROS su mafia-appalti”.

E’ uno dei passaggi salienti, una sorta di fil-rouge che si dipana nelle due ore di verbalizzazione resa da Fabio Trizzino, il legale della famiglia Borsellino e marito di una delle figlie, Lucia Borsellino, davanti alla Commissione Antimafia.

Il movente ‘Mafia-Appalti’ per le bombe di Capaci e via D’Amelio, come la ‘Voce’ ha voluto documentare in decine di inchieste dedicate alle due stragi. Un movente, invece, sempre ‘insabbiato’ da magistrati e politici, ai quali conveniva certo di più coltivare la falsa pista della ‘Trattativa Stato-Mafia’, rivelatasi un flop. Oppure di seguire la inverosimile – stavolta sì – pista ‘nera’, tanto cara ai cronisti di ‘Report’.

Ma ecco, a seguire, una rapida carrellata delle frasi salienti pronunciate da Trizzino, proprio a cominciare dalla pista Mafia-Appalti, alla quale la Voce ha dedicato ampio spazio anche nella sua ultima cover story del 26 settembre.

“Il dossier Mafia-Appalti era un dossier molto importante, non possiamo considerarlo un rapporto perfetto, bisognava starci sopra; d’altra parte Falcone disse che bisognava affinare le metodologie d’indagine”.

Secondo Trizzino, che ha paragonato il dossier del ROS alla prima confessione di Mario Chiesa che aprì la stagione di Tangentopoli, Borsellino venne eliminato sia perché voleva proseguire con vigore e determinazione sulla pista Mafia-Appalti, sia perché aveva scoperto come il movente per la strage di Capaci fosse proprio il forte interesse del collega e amico Falcone per quel rapporto bollente.

L’accelerazione della strage di via D’Amelio non ha senso guardando agli interessi puri e semplici dell’organizzazione mafiosa di Totò Riina. Non si può ammazzare Borsellino e sperare che lo Stato non reagisca; quindi ci deve essere stato qualcosa di talmente importante per cui Riina va sopra gli interessi dell’organizzazione. Deve, su suggerimento di terzi, fermare i magistrati che possono mettere in pericolo il già morente sistema dei partiti”.

Nel 1991 Falcone già disse che bisognava affinare le tecniche in indagine perché esisteva un centrale unica degli appalti dove sono tutti coinvolti. Riina si accorge che il sistema dei partiti sta crollando, allora decide che attraverso i grandi imprenditori deve raggiungere i sistemi di potere politico a Roma, come disse anche Giovanni Brusca”.

Trizzino, comunque, nelle due ore di verbalizzazione, tocca altri tasti dolenti. A cominciare da quel ‘nido di vipere’ che esisteva in Procura a Palermo e dall’ostracismo che Borsellino e Falcone trovarono in tanti colleghi (sic), a partire da quello mostrato dall’allora procuratore capo Pietro Giammanco: il quale non è mai stato ascoltato, neanche come teste, in tanti anni di inchieste e nel corso di tanti processi!

Incredibile ma vero.

La magistratura in questi anni non ha mai guardato al suo interno, ha come cannibalizzato i suoi figli migliori. Nel giugno 1992 il CSM decretò che Borsellino non aveva i titoli per diventare procuratore nazionale e non riaprì i termini per le candidature”.

“Il 29 giugno Borsellino andò da Giammanco per chiarire una cosa importante che rappresenta l’ostracismo e la delegittimazione professionale verso Borsellino: mentre Borsellino era a Giovinazzo, arriva un fax dal procuratore di Firenze, dal dottor Pierluigi Vigna, in cui si dice che Gaspare Mutolo ha parlato con lui e aveva deciso di saltare il fosso con l’unica condizione che a parlare con lui fosse Borsellino. Borsellino era credibile, chi lo doveva seguire Giammanco? In realtà il Procuratore vuole impedire che Borsellino gestisca quel collaboratore e l’ostacolo per la titolarità del fascicolo viene individuata pretestuosamente nel fatto che il collaboratore avrebbe parlato del comparto palermitano, mentre lui era coordinatore delle dinamiche di Trapani e Agrigento”.

Un altro argomento di discussione bollente tra Borsellino e Giammanco fu un’omessa informativa da parte del colonnello Subranni sull’arrivo del tritolo per uccidere proprio Borsellino. Dettaglia Trizzino: “Grazie alla dottoressa Lorenza Sabatino (all’epoca pm, ndr) riusciamo finalmente ad avere il racconto di come Borsellino visse quell’incontro. Così racconta quella giornata: ‘La mattina non era nella stanza e chiesi dove fosse e il commesso mi disse che era dal Procuratore. Mi chiamò la sera: il tono di voce era molto abbattuto e mi chiese quasi scusa per non avermi chiamata e mi disse che il giorno dopo doveva partire per Roma’. Effettivamente il 30 giugno era a Roma per interrogare Mutolo, nonostante il fascicolo fosse affidato ad altri tre magistrati”.

Torniamo a Giammanco, che incredibilmente non è stato mai interrogato.

Ecco cosa ha appena affermato Trizzino in Antimafia: “Il dottor Borsellino ha appreso sul conto del procuratore Giammanco delle notizie così terribili e ha interrotto il flusso delle sue conversazioni col procuratore capo. E di questo Borsellino ne ha parlato con alcuni pm come Roberto Scarpinato, Vittorio Teresi e Antonio Ingroia”.

E cita anche una testimonianza della moglie del magistrato trucidato a Capaci, Agnese Piraino Leto, alla quale Borsellino aveva confidato: “Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia. La mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno i miei colleghi e altri”.

E ancora: “Se noi incrociamo questa confidenza di Borsellino con la testimonianza del 2009 in cui si dice che lui definiva il suo ufficio ‘un nido di vipere’, allora dobbiamo andare a cercare dentro l’ufficio della procura di Palermo per vedere se allora si posero in atto condotte che in qualche modo favorirono quel processo di isolamento, delegittimazione, indicazione come target e obiettivo di Paolo Borsellino: sono quelle condizioni essenziali che hanno sempre preceduto gli omicidi eccellenti a Palermo”.

Ha brevemente verbalizzato anche Lucia Borsellino davanti ai componenti della Commissione Antimafia. “Siamo conviti, dopo aver assistito al percorrere di varie piste investigative – ha affermato – che non sono stati forniti del tutto atti, documenti e prove testimoniali che potessero portare a elementi, a nostro avviso indispensabili, per comprendere il contesto nel quale mio padre operava e il profondo stato di prostrazione e isolamento in cui ha vissuto fino all’ultimo giorno della sua vita. Ciò che chiediamo, senza alcuna pretesa di voler sostenere una tesi piuttosto che un’altra, perché non siamo tecnici a differenza dei nostri avvocati, è offrire una ricostruzione completa”.

E, soprattutto, liberata dai giganteschi depistaggi & insabbiamenti che l’hanno caratterizzata in tutti questi anni.

Sarebbe già un gran successo, soprattutto per onorare la MEMORIA storica delle vittime di quelle Stragi di Stato.

LINK VIDEO DELL’AUDIZIONE

https://webtv.camera.it/evento/23332

 

LA VOCE DELLE VOCI 28.9.2023 Cristiano Mais

 

 

Strage di Via D’Amelio – In COMMISSIONE ANTIMAFIA le audizioni dei famigliari di Paolo Borsellino e testimoni