19.9.2017 – Commissione d’inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere
Rif. Camera Rif. normativi. XVII Legislatura. Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere. Resoconto stenografico. Seduta pomeridiana n. 225 di Martedì 19 settembre 2017
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l’attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione in diretta streaming sperimentale sulla web-tv della Camera dei deputati
Seguito dell’audizione del sostituto procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Antonino Di Matteo.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito dell’audizione del sostituto procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Antonino Di Matteo, iniziata lo scorso 13 settembre. Nella scorsa seduta il procuratore Di Matteo ha svolto una relazione sul tema dell’audizione dedicata, in particolare, alle indagini e ai processi celebrati a Caltanissetta sulla strage di via D’Amelio. Nel ricordare, come di consueto, che l’audizione è in forma libera e che, se necessario, i lavori potranno proseguire in forma segreta, se il dottor Di Matteo non ha aggiunte da fare – mi ha comunicato che non ne ha – al suo intervento, riprendiamo dalla fase delle domande. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
DAVIDE MATTIELLO. Grazie, presidente. Ringrazio il dottor Di Matteo per essere di nuovo con noi. Per brevità, non torno con commenti su quello che abbiamo ascoltato nella scorsa audizione. Mi limito soltanto a manifestare profondo apprezzamento per quello che lei, dottor Di Matteo, ha voluto raccontarci, così da introdurre le due domande. Mi sembra che lei abbia voluto, da un lato, fare chiarezza sul suo lavoro e, dall’altro, allarmarci su quella che potrebbe essere – la definisco così – una sorta di rischio distrazione rispetto a quelle che, ancora in questo momento storico, sono le questioni nodali sulle quali varrebbe la pena di concentrare l’attenzione, non solo dell’autorità giudiziaria, ma anche della autorità parlamentare e istituzionale, in questo caso della Commissione parlamentare antimafia. Se ho capito bene, discendendo da questa premessa, sul lato dei chiarimenti mi piacerebbe, per come lei riterrà opportuno, tornare su una vicenda indubbiamente collegata a quella per la quale lei ha chiesto di incontrarci, la vicenda Agostino. In questo prezioso sforzo di chiarimento – ripeto, per come lei vorrà declinare la questione – ritengo che sarebbe importante capire un po’ meglio che cosa sia successo nel momento in cui la vicenda Agostino (intendo l’omicidio di Nino Agostino e della moglie Ida Castelluccio del 5 agosto del 1989) sembrava aver ripreso vigore, almeno rispetto alla possibilità probatoria. Ricordo il confronto che ci fu in aula bunker nel febbraio del 2016 con Giovanni Aiello, nel frattempo deceduto. Non sintetizzo ulteriormente per non rubare tempo, tanto lei, dottor Di Matteo, ha chiarissima la situazione. La procura di Palermo va verso la richiesta di archiviazione e arriva l’avocazione da parte della procura generale. Un approfondimento su quel passaggio, Pag. 3 su quello che è successo, nel rispetto delle responsabilità di ciascuno, per me è importante. La seconda questione, che attiene all’allarme sui nodi su cui varrebbe la pena concentrarci, la titolo così: il destino degli atti di impulso della Direzione nazionale antimafia presieduta dal dottor Grasso, con riferimento a quegli atti di impulso che il dottor Grasso costruì a partire dalle deleghe conferite al dottor Donadio, allora sostituto. Si tratta di atti di impulso che sembrano tornati di grande attualità, perché proprio l’inchiesta della DDA di Reggio Calabria ’ndrangheta stragista, alla quale lei stesso ha più volte fatto riferimento nella scorsa audizione, prende – almeno in parte – le mosse da quegli atti di impulso. Tra il 2012 e l’estate del 2013 in particolare sul lavoro del dottor Donadio sembra essersi creata una tempesta perfetta, che non risintetizzo più, per non incorrere nelle rampogne della presidente, perché tante altre volte l’ho fatto. Vorrei chiederle, dottor Di Matteo, di nuovo…
PRESIDENTE. Ne siamo ormai al corrente.
DAVIDE MATTIELLO. Ne siamo tutti consapevoli. Resta il fatto che questa legislatura rischia di chiudersi senza che almeno noi parlamentari della Commissione antimafia possiamo capire un po’ meglio che cosa sia successo proprio all’inizio della nostra legislatura. Anche su questa vicenda il suo punto di vista, per come vorrà esporlo, per me è prezioso.
PRESIDENTE. Possiamo far formulare tutte le domande, alle quali lei risponderà dopo?
ANTONINO DI MATTEO, sostituto procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Come ritiene opportuno.
PRESIDENTE. Di solito facciamo così, se per lei va bene.
FRANCESCO D’UVA. Rieccoci, dottor Di Matteo. Ho un paio di domande. Sono mai state acquisite al processo sulla trattativa o ad altri, come il procedimento Mori-Obinu, le risultanze delle indagini condotte a Firenze dal procuratore Chelazzi? Quando lei muoveva i suoi primi passi a Caltanissetta, qualcuno dei suoi colleghi le ha mai riferito, anche in via informale, delle perplessità in merito alle dichiarazioni o alla gestione del collaboratore Scarantino? Lei ha mai interrogato Scarantino? Mi permetto di porre questi quesiti come unica domanda. Quando e se ha cominciato a intuire che c’era dell’altro sui mandanti esterni in merito alla strage di via D’Amelio rispetto a quanto emerso nel primo processo celebrato a Caltanissetta? A Caltanissetta, seppure fosse giovane e alle prime armi, come ha detto lei l’ultima volta e come sappiamo, ha mai notato movimenti strani o fatti irrituali, qualcosa che comunque le è apparso fuori luogo nei procedimenti?
GIUSEPPE LUMIA. Anch’io ringrazio il dottor Di Matteo. La volta scorsa il dottor Di Matteo, con fatti e circostanze e con una ricostruzione molto particolareggiata della vicenda che ha sottolineato e, in particolare, del suo ruolo in quegli anni di gestione delle indagini sulle stragi, sia quella del 23 maggio, sia quella di Borsellino, ci ha fornito un quadro che la Commissione ha potuto conoscere meglio e, dal mio punto di vista, anche apprezzare. Un punto mi è sembrato importante ed è che la vicenda Scarantino, insieme naturalmente anche a quella di Salvatore Candura e Francesco Andriotta, va valutata come un gravissimo depistaggio. Contemporaneamente, lei ci ha sollecitato a non far diventare questo un elemento strumentale, per dare uno sguardo e allargare l’orizzonte dell’analisi da parte della Commissione sulle responsabilità più ampie che, a partire dalle dichiarazioni di Spatuzza e dai processi – in particolare, lei ci invitava a guardare bene i processi Borsellino bis e ter – emergono nella vicenda più complessiva che si è giocata all’interno del nostro Paese con il ruolo di cosa nostra e con chi con cosa nostra ha concorso a chiudere, con le stragi del 1992, la cosiddetta prima Repubblica (questa è una mia traduzione) e ad avviare, con le stragi del Pag. 41993, un rapporto collusivo con la cosiddetta seconda Repubblica, quella ancora in vita. Volevo chiederle, alla luce del lavoro che ha portato avanti sull’indagine e poi sul processo trattativa, di aiutarci a focalizzare il punto d’inizio della crisi che ebbe a manifestarsi nel rapporto mafia-potere, rappresentato dall’attentato all’Addaura. Corriamo il rischio – il presidente Bindi lo sa – che, da qui a poco tempo, i reati che si sono consumati in quel contesto vadano in prescrizione, il che sarebbe un fatto gravissimo. Questo, però, non esime la Commissione antimafia dal fare il suo lavoro di inchiesta e dal provare a sviscerare quell’espressione emblematica che utilizzò Falcone, un’espressione che viene fuori dalla bocca di un magistrato che era lontano mille miglia dalla retorica e dalle parole enfatiche e strumentali. Falcone usò l’espressione «menti raffinatissime». Volevo sapere se, nel corso della sua attività, ha potuto incrociare e valutare questa espressione, «menti raffinatissime» che agirono all’Addaura e che furono protagoniste dell’Addaura. L’onorevole Mattiello ha ricordato, collegandosi – penso – a questo contesto, anche la vicenda Agostino, che è dentro quel crogiolo della vicenda dell’Addaura. Questo sarebbe importante, perché dalle «menti raffinatissime» dell’Addaura possiamo fare un balzo sulle menti che hanno organizzato quel depistaggio. La Commissione antimafia è chiamata a stabilire se quel depistaggio fu una tipica scelta di allora per sbattere il mostro in prima pagina, oppure un continuum con quell’azione, che già all’Addaura si era manifestato, di menti raffinatissime che provarono a destabilizzare il Paese, a vivere quella stagione della crisi della prima Repubblica e a chiudere un rapporto e una fase, insieme con la prima Repubblica, del rapporto potere e mafia. Sarebbe importante, anche da questo punto di vista, avere la sua opinione e capire la questione attraverso il suo lavoro di indagine e di conoscenza. Penso che in questo contesto, presidente, possiamo acquisire non solo freddamente i dati di un magistrato che lavora, naturalmente, all’interno del giudizio penale, con i dati probatori e senza le valutazioni più generali sociologiche che, in quel contesto, non appartengono all’attività dei magistrati. In questo contesto, avere le opinioni e le valutazioni che si traggono per una Commissione che, sempre a partire dai fatti e dai dati, deve esprimere poi un giudizio sulle responsabilità politico-istituzionali potrebbe essere interessante. Vorrei ripercorrere il filo di questo lavoro dalle menti raffinatissime al depistaggio e poi alla vicenda Cassazione, da cui, anche attraverso la procura di Reggio Calabria, stanno emergendo elementi abbastanza chiari di un intervento da parte della ’ndrangheta, in rapporto con cosa nostra, con gli omicidi che anche lì si consumarono, oltre che con l’omicidio per antonomasia, che abbiamo conosciuto, del magistrato che allora era stato chiamato a vivere l’esperienza da procuratore in Cassazione del maxiprocesso. Attraverso questo filo si può provare a capire, dottor Di Matteo, se la trattativa prese il via, magari anche con soggetti diversi, con soggetti più articolati, prima della strage stessa di Capaci. È importante comprendere se già prima della strage di Capaci, oltre che, come già è stato accertato, prima della strage di via D’Amelio, lo Stato instaurò… pezzi dello Stato, naturalmente, soggetti dello Stato entrarono in rapporto con cosa nostra attraverso uno scambio. L’abbiamo chiamato trattativa, ma a noi interessa la sostanza di un rapporto anomalo che si è venuto a creare, che ha destabilizzato il nostro Paese e che ha generato quella stagione delle stragi che ancora dobbiamo conoscere meglio e che ancora dobbiamo approfondire sino in fondo. Le «menti raffinatissime» agirono anche nella strage di Capaci. Le «menti raffinatissime» agirono anche nella strage di via d’Amelio. Le «menti raffinatissime» agirono, poi, lungo quell’altra sanguinosa stagione delle stragi che si consumarono nel continente. Ricordo sempre non solo quelle che già si consumarono a Roma, Firenze e Milano, ma anche quella stessa dell’attentato all’Olimpico. Lo dobbiamo considerare un tentativo stragista che, se fosse andato in porto, avrebbe potuto diventare veramente deflagrante, non solo per il numero di omicidi, ma anche per le ripercussioni devastanti che avrebbe potuto avere nel rapporto Pag. 5con la vita democratica del nostro Paese in quel momento delicatissimo della sua crisi. Vorremmo provare, se lei ci può aiutare, attraverso questo filo delle «menti raffinatissime», a scandire le fasi della trattativa e conoscere le valutazioni, attraverso il lavoro che ha potuto svolgere all’inizio a Caltanissetta e poi soprattutto a Palermo. Per ultimo, lei ci ha invitato a fare attenzione al fatto che sia menti lucide – potremmo dire, ma non vorrei esagerare, «menti raffinatissime» anche adesso – sia chi magari è in buona fede (l’ha sottolineato) vorrebbero costruire una delegittimazione del lavoro che lei ha svolto, provando a creare un conflitto intorno alla gestione di allora di quel depistaggio gravissimo che – confermo – si è consumato sulla vicenda Scarantino. Vorrei capire, attraverso una domanda che magari poi nella risposta, se la presidente lo riterrà opportuno, potremmo segretare, quali sono le indagini che lei con i suoi colleghi svolgete ancora intorno al tema della trattativa. C’è un processo. Volevo capire se la fase delle indagini si è conclusa e se tutto è già stato riversato nel processo, oppure se avete ancora dei filoni di indagine, per esempio, alla luce di quello che Graviano ha potuto esprimere e che voi avete potuto raccogliere con le intercettazioni che abbiamo potuto conoscere e che non so, presidente, se la Commissione parlamentare antimafia abbia potuto acquisire nella sua completezza qui in Commissione oppure no. Sarebbe importante capire se, anche oggi, quelle menti raffinatissime siano in azione per provare a depistare, bloccare o delegittimare quel lavoro che ancora oggi si sta sviluppando – se c’è, come non c’è – ed eventualmente provare a portare a conoscenza della Commissione parlamentare antimafia gli sviluppi di questa importante eventuale attività di indagine.
SALVATORE TITO DI MAGGIO. Scusi, presidente, poiché, per rispondere al senatore Lumia, ci vogliono il Nuovo e l’Antico Testamento, possiamo vedere se il procuratore…
PRESIDENTE. Facciamo tutte le domande. Se è vero che, per rispondere a Lumia, ci vogliono il Nuovo e il Vecchio Testamento, ciò prenderebbe tutto il tempo. È più giusto che facciate tutte le domande. Il procuratore Di Matteo saprà come amministrarle. Non vi preoccupate.
LUIGI GAETTI. Dottor Di Matteo, ho letto sul Fatto Quotidiano quello che lei ha riferito a Marina di Pietrasanta e mi sento di dire che la sua solitudine, che è più che comprensibile, proprio per il lavoro che fa, per la sua delicatezza e per quello che le sta accadendo, non è poi del tutto solitudine. Io e molti altri cittadini vorremmo manifestarle la nostra vicinanza. Detto questo, volevo porre due questioni. Una è un po’ più filosofica. Lei sta facendo, ovviamente, un lavoro estremamente importante, con un gruppo ristretto di persone, su questo processo. Tuttavia, questo è ormai rimasto in ambito giudiziario. Dopo venticinque anni, ritengo che sarebbe forse più opportuno affrontare questo problema in maniera un po’ diversa, ossia fare un’analisi più storica, per indurre le persone a parlare. Da medico, suggerirei di fare la vera diagnosi e di omettere poi la terapia, intendendo eventuali condanne e cose di questo tipo, perché, dopo venticinque anni e dopo tutte queste situazioni, ritengo che forse, studiando un modo diverso, si indurrebbe la possibilità di far emergere la verità, che in questo modo, invece, viene sottaciuta da molti. Volevo sentire il suo parere su questo. Lei ci ha già detto una cosa estremamente importante: queste stragi non sono stragi di mafia, o non sono solo stragi di mafia, ma ci sono altre componenti, che poi valuteremo se siano servizi segreti nel loro complesso, persone e cose di questo genere. Una visione di questo tipo era già stata segnalata da un ex poliziotto, Genchi, il quale, in un libro del 2009, segnalò molte di queste questioni, come la presenza dei servizi segreti, la localizzazione telefonica e via elencando. Segnalò anche altre cose nel suo libro. Ripeto un esempio anche perché è stato fatto da altre persone audite. Nel condominio di fronte a via D’Amelio c’era un edificio in costruzione, ma con una parete che era un vetro antisfondamento, un vetro altamente protetto, dietro il quale una persona soggiornò a Pag. 6lungo, perché furono ritrovati molti mozziconi di sigaretta. Nessuno indagò su questo. È ovvio che questa domanda non dovrei farla a lei, perché ci ha già spiegato che è arrivato molto più tardi. Quel depistaggio, che io credo ci sia stato alla grande, invece, ha omesso queste analisi. Volevo chiedere il suo parere su alcune informazioni di Genchi che, quantomeno leggendo il libro, forse non sono vere, ma sono verosimili, con delle possibilità di riscontri. Volevo sapere la sua valutazione sugli elementi che sono emersi, come quello che ho sottolineato precedentemente e altri ancora, che diversi auditi hanno evidenziato.
SALVATORE TITO DI MAGGIO. Ringrazio innanzitutto il dottor Di Matteo per la disponibilità che già aveva dato la settimana scorsa. Sulla base delle cose che ci ha raccontato, che sono estremamente interessanti, vorrei formulare alcune domande. In primo luogo, lei ha una lunga esperienza come pubblico ministero. Secondo lei, chi guida, quando si fanno le indagini di polizia giudiziaria, la magistratura o i corpi di polizia ai quali eventualmente vengono affidate queste indagini? Come seconda domanda, di Scarantino abbiamo parlato a lungo e lei ci ha rappresentato anche il fatto di come lei in questa vicenda sia entrato a giochi già iniziati. Ricordo, però, nella deposizione che fece la dottoressa Boccassini a Caltanissetta, un fatto che mi lasciò molto sorpreso: sui tabulati che erano a disposizione dell’autorità giudiziaria già nei giorni 17 e 19 luglio, alcuni intercettati facevano riferimento a operazioni che potevano coinvolgere direttamente Gaspare Spatuzza, per cui Spatuzza avrebbe potuto essere già sentito in tempi non sospetti rispetto alle indagini che furono poi iniziate a seguito delle rivelazioni di Scarantino. Chiedo se le risulta questo. Come ultima cosa, durante il periodo delle deposizioni di Scarantino c’è stato un fatto, anche questo estremamente importante, almeno a mio avviso, di cui però non riesco a delineare i contorni. Chiedo se in questo ci può aiutare. Furono le dimissioni proprio di Genchi, in contrasto – credo – con La Barbera. Domando se sul fatto lei ha qualche memoria.
PRESIDENTE. Se non ci sono altri interventi, posso aggiungere qualche domanda anch’io? Ci ricorda quando è arrivato alla procura di Caltanissetta? Ce l’aveva già detto l’altra volta, ma è per la domanda che vorrei farle.
ANTONINO DI MATTEO, Alla procura di Caltanissetta presi servizio il 16 settembre del 1992. Poi in DDA entrai nel dicembre del 1993 e nel pool che si occupava delle stragi nel novembre 1994.
PRESIDENTE. Alcune domande gliele faccio per avere il suo punto di vista.
Secondo lei, perché Borsellino, che chiedeva insistentemente di essere sentito dalla procura di Caltanissetta, non fu sentito nel periodo che separò la strage di Capaci dalla strage di via D’Amelio? Che idea si è fatto? La seconda domanda ritorna sulla vicenda Boccassini. Rileggendo la sua deposizione e avendo ben chiare le sue responsabilità, che lei ci ha ricordato nelle varie fasi processuali, anche qui, se non ha elementi suoi che potremmo definire in qualche modo testimoniali, per quale motivo le osservazioni della Boccassini furono ignorate, secondo lei, da parte di chi aveva la responsabilità di condurre quelle indagini? Indubbiamente, rileggendole, si nota che tutti gli elementi che poi sono apparsi successivamente erano contenuti nelle deposizioni della Boccassini, al di là – ripeto – delle sue responsabilità.
L’altro aspetto, invece, riguarda una sua dichiarazione nei confronti della mancata messa a disposizione delle parti del confronto che vi era stato tra Scarantino e altri collaboratori di giustizia. Lei ha dichiarato: «Ritenemmo in quella circostanza di non metterle a disposizione del dibattimento».
La domanda è se, con i fatti che si sono verificati successivamente, ripeterebbe o si esprimerebbe a favore di questa decisione che fu presa da tutta la DDA? Secondo lei, fu una scelta saggia? A parte che, processualmente, forse è discutibile da certi punti di vista, lo chiedo per entrare nel merito della vicenda. Aggiungo altri due aspetti che forse possono servire a chiarire anche punti di vista diversi che sono emersi in tutte queste varie considerazioni che ci sono state sugli organi di stampa o altro. A lei fu mai chiesto di verificare l’attendibilità di Scarantino, da parte di Tinebra o di chi, comunque, dirigeva le indagini? L’altra domanda è se ha mai letto il verbale del sopralluogo al garage Orofino fatto da La Barbera. Infine, come avete valutato, in quel momento, le dichiarazioni di Scarantino, che diceva di essere stato in qualche modo costretto da La Barbera, anche con metodi violenti, a fare le dichiarazioni che aveva fatto? Questa è una domanda che feci anche all’attuale procura di Caltanissetta, anche per collegarmi ad alcune domande del senatore Lumia. Fu un desiderio di prestazione che spinse gli inquirenti, in quella fase, a dare attendibilità a dichiarazioni che poi si sono rivelate infondate, oppure questa sorta di depistaggio era stata costruita? Mi fermo qui. Do la parola al dottor Di Matteo per la replica.
ANTONINO DI MATTEO Ringrazio tutta la Commissione. Non solo il numero, ma soprattutto la qualità e la problematicità di ogni vostra domanda mi confortano ulteriormente sulla scelta che avevo fatto nel momento in cui avevo chiesto di essere sentito dalla Commissione parlamentare antimafia. Non c’era bisogno che lo cogliessi io, ma si coglie proprio un intento di approfondimento della questione che, da cittadino, mi conforta moltissimo. Presidente, in relazione a molte delle domande che mi sono state poste – vi ringrazio anche perché alcune domande mi invitano a una riflessione, ossia non soltanto a riferire fatti, ma anche a esprimere delle opinioni – vorrei chiedere che si procedesse con la seduta segreta. Proprio nell’intento di poter cercare di collaborare con voi anche sotto il profilo di una riflessione, credo che dovrò fare riferimento anche a fatti che magari per la procura di Caltanissetta, di Palermo o di Firenze possono essere di inopportuna diffusione mediatica.
PRESIDENTE. Procuratore, noi riteniamo questa sua richiesta una volontà di collaborazione con la Commissione. Ci dispiace per tutti coloro che erano in ascolto, ma credo che sarà proficuo per noi procedere in seduta segreta. Eventualmente, alla fine, riprendiamo, se vogliamo fare una sintesi.
Propongo di passare in seduta segreta. (Così rimane stabilito. I lavori procedono in seduta segreta, indi riprendono in seduta pubblica).
PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Di Matteo e dichiaro conclusa l’audizione.