Depistaggio Borsellino, l’appello del pubblico ministero ai poliziotti imputati: “Dopo 30 anni, è l’ora di parlare”

 

“Mi hanno fatto studiare, mi dicevano quali erano le contraddizioni, mi hanno preparato: queste erano le parole di Scarantino – dice il pm Stefano Luciani – Tutto questo lavoro di indottrinamento, di aggiustamento di dichiarazioni è servito per fare condannare la gente all’ergastolo”. Nell’aula bunker di Caltanissetta prosegue la requisitoria nel processo sul depistaggio delle indagini di via D’Amelio, che vede imputati i poliziotti Mario Bò, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, tutti appartenenti al gruppo d’indagine “Falcone Borsellino”.
I tre imputati sono accusati di aver indotto, con minacce e pressioni, il falso pentito Vincenzo Scarantino a dichiarare il falso per depistare le indagini. “Mario Bò – ha continuato Luciani – era il supervisore dell’attività fatta illegalmente da Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. Ce lo conferma la ex moglie di Vincenzo Scarantino, Rosalia Basile, e lo stesso Scarantino. E’ una verità che emerge dai documenti che abbiamo mostrato, tutti attribuibili, senza alcun dubbio, a Fabrizio Mattei, sulla base della consulenza tecnica disposta dal pubblico ministero e non smentita dalla consulenza di parte. La difesa, da canto suo, non offre elementi per sgravare di responsabilità Mattei. E se mai residuasse un micro margine di dubbio, quella menzogna che ha retto per oltre 20 anni è spazzata via da Gaspare Spatuzza che ci dice che Scarantino aveva mentito”.

Luciani rivolge parole accorate in aula ai poliziotti: “E’ ora di parlare”, sussurra. “Mattei ci dicesse una volta per tutte chi gli ha dato questi benedetti appunti, sono passati trent’anni, è ora di dire basta. Se c’è stato dell’altro ditecelo”.

Al centro della requisitoria anche alcune “anomalie” nelle intercettazioni. E su questo argomento il pm Luciani è tornato a rilevare alcune “contraddizioni” nelle deposizioni rese dai poliziotti che a quell’epoca si occupavano proprio dell’ascolto e della registrazione delle telefonate che partivano dal’utenza messa a disposizione di Vincenzo Scarantino. “Con queste deposizioni – ha detto il magistrato – si voleva dimostrare che questa famosa macchina era costellata da frequenti anomalie e malfunzionamenti. Sui brogliacci veniva scritto che non si procedeva per anomalia o interruzione della macchina, ma poi si è visto che c’erano eventi telefonici di diversi minuti. Un ingegnere, consulente della difesa, nella sua deposizione è venuto anche a parlarci del fatto che bisognava tenere conto del “fattore stress”. Ma se la linea da registrare era solo una? E le conversazioni da ascoltare solo quelle?”.

Tra le telefonate “saltate” vi sono quelle che il falso pentito Vincenzo Scarantino avrebbe effettuato alla procura di Caltanissetta e agli uffici della Questura di Palermo. Una ricostruzione, con date e progressivi, per dimostrare che i problemi tecnici si sarebbero evidenziati solo per determinate telefonate mentre “sugli scontrini – ha detto il pm – risultano i tempi delle chiamate e poi i nastri non registrano niente”.