IL DOPO STRAGE VIA D’AMELIO – Le risultanze della consulenza dei tecnici dell’F.B.I.

 

A conclusioni sostanzialmente analoghe a quelle sopra richiamate sono pervenuti i tecnici dell’F.B.I., Barrett John, Genovese Joseph ed Heckman Robert, ai quali è stato conferito dall’Autorità Inquirente, nella fase delle prime indagini, autonomo incarico di consulenza, sul cui esito i medesimi hanno riferito all’udienza dibattimentale del 17/5/1995.
In tale sede i predetti consulenti hanno dichiarato di essere intervenuti sul luogo della strage il giorno 21/7/1992, a seguito di comunicazione telefonica del Console Generale, che aveva ricevuto una richiesta di assistenza tecnica dell’F.B.I. da parte della magistratura italiana, e di aver collaborato con il col. Vassale e la Polizia Italiana per cercare di ricostruire l’originaria posizione dei veicoli che si trovavano parcheggiati in via D’Amelio al momento dell’esplosione; ciò al fine di identificare il luogo dove si trovava il veicolo contenente l’esplosivo, che era stato individuato, sulla base del blocco motore rinvenuto prima del loro intervento, in una Fiat 126, di cui era stato denunziato il furto due settimane prima del delitto.
Hanno inoltre riferito gli stessi tecnici di avere partecipato alle operazioni di ricerca e recupero dei reperti fino al giovedì 23 luglio e di avere anche eseguito in loco, mediante l’impiego di uno spettrometro, una preliminare analisi su taluni campioni del materiale repertato (selezionati in base al fatto che gli stessi presentavano i tipici effetti dell’esplosione), al fine di identificare le specie esplosive utilizzate.
Da tale indagine era emersa la presenza sulla più parte dei campioni esaminati di RDX . Tale presenza era stata confermata in tre reperti, indicati con le sigle Q46, Q69 e Q72, dalle successive e più approfondite analisi effettuate dai medesimi consulenti negli Stati Uniti.
Il dato in questione non contrasta, a giudizio della Corte, con le risultanze cui sono pervenuti i consulenti italiani che hanno individuato su taluni dei campioni esaminati anche residui di pentrite.
Va tenuto conto, invero, del fatto che, mentre i tecnici dell’F.B.I. hanno condotto le loro indagini impiegando un’unica metodica di analisi (cromatografia a gas accoppiata alla rivelazione mediante spettrometria di massa), i consulenti italiani hanno invece analizzato i reperti con diverse tecniche e presso laboratori differenti.
I campioni sono stati infatti analizzati presso i laboratori del C.C.I.S. dapprima mediante la tecnica della gascromatografia con rivelazione mediante spettrometria e successivamente per via cromatografica in fase liquida con rivelazione per assorbimento di luce ultravioletta.
Con le stesse metodiche i reperti sono stati analizzati successivamente presso i laboratori della Direzione della Polizia Scientifica di Roma. I campioni più significativi sono stati poi consegnati al Forensic Explosives Laboratory della Defence Research Agency inglese per l’esecuzione di analisi di conferma mediante gascromatografia accoppiata a rivelazione per chemiluminescenza.
I consulenti italiani hanno spiegato nell’ambito della loro relazione che l’impiego di queste ulteriori tecniche di analisi ed in particolare della cromatografia liquida si giustifica, pur essendo questa una metodica meno sensibile ed accurata, per quanto attiene alla determinazione qualitativa delle specie esplosive, della gascromatografia, in quanto quest’ultima, dovendo ricorrere alla gassificazione del campione, induce delle decomposizioni termiche che determinano la scarsa o nulla rilevabilità di alcune specie esplosive particolarmente termolabili, quali l’RDX e la pentrite.
A questa stregua ben può spiegarsi, a giudizio della Corte, la mancata rilevazione della pentrite nei campioni esaminati dai tecnici dell’F.B.I., tanto più se si considera che la presenza di tale specie esplosiva è stata accertata dai consulenti italiani su un numero di campioni molto limitato (8 su 32) ed a livelli quantitativi non certo cospicui (solo su 3 campioni la pentrite era presente a livello di parecchie centinaia di nanogrammi).

Gli stessi tecnici dell’F.B.I. hanno d’altra parte riconosciuto in dibattimento che il fatto che siano state trovate sui reperti soltanto tracce di RDX, non esclude che anche altre specie esplosive potessero essere presenti.
Quanto alle possibilità di impiego dell’RDX, i consulenti dell’F.B.I. hanno spiegato che tale tipo di esplosivo può essere usato da solo, ma più comunemente negli Stati Uniti viene utilizzato in un composto plastico denominato C4, destinato principalmente ad impieghi militari, confermando altresì che lo stesso può trovarsi anche in una miscela costituita da RDX (T4) e PETN (pentrite), che prende il nome di Sentex.
Il peso dell’esplosivo impiegato nell’attentato è stato stimato dai consulenti, sulla base della dimensioni del cratere provocato dallo scoppio e dei danneggiamenti complessivamente cagionati, in un minimo di 50 libbre (intorno ai 25 Kg).
Nel corso del controesame condotto dalla difesa i consulenti hanno poi precisato che l’eventuale impiego di un quantitativo superiore, ben possibile nella specie, non avrebbe provocato danni più significativi di quelli riscontrati sul motore di reperto ed avrebbe ugualmente consentito di rilevare i numeri di identificazione del motore.
Il consulente Heckman ha riferito di avere personalmente constatato tale possibilità, avendo partecipato alle indagini in merito ad un attentato nel quale erano stati utilizzati ben 1500 libbre di esplosivo collocate all’interno di un furgone : anche in quel caso erano stati recuperati molti dei componenti dell’automezzo ed erano ancora leggibili i numeri di identificazione del veicolo.
Hanno infine escluso i tecnici dell’F.B.I. che, nella specie, l’esplosivo potesse trovarsi a contatto con il manto stradale ed altresì che l’esposizione dell’autovettura impiegata come contenitore della carica ad una temperatura elevata (la domanda era stata formulata con riferimento alla temperatura di 40 gradi) potesse influenzare il grado di pericolosità dell’esplosivo, in quanto per rendere più sensibile l’RDX occorrerebbe, a giudizio dei consulenti, una temperatura prossima a quella di combustione, così confermando anche su questi punti i giudizi espressi dai tecnici italiani.

FONTE: Sentenza “Borsellino Uno”

 

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