SENTENZA PRIMO GRADO
SENTENZA APPELLO
GIULIANO GUAZZELLI nacque a Gallicano, un borgo della Garfagnana, in provincia di Lucca il 6 aprile 1934. Divenuto Carabiniere, nel 1954 fu trasferito a Menfi, in Sicilia, dove si sposò ed ebbe tre figli. Dopo aver prestato alcuni anni di servizio nelle provincie di Agrigento e Trapani fu assegnato al nucleo investigativo di Palermo, dove lavorò al fianco del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, allora comandante della Legione Carabinieri, e del colonnello Giuseppe Russo. Indagò sul clan dei Corleonesi e divenne un profondo conoscitore del fenomeno mafioso e dei rapporti tra mafia, affari e politica.
Dopo la morte del colonnello Russo, il maresciallo Giuliano Guazzelli fu trasferito in provincia di Agrigento. Fu soprannominato il “mastino” per la sua abilità di investigatore, infatti in trent’anni di indagini tra Palermo, Trapani e Agrigento era diventato un esperto conoscitore del fenomeno mafioso. In particolare ad Agrigento si era occupato della cosiddetta “Stidda”, organizzazione mafiosa parallela e talvolta in competizione con “Cosa Nostra” della provincia.
Aveva indagato sulla strage di Porto Empedocle. Tra i suoi meriti si ricorda quello di aver convinto Benedetta Bono, amante del boss Carmelo Colletti, a collaborare con la giustizia. Grazie alle sue indagini fu possibile istruire il processo “Santa Barbara”, il primo processo alla mafia agrigentina che si celebrava dopo 42 anni di silenzi. I pubblici ministeri di quel processo furono Rosario Livatino e Roberto Sajeva. Il primo fu ucciso il 21 settembre del 1990 sulla statale che collega Agrigento a Caltanissetta, il secondo fu richiamato al ministero dopo avere ricevuto ripetute minacce.
In quegli anni si occupò anche del barbaro omicidio del giudice Antonino Saetta e del figlio, avvenuto nel 1988 nei pressi di Caltanissetta.
Agli inizi degli anni ’90 fu chiamato a guidare la sezione di polizia giudiziaria dei Carabinieri al Tribunale di Agrigento, dove diede il suo costante contributo alla magistratura nelle delicate indagini allora in corso.
All’epoca dell’omicidio il maresciallo Giuliano Guazzelli aveva già maturato l’età pensionabile, ma aveva deciso di restare in servizio, nonostante durante la sua carriera avesse subito numerosi intimidazioni. Tra queste si ricorda l’attentato subito nel 1981, quando era comandante della Stazione Carabinieri di Palma di Montechiaro. In quella occasione, mentre lui guidava, la sua automobile fu raggiunta da diversi colpi di lupara. Venuto a conoscenza di questo agguato, il generale Carlo Alberto dalla Chiesa, che ne conosceva le eccezionali doti investigative, si recò subito a Palma di Montechiaro e camminò a testa alta assieme al maresciallo Giuliano Guazzelli per le vie principali del paese volendo in questo modo testimoniare che lo Stato era vicino al sottufficiale.
Fu ucciso sabato 4 aprile 1992 ad Agrigento sul viadotto Morandi, a lui intitolato nel 2017. Almeno cento furono i testimoni dell’agguato, tutta la gente che abitava nei palazzi prospicienti la strada. Uno di questi chiamò subito la polizia raccontando quello che aveva visto compreso il numero della targa del furgone utilizzato dagli attentatori.
Inizialmente il delitto fu attribuito alla Stidda, così nel dicembre 1992 vennero arrestati in Germania dei presunti killer. Processati e condannati all’ergastolo dal Tribunale di Agrigento, vennero successivamente assolti dalla Corte d’Assise d’Appello di Palermo poiché nel corso di tale dibattimento un pentito raccontò la verità sull’agguato aprendo la via a nuove piste investigative che portavano a “Cosa Nostra”.
Per l’omicidio sono state inflitte sei condanne all’ergastolo per Salvatore Fragapane, Joseph Focoso, Simone Capizzi, Salvatore Castronovo, Giuseppe Fanara e Gerlandino Messina.
Nel maxi-processo denominato “Akragas” sono stati inflitti anche 18 anni di carcere al pentito Alfonso Falzone che ha aiutato i magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo ad incastrare mandanti e sicari.
Oltre alla sua competenza professionale è doveroso sottolineare le sue doti umane: umile, generoso, disponibile, dedicò tutte le sue energie per difendere le Istituzioni della Patria e la gente comune da ogni forma di vessazione.
Per l’Arma dei Carabinieri è stato sempre un esempio da seguire, basti ricordare che per onorare la sua memoria il Comandante Generale Luigi Federici, in occasione del suo collocamento in pensione, donò nel corso di una solenne cerimonia la sua sciabola alla vedova Maria Caterina Montalbano.
Ancora oggi i rapporti investigativi firmati dal maresciallo Giuliano Guazzelli sono fonte di spunti per indagini sul fenomeno mafioso.
Lo Stato ha onorato il suo sacrificio con la nomina a Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana e con il conferimento della Medaglia d’oro al valor civile alla memoria con la seguente motivazione: “Sottufficiale di elevatissime qualità professionali, impegnato in delicate attività investigative in aree caratterizzate da alta incidenza del fenomeno mafioso, operava con eccezionale perizia, sereno sprezzo del pericolo ed incondizionata dedizione al dovere e alle istituzioni, fornendo costanti e determinanti contributi alla lotta contro la criminalità organizzata fino al supremo sacrificio della vita, stroncata da proditorio ed efferato agguato criminale. Eccelso esempio di preclare virtù civiche ed altissimo senso del dovere”.
Ai familiari, costituitisi parte civile nel processo, dal Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso sono stati concessi i benefici di cui alla legge n. 512/99 MINISTERO DELL’INTERNO
Sicilia insanguinata, l’agguato al maresciallo Giuliano Guazzelli
In Sicilia, intanto, si continua a uccidere. Il 4 aprile cade in un agguato Giuliano Guazzelli, un carabiniere che conosce tutta la mafia dell’agrigentino e che da mesi lavora con Paolo Borsellino nelle indagini sulle famiglie di Porto Empedocle, Ribera, Canicattì, Palma di Montechiaro.
Sono sotto il viadotto Morandi, un ponte che sembra sospeso nell’aria. Da una parte ci sono i palazzi di Agrigento costruiti sull’argilla, in bilico sul tempio della Concordia. Giù c’è il cadavere di Guazzelli.
Non è un maresciallo qualunque, è un’«antenna» dell’Arma sul territorio.
La mattina dopo sfoglio i quotidiani locali. Le prime pagine sono dedicate all’omicidio del carabiniere.
Più indietro, nelle cronache cittadine, c’è un articolo su un altro delitto del giorno prima. Alla stessa ora del maresciallo Guazzelli.
Gli occhi mi cadono su una foto. Conosco quella faccia. Leggo il titolo: «Assassinato boss di Pietraperzia».
È Liborio Micciché. In classe lo chiamavamo «Borino». Era mio compagno di banco al primo anno di liceo scientifico, sezione «D», all’“Alessandro Volta” di Caltanissetta, quando la scuola stava ancora in un vecchio convento nella discesa della pescheria di San Francesco.
A fine anno, «Borino» lasciò il liceo. Non l’ho più visto. Però sapevo cos’era diventato. Non immaginavo fino a che punto.
L’ho scoperto molti anni dopo.
Un pentito ha raccontato che, a fine febbraio del 1992, aveva visto Liborio Micciché a Pietraperzia mentre aspettava Totò Riina, Bernardo Provenzano, Nitto Santapaola. La Cupola.
Erano tutti attesi in un casolare «a forma di ferro di cavallo» sulla strada che porta a Barrafranca per decidere – così ha detto il pentito – gli agguati contro Salvo Lima e Giovanni Falcone.
La mafia siciliana stava preparando i suoi piani. Poi cambierà programma per Falcone. Sceglieranno Capaci, useranno l’esplosivo.
Ho ripensato molte volte a «Borino» Micciché. In Sicilia capita spesso di trovarsi vicino a persone con un diverso destino
«Dietro via D’Amelio il dossier mafia-appalti», riaperta l’inchiesta
La procura di Caltanissetta indaga sull’interessamento di Borsellino al dossier mafia-appalti come causa della sua eliminazione. Sentiti già dei testi, tra cui l’ex Ros De Donno Dal 2018 “ Il Dubbio” ha condotto una inchiesta giornalistica sulla vicenda
Tutte le sentenze hanno accertato l’interessamento di Falcone e Borsellino a mafia-appalti
I magistrati che coordinano l’inchiesta, tra cui la pm Claudia Pasciuti, guidati dal Procuratore capo Salvatore De Luca, di recente – come rivela l’Adnkronos – hanno anche fatto i primi interrogatori. Compresi quelli top secret. Tra le persone sentite, spicca in particolare il nome del colonnello Giuseppe De Donno. Cioè, colui che allora giovane capitano, condusse l’inchiesta su mafia-appalti con il suo diretto superiore al Ros, l’allora colonnello Mario Mori. Che l’interessamento dei giudici Falcone e Borsellino riguardante il dossier mafia-appalti sia stata una concausa delle stragi, questo è accertato da tutte le sentenze. Quest’ultime hanno individuato un movente ben preciso. Sono diversi i passaggi cristallizzati nelle motivazioni. C’è quello di Giovanni Brusca che, nelle udienze degli anni passati, disse che, in seno a Cosa nostra, sussisteva la preoccupazione che Falcone, divenendo Procuratore Nazionale Antimafia, potesse imprimere un impulso alle investigazioni nel settore inerente la gestione illecita degli appalti.
Falcone aveva compreso la rilevanza strategica del settore appalti
C’è quello del pentito Angelo Siino, che sosteneva che le cause della sua eliminazione andavano cercate nelle indagini promosse dal magistrato nel settore della gestione illecita degli appalti, verso cui aveva mostrato un “crescendo di interessi”. Difatti – si legge nelle sentenze – in Cosa nostra, e, in particolare, da parte di Pino Lipari e Antonino Buscemi, era cresciuta la consapevolezza che Falcone avesse compreso la rilevanza strategica del settore appalti e che intendesse approfondirne gli aspetti: «questo sa tutte cose, questo ci vuole consumare» (pag. 74, ud. del 17 novembre 1999).Ed è proprio quell’Antonino Buscemi, il colletto bianco mafioso, che era entrato in società con la calcestruzzi della Ferruzzi Gardini a lanciare l’allarme anche per quanto riguarda le esternazioni di Falcone durante un convegno pubblico proprio su criminalità e appalti. Un convegno, marzo 1991, dove evocò chiaramente l’inchiesta mafia-appalti che era ancora in corso. Il dossier fu depositato in procura su volere di Falcone stesso il 20 febbraio 1991. Peraltro, anche Giuseppe Madonia aveva manifestato il convincimento che Falcone aveva compreso i legami tra mafia, politica e settori imprenditoriali. Siino, con riferimento all’eliminazione di Borsellino, ha inoltre aggiunto che Salvatore Montalto, durante la comune detenzione nel carcere di Termini Imerese, facendo riferimento agli appalti, gli aveva detto: «ma a chistu cu cìu purtava a parlare di determinate cose».
Borsellino aveva detto a varie persone che quella degli appalti era una pista da seguire
Borsellino, infatti, nel periodo immediatamente successivo alla strage di Capaci, aveva esternato a diverse persone, oltre all’intervista del giornalista Luca Rossi, che una pista da seguire era quella degli appalti. A distanza di 30 anni, però non si è mai fatto chiarezza su un punto. Diversi pentiti hanno affermato che sia Pino Lipari che Antonino Buscemi avevano un canale aperto con un magistrato della procura di Palermo. Alla sentenza d’appello del 2000 sulla strage di Capaci, tra gli altri, vengono riportate le testimonianze di due pentiti. Una è quella di Siino: «Sul punto, Angelo Siino, il quale, pur non rivestendo il ruolo di uomo d’onore, ha impostato la propria esistenza criminale, all’interno dell’ambiente imprenditoriale-politico-mafioso, ha evidenziato di avere appreso che Pino Lipari aveva contattato l’onorevole Mario D’Acquisto affinché intervenisse nei confronti dell’allora Procuratore della Repubblica di Palermo, al fine di neutralizzare le indagini trasfuse nel rapporto c.d. “mafia-appalti” e in quelle che si potevano stimolare in esito a tali risultanze».
I Buscemi avevano ceduto fittiziamente le imprese al gruppo Ferruzzi
Le motivazioni riportano anche la versione di Brusca: «Quanto ai rapporti tra i fratelli Buscemi, il gruppo Ferruzzi-Gardini e l’ing. Bini, Brusca ha evidenziato di avere appreso da Salvatore Riina che, a seguito della legge Rognoni-La Torre, i Buscemi avevano ceduto fittiziamente le imprese (la cava Bigliemi e una Soc. Calcestruzzi) al gruppo Ferruzzi; che Antonino Buscemi era rimasto all’interno della struttura societaria come impiegato; che l’ing. Bini rappresentava il gruppo in Sicilia e la Calcestruzzi S.p.A.; che i fratelli Buscemi si “tenevano in mano…… questo gruppo imprenditoriale in maniera molto forte” e potevano contare sulla disponibilità di un magistrato appartenente alla Procura di Palermo, di cui non ha voluto rivelare il nome; che Salvatore Riina, in epoca precedente all’interesse per l’impresa Reale, si era lamentato del fatto che i Buscemi non mettevano a disposizione dell’intera organizzazione i loro referenti».
Dal 2018 Il Dubbio si interessa alla vicenda del dossier mafia-appalti
Il Dubbio, fin dal 2018, ha condotto una inchiesta giornalistica sulla questione del dossier mafia-appalti. “Mandanti occulti bis” dei primi anni 2000 a parte, in questi lunghissimi anni non sono mai state riaperte le indagini nonostante siano venuti fuori nuovi elementi come le audizioni al Csm di fine luglio 1992 dove emerge con chiarezza che cinque giorni prima della strage, il giudice Borsellino partecipò a una assemblea straordinaria indetta dall’allora capo procuratore capo Pietro Giammanco. Una assemblea, come dirà il magistrato Vincenza Sabatino, inusuale e mai accaduta prima. Dalle audizioni di alcuni magistrati emerge che Borsellino avrebbe fatto dei rilievi su come i suoi colleghi, titolari dell’indagine, avrebbero condotto il procedimento. Addirittura, come dirà il magistrato Nico Gozzo, si sarebbe respirata aria di tensione.
Gli omicidi di Salvo Lima e del maresciallo Guazzelli per Borsellino sono legati a mafia-appalti
Ed è lo stesso Borsellino, come si evince dalle parole dell’allora pm Vittorio Teresi nel verbale di sommarie informazioni del 7 dicembre 1992, a dire che a suo parere sia l’omicidio su ordine di Totò Riina dell’europarlamentare Salvo Lima che quello del maresciallo Guazzelli sono legati alla questione del dossier mafia-appalti perché si sarebbero rifiutati di intervenire per cauterizzare il procedimento mafia appalti.
Da tempo sia Fiammetta Borsellino che il legale della famiglia Fabio Trizzino, chiedono di sviscerare cosa sia accaduto nel biennio del 91-92 all’interno del “nido di vipere”(definizione di Borsellino riferendosi alla procura di Palermo) e soprattutto quando fu depositata la richiesta di archiviazione del dossier mafia-appalti mentre – come ha detto l’avvocato Trizzino al processo depistaggi – «stavano ancora chiudendo la bara di Paolo Borsellino e dei suoi angeli custodi».
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