2 marzo 2012  Viene  emessa un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di…

 

Salvatore Mario Madonia, Vittorio Tutino, Salvatore Vitale, Il 2 Marzo 2012 venne emessa un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Salvatore Mario Madonia, Vittorio Tutino, Salvatore Vitale, Gaspare Spatuzza, Maurizio Costa e Calogero Pulci. A Madonia, Tutino, Vitale e Spatuzza. I falsi pentiti Vincenzo Scarantino, Francesco Andriotta e Calogero Pulci, su cui si erano basate le condanne del Processo Borsellino (definito da Sergio Lari «uno dei più clamorosi errori giudiziari o depistaggi della storia del nostro Paese»), vennero rinviati a giudizio per calunnia aggravata. A loro difesa, i falsi pentiti affermarono di essere stati costretti dagli inquirenti a rendere quelle dichiarazioni, suggeritegli attraverso violenze fisiche e verbali. Fece poi seguitoil processo depistaggio, tuttora in corso e la messa in stato di accusa di due magistrati. Spatuzza fornì una ricostruzione della strage del tutto nuova: egli affermò innanzitutto di essere stato lui insieme a Vittorio Tutino a compiere il furto della Fiat 126, di averla “pulita”, cioè non riconoscibile, su ordine di Giuseppe Graviano, e di aver anche provveduto a farne sostituire l’impianto frenante poiché si era accorto che la vettura presentava alcuni problemi alla frizione ed ai freni. Inoltre raccontò di aver recuperato insieme a Tutino, la mattina del 18 luglio 1992, il materiale per predisporre il collegamento a distanza di detonazione della carica esplosiva: un “antennino” e due batterie. Più tardi Fifetto Cannella gli aveva fatto sapere che bisognava spostare l’auto e così aveva provveduto personalmente a guidare la 126 dal garage di corso dei Mille, dove era rimasta nascosta, ad un garage di via Villasevaglios in cui Cannella e Mangano lo avevano condotto Spatuzza, Maurizio Costa e Calogero Pulci. A Madonia, Tutino, Vitale e Spatuzza. I falsi pentiti Vincenzo Scarantino, Francesco Andriotta e Calogero Pulci, su cui si erano basate le condanne del Processo Borsellino (definito da Sergio Lari «uno dei più clamorosi errori giudiziari o depistaggi della storia del nostro Paese»), vennero rinviati a giudizio per calunnia aggravata. A loro difesa, i falsi pentiti affermarono di essere stati costretti dagli inquirenti a rendere quelle dichiarazioni, suggeritegli attraverso violenze fisiche e verbali.