NICO GOZZO: il mio incontro con Agnese

 

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Il mio incontro con Agnese deriva in linea diretta dalla mia esperienza lavorativa a Caltanissetta. Da quando, ormai più di quattro anni fa, sono approdato a questo bellissimo ufficio diretto con garbo, umanità e decisione da Sergio Lari la mia vita, umana e professionale, e’ cambiata.
Ricordo ancora un pomeriggio d’estate, le pagine impolverate di un processo, la lettura degli atti sino ad ora tarda con la luce fioca della lampada del mio tavolo come unica presenza. Ricordo quelle pagine tanto crude nella loro formale ed apparente normalità, ricordo quel grido di dolore dell’unico sopravvissuto alla strage di via d’Amelio che camminava disperato e solo in quello scenario di guerra, tra macchine che fumavano, incendi, resti umani e strane presenze, descritto dagli atti.
E ricordo la figura di Paolo Borsellino che usciva da questi atti, grazie ai suoi familiari,ma anche grazie ai tanti colleghi che lo avevano amato in vita.
Ecco, il mio innamoramento per Agnese e la sua famiglia, per Paolo Borsellino, comincia li’.
Dalla figura professionale ed umana di questo magistrato, un binomio inscindibile per lui, figura che io già conoscevo bene, ma che uno studio ancor più approfondito degli atti, che la titolarità dell’indagine mi aveva imposto, non aveva smorzato, ma anzi vieppiù sottolineato.
Quella bellissima normalità dell’amore, dell’amore per la propria famiglia, base di tutto; amore per la propria terra, per le sue imperfezioni; amore per il lavoro che faceva, che “stimava” fin nel profondo. Questo di Paolo Borsellino mi ha sedotto. Come uomo e come magistrato.
La forza tranquilla della normalità. L’amore per la vita. Perché, come dice Milly Giaccone, questi uomini, che vengono giustamente vissuti come eroi, hanno accettato la possibilità che seguire i loro principi li conducesse alla morte, ma non volevano diventare eroi, volevano disperatamente vivere. Tutta la loro vita e’ un inno alla bellezza del vivere. Lo studio della vita di Paolo Borsellino e’ lo studio del suo amore profondo per la vita, per la sua famiglia, per le piccole cose quotidiane. Tutto quello che nella lotta alla mafia dovrebbe sempre, tutti, tenerci fortemente ancorati alla realtà.
Ecco la grandezza di Paolo Borsellino. La sua dimensione umana che emerge dagli atti in maniera prepotente.
E, in tutto questo, la sua famiglia era, e’ ancora oggi, a sua immagine e somiglianza.
Ed Agnese era la gran custode di questa diversità bellissima, di questa capacità di coniugare rispetto delle istituzioni con ferma ricerca della verità, fermezza e dolcezza.
Che bella persona era Agnese!
Mi ha sedotto anche lei, nell’esatta etimologia del termine: mi ha condotto a se’ a poco a poco, nonostante io cercassi in tutti i modi di non invadere la sua sfera privata, che così tante volte avevo visto invadere da frotte di parvenu della giustizia (con la “G” minuscola) che cercavano accanto a lei, come ad altri familiari di vittime della mafia, un momento di notorietà, o la possibilità di più rapide carriere.
Che squallore!
Questo, in tutti questi anni, mi aveva bloccato dall’avvicinarmi di più alla famiglia Borsellino. Non li volevo seccare, non volevo imporre anche la mia presenza, oltre a tutte le altre presenze di persone interessate e superficiali che avevano dovuto sopportare nella loro vita, dal 19 luglio 1992 in poi. Presenze che Agnese ben descrive nel libro, interessate a ben altro che il bene della famiglia, e la ricerca della verità.
Ma, dopo averla conosciuta, Agnese aveva deciso che noi dovevamo diventare amici.
Ed alla sua dolce fermezza non era possibile resistere.
All’inizio ricordo quando, come Procura di Caltanissetta, la sentimmo a casa. Lei già malata, mi disse: siediti li’, nello studio di Paolo, per trascrivere le mie parole. Mi sembrò già allora di sentire il calore del suo sostegno.
Io non volevo sedermi li’, mi sembrava quasi di profanare quello studio che tante volte avevo visto nelle interviste a Paolo Borsellino. Che stupido ero! Non c’è nulla di formale nella famiglia Borsellino, come avrei ben imparato. Non ci sono santuari. C’è solo la bellezza della semplicità.
Eccomi, dunque, li’ sulla sedia di Paolo Borsellino, a verbalizzare le parole di Agnese. Ed eccomi, poi, a tentare di decrittarle. A cercare di capire cosa significasse quel “punciuto” riferito. Ci abbiamo tentato, e lo abbiamo fatto senza farci intimidire da Agnese, come lei avrebbe ed ha voluto, cercando di capire la realtà delle cose.
Che e’ cosa diversa dalla mancanza assoluta di rispetto che ha avuto per lei quella persona “colpita” dalle sue dichiarazioni. Quel vergognoso riferimento alla malattia, ad una malattia che Agnese non aveva, riferimento ancor più volgare dato che Agnese era veramente malata, non in maniera lieve, ma di altro male, che certamente non aveva in alcun modo intaccato le sue capacità cerebrali. Ma che la stava conducendo alla morte.
Ecco perché mi permisi di scrivere su Facebook che ci sarebbe voluto un gruppo a sostegno di Agnese.
Agnese la persona, la donna, la gran signora che era.
Non Agnese la testimone, come qualcuno ha scritto incredibilmente, qualche amico dell’uomo irrispettoso che l’aveva volutamente così tanto offesa nella sua umanità.
Qualcuno che voleva colpirmi per questo gesto di umanità che Agnese mi aveva suscitato, naturalmente e senza infingimenti.
Da tutto questo, da un mio conoscente su Facebook che materialmente ha attuato quello che io avevo solo auspicato, nasce il gruppo “Fraterno sostegno ad Agnese Borsellino”. Un gruppo che sin dall’inizio, per volontà mia e di Agnese, oltre che di tutti gli atti amici aderenti, ebbe caratteristiche del tutto peculiari nel c.d. “Fronte antimafia”.
Caratteristiche che sono quelle che ho già detto, proprie della famiglia Borsellino, che miracolosamente in tremila ci troviamo a coniugare ogni giorno con le nostre vite.
Ecco che da questo miracolo della buona educazione, del rispetto per una persona così speciale, purtroppo malata, del rispetto della vita umana e delle istituzioni, e’ nato il rapporto tra me ed Agnese.
La mia amica. Lo dico perché sento che lei vorrebbe che lo dicessi. Perché per me e’ la realtà.
Ma non vi dirò altro. Le parole incredibili, bellissime, che Agnese mi regalò un pomeriggio di qualche anno fa, quando mi chiamo’ per ringraziare me ed i tremila del gruppo, le tengo per me, come e’ giusto che sia.
Anche se mi hanno sconvolto la vita, e sostengono, giorno dopo giorno, la mia azione di magistrato, e la mia vita di uomo. Come tengo per me tutta quella miniera di cose che mi disse su di lei, su Paolo, sulla sua famiglia, su Giovanni Falcone. Sugli amici di Paolo, sui tradimenti.
Ecco spiegata appieno l’etimologia di seduzione. Agnese, come ho gia’ detto, mi ha condotto a se’, mi ha fatto entrare con dolcezza nel suo mondo, chiedendomi di tutelarlo, e di tutelare quei principi che avevano condotto Paolo alla morte. Principi che dovevano, e devono, continuare a vivere.
Che bella sarebbe l’antimafia se somigliasse di più a Paolo Borsellino ed alla sua famiglia!
Concretezza, rispetto delle istituzioni, coniugate con un necessario, fermo e sereno “non rispetto” di coloro che con le loro azioni queste istituzioni hanno infangato.
Assoluta apoliticità, unita ad amore per la politica come arte del fare il bene del prossimo. Non ricerca della notorietà a tutti i costi, ma anche capacità di suscitare le giuste domande nell’opinione pubblica.
Verità che va cercata integralmente, senza rimanere, come qualcuno ha detto, a pochi coriandoli, ma nel rispetto e sostegno di chi questa verità la cerca tra mille difficoltà.
Che bel profumo di libertà emana la tua famiglia, Paolo! Che splendida madre e donna che sei stata, Agnese…
Mi manchi tanto. Ci mancate tanto.
 
Tanto tempo fa, circa 6 anni, ho scritto questo testo dedicato a quella gran donna che era Agnese Borsellino.

NICO GOZZO

Giugno 2022
 
 

27.3.2012 Il procuratore aggiunto di Caltanissetta, Nico Gozzo, scrive “Nessuno tocchi la famiglia Borsellino“. E lo fa sul gruppo di sostegno su Facebook ad Agnese Borsellino, la vedova del giudice Paolo Borsellino.
Il magistrato fa riferimento alla polemica scoppiata tra il critico d’arte Vittorio Sgarbi e la vedova del magistrato ucciso nella strage di via D’Amelio. Ecco la vicenda: Sgarbi, candidato a sindaco di Cefalu’, durante un comizio aveva citato un giudizio positivo espresso nei suoi confronti dalla vedova Borsellino nel 2008, quando Sgarbi era sindaco del Comune di Salemi, sciolto nei giorni scorsi per mafia.
Ieri la signora Borsellino aveva chiesto, con una lettera aperta, a Sgarbi di “usare il garbo di non strumentalizzare, e meno che mai, a fini elettorali, il fatto che una libera cittadina si sia recata in visita a Salemi e non certo al sindaco protempore e abbia pronunciato frasi di circostanza diversi anni fa. Non fa onore ne’ a lui ne’ all’intelligenza dei siciliani“. E sempre ieri Sgarbi aveva controreplicato alla signora Borsellino.


Borsellino quater: minacce di morte per il magistrato Nico Gozzo e il tecnico criminologo Luigi Furitano

Caltanissetta – Siamo forse ad una svolta nelle indagini sulla morte di Paolo Borsellino?

Le fonti ufficiali al momento non si pronunciano, fatto sta che due degli “attori” della Procura di Caltanissetta, impegnati nel processo “Borsellino quater”, ovvero il magistrato Nico Gozzo e il tecnico criminologo Luigi Furitano, sono finiti nel bersaglio della Piovra. Questa mattina infatti, presso la Guardia di Finanza di via Crispi e’ stato recapitato un video piuttosto inquietante, destinato proprio al Pm Gozzo.

Precisiamo che da tempo i magistrati più impegnati sono vittime di una triste campagna di delegittimazione ed isolamento, che ci riporta all’epoca  della “mattanza “, (quando persero la vita Falcone e Borsellino), ma mai come adesso ci si era trovati così pericolosamente vicini al punto di “non ritorno.

Da luglio la magistratura e’ in allerta per il Pm Nino Di Matteo, (la mafia avrebbe già preparato il tritolo),  ma sorge il dubbio che si tratti di una mossa fatta ad hoc per sviare l’attenzione e portare a termine il segno su destinatari diversi.

Da stamattina intanto la strada che conduce all’abitazione di Nico Gozzo e’ stata transennata e sono state mobilitate le forze dell’ordine.

Nel video incriminato, si vede un uomo armato, indicato come il probabile sicario che dovrebbe uccidere il magistrato.

Il Dott . Gozzo stamattina ha pubblicato in un post su FB, una poesia di Henry Scott Holland “La morte non è niente”

La morte non è niente.

Sono solamente passato dall’altra parte:

è come fossi nascosto nella stanza accanto.

Io sono sempre io e tu sei sempre tu.

Quello che eravamo prima l’uno per l’altro lo siamo ancora.

Chiamami con il nome che mi hai sempre dato, che ti è familiare;

parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato.

Non cambiare tono di voce, non assumere un’aria solenne o triste.

Continua a ridere di quello che ci faceva ridere,

di quelle piccole cose che tanto ci piacevano

quando eravamo insieme.

Prega, sorridi, pensami!

Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima:

pronuncialo senza la minima traccia d’ombra o di tristezza.

La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto:

è la stessa di prima, c’è una continuità che non si spezza.

Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri e dalla tua mente, solo perché sono fuori dalla tua vista?

Non sono lontano, sono dall’altra parte, proprio dietro l’angolo.

Rassicurati, va tutto bene.

Ritroverai il mio cuore,

ne ritroverai la tenerezza purificata.

Asciuga le tue lacrime e non piangere, se mi ami:

il tuo sorriso è la mia pace.

Purtroppo da tempo il magistrato e’ un “sorvegliato” speciale della mafia. Oltre alle telefonate minatorie e agli insoliti pedinamenti, degli individui sospetti si sono recati in un hotel nei pressi della sua abitazione,chiedendo se fosse in affitto e se si potesse visitare.

Oltre al dott. Gozzo, anche Luigi Furitano, consulente dei più esperti ed eccellente criminologo è finito nel mirino della Cupola. Furitano (41 anni) e’ uno dei più stretti collaboratori di Gozzo e da anni è impegnato su diversi fronti, nel contrasto alla mafia.

Adesso ci si aspetta una cordata di solidarietà, ma soprattutto vogliamo rivolgere un appello al CSM e allo Stato affinché non lascino soli i combattenti all’interno di una pericolosa trincea, nella speranza di poter finalmente confutare l’equazione Stato=Mafia.

di Simona Mazza

 

 


22.11.2013 Nico Gozzo: “Che tristezza |i parvenu dell’antimafia”

 

Il procuratore aggiunto di Caltanissetta: “C’è chi ha cercato di avvicinare la famiglia Borsellino per un quarto d’ora di notorietà.
La lotta a Cosa nostra sarebbe più bella se somigliasse ai parenti di Paolo”.

“Agnese Piraino Leto era la gran custode di quella capacità di coniugare rispetto delle istituzioni, fermezza e dolcezza. Non volevo invadere la privacy della famiglia e di Agnese Borsellino, una riservatezza spesso violata da parvenu della giustizia che quando l’hanno avvicinata cercavano un momento di notorietà o più rapide carriere: che tristezza!”. Lo ha detto Nico Gozzo, procuratore aggiunto a Caltanissetta, intervenuto a Palermo alla presentazione del libro scritto dalla vedova Borsellino insieme a Salvo Palazzolo, “Ti racconterò tutte le storie che potrò”.
“Che bella sarebbe l’antimafia se somigliasse alla famiglia Borsellino – ha aggiunto commosso il magistrato -, se avesse concretezza, non rispetto di chi ha infangato le istituzioni; se avesse assoluta apoliticità unita ad amore della politica intesa come arte di amare la polis, integrità, sostegno e rispetto di chi cerca la verità tra mille difficoltà”.
“Il mio innamoramento per Agnese e Paolo – ha concluso – inizia dalla scoperta della figura umana e professionale del magistrato, un binomio inscindibile, quella bellissima normalità dell’amore a base di tutto: amore per la propria terra, piena di imperfezioni.
La forza tranquilla della normalità, perché come dice Milly Giaccone, questi uomini, pur sapendo di andare incontro alla morte non volevano diventare eroi ma volevano disperatamente vivere”. SICILIA LIVE


“Non rivelò alcun segreto d’ufficio” Assolto a Catania il pm Nico Gozzo

Il Tribunale di Catania ha assolto “per non aver commesso il fatto» il pm Nico Gozzo (adesso pg a Palermo) dall’accusa di rivelazione di segreto d’ufficio. Una vicenda nata dall’inchiesta aperta dopo la pubblicazione del contenuto di alcune intercettazioni in carcere tra il capomafia Totò Riina e i familiari.

Sul Fatto Quotidiano, a ottobre del 2013, si virgolettava una frase del padrino corleonese ritenuta ambigua dagli investigatori. «Quest’anno la Juve è una bomba», diceva Riina. Parole apparentemente innocue che, a dire dei pm, avrebbero nascosto una minaccia a uno dei magistrati palermitani che indaga sulla trattativa Stato-mafia.

Dopo la pubblicazione dell’articolo venne aperta un’indagine dai pm di Caltanissetta che, ipotizzando il coinvolgimento di un collega del distretto, trasmisero tutto a Catania. Vennero perquisite le abitazioni di due cronisti del Fatto e a casa di una di loro fu trovato un file dal quale, secondo l’accusa, sarebbe stato possibile dedurre un ruolo di Gozzo nella fuga di notizie. Gli avvocati di Gozzo, Francesco Crescimanno e Roberta Pezzano hanno però dimostrato l’estraneità del magistrato dalle accuse.COPYRIGHT LASICILIA.IT ©


A processo il magistrato che passava le carte al “Fatto”

Finisce nei guai il procuratore aggiunto di Caltanissetta Domenico Gozzo, il pm – già accusatore di Marcello Dell’Utri – che coordina le nuove indagini sulle stragi del ’92. Il Gip di Catania lo ha rinviato a giudizio per un reato difficilmente contestato alle toghe, violazione del segreto d’ufficio. Secondo l’accusa, sostenuta dal collega procuratore aggiunto degli uffici etnei Carmelo Zuccaro, sarebbe stato lui a «passare» al Fatto quotidiano le notizie relative ad alcune conversazioni intercettate, in carcere, tra il superboss Totò Riina e i suoi familiari. La prima udienza del processo si svolgerà a ottobre.

Una bomba. Anche perché Nico Gozzo è uno dei magistrati di punta della Procura di Caltanissetta, il pm che sta riscrivendo la storia delle stragi, smantellando di fatto i primi processi sugli eccidi di Capaci e via D’Amelio viziati dalla falsa collaborazione di Vincenzo Scarantino. Processi istruiti quando a Caltanissetta era procuratore capo Giovanni Tinebra, che a propria volta adesso è procuratore generale a Catania, dove ora Gozzo dovrà presentarsi nell’insolita veste, per lui, di imputato.

Che sulla pubblicazione di quelle intercettazioni (in una di esse Riina diceva: «Quest’anno la Juve è una bomba», frase letta come minaccia di attentato a uno dei pm della trattativa Stato-mafia) ci fosse una linea dura si era capito immediatamente. A ottobre del 2013, quando erano stati pubblicati gli articoli sul Fatto e sul quotidiano online LiveSicilia, era scoppiato il putiferio. E nel mirino in prima battuta erano finiti i giornalisti, i cronisti del Fatto Quotidiano Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, e il cronista di LiveSicilia Riccardo Lo Verso, sottoposti a perquisizione a casa e nelle redazioni. Proprio nell’abitazione di uno dei cronisti del Fatto sarebbero stati rinvenuti dei file che attestavano contatti col procuratore aggiunto nisseno. Immediata era stata l’apertura dell’inchiesta, trasferita a Catania per competenza, visto che è la procura etnea ad occuparsi di fatti che riguardano i magistrati nisseni. Ora l’udienza preliminare contro Gozzo. E il rinvio a giudizio del magistrato, che sarà difeso dall’avvocato palermitano Francesco Crescimanno.

Per un pm nei guai, un altro ex pm che non se la passa proprio bene, da quando è tornato alla ribalta delle cronache diventando assessore alla Legalità a Pompei: Diego Marmo, l’accusatore di Enzo Tortora. Ieri Il Mattino ha pubblicato una lettera della compagna del presentatore tv, Francesca Scopelliti. Una lettera durissima, a dispetto delle scuse per l’errore commesso affidate a 30 anni di distanza, da Marmo, al quotidiano Il Garantista. Una lettera amara, in cui la compagna di Tortora chiede al sindaco di Pompei, Nando Uliano, di ritirare la delega all’ex pm. «Una semplice domanda, sindaco Uliano – scrive la Scopelliti dopo aver ricostruito l’odissea giudiziaria del presentatore tv – avrebbe mai dato la delega ai lavori pubblici a un ingegnere che ha costruito un ponte crollato il giorno dopo dell’inaugurazione? Diego Marmo è un magistrato che – perseguendo un innocente e dando mostra di colpevole negligenza e di spaventosa protervia – ha fatto crollare la giustizia, ha offeso il diritto, ha umiliato quella toga che invece dovrebbe, secondo il dettato costituzionale, essere una garanzia per i cittadini. Marmo dovrebbe, per dignità, dimettersi, ma so che non lo farà. E allora chiedo a lei un atto di coraggio: ritiri quella delega».

Nella lettera la compagna di Tortora ricorda con amarezza le parole usate da Marmo durante la requisitoria del processo di primo grado, la definizione di Tortora come «cinico mercante di morte», l’accusa di essere stato eletto con i voti della camorra. Un teorema poi franato in Appello e in Cassazione: «Non fu – ricorda la Scopelliti – semplicemente un errore, come se ne fatto ovunque e quindi anche nei tribunali: fu, come la definì Giorgio Bocca, una pagina vergognosa di “macelleria giudiziaria”».


Mutolo: «Quei “pazzi “ di cui parlava Borsellino non erano i Ros di Mori»

«Ma hanno fatto riferimento a Mori, oppure lei l’ha dedotto?», ha domandato il pm Gabriele Paci al pentito Gaspare Mutolo durante l’audizione di pochi minuti del 22 marzo scorso al processo per il depistaggio Borsellino che vede alla sbarra tre poliziotti, Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. Il pentito non dà una risposta secca, con un sì o un no, in riferimento a Borsellino che avrebbe detto in corridoio parlando con quelle della Dia: «Ma sono pazzi!». Mutolo risponde che lo ha intuito, perché già da tempo si sapevano dei contatti dei Ros con Vito Ciancimino per la cattura di Totò Riina. La Corte ha deciso, quindi, di accogliere la richiesta dell’accusa di utilizzare i verbali delle deposizioni rese, in passato, da Mutolo.

Ma dai verbali delle udienze passate, cosa emerge? Mutolo in realtà si riferiva al discorso delle dissociazioni. Ricordiamo che la dissociazione era un concetto giuridico introdotto per favorire la lotta contro i gruppi terroristici operanti in Italia, agevolando la dissociazione degli aderenti ai gruppi tramite sconti di pena offerti a chi forniva informazioni. Nel 2012, durante il processo contro Mori e Obinu, Mutolo disse: «Durante un interrogatorio spiegò – sentì Borsellino che parlava con delle persone in corridoio e urlava, questi sono dei matti, sono dei matti. Era disgustato e arrabbiato, era incazzato nero con dei personaggi delle istituzioni perché volevano offrire ai mafiosi un’eventuale dissociazione». Ma chi, esattamente, l’aveva proposta? E in cambio di cosa? Mutolo non conosce i dettagli. Si limitò a dire: «Borsellino sapeva che c’erano questi contatti in corso. Così mi sembrò di cogliere nelle parole che gli sentivo dire: c’era un accordo tra i mafiosi che si dovevano dissociare, in cambio di una specie di amnistia. E lui era contrario». A chiarire meglio la vicenda, sempre nel processo del 2012, fu un uomo della Dia che all’epoca partecipò con Borsellino agli interrogatori di Mutolo. Si tratta di Domenico Di Petrillo. Disse: «Ricordo che in quel periodo, quello delle stragi del ‘ 92, si parlò di dissociazione, ma in termini molto generici. Me lo ricordo perché era una materia affine a quella dell’antiterrorismo, di cui mi ero occupato». Di Petrillo non ricorda però con chi ne parlò: «Non ricordo neanche i termini precisi della questione». Il pm Nino Di Matteo gli ha chiesto anche del generale Mori. Di Petrillo ha ricordato di qualche incontro, ma niente di più. Sempre in questo processo, Mutolo specifica chiaramente che non ha mai sentito espressamente fare da Borsellino il nome del Generale Mori quando faceva il discorso sulla dissociazione, infatti disse rispondendo alla domanda precisa dell’avvocato Basilio Milio : «Io non è che ho detto questo, io questo (…)».

Nel 2014, durante il processo del Borsellino Quater, è il Pm Nico Gozzo a fare domande a Mutolo sempre per quella circostanza dell’interrogatorio. «Senta torniamo un attimo indietro sempre a questo discorso della dissociazione per terminarlo e le volevo chiedere se lei ebbe modo di capire dai discorsi che ha sentito fare al dottore Borsellino se il dottore Borsellino era la prima volta che sentiva parlare di questo fatto della dissociazione o se ne aveva gia` sentito parlare altre volte». La risposta del pentito Mutolo è chiara: «Guardi io sentendo quella reazione, sentendo la reazione sicuramente non era la prima volta, perche ´ la reazione e` stata diciamo… io posso cambiare i termini ma la sostanza e` sempre quella, la reazione e` stata diciamo aggressiva, cioe` se io sento una cosa non e` che subito c’ho la reazione, esatto? Quella reazione: “Sono matti, sono impazziti”, in una maniera molto disgustata logicamente vuol dire che c’erano delle persone che ci andavano alla carica perche ´ magari si progettava non lo so delle cose che dopo sono avvenute». Quindi, almeno dalle dichiarazioni di Mutolo, non c’era nessun riferimento alla presunta trattativa stato mafia. 28 marzo 2019 IL DUBBIO Damiano Aliprandi

 
 
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