[L’INTERVISTA A TONY GENTILE] Un solo fotogramma una storia, il racconto con le immagini
27 marzo 1992, «Ecco perché Falcone e Borsellino sorridevano in questa foto storica» – Corriere della Sera – News e Video
27 marzo 1992 – La STORIA di una foto passata e scattata in occasione della tavola rotonda “Criminalita’, giustizia” tavola rotonda in vista delle elezioni politiche con Falcone e Borsellino AUDIO
27 marzo 1992.
Il bianco e nero scelto per la pellicola restituisce i sentimenti contrastanti del fotografo che scattò la foto simbolo della lotta alla mafia. A distanza di 30 anni Tony Gentile racconta con una mostra la «guerra» di quegli anni a Palermo. Una parola che «ben calza, anche se in queste ore potrebbe non sembrare così, su quel periodo». Domani Gentile sarà a Prato per inaugurare l’esposizione e incontrare i giovani nell’ambito della rassegna Novantadue, dove si parlerà anche di quello scatto: «Mi trovavo a un convegno al quale erano presenti i due giudici come relatori, dovevo coprire l’evento per un giornale locale. A un certo punto Falcone si avvicina a Borsellino, i due si dicono qualcosa e poi scoppiano in una risata fragorosa che richiama la nostra attenzione. È una frazione di secondo, salto davanti a loro e colgo l’attimo». È solo dopo la strage di Capaci del 23 maggio che il fotoreporter recupera lo scatto e lo invia a vari giornali che l’archiviano. Ma è dopo l’attentato di via D’Amelio del 19 luglio che la foto viene pubblicata sulle prime pagine di tanti quotidiani. Da quel giorno, sarà stampata sulle magliette, appesa ai muri e usata. A volte impropriamente.
Aveva 28 anni e faceva il fotoreporter. Cosa fa ora? «Fino a poco tempo fa ero a Reuters e continuavo a farlo, ora ho smesso. È cambiato il giornalismo e il fotogiornalismo: sono diminuiti i guadagni, è aumentata la precarietà. A quell’epoca a Palermo per trasmettere gli scatti c’era la “telefoto”, in città l’avevamo solo in due. Oggi le immagini della guerra in Ucraina sono per lo più quelle delle telecamere di videosorveglianza. I giovani trent’anni fa potevano sognare di diventare uno di quei giornalisti e fotografi, ora quelle prospettive non esistono più».
Cosa è rimasto del giovane che scattava a Palermo? «La passione per la fotografia resta, comunicare attraverso il mezzo. Lascio puro quell’aspetto, vado in giro con la macchina fotografica, mi diverto. Mi piace il documentario, ora mi dedico a immaginare percorsi in quel modo. In questo mi sento come quando avevo 25 anni».
Uno degli ospiti della rassegna pratese è Pif, che nel film La mafia uccide solo d’estate parla delle strade di Palermo che prendevano i nomi dei morti ammazzati. Ricorda la sua prima strada? «Non era un cadavere per così dire eccellente. Si chiamava Bonsignore, era un funzionario della Regione siciliana che non era stato disponibile a farsi corrompere. Io sono cresciuto con quel tipo d’immagini scattate da Letizia Battaglia, che avevano raccontato la fase precedente della mafia. Aspettavo che arrivasse quel momento, per vedere se sarei stato in grado di gestirlo, come il medico al primo intervento. Un giorno la radio della polizia, ha detto “omicidio” e io sono corso con la mia Vespa. La macchina fotografica fece da filtro, riuscii a restare concentrato, avevo superato l’esame con me stesso».
Parliamo della foto di Falcone e Borsellino: la accompagna nel bene o nel male? «Il bene è la speranza che suscita. Sul male potremmo scrivere tomi, al di là dei processi e delle contese per il copyright. Il più grande sta nel fatto che queste persone sono morte: io non ho fatto una foto al paesaggio più bello dell’anno, questi individui non ci sono più. Io sono stato in via D’Amelio e a Capaci, ho vissuto con loro emozioni profonde. Quello che rimane a me è questo dolore della morte, che supera di gran lunga la gioia di quel sorriso, che capisco dia speranza. Quella fotografia purtroppo ha assunto una valenza retorica, ed è stata utilizzata anche da chi era mafioso. In tante situazioni l’ho vista agitata per ripulirsi la coscienza. Ultimamente, un mafiosetto neomelodico diceva in un’intercettazione a un altro cantante: “Fatti un tatuaggio con quella foto, vedrai che starai tranquillo”. Mi sento violato, è l’altro pezzo del dolore».
La mafia l’ha mai cercata? «Non ufficialmente. La mafia non è Totò Rina che viene da te con la coppola. Ma posso dire che sono caduto anche io – senza che possa ora rivelare come – in un utilizzo utilitaristico della mia immagine. Ho intrattenuto inconsapevolmente rapporti con personaggi che sono mafiosi. A ritroso l’ho scoperto, come tanti».
Lei utilizza la parola guerra, rispetto alla lotta alla mafia. Nelle ore della guerra ucraina è fuori luogo? «A Prato incontrerò gli studenti e la prima cosa che gli dirò sarà: la parola guerra in questi giorni può sembrare esagerata rispetto alla lotta alla mafia. Però a Palermo ci sono stati i bombardamenti, i morti ammazzati, i soldati, è l’ultimo episodio dopo il conflitto mondiale in cui fu mandato l’esercito in forze in un territorio. Questi elementi ci fanno capire che in quegli anni in Sicilia c’è stata una guerra. La memoria è importante. Non ci deve mai essere stanchezza nel ripetere che la guerra fa schifo, che la mafia è una merda».
5 marzo 2022 | CORRIERE DELLA SERA
“Ho fatto io la foto più famosa di Falcone e Borsellino”.
Tony Gentile: “L’immagine che ci ha dato la forza di reagire”
“Un’immagine di vita che racconta la morte. Forse è proprio questa la chiave di una foto, scattata una sera di primavera durante un convegno elettorale, che negli anni è diventata un’icona della lotta alla mafia. Di più, di un popolo che non si rassegna alla sconfitta”. Tony Gentile aveva appena 28 anni il 27 marzo del ’92. Collaborava con il Giornale di Sicilia, venne mandato dal suo caporedattore per catturare qualche immagine di quel dibattito al quale partecipavano, oltre a Falcone e Borsellino, l’ex sindaco di Palermo Aldo Rizzo e il magistrato Giuseppe Ayala, candidato al Parlamento per il Partito repubblicano. Si appostò proprio davanti al tavolo dei relatori e iniziò a scattare. Fino a quella “sequenza 15” destinata a diventare l’immagine della sua vita.
Eppure quella sera la foto fu scartata… “È vero, ma i colleghi mi fecero i complimenti lo stesso. Bisognava metterne in pagina una con tutti i protagonisti di quella serata, mi promisero però che sarebbe stata utilizzata al più presto”.
Invece rimase nel cassetto fino al 20 luglio di quell’anno terribile. Il giorno dopo la strage di via D’Amelio nel quale furono uccisi Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta. Cinquantasette giorni prima la stessa sorte era stata riservata dalla mafia a Giovanni Falcone, la moglie Francesca e tre poliziotti… “L’avevo mandata alla mia agenzia di Roma e il giorno dopo la vidi in prima pagina su diversi quotidiani nazionali. Una volta un amico mi chiese se ne fui contento. Ma come si può essere contenti se i protagonisti di una foto sono stati fatti saltare in aria da Cosa nostra?”.
Furono giorni di terrore in Sicilia e in tutto il paese. La gente sembrava smarrita, incapace di reagire. Quell’immagine di Falcone e Borsellino sorridenti riuscì a scuotere le coscienze. Quando capì che la sua foto era diventata un simbolo?
“Quando la vidi nei manifesti che chiamavano i siciliani a reagire e venne stampata sui lenzuoli bianchi che migliaia di cittadini appesero alle loro finestre. E poi quando il padre di Nino Agostino, il poliziotto ucciso dalla mafia insieme alla moglie qualche anno prima, aprì il corteo del 23 maggio del ’93, un anno dopo la strage di Capaci, tenendo fra le mani proprio quell’immagine. Quello scatto purtroppo ha acquisito il significato che gli diamo ancora, a 25 anni di distanza, per tutto quello che è successo dopo, le stragi che hanno insanguinato la mia terra. Ecco perché penso che, in qualche modo, rappresenta una svolta quasi rivoluzionaria: eravamo abituati a vedere le immagini dei corpi martoriati, foto di una forza incredibile scattate da maestri come Letizia Battaglia e Franco Zecchin. Per la prima volta, invece, un’immagine di morte era associata a due persone vive, serene, sorridenti. La gente aveva bisogno di sperare. Forse in quel sorriso ha trovato la forza per dire basta”.
Le copertine di giornali e riviste internazionali, una mostra che ha girato il mondo, persino una sala al Parlamento europeo dedicata ai due magistrati siciliani. E poi, un paio di anni fa, l’incontro con Papa Francesco al quale ha voluto regalare una copia della fotografia… “Una grande emozione. Mentre gliela porgevo, raccontavo al Santo padre la storia di quell’immagine e, soprattutto, quanto Falcone e Borsellino fossero stati importanti per la mia generazione. Ci sono ragazzi di 15 anni che hanno imparato a conoscere la storia della lotta alla mafia grazie alla mia foto. E tanti turisti che sbarcano in aeroporto a Palermo e si soffermano anche solo per un istante davanti a quell’immagine. Resterà per sempre nel cuore della gente: credo che per uno che fa il mio lavoro non possa esserci gratificazione più grande”.
Il caso della foto di Falcone e Borsellino arriva in Parlamento
Lo scatto, diventato l’icona della lotta alla mafia, è stato al centro di una diatriba giudiziaria e ora di un’interrogazione rivolta al ministro Franceschini. L’autore, Tony Gentile, all’AGI: “Se quella foto è patrimonio di tutti gli italiani allora è giusto che vada protetta”
AGI – Nel trentennale delle stragi di Capaci e via d’Amelio, la foto più celebre di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino finisce in Parlamento. Lo scatto che il fotoreporter Tony Gentile realizzò a Palermo il 27 marzo del 1992, in cui i due magistrati sorridono, campeggia sulle pareti di scuole e uffici pubblici perché è l’icona della lotta alla mafia, tanto che sarà replicata anche sulle monete da 2 euro. Tuttavia è al centro di una diatriba giudiziaria, raccontata un po’ di tempo fa da ‘Oggi’. Ora la vicenda sbarca a Montecitorio, con la richiesta al ministro Franceschini di salvarne la paternità. Anni fa il fotografo ha fatto causa alla Rai, chiedendo un risarcimento danni per via dell’utilizzo da parte dell’azienda della tv della sua fotografia senza la richiesta del suo consenso, né la menzione dell’autore e neanche il pagamento di un compenso.MA settembre del 2019 il Tribunale ha escluso che l’opera possa avere carattere autoriale, facendola rientrare, nelle fotografie “semplici”, per cui la legge riconosce all’autore il diritto di riproduzione, diffusione e vendita soltanto per 20 anni. Se invece fosse riconosciuta come “opera dell’ingegno” sarebbe “protetta” per 70 anni dalla morte del fotografo. Per questo il 23 maggio scorso il deputato di Iv Michele Anzaldi ha presentato un’interrogazione al ministro della Cultura Dario Franceschini, per chiedere “se è a conoscenza delle circostanze” e “se non ritenga che, a fronte dell’alto valore simbolico della celebre fotografia che riproduce i magistrati Falcone e Borsellino, non sia nelle sue facoltà riconoscerne comunque il valore di opera d’arte”. Anche per evitare la beffa, cioè che “il nome del fotografo non sia più citato in alcune riproduzioni, proprio in occasione del trentennale della strage di Capaci e via D’Amelio”. Dal canto suo, Tony Gentile non nasconde all’AGI la sua amarezza: “Per me è una mortificazione umana e professionale, non è possibile che una foto di questo valore sia trattata in questo modo”. Gentile racconta: “L’ho scattata durante un convegno in cui si parlava di mafia e politica, organizzato a sostegno della candidatura alla Camera di Giuseppe Ajala, due settimane prima era stato ucciso Salvo Lima. Falcone e Borsellino erano consapevoli di quello che sarebbe accaduto”. Il valore della foto sta in quel senso “di intimità naturale e spontanea che si percepisce immediatamente quando qualcuno la guarda. C’è una semplicità del gesto che si riflette nel loro messaggio e che io ho intuito e sono riuscito a cogliere”. Considerazioni che il giudice, evidentemente, non condivide: “Lui sostiene che quella foto è diventata icona soltanto perché Falcone e Borsellino sono morti in quel modo, mentre io dico che la fotografia è icona più semplicemente perché esiste, perché un fotogiornalista l’ha fatta sapendo chiaramente cosa stava raccontando quella sera del 27 marzo”. Ora le speranze di Gentile sono riposte nell’interrogazione di Anzaldi: “Oltre a Franceschini spero mi risponda anche il ministro Franco per spiegarmi se ritiene giusto che la Zecca dello Stato si sia tirata indietro da un accordo concordato secondo il quale avrebbero dovuto riconoscermi un pagamento di 500 euro che io, per mia iniziativa, avrei devoluto in beneficenza. Alla fine la moneta esiste ma non esiste una mia firma che autorizzi l’uso della fotografia”. “Penso che l’iniziativa di Anzaldi, che peraltro io non conoscevo, abbia colto nel segno perché se quella foto è patrimonio di tutti gli italiani allora è giusto che vada protetta e proteggere quell’icona significherebbe innescare un processo per il cambiamento della legge italiana sul diritto d’autore che penalizza, come me, migliaia di fotografi italiani”.
Quella sera che Falcone e Borsellino ridevano come due amici qualunque
Il 27 marzo del 1992 Paolo Borsellino e Giovanni Falcone si danno appuntamento al palazzo Trinacria di Palermo, nel rione storico della Kalsa. L’occasione è la presentazione della candidatura alla Camera dei deputati del collega Giuseppe Ayala. La città è in fermento, il 5 e 6 aprile si terranno le elezioni politiche dell’era Mani Pulite. I due magistrati sono l’uno accanto all’altro. Si dicono qualcosa, parlano a bassa voce. Poi uno dei due fa una battuta. E il sorriso compare sui loro volti. Dall’altra parte del tavolo c’è un giovane fotoreporter del Giornale di Sicilia, Tony Gentile, che preme il pulsante della sua macchina fotografica proprio in quel preciso momento. Il giorno successivo la fotografia non viene pubblicata. «Magari la usiamo un altro giorno», gli dicono. Ma dopo le stragi di Capaci e via d’Amelio, quell’immagine diventa il simbolo della rinascita di una terra che reagisce contro la logica mafiosa. «Quello scatto purtroppo ha acquisito il significato che oggi gli diamo», racconta Tony Gentile, «per quello che è successo dopo. Altrimenti sarebbe rimasta una foto come tante altre».
Tony Gentile, com’è nata quella fotografia? Lavoravo come fotoreporter dal 1989. Nel 1992 collaboravo già con l’agenzia Reuters dalla Sicilia e con la cronaca locale del Giornale di Sicilia. Una sera, il 27 marzo di quell’anno, mi sono trovato a coprire un convegno legato alla candidatura del magistrato Giuseppe Ayala. Falcone e Borsellino erano seduti a quel tavolo. Non so cosa si siano detti, ma a un certo punto tra di loro si è creato questo momento di battuta e hanno sorriso. Io credo che stessero scherzando su una delle persone sedute al tavolo con loro. Ma è una mia idea. Così è venuta fuori quella foto.
Quella sera c’erano anche altri fotografi, ma solo la sua foto mostra la complicità e l’amicizia tra i due magistrati a pochi giorni dalla loro morte. È stata una confluenza di fattori diversi. Forse la prontezza di riflessi, la posizione, l’aver compreso subito il gesto. E così ho fatto quattro o cinque scatti consecutivi. Certamente il fattore determinante che ha reso famoso lo scatto è che la foto sia stata pubblicata e che sia stata usata più delle altre fatte quella sera. L’intera sequenza degli scatti, comunque, sarà in mostra a Palermo dal 24 maggio al 3 giugno in occasione del ventennale della strage di Capaci e via d’Amelio.
La foto, però, non venne pubblicata immediatamente. Venne “ripescata” qualche mese dopo. Sì, la sera del convegno portai alla redazione del Giornale di Sicilia i miei scatti. Ci furono dei commenti di apprezzamento per quella foto. Mi dissero: “Bravo, è carina, magari la usiamo un altro giorno”. Ma il giorno dopo non venne pubblicata. Tra maggio e luglio, poi, dopo la strage di Capaci, un amico mi disse: “Ma tu non avevi fatto quella bella foto di Falcone e Borsellino?”. Così la inviai all’agenzia di Roma con la quale collaboravo. E il 20 luglio, il giorno successivo alla strage di via d’Amelio, i maggiori quotidiani nazionali, dal Corriere della sera a La Stampa, la ripresero e la pubblicarono in prima pagina.
Così quell’immagine divenne simbolo della rinascita della Sicilia. Quello scatto, purtroppo, ha acquisito il significato che oggi gli diamo per quello che è successo dopo, a causa delle stragi. Se non fossero stati uccisi Falcone e Borsellino, sarebbe stata una foto come un’altra. C’è stato un editore in città che decise di metterla sui manifesti contro la mafia che venivano affissi a Palermo in quei giorni. Qualcuno pensava che io fossi l’unico fotografo presente quella sera al palazzo Trinacria. In realtà c’erano altri colleghi che scattarono foto simili. Ma quella complicità, quei sorrisi ce li ha solo quella foto.
Uno scatto in bianco e nero: è stata una scelta stilistica? È uno scatto in bianco e nero non per una ricerca estetica. Nel 1992 i giornali erano tutti in bianco e nero. Noi fotografi andavamo in giro con una macchina in bianco e nero per i quotidiani e un’altra a colori per i settimanali. Lo scatto è in bianco e nero perché era destinato a un quotidiano. Magari se fossi stato inviato da un settimanale, ora quella foto sarebbe a colori.
Come reagì a quelle stragi? Il significato assunto da quello scatto si trasformò anche in un particolare impegno antimafia? Io credo nel giornalismo obiettivo. Le idee intime del giornalista sono un’altra cosa. E quelle può averle chiunque, dall’imbianchino al vigile urbano. Certo la legalità fa parte dei miei valori e cerco ogni giorno di trasmetterla anche ai miei figli, che a casa vedono quella foto di Falcone e Borsellino appesa dappertutto. Mi è capitato anche di scrivere alcuni libri sul tema mafioso e sono legato a Rita Borsellino, sorella di Paolo, da una amicizia molto forte. Lei era proprietaria della farmacia dietro casa mia, a Palermo.
Quindi conosceva di persona Paolo Borsellino e Giovanni Falcone? Di persona no. Li conosci da disturbatore, come tutti i fotoreporter e i giornalisti. E loro imparano a conoscerti e ti tollerano. Mi ricordo però del discorso di Paolo Borsellino alla biblioteca comunale di Palermo dopo la morte di Falcone nella strage di Capaci. Io ero ai piedi del tavolo dietro il quale il magistrato era seduto. Ho scattato tante foto, ma a un certo punto le sue parole mi hanno talmente emozionato che mi sono seduto a terra all’angolo della scrivania a osservarlo da vicino. Avrei voluto scrivergli un mio pensiero su un bigliettino per fargli arrivare la mia vicinanza. Ma non lo feci, non so perché. Dopo il 19 luglio andai a raccontare questa cosa a Rita Borsellino e le portai in regalo quella foto che ritraeva il fratello sorridente insieme a Giovanni Falcone.
Lidia Baratta L’INKIESTA 23 MAGGIO 2012
Tony Gentile e le testimonianze fotografiche di una memoria collettiva per la giustizia
Intervista al fotoreporter della celebre foto dei magistrati antimafia Falcone e Borsellino: “E’… un’icona, un simbolo di riscatto per tante persone”
di Lisa Bernardini La Voce di New York 11.12.2020 Traduzione di Emmelina De Feo
Tony Gentile (Palermo, 9 marzo 1964) Fotoreporter e giornalista professionista inizia a fotografare professionalmente nel 1989 collaborando con l’Agenzia fotografica Sintesi grazie alla quale pubblica i suoi reportage dalla Sicilia sui maggiori quotidiani e periodici italiani e stranieri. Nei primi anni della sua carriera ha raccontato con le proprie immagini l’attacco stragista della mafia contro lo Stato, fotografando le stragi di Capaci e di via D’Amelio dove rimasero uccisi Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo, Vito Schifani, Paolo Borsellino, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Claudio Traino e Walter Eddie Cosina. Il racconto di quegli anni bui è confluito poi nel 2015 nel libro La guerra – una storia siciliana. Nel 2003 si trasferisce a Roma dove entra a far parte dello staff dei fotografi dell’Agenzia di stampa internazionale Reuters per la quale ha coperto, fino al 2019, storie di attualità, cronaca, costume e sport di interesse internazionale viaggiando tanto in giro per il mondo e fotografando alcuni degli eventi che sono rimasti nella memoria collettiva, come ad esempio la finale della coppa del mondo di calcio del 2006, in cui l’Italia vinse la coppa del mondo, oppure i viaggi apostolici di 3 Papi in paesi come Brasile, Cuba, Turchia e Stati Uniti. È particolarmente noto per avere realizzato la fotografia dei magistrati Falcone e Borsellino che sorridono che è diventata icona del riscatto di un popolo intero alla violenza della mafia. Dalla metà degli anni 90 e fino al 2003 ha insegnato fotografia nelle scuole superiori realizzando insieme agli studenti interessanti progetti fotografici e video. Attualmente si dedica alla realizzazione di progetti personali sia nell’ambito della fotografia che del video documentario.