COMMISSIONE ANTIMAFIA SCARPINATO, NATOLI e l’audizione “aggiustata”
Il RAPPORTO MAFIA e APPALTI e l’eliminazione di BORSELLINO
Le cave, la mafia e Borsellino. L’inchiesta torna d’attualità. La ricostruzione dell’indagine dell’avvocato Trizzino
PAOLO BORSELLINO: audizioni a confronto
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Mafia-appalti, indagato l’ex pm Natoli: «Coprì i boss del clan Buscemi»
Secondo la Procura di Caltanissetta, l’ex capo degli inquirenti di Palermo avrebbe insabbiato l’indagine scaturita dalla segnalazione di un collega di Massa-Carrara. Il vertice Ferruzzi Gardini e mafia sarebbero stati aiutati per eludere le indagini. Borsellino, prima della strage, ha appreso il coinvolgimento di Riina nel potentato economico.
L’ex procuratore di Palermo Gioacchino Natoli è indagato dai pm di Caltanissetta. L’accusa? Aver insabbiato un’indagine cruciale che avrebbe dovuto confluire nel procedimento scaturito da “Mafia-appalti”, il dossier redatto dagli ex Ros Mario Mori e Giuseppe De Donno sotto la supervisione di Giovanni Falcone. Paolo Borsellino non solo considerava quel dossier importante, ma lo collegava direttamente alla strage di Capaci.
Aspetto emerso anche dall’ultima intervista rilasciata allo scrittore Luca Rossi. E i verbali desecretati dalla commissione Antimafia, presieduta da Chiara Colosimo, rivelano come negli ultimi giorni di vita il giudice trucidato in via D’Amelio stesse lavorando in maniera capillare sugli appalti. Secondo il pool che indaga sulla causa della strage di via D’Amelio, guidato dai sostituti della procura di Caltanissetta Claudia Pasciuti e Davide Spina, Natoli avrebbe agito in concorso con l’ex procuratore di Palermo Pietro Giammanco (nel frattempo deceduto) e con l’allora capitano della Guardia di Finanza Stefano Screpanti.
L’accusa sostiene che l’ex pm avrebbe aiutato a eludere le indagini sui mafiosi Antonino Buscemi e Francesco Bonura, l’imprenditore e politico Ernesto Di Fresco (dal dossier dei Ros emerge che si incontrava con il boss Angelo Siino) e i vertici del Gruppo Ferruzzi, ovvero gli imprenditori Raul Gardini, Lorenzo Panzavolta e Giovanni Bini. In particolare, al magistrato viene contestato di aver condotto, nell’ambito del procedimento 3589/1991 aperto a Palermo dopo l’invio delle carte da Massa-Carrara su presunte infiltrazioni mafiose nelle cave toscane, una “indagine apparente”. Come? Richiedendo autorizzazioni per intercettazioni telefoniche di brevissima durata e su un numero limitato di utenze, compromettendo così l’efficacia dell’inchiesta. Inoltre, avrebbe disposto, d’intesa con Screpanti, di non trascrivere conversazioni cruciali che rivelavano il coinvolgimento di Di Fresco a favore di Bonura e un possibile “aggiustamento” di un processo pendente.
Il contesto è quello degli inizi degli anni 90. Mentre il dossier “Mafia-appalti”, che già menzionava la Calcestruzzi Spa (colosso delle opere pubbliche controllato dal gruppo Ferruzzi-Gardini e, secondo il pentito Leonardo Messina, da Totò Riina), era stato depositato, giunse alla Procura di Palermo una nota firmata da Augusto Lama, allora sostituto a Massa Carrara. Grazie all’indagine dell’ex Guardia di Finanza Franco Angeloni, la nota indicava i fratelli Buscemi e Bonura. Cosa avevano scoperto? Il legame tra la mafia siciliana e il gruppo Ferruzzi, proprietario della Sam-Imeg, che controllava il 65% delle cave e della lavorazione del marmo di Carrara.
All’epoca, Gardini ottenne un’offerta di favore dall’Eni. Il primo grande affare fu un contratto per la desolfazione delle centrali Enel, del valore di tremila miliardi di lire. Ma la situazione a Carrara precipitò. Antonino Buscemi prese il controllo delle cave, affidandone la gestione al cognato Girolamo Cimino e a Rosario Spera. I siciliani imposero condizioni vessatorie ai cavatori, che trovarono come unico difensore il loro presidente onorario, il comandante partigiano Memo Brucellaria. Fu allora che il procuratore Augusto Lama iniziò a indagare.
Natoli, incaricato di occuparsi della nota, ne chiese l’archiviazione. Non solo: firmò il provvedimento per smagnetizzare le bobine delle intercettazioni e distruggere i brogliacci. L’ex pm ha sostenuto che la frase “e la distruzione dei brogliacci” fosse stata aggiunta dopo il deposito dell’atto. La Procura di Caltanissetta, tuttavia, lo accusa di calunnia per aver incolpato ingiustamente Damiano Galati, responsabile amministrativo del Centro Intercettazioni. Fortunatamente, i funzionari non diedero seguito alla richiesta di smagnetizzazione. Il Gico di Caltanissetta, reparto d’élite della Gdf, ha potuto così recuperarle e riascoltare tutte le intercettazioni.
Le accuse a Natoli non si fermano qui. Secondo i pm nisseni, non avrebbe aperto indagini su Luciano Laghi e Claudio Scarafia, nonostante fossero emersi legami con Bonura. Avrebbe inoltre chiesto l’archiviazione del procedimento senza approfondimenti e senza acquisire il materiale concernente le indagini effettuate dalla Procura di Massa-Carrara. I reati, sempre secondo l’accusa, sarebbero stati commessi con “l’aggravante di aver agito al fine di favorire l’associazione mafiosa” con riferimento agli interessi della stessa nell’aggiudicazione degli appalti, operazione gestita dal famoso tavolino: mafia, imprenditori nazionali e politica.
L’ex pm di Massa-Carrara Augusto Lama ha recentemente affermato che una maggiore attenzione agli esiti della indagine apuana e, soprattutto, al rapporto dei Ros, e un conseguente approfondimento investigativo, che lui non riuscì a svolgere, avrebbero consentito di avviare l’inchiesta sulla questione “Mafia-appalti” con qualche anno di anticipo.
Un dettaglio cruciale emerge dalle audizioni di Natoli: nell’aprile 1992, una seconda nota inviata da Lama fu “intercettata” da Paolo Borsellino, che la consegnò ai colleghi Guido Lo Forte e Giuseppe Pignatone, anziché a Natoli. Perché? Probabilmente perché erano i magistrati titolari del dossier “Mafia-appalti”, che già indicava gli affari dei Buscemi con Ferruzzi-Gardini. Non dimentichiamo che in quel periodo il gruppo Ferruzzi – in pochi anni acquisito e trasformato da Gardini in un gruppo prevalentemente industriale –, unito con la Montedison, divenne il secondo gruppo industriale privato italiano, con ricavi per circa 20mila miliardi di lire, con 52mila dipendenti e più di 200 stabilimenti in tutto il mondo. Gruppo che poi finirà nel ciclone di tangentopoli.
Nel ’93, Gardini si suiciderà, anche se rimane il fondato dubbio di un omicidio. E forse non è l’unico strano suicidio. Basti pensare al libro dell’allora magistrato Mario Almerighi, nel quale, attraverso un’attenta analisi tecnico-giuridica e l’attestazione dei fatti, ha sollevato dubbi non solo su Gardini, ma anche sui suicidi di Sergio Castellari, direttore delle Partecipazioni statali, e Gabriele Cagliari, presidente dell’Eni.
Borsellino conosceva bene il dossier, avendone richiesto copia quando guidava la Procura di Marsala. Il suo interesse emerge, dalle carte desecretate, con chiarezza. L’ultimo suo atto, il giorno prima di essere assassinato, fu prendere il fascicolo relativo a Luigi Ranieri, imprenditore ucciso dalla mafia per essersi opposto al condizionamento mafioso degli appalti. Ma Borsellino aveva anche atti riguardanti la società Sat, intercettazioni telefoniche, verbali d’interrogatorio e materiale sequestrato a seguito dell’omicidio. Borsellino cercava collegamenti. Da notare come risultasse anche il fascicolo processuale relativo al collaboratore Aurelio Pino, contenente diverse note. Chi è? Si tratta dell’imprenditore che il 21 febbraio 1989 riferì ai carabinieri la strategia di Cosa nostra per il controllo degli appalti, specificando che i gruppi mafiosi che gestivano e controllavano gran parte delle gare in provincia di Palermo erano essenzialmente due: il gruppo Modesto e il gruppo Siino, sotto la tutela delle ”amiglie” Salamone e Brusca, le quali avevano come referenti assoluti Riina e Provenzano.
Borsellino cercava collegamenti, aveva anche parlato con Antonio Di Pietro. Diceva di fare presto. Sarà un caso che entrambi, come risulta dall’informativa dei Ros di Milano, erano nel mirino mafioso? Ricordiamo che Borsellino non aveva la delega per le indagini palermitane. L’avrà solamente la domenica mattina del 19 luglio tramite una singolare telefonata da parte di Giammanco. Il legame tra tangentopoli e l’indagine “Mafia-appalti” diventa sempre più evidente. Qualcosa di grosso bolliva in pentola, e Borsellino probabilmente lo intuì. Così come intuì (leggasi verbale di luglio 1992 della sorella di Falcone al Csm) che aveva scoperto qualcosa di terribile in procura. Il “nido di vipere”.
“Mafia e appalti”, indagato l’ex pm Gioacchino Natoli a Caltanissetta
La procura nissena interrogherà l’ex magistrato del pool antimafia di Palermo sulle ipotesi di favoreggiamento e calunnia
Natoli avrebbe insabbiato elementi dell’inchiesta a Massa Carrara – poi confluiti nel ‘Mafia e appalti’ – nell’ambito della quale gli inquirenti avevano intercettato diversi imprenditori per dimostrare che gli affari di Cosa nostra si muovevano in Sicilia, ma anche in Toscana. Natoli avrebbe agito in concorso, secondo le accuse, con l’ex procuratore di Palermo Pietro Giammanco (deceduto) e con l’allora comandante della Guardia di Finanza Stefano Screpanti.
Lo scorso anno su ordine della procura di Caltanissetta le bobine dell’indagine di Massa Carrara – che inizialmente si era detto che erano state distrutte – sono state portate nella sede del Ros di Roma e qui è iniziato l’ascolto di tutte le conversazioni. Un anno dopo l’avvio delle operazioni i primi indagati della procura nissena.
Natoli è stato invitato a presentarsi dinanzi alla procura di Caltanissetta per fare fronte alle gravi contestazioni dei magistrati nisseni, su tutte “l’aggravante di aver agito al fine di favorire l’associazione mafiosa denominata Cosa nostra con riferimento – come emerge dall’invito “a presentarsi davanti al pm quale persona sottoposta alle indagini’ – agli interessi della stessa nel settore dell’aggiudicazione degli appalti (operazione gestita unitamente al mondo imprenditoriale e a quello della politica)”.
In relazione al reato di calunnia, Natoli, mediante “brevi note di chiarimento”, datate 23 gennaio 2024, “inviate spontaneamente” alla procura di Caltanissetta a mezzo pec il 6 febbraio scorso, avrebbe affermato “falsamente” che fosse stato compiuto “il reato di falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici”); segnatamente, “sostenendo che la locuzione manoscritta ‘e la distruzione dei brogliacci’, vergata sul provvedimento di smagnetizzazione delle bobine delle intercettazioni telefoniche eseguite nel procedimento penale n. 3589/1991, recante la sua firma e depositato il 25 giugno 1992, era stata apposta dopo il deposito dell’atto presso la segreteria del Centro intercettazioni telefoniche”, incolpando “l’allora responsabile amministrativo di tale ufficio, che aveva ricevuto il provvedimento del delitto di falso materiale, pur sapendolo innocente”.
Con “la circostanza aggravante”, si legge ancora nell’invito a presentarsi notificato a Natoli, “di aver commesso il fatto per nascondere il reato di favoreggiamento alla mafia, “in quanto in concorso con l’allora procuratore Pietro Giammanco”, quale “istigatore”; con “l’allora capitano della Guardia di finanza Stefano Screpanti, quale coesecutore materiale”, “aiutava Antonino Buscemi, Francesco Bonura, Ernesto di Fresco, nonchè Raoul Gardini, Lorenzo Panzavolta, Giovanni Bini (gli ultimi tre al vertice del cosiddetto Gruppo Ferruzzi) ad eludere le investigazioni dell’autorità”.
In questo modo, secondo la procura nissena, “insieme al capitano Screpanti, svolgeva, in seno al procedimento penale n. 3589/1991 R.G.N.R.Mod.21 della procura di Palermo, una ‘indagine apparente’, richiedendo, tra l’altro, l’autorizzazione a disporre attività di intercettazione telefonica per un brevissimo lasso temporale (inferiore ai 40 giorni per la quasi totalità dei target) e solo per una parte delle utenze da sottoporre necessariamente a captazione, per assicurare un sufficiente livello di efficienza delle indagini”.
Natoli avrebbe disposto “d’intesa con l’ufficiale della Guardia di finanza, che non venissero trascritte conversazioni particolarmente rilevanti, da considerarsi vere e proprie autonome notizie di reato, dalle quali emergeva la ‘messa a disposizione’ di Di Fresco in favore di Bonura, nonchè una concreta ipotesi di ‘aggiustamento’, mediante interessamento di Di Fresco, del processo pendente innanzi alla Corte d’Assise di Appello di Palermo, sempre a carico di Bonura, nonchè di Stefano Fontana e Vincenzo Di Maio per il duplice omicidio Chiazzese-Dominici”.
E non avrebbe avviato “alcuna indagine nei confronti degli imprenditori Luciano Laghi e Claudio Scarafia, “sebbene i due fossero risultati a completa disposizione di Francesco Bonurace dei suoi familiari”. Avrebbe poi richiesto l’archiviazione del “procedimento penale n. 3589/ 1991 Mod .21” della procura di Palermo “senza curarsi di effettuare ulteriori approfondimenti e senza acquisire il materiale concernente le indagini effettuate dalla procura della Repubblica di Massa Carrara; infine, per occultare ogni traccia del rilevante esito delle intercettazioni telefoniche, ha disposto la smagnetizzazione delle bobine e la distruzione dei brogliacci.
Con l’aggravante di aver agito al fine di favorire l’associazione mafiosa denominata cosa nostra con riferimento agli interessi della stessa nel settore dell’aggiudicazione degli appalti (operazione gestita unitamente al mondo imprenditoriale e a quello della politica”).
Natoli, pm ‘duro e puro’ e il Rapporto mafia appalti
Una fama di duro e puro, pronto a mostrare la Costituzione della Repubblica in una manifestazione di protesta generale indetta nel 2010, quando Gioacchino Natoli era vicepresidente nazionale dell’Anm:all’inaugurazione dell’anno giudiziario, per rivendicare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura rispetto alle invasioni di campo della politica (presidente del Consiglio era Silvio Berlusconi, guardasigilli Angelino Alfano), i giudici si presentarono in toga e con la Costituzione in mano.
Presidente dell’associazione nazionale di cui Natoli era vice, all’epoca, era Luca Palamara, poi finito al centro di inchieste e oggi radiato dalla magistratura. Ora, d’improvviso, in bassa fortuna si ritrova lo stesso ex pubblico ministero del processo Andreotti, poi divenuto giudice e che ha concluso la carriera da presidente della Corte d’appello di Palermo, incarico che ha avuto fino al 2017, per chiudere del tutto con un anno di incarico al ministero della Giustizia, guidato da Andrea Orlando, come capo dell’Organizzazione giudiziaria.
Natoli – adesso indagato a Caltanissetta per calunnia e favoreggiamento, in riferimento al rapporto mafia e appalti – ha oggi 77 anni ma da giovane era stato, negli anni ’80, giudice istruttore del pool antimafia di cui facevano parte anche Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Erano gli anni di piombo siciliani, quelli in cui stavi da una parte o dall’altra: e da una parte, quella di magistrati, investigatori, politici scomodi, si moriva o comunque si rischiava.
Gioacchino Natoli si era sempre collocato su quelle posizioni intransigenti, restie ad accordi, interlocuzioni, colloqui, compiacenze con la parte opposta, quella delle collusioni e delle inconfessabili intese con Cosa nostra, fatta di borghesia e politica. Così, dopo le stragi del ’92, Natoli – nel frattempo passato in procura – si ritrovò in mezzo al guado. Non fu tra gli otto firmatari della lettera con cui, dopo via D’Amelio, un gruppo di pm presentò le proprie dimissioni, di fatto chiedendo al procuratore Pietro Giammanco di lasciare. E lui, il criticatissimo capo della Dda, ritenuto molto vicino all’esponente democristiano Mario D’Acquisto, della corrente andreottiana siciliana di Salvo Lima, lascerà effettivamente tra le polemiche.
Tra gli otto firmatari non c’era Natoli ma nemmeno Guido Lo Forte: eppure i due si ritroveranno, con Roberto Scarpinato (che invece la lettera la firmò) a far parte di un altro pool antimafia, quello della Procura, guidato, a partire dal 15 gennaio 1993, da Gian Carlo Caselli. Il nuovo procuratore arrivato da Torino e dall’esperienza maturata nella lotta al terrorismo (e poi al Csm) si fiderà ciecamente dei tre pm, ai quali affiderà la gestione della delicatissima inchiesta sull’omicidio proprio di Salvo Lima e poi l’istruttoria del processo dei processi, quello contro il senatore a vita Giulio Andreotti.
Caselli si insedia il 15 gennaio 1993, giorno della cattura di Totò Riina, successo enorme dello Stato e dei carabinieri del Ros, subito macchiato dalla mancata sorveglianza del covo del superboss, che poi verrà ripulito da emissari corleonesi, sicuri di non essere scoperti. La villa del complesso residenziale di via Bernini, ufficialmente, sarà “trovata” solo il 2 febbraio, diciotto giorni dopo. Nelle polemiche al veleno che ne seguiranno, più e più volte l’allora vicecomandante del Ros, Mario Mori, regista dell’operazione conclusa con la cattura di Riina, evocherà il rapporto Mafia e appalti come la vera causa dello scontro con i magistrati di Palermo.
Un rapporto, presentato la prima volta nel 1990, che conteneva la fotografia dei rapporti tra Cosa nostra, politici e imprenditori collusi: questo secondo il Ros, mentre la procura ha sempre sminuito il peso di quel contributo investigativo, ritenuto monco o privato a bella posta di varie parti. In oltre trent’anni di quell’informativa si è parlato tantissimo e proprio di recente è stata nuovamente indicata dall’avvocato Fabio Trizzino, legale della famiglia Borsellino nei processi sulla strage e sul depistaggio delle indagini, come il filone in cui Paolo Borsellino credeva di più per dare un volto agli assassini e ai mandanti esterni della strage Falcone.
Nel tempo gli ambienti della procura, di Mafia e appalti avevano detto l’opposto e cioè che serviva a poco, che era aria fritta e che da li’ non sono mai venuti fuori filoni importanti. Oggi torna ancora una volta di attualità con l’inchiesta della Procura di Massa Carrara, che nel 1991 era stata trasmessa proprio al pm Natoli.
E a raccontare questi fatti alla commissione nazionale Antimafia era stato l’avvocato Trizzino.
3.7.2024 MAFIA e APPALTI: ex pm Natoli indagato per favoreggiamento
L’ex pm del pool antimafia di Palermo Gioacchino Natoli è indagato dalla Procura di Caltanissetta per i reati di favoreggiamento alla mafia e calunnia e ha ricevuto un invito a comparire per essere interrogato
La vicenda riguarda un filone dell’inchiesta mafia-appalti, svolta nel capoluogo siciliano agli inizi degli anni ’90; secondo alcuni il vero movente della strage costata la vita al giudice Paolo Borsellino.
A Natoli i Pm contestano di aver insabbiato l’indagine avviata dalla procura di Massa Carrara e confluita nel procedimento mafia-appalti per favorire esponenti mafiosi come gli imprenditori Francesco Bonura e Antonino Buscemi.
Natoli avrebbe agito in concorso con l’ex procuratore di Palermo Pietro Giammanco, nel frattempo deceduto, e con l’allora capitano della Guardia di Finanza Stefano Screpanti. Nell’invito a comparire Giammanco viene definito dai pm nisseni l’”istigatore”.
Secondo l’accusa l’ex pm avrebbe aiutato i mafiosi Antonino Buscemi e Francesco Bonura, l’imprenditore e politico Ernesto Di Fresco e gli imprenditori Raoul Gardini, Lorenzo Panzavolta e Giovanni Bini (gli ultimi tre al vertice del Gruppo Ferruzzi) ad eludere le indagini. In particolare al magistrato viene contestato di aver svolto, nell’ambito del procedimento 3589/1991 aperto a Palermo dopo l’invio delle carte da Massa Carrara su presunte infiltrazioni mafiose nelle cave toscane, una “indagine apparente”, “richiedendo, tra l’altro, l’autorizzazione a disporre attività di intercettazione telefonica per un brevissimo lasso temporale (inferiore ai 40 giorni per la quasi totalità dei target) e solo per una parte delle utenze da sottoporre necessariamente a captazione, per assicurare un sufficiente livello di efficienza delle indagini” e di aver disposto, “d’intesa con l’ufficiale della Guardia di Finanza Screpanti che provvedeva in tal senso, che non venissero trascritte conversazioni particolarmente rilevanti, da considerarsi vere e proprie autonome notizie di reato, dalle quali emergeva la ‘messa a disposizione’ di Di Fresco in favore di Bonura, nonché una concreta ipotesi di ‘aggiustamento’, mediante interessamento del Di Fresco stesso, del processo pendente innanzi alla Corte d’Assise di Appello di Palermo, sempre a carico di Bonura per un duplice omicidio”. Natoli inoltre non avrebbe aperto alcuna indagine nei confronti dell’imprenditore Luciano Laghi e dell’imprenditore Claudio Scarafia, “sebbene i due fossero risultati a completa disposizione di Bonura e dei suoi familiari” e avrebbe chiesto l’archiviazione del procedimento “senza curarsi di effettuare ulteriori approfondimenti e senza acquisire il materiale concernente le indagini effettuate dalla Procura della Repubblica di Massa Carrara”.
Infine, per Caltanissetta, ” per occultare ogni traccia del rilevante esito delle intercettazioni telefoniche, avrebbe disposto la smagnetizzazione delle bobine e la distruzione dei brogliacci”.
I reati sarebbero stati commessi con l’aggravante di aver agito al fine di favorire l’associazione mafiosa ” con riferimento agli interessi della stessa nel settore dell’aggiudicazione degli appalti (operazione gestita unitamente al mondo imprenditoriale e a quello della politica)”.
Natoli, dopo aver appreso dell’inchiesta a suo carico ha dichiarato all‘Ansa: “Sono stato e sono un uomo delle istituzioni e ho piena fiducia nella giustizia. Darò senz’altro il mio contributo nell’accertamento della verità”.
Nota Dr. Lama a Procuratore Massa 4.04.1992
Nota Procura Massa Carrara 26 agosto 1991
23.1.2024 Audizione GIOACCHINO NATOLI Commissione Parlamentare Antimfia
Rinvenuti i nastri con le intercettazioni dei fratelli Buscemi e NATOLI chiede di essere audito..
- 10.12.2023 Si fa presto a gridare al depistaggio su mafia e appalti. Ascoltate Gioacchino Natoli
- 9.12.2023 Mafia appalti, il Pd: “Ascoltare subito l’ex pm Natoli in Antimafia dopo l’intervista al Fatto”
- 9.12.2023 INTERCETTAZIONI DISTRUTTE
Audio deposizioni ai processi
Audio interventi a dibattiti e convegni
Nuovo incarico per Gioacchino Natoli al ministro della Giustizia
Il magistrato, ex componente del pool antimafia, è attualmente presidente della corte d’appello di Palermo
Il presidente della corte d’appello di Palermo Gioacchino Natoli si appresta a lasciare il suo incarico, per assumerne un altro al ministero dello Giustizia. E’ stato lo stesso magistrato, già componente del pool antimafia e poi del Csm, ad affermarlo nel corso dell’insediamento del nuovo procuratore di Marsala Vincenzo Pantaleo: “Questo potrebbe essere il mio ultimo intervento pubblico e, verosimilmente, se le procedure avranno un certo sviluppo, dovrei lasciare la magistratura attiva andando a ricoprire delle funzioni presso il ministero della Giustizia”. Natoli dovrebbe andare a ricoprire l’incarico di capo dipartimento addetto alla riorganizzazione degli uffici giudiziari
15 Giugno 2016 La Repubblica
Natoli in aula: “Borsellino incontrò Mancino due settimane prima di essere ucciso”
Con l’allora ministro dell’Interno ebbe “una stretta di mano assolutamente informale”
IL PROCESSO Poco dopo le stragi del ’92, si respirava un’aria molto tesa alla Procura di Palermo”. Lo ha detto Gioacchino Natoli, all’epoca sostituto procuratore a Palermo, che deponendo a Caltanissetta nel processo “Borsellino quater” ha tra le altre cose confermato – come riporta l’Agi – che due settimane prima di essere ucciso nell’attentato di via D’Amelio, il giudice Borsellino presenziò all’insediamento di Nicola Mancino al Viminale e col neo ministro dell’Interno ebbe “una stretta di mano assolutamente informale”.
L’INCONTRO CON MANCINO – Questo breve incontro di Borsellino con Mancino è uno dei punti controversi del processo per la trattativa Stato-mafia, in corso a Palermo. “Gaspare Mutolo aveva manifestato la volontà di collaborare con la giustizia ma intendeva rendere dichiarazioni solo a Paolo Borsellino tuttavia l’allora procuratore Giammanco non voleva affidare la gestione del boss proprio a Borsellino. Avrebbero dovuto occuparsene Aliquò, Lo Forte e Pignatone”, ha riferito il magistrato e ha ricordato che “Mutolo nel dicembre del 91 aveva avuto già dei contatti con Giovanni Falcone. Il primo interrogatorio di Mutolo risale al luglio 92 e venne condotto da Borsellino e da Vittorio Aliquò”.
COLLABORAZIONE DI MUTOLO – Natoli ha anche confermato che il “2 luglio del 92, Borsellino fu costretto ad interrompere l’interrogatorio di Mutolo perché doveva recarsi a Roma per l’insediamento del ministro degli Interni, Nicola Mancino. Mentre era seduto in un salottino, apparvero Bruno Contrada e l’allora capo della Polizia, Vincenzo Parisi. Nell’allontanarsi Contrada gli disse che sapeva che lui si stava occupando di Mutolo e che avendolo ascoltato in passato, di qualsiasi cosa avesse bisogno, poteva rivolgersi a lui”. Un episodio che, ha detto Natoli, “Borsellino raccontò in maniera adirata” sia a lui stesso Natoli sia ad altri colleghi perché la collaborazione di Mutolo era appena iniziata e c’era ancora il massimo riserbo.
STRETTA DI MANO – “La stretta di mano poi, con il ministro fu assolutamente informale”, ha affermato Natoli. Contrada, ex numero tre del Sisde poi condannato per concorso in associazione mafiosa, secondo Natoli non godeva di una buona fama e Falcone aveva invitato gli altri magistrati ad essere prudenti nei loro contatti con lui. “Mutolo, in un interrogatorio – ha spiegato Natoli – a me e a Guido Lo Forte, fece i nomi di Bruno Contrada e Mimmo Signorino (magistrato di Palermo che si suicidò poco dopo quelle rivelazioni, ndr) ma in realtà li aveva già fatti alla presenza di Borsellino”. Il teste ha ricostruito anche che a proposito invece del rapporto su mafia e appalti, Borsellino, dopo la strage di Capaci, aveva fissato un appuntamento con alcuni ufficiali del Ros perché doveva ritirare il relativo dossier.
RAPPORTO – “Alla Procura di Palermo -ha dichiarato Natoli- ritengo fosse arrivata una copia del rapporto, epurato di centinaia di intercettazioni. A Catania arrivò invece una copia più ampia alla quale erano allegate delle intercettazioni che contenevano delle responsabilità di tipo politico che a Palermo non furono consegnate. A Borsellino quel rapporto interessava per capire quale potesse essere stata la genesi della strage di Capaci”.
Natoli: “Falcone e Borsellino hanno cambiato la lotta alla criminalità organizzata”
A 30 anni dalla strage di Capaci, il magistrato, membro del pool antimafia, ricorda i colleghi: “Avevano un forte senso dello Stato. Dopo le loro morti la battaglia contro Cosa Nostra è diventata quotidiana”
Era il 23 maggio 1992, quando nell’attentato mafioso di Capaci morirono Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre uomini della scorta. La dedizione al lavoro, i cambiamenti rivoluzionari nella lotta alla mafia, i risultati raggiunti con il maxi-processo. Sono i segni, gli insegnamenti, lasciati anche a 30 anni dalla loro scomparsa dai giudici Falcone e Borsellino, ucciso da Cosa Nostra poco dopo, sempre nel 1992 (il 19 luglio). Lo dice Gioacchino Natoli, uno dei membri del pool antimafia di Palermo in quella difficile stagione. Lo ha intervistato a Bologna Francesco Rossi. RAI NEWS
1992 – Audizione CSM – ALIQUÒ e NATOLI: Borsellino aveva il fascicolo Mutolo