Carrara, l’omicidio Borsellino e il “filone cave”: parla il finanziere che fece le indagini


La procura di Caltanissetta torna a fare luce sulla morte del magistrato ucciso nel 1992

 

CARRARA. La trasmissione Far West, condotta da Salvo Sottile su Rai tre, venerdì sera è tornata ad occuparsi dell’inchiesta sulle infiltrazioni della mafia corleonese alle cave di Carrara, condotta tra il 1990 e il 1992 dall’allora sostituto procuratore di Massa-Carrara Augusto Lama, in collaborazione con il maresciallo della Guardia di finanza Piero Franco Angeloni. A riaccendere i riflettori su questi fatti è stata l’inchiesta della Procura di Caltanissetta, attualmente in corso, guidata da Salvatore De Luca, che sta cercando di fare luce sull’insabbiamento del dossier Mafia-Appalti, a cui lavorava nel 1992 il giudice Paolo Borsellino, poco prima di essere ucciso nell’attentato di via D’Amelio.

Il fatto

In estate i magistrati hanno iscritto nel registro degli indagati per presunto favoreggiamento alla mafia Gioacchino Natoli, già presidente della Corte d’Appello di Palermo e Giuseppe Pignatone, ex procuratore di Roma e presidente del Tribunale della Città del Vaticano; indagato anche il generale della Guardia di finanza Stefano Screpanti. L’accusa rivolta a Natoli e Pignatone, che nel ’92 erano sostituti procuratori a Palermo, è quella di non aver tenuto nella dovuta considerazione l’indagine apuana, di Lama e Angeloni.

La terra apuana

Si torna a parlare di ciò che accadeva nella provincia apuana dal 1987 al 1992, anni in cui un colosso del marmo finì sotto l’influenza dei fratelli Antonino e Salvatore Buscemi, legati a Totò Riina, dopo che Raul Gardini comprò con la Calcestruzzi di Ravenna, impresa capofila del gruppo Ferruzzi, la Sam-Imeg, società che controllava il 65% delle cave e della lavorazione del marmo a Carrara. Già dall’estate ’90 il pm di Massa Lama iniziò a indagare, aprendo un procedimento contro Antonino Buscemi, che aveva preso il controllo delle cave e aveva mandato a gestirle suo cognato, il geometra Girolamo Cimino, in veste di amministratore delegato della Sam-Imeg.

Le mani sulla città

I siciliani, secondo la ricostruzione, avrebbero imposto condizioni vessatorie ai cavatori e ai rappresentanti delle ditte consorziate, in particolare per il pagamento della tassa del “settimo” (fino al 14% del fatturato) , balzello che i subaffittuari dovevano versare ai concessionari degli agri marmiferi. Tutto questo accadeva mentre la Sam pagava al Comune solo cinque milioni di lire annui per tutte le concessioni.

Dalla loro parte

I piccoli imprenditori trovarono due difensori nell’ex comandante partigiano Alessandro “Memo” Brucellaria, loro presidente onorario, e in Franco Ravani, titolare della ditta Euromarmi e segretario del Consorzio Cave, a cui erano associate aziende grandi e piccole, tra le quali le subaffittuarie della Sam. A denunciare alla procura di Massa la presenza dei corleonesi alle cave fu Ravani, scomparso nel 2023, consegnando una documentazione sulla controversia tra concessionari e subaffittuari.

Il racconto del finanziere

«Ravani – conferma l’ex maresciallo Angeloni, oggi in pensione – dimostrò un coraggio straordinario, fornendoci elementi importantissimi per l’avvio dell’indagine». Alessio Gozzani, però, piccolo imprenditore socio della Silver Marmi, ebbe un alterco con Cimino, chiamandolo “terrone” e fu ucciso nel 1991, dopo un agguato all’autogrill di Santo Stefano Magra.
Per l’omicidio fu condannato all’ergastolo il catanese Carmelo Musumeci, all’epoca “padrino” della Versilia, che ha trascorso 30 anni in carcere, diversi dei quali al 41 bis.
Lama proseguì le indagini fino al 15 febbraio 1992, quando dovette astenersi, a seguito di un’ispezione disposta dall’allora ministro della giustizia Claudio Martelli, socialista e di un procedimento disciplinare avviato su richiesta del giudice Francesco Castellano, all’epoca procuratore generale della Corte d’appello di Genova, sulla base di un esposto che censurava una sua intervista sui possibili coinvolgimenti del gruppo Ferruzzi con la mafia.
Il fascicolo apuano, contenente anche 27 bobine di intercettazioni effettuate in due anni di indagini, finì prima alla procura di Lucca, poi a Firenze ed infine al tribunale di Roma, dove nei giorni scorsi i nastri sono stati ritrovati dai finanzieri del Gico, il gruppo antimafia del nucleo di polizia economico finanziaria. All’appello, però, mancano ancora i brogliacci contenenti le loro trascrizioni. IL TIRRENO


8.11.2024 Omicidio di Paolo Borsellino: l’ultimo filone porta alle cave di Carrara e a una nota famiglia

 

La Procura di Caltanissetta apre nuova indagine sulla morte del magistrato. Al centro un dossier dei carabinieri partito da Carrara e distrutto a Palermo

CARRARA. A più di trent’anni di distanza dalla Strage di via D’Amelio, in cui morirono il magistrato dell’Antimafia Paolo Borsellino e cinque poliziotti della scorta, la Procura di Caltanissetta apre un nuovo filone di indagine: lo fa per trovare quella verità che in tre decenni non è venuta alla luce, sepolta, forse tanto bene, da non essere più “resuscitata”. E quel filone conduce – dritto – alle cave di marmo di Carrara. Lassù, “al monte”, ci si arriva passando sotto lo scandaglio i presunti legami tra i business più ricchi del Centro-nord d’Italia – il commercio dell’oro bianco delle Apuane – e la Sicilia di Cosa Nostra. A questo è dedicata la puntata di Far West – il programma di giornalismo d’inchiesta condotto da Salvo Sottile – che andrà in onda questa sera, su Rai tre, dalle 21,30.

Riavvolgiamo il nastro

Palermo, via D’Amelio, 19 luglio 1992. Con un attentato «di tipo libanese» per le auto imbottite di esplosivo – riporta alla mette quelle immagini sconvolgenti il giornalista Sottile nel trailer che lancia la puntata – Borsellino viene ucciso: stava andando in visita alla madre, l’Italia-intera lo ricorderà. Viene assassinato a 54 giorni di distanza da un altro eroe dell’antimafia, il collega e amico Giovanni Falcone, fatto saltare in aria, poco prima del casello autostradale di Capaci, con la moglie Francesca Morvillo e tre uomini della scorta.

La novità

Sia la Strage di via D’Amelio che quella di Capaci sono state attribuite a Cosa Nostra. Ma sull’omicidio Borsellino qualcosa non torna: non è mai tornato. Ebbene, la Procura di Caltanissetta ha aperto un nuovo filone di indagine, ritenendo che ciò che è emerso sulla morte del magistrato non è mai stato ripulito del tutto dagli effetti di depistaggi e false verità. Tale filone sarebbe un unicum perché uscirebbe «per la prima volta» dai confini della Sicilia e punterebbe «alle ricche imprese del nord Italia – dice Sottile – che facevano affari con la mafia».

La domanda

Che cosa, insomma, aveva scoperto Borsellino mentre indagava sulla morte dell’amico Falcone, perché la mano armata imprimesse un’accelerazione al tempismo dell’attentato di via D’Amelio? Quali fili aveva toccato? «Tutto ruota intorno al dossier Mafia-Appalti – racconta Salvo Sottile anticipando i contenuti della puntata di questa sera – ovvero un rapporto dei carabinieri del Ros (Raggruppamento operativo speciale) che stavano indagando a Massa-Carrara in quelle cave dove una famiglia blasonata, quella di Raul Gardini, un grande condottiero d’impresa, stava facendo affari» con uomini della Sicilia. «L’indagine su Mafia e Appalti parte con le migliori intenzioni: ci sono prove consistenti, persino intercettazioni, che provano legami tra imprese e Cosa Nostra», dice ancora Sottile. «Ma, improvvisamente, quando i colleghi di Massa-Carrara – sottolinea il conduttore di Far West – mandano tutto a Palermo, intercettazioni comprese, un magistrato ordina la distruzione delle bobine e l’indagine, incredibilmente, viene archiviata».

Borsellino, prima di morire, aveva riaperto quel file, voleva capire, voleva indagare. Cosa aveva scoperto? «È possibile – si chiede il giornalista – che l’attentato di via D’Amelio sia stato anticipato perché il magistrato stava per scoperchiare un pentolone nauseabondo, l’origine di un patto scellerato tra Cosa Nostre e le imprese del nord? È possibile che stava per alzare un velo tra le connivenze, i rapporti che qualche suo collega della Procura di Palermo aveva con i boss della mafia siciliana, rapporti tali da insabbiare un’indagine che avrebbe potuto anticipare quella che sarebbe stata la Tangentopoli di Milano?». «È possibile», conclude Sottile. Dov’è finita la sua Agenda Rossa mai ritrovata dopo la strage, in cui si dice che ci fossero scritti nomi eccellenti? E, soprattutto, consentirà questa indagine della Procura di Caltanissetta, che porta dritta alle cave di Carrara, di scrivere quelle pagine di verità che in più di trent’anni non sono mai state scritte?   IL TIRRENO

 

MAFIA e APPALTI dal 1992 ad oggi