Di Matteo sulla strage di Via d’Amelio: «Mai entrato nelle indagini». Nino Di Matteo e la voglia matta di certa politica e certi analisti di guardare al dito (Scarantino) anziché alla luna (depistaggi e trattative)

 

Il sostituto procuratore nazionale antimafia Nino Di Matteo siede alla destra della presidentessa della Commissione parlamentare antimafia di Rosy Bindi. L’audizione è iniziata alle 14.30 in punto ed è la stessa Bindi ad affermare che l’incontro è successivo a quello in cui, a Palermo, Fiammetta Borsellino, aveva affermato che l’indagine sulla morte del padre Paolo era stata all’epoca affidata a magistrati inesperti della procura di Caltanissetta, tra i quali un giovanissimo Di Matteo.

E non è solo alla figlia del giudice che si rivolge Di Matteo, quando, nel ricostruire la storia del suo coinvolgimento nelle indagini successive alla strage di Via d’Amelio, smonta l’assunto secondo il quale sarebbe stato coinvolto a pieno titolo in quelle indagini.

Anzi. Di Matteo dirà subito, con riferimento a quello che poi si rivelerà essere un falso pentito, vale a dire Vincenzo Scarantino, che «quelle indagini mossero da dichiarazioni e indagini precedenti e dunque si tratta di capire chi condusse quelle indagini e quali siano stati eventuali depistaggi volontari. Ed è qui che crolla l’assunto per cui a tutti i costi mi si vuole coinvolgere». Sottinteso: negli errori di valutazione di un soggetto che menerà la Giustizia a largo dalla verità, nei quali lui non poteva essere coinvolto. E spiega perché.

«Scarantino è un soggetto che viene arrestato il 26 settembre 1992 – spiega Di Matteo – e le indagine vennero dunque condotte dal 19 luglio 1992 fino al 26 settembre. All’epoca ero un tirocinante e mi sono occupato di procedimenti ordinari fino al 9 dicembre 1993. Sono entrato nella Dda nissena il 9 dicembre con il compito esclusivo di occuparmi di processi della mafia e della stidda di gela e ho svolto al compito fino al novembre ’94. Nel pool che si occupava delle stragi sono entrato dunque nel novembre 1994, due anni e 4 mesi dopo la strage, 2 anni e 2 mesi dopo l’arresto di Scarantino. Non mi sono mai occupato ad alcun titolo del primo processo a Scarantino, nel secondo solo come pubblica accusa nel procedimento dibattimentale ed entrai solo dal processo Borsellino-ter».

Di Matteo, che ha affermato di voler dare un contributo di verità e di volersi sottoporre ad ogni tipo di domanda, ha anche affermato che «le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Scarantino e Spatuzza per alcuni versi sono coincidenti e questo lascia ipotizzare che alcune informazioni vere erano arrivate ed erano state messe in bocca a Scarantino». sole 24 Ore 13.9.2017 ROBERTO GAULLO

Nino Di Matteo e la voglia matta di certa politica e certi analisti di guardare al dito (Scarantino) anziché alla luna (depistaggi e trattative)

Dell’audizione del sostituto procuratore nazionale antimafia Nino Di Matteo il 13 settembre davanti alla Commissione bicamerale presieduta da Rosy Bindi, ho scritto un pezzo praticamente in diretta il giorno stesso sul sito del Sole-24 Ore (http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2017-09-13/di-matteo-strage-via-d-amelio-mai-entrato-indagini-155547.shtml?uuid=AEJNKNSC&fromSearch).

In sintesi Di Matteo dice, con riferimento a quello che poi si rivelerà essere un falso pentito, vale a dire Vincenzo Scarantino, che «quelle indagini mossero da dichiarazioni e indagini precedenti e dunque si tratta di capire chi condusse quelle indagini e quali siano stati eventuali depistaggi volontari. Ed è qui che crolla l’assunto per cui a tutti i costi mi si vuole coinvolgere». Sottinteso: negli errori di valutazione di un soggetto che menerà la Giustizia a largo dalla verità, lui non poteva, non può e non potrà essere coinvolto.

Pur senza citarla, il riferimento era anche alle parole di Fiammetta Borsellino, figlia del giudice ucciso il 19 luglio 1992 con la scorta a Palermo, che aveva parlato di indagini sulla strage condotte all’epoca da un pool di persone inesperte (tra le quali Di Matteo stesso) e di una procura all’epoca massonica.

Il riferimento, però, era anche e soprattutto a quella marea montante di (dis)informatori (nei media e nella politica) che con cagnesco accanimento ha bersagliato e continua a bersagliare proprio Di Matteo sul presunto suo coinvolgimento nell’abbaglio che portò, immediatamente dopo la strage, investigatori e inquirenti a seguire Scarantino.

Orbene – prima di arrivare ad una prima conclusione di ragionamento in questo primo servizio che dedicherò alla sua audizione del 13 settembre, ora che l’intera trascrizione è stata messa sul sito della Commissione bicamerale – è bene apprendere dallo stesso Di Matteo perché non poteva, non può e non potrà essere coinvolto in un quell’enorme guazzabuglio investigativo che seguì alla strage di Via d’Amelio.

Tra i processi per la strage Di Matteo ha infatti seguito un solo processo, dall’inizio delle indagini alla conclusione della sentenza di primo grado: il cosiddetto processo via D’Amelio-ter. «È stato l’unico che ho seguito dal momento in cui è stato iscritto il fascicolo nel registro delle notizie di reato nei confronti di alcuni soggetti al momento in cui, il 9 dicembre 1999 – ha spiegato scandendo bene le parole accanto a Bindi – è stata emessa la sentenza di primo grado. In quel processo sono state irrogate venti condanne per concorso in strage. Quel processo, l’unico che io ho seguito dall’inizio dell’indagine, prescinde completamente e assolutamente dalle dichiarazioni di Scarantino Vincenzo. In quel processo, Scarantino Vincenzo non è stato chiamato neppure a testimoniare. Nelle sentenze del processo, negli atti di quel processo, non c’è alcun riferimento, non troverete alcuna dichiarazione di un soggetto che noi non abbiamo chiamato neppure a testimoniare».

Ma Di Matteo andrà oltre.

Le trascrivo testualmente le sue dichiarazioni davanti ai membri della Commissione parlamentare antimafia perché sui media (carta stampata web, radio, tv) non ne troverete assolutamente traccia.

«Affermare che tre processi sono stati fondati sulle dichiarazioni di Scarantino è semplicemente un falso – dirà d’un fiato il sostituto procuratore nazionale antimafia – è assolutamente infondato. Vi ho già anticipato alcuni dati in questo senso. Vi ho ricordato il dato del via D’Amelio-ter, processo nel quale Scarantino non è stato nemmeno citato nella lista dei testimoni di accusa. Ma, andando a ritroso, affermare che anche il via D’Amelio-bis si sia fondato esclusivamente sulle dichiarazioni di Scarantino è un altro dato falso, tant’è vero che molte condanne inflitte da quella corte nel via D’Amelio-bis – Salvatore Riina, Pietro Aglieri, Salvatore Biondino, Carlo Greco, Francesco Tagliavia, Giuseppe Graviano – sono state confermate e mai successivamente messe in discussione, nonostante le dichiarazioni di Spatuzza.
Ecco perché, anche per il via D’Amelio-bis, affermare che quel processo abbia dato credito incondizionato alle dichiarazioni di Scarantino è semplicemente falso. Significa non conoscere gli atti; significa adeguarsi a una prospettazione che, molto abilmente, qualcuno sta instillando anche nella mente di persone in buonafede; significa non avere letto la requisitoria. Fingere di non ricordare che lo stesso pubblico ministero, già nel via D’Amelio-bis, aveva sostenuto che le dichiarazioni di Scarantino erano state inquinate dopo i primi tre interrogatori e potevano essere utilizzate – così si esprime il pubblico ministero in quella requisitoria – solo se confortate in maniera particolarmente significativa da altri e forti elementi di prova, da altre dichiarazioni di altri pentiti, da altre testimonianze, da altre intercettazioni telefoniche… Per questo motivo lo stesso pubblico ministero, in assenza di significativi elementi di prova diversi dalle propalazioni di Scarantino, già nel via D’Amelio-bis chiese e ottenne l’assoluzione per il delitto di concorso in strage di Calascibetta Giuseppe, Murana Gaetano e Gambino Antonino, soggetti che poi vennero condannati perché altre fonti di prova vennero in appello – in processi che quindi non seguivo io, non seguiva la procura di Caltanissetta, ma casomai l’organo inquirente della procura generale di Caltanissetta – e le assoluzioni, anche queste sollecitate dal Pm, si trasformarono poi in condanne. Ecco il perché oggi della revisione».

E vengo ora ad una prima conclusione prima di continuare, nei prossimi giorni, con altri approfondimenti.

Inutile che neghi – sapete da una vita come la penso – che sono convinto che le stragi degli anni ‘92 e ‘93 siano il frutto di un braccio armato (Cosa nostra) e di menti dello Stato deviato raffinatissime e democraticamente perverse. Per quel che mi riguarda ignorare una verità banale come questa (che deve essere però, sul piano giudiziario, provata) è devastante. Come si può credere che stragi tentate o compiute di quel tipo possano essere state fatte al riparo da una visione strategica che non poteva certo essere delegata ai soli capi di Cosa nostra?

Mi riaggancio dunque  alla «prospettazione che, molto abilmente, qualcuno sta instillando anche nella mente di persone in buonafede» alla quale Di Matteo fa riferimento.

Come lui sono convintissimo che una ampia, crescente e montante marea di disinformazione serva a puntare lo sguardo sul dito e distoglierlo dalla luna. Attaccare Di Matteo è vitale per affossare le indagini sulla ricerca non solo della verità sui mandati delle stragi ma, di conseguenza, sulla trattativa tra Stato e mafia che, ne è convinto anche il capo della Dna Franco Roberti, successivamente ci fu.

Concludo chiedendovi (retoricamente): avete forse letto sui media o ascoltato in questi giorni dalla politica articoli, dichiarazioni, analisi o commenti sulla puntuale ricostruzione di Di Matteo? Zero. Tranne il solito media di cui non cito neppure il nome perché resto stordito non dalla legittima e contraria opinione (ci mancherebbe, siamo ancora in democrazia) ma per l’inconsistenza assoluta delle ragioni. Ovviamente secondo il pensiero di questo umile e umido blog. SOLE 24 Ore 26.9.2017