SALVATORE CANDURA, la seconda vita criminale del falso pentito di via D’Amelio

Palermo, l’uomo a capo di una banda che truffava le assicurazioni. Pagate persone che si facevano ferire e denunciavano finti incidenti

 

Il ginocchio destro era già malandato: «Ho questa ragazza di 41 anni che ha un problema, il ginocchio è pieno di liquido e le ho detto, “senti, prima che ti fanno la rottura nell’altro, meglio che ti fai rompere questo…”». La signora incinta aveva un taglio al volto troppo piccolo per ottenere un congruo risarcimento: glielo allargarono con le mani. La ragazzina di 12 anni con un taglio nel braccio avrebbe reso bene nella liquidazione del risarcimento. Si fermarono appena in tempo.
L’indagine della Direzione investigativa antimafia di Palermo scoperchia un mondo oltre i confini della realtà, nove persone arrestate per truffe alle assicurazioni con metodi che ricordano gli episodi di autolesionismo del tempo di guerra: ma lì si trattava di cercare di salvare la pelle, tra Palermo e Napoli agiva invece una banda che reclutava disperati pronti a inventare incidenti stradali ma a farsi spezzare sul serio una gamba o a farsi sfregiare per un tozzo di pane, fra 300 e 500 euro e un danno fisico da portarsi dietro tutta la vita.

IL DEPISTAGGIO

Regista di tutto era un ex pentito, fasullo quanto i “sinistri” che simulava con i compari siciliani e napoletani: Salvatore Candura tra i primi a testimoniare, con Vincenzo Scarantino, nel processo per la strage di via D’Amelio. Partì da entrambi un pezzo del maxidepistaggio che segnò la fase iniziale dell’inchiesta sull’eccidio in cui caddero il giudice Paolo Borsellino e 5 agenti di scorta. Sette persone finirono all’ergastolo e sono state scarcerate dopo 18 anni di carcere ingiusto, grazie al contributo del pentito Gaspare Spatuzza. Condannato a 9 anni in primo e secondo grado, per calunnia pluriaggravata, a fine novembre Candura è stato assolto in Cassazione, perché le accuse che aveva mosso a un imputato minore, Salvatore Tomaselli, in fondo erano state troppo vaghe e generiche. Erano cioè talmente inconsistenti, ha stabilito la Suprema Corte, che Tomaselli non fu condannato per questo motivo.
Mentre affrontava a Caltanissetta l’inchiesta-bis sul depistaggio, Candura aveva denunciato assai presunte minacce. Da qui la decisione dei pm Annamaria Picozzi e dei suoi colleghi Claudia Ferrari e Gaspare Spedale, coordinati dal procuratore di Palermo Franco Lo Voi e dall’aggiunto Salvatore De Luca, di intercettare il falso pentito. Ed era venuto fuori un mondo fatto di truffe e segnato da maxirisarcimenti, con cifre fra 13 mila e 25 mila euro: per evitare i possibili contraccolpi delle indagini sulle ferite finte, che a Palermo hanno portato a centinaia di arresti, la banda Candura aveva inventato la truffa con gli incidenti falsi e le ferite vere.
Anna Campagna è tra gli arrestati: si presta a uno degli imbrogli più dolorosi e assurdi. È incinta di 5 mesi ma a gennaio 2015 accetta di simulare un incidente fra un motorino e una motoape. In realtà la sfregia Candura con una bottiglia rotta, ma i punti che le danno al volto sono pochi. Due giorni dopo, al telefono col fidanzato (pagato con 500 euro), la donna dice che i punti sono diventati 10: Candura e le ha allargato la ferita: «Hanno detto che adesso la cicatrice mi rimane per tutta la vita… Salvatore mi ha fatto in faccia la Z… Zorro, con le mani, con le mani! A me fa schifo a guardare questa faccia. Ha detto: “Tra un anno ti fai una chirurgia plastica”». Una donna di Napoli era pronta a mettere a disposizione la figlia di 12 anni: «Per un taglio al braccio le danno 4mila euro». La ragazzina fu poi risparmiata. Mentre la donna che aveva il liquido al ginocchio destro se ne pentì, evitò la frattura all’arto inferiore ma dovette accettare una ferita alla mano: «Se lo deve far fare», disse il complice napoletano (latitante) di Candura. E così fu. 23 marzo 2016 LA STAMPA


Menzogne e falsi pentiti, ecco Salvatore Candura e Vincenzo Scarantino

Si riporta qui di seguito (per maggiore comodità di lettura e consultazione) uno stralcio della deposizione dell’Ispettore Claudio Castagna, che assisteva a detti sopralluoghi (videoregistrati) con Gaspare Spatuzza e con Pietrina Valenti:

  • P.M. Dott. LUCIANI – Senta, lei ha parlato, invece, di sopralluoghi esperiti con l’Autorità Giudiziaria assieme a Gaspare Spatuzza.
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Sì.
  • P.M. Dott. LUCIANI – Lei ha presenziato a questi sopralluoghi?
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Sì.
  • P.M. Dott. LUCIANI – Sa le modalità con le quali sono stati condotti questi sopralluoghi? Cioè da un punto di vista tecnico intendo.
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Sì, tra l’altro mi sono occupato quasi… quasi totalmente, in una sola occasione credo si sia occupato un collega di tutte le videoriprese, di tutti i sopralluoghi che sono stati fatti con…
  • P.M. Dott. LUCIANI – Quindi i sopralluoghi sono stati…
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Tutti videofilmati.

[…]

  • P.M. Dott. LUCIANI – Lei ha detto di aver visto anche le immagini del sopralluogo di Candura Salvatore.
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Di Candura, sì. Sì, ne ho fatto anche annotazione, tra l’altro, su questo per…
  • P.M. Dott. LUCIANI – Ha fatto anche annotazione per descrivere.
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Sì, sì.
  • P.M. Dott. LUCIANI – Ecco, sa che luogo ha indicato Candura Salvatore al momento del sopralluogo?
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Allora, lui, invece, sosteneva che… di essere, quindi, l’autore del furto della 126 e che l’autovettura, nel momento in cui l’aveva prelevata, si trovava posteggiata proprio davanti l’ingresso dello stabile, quindi nella parte terminale della L.
  • P.M. Dott. LUCIANI – Davanti il portone, diciamo.
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Allora, immaginando questa L immaginaria, Spatuzza e la signora Valenti la indicavano proprio nel primo parcheggio principale sul lato dello stabile, mentre Candura diceva che la macchina si trovava al termine della L, del… della L.
  • P.M. Dott. LUCIANI – Nel vialetto che conduce al portone di accesso.
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Proprio davanti al portone di accesso.
  • P.M. Dott. LUCIANI – Proprio davanti al portone.
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Dove c’erano questi gradini, questi gradini che conducevano verso il piazzale.
  • P.M. Dott. LUCIANI – Senta, per poter fare le attività che vi sono state delegate dalla Procura della Repubblica, avete avuto modo di visionare anche le attività che erano state fatte illo tempore?
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Sì, abbiamo, praticamente, acquisito buona parte del carteggio degli accertamenti che erano stati fatti all’epoca.
  • P.M. Dott. LUCIANI – Per quello che ha potuto lei verificare dalla lettura di questi atti, chiaramente per poter assolvere alle deleghe della Procura, questo tipo di accertamento in via Sirillo di individuazione dei luoghi era mai stato fatto?
  • TESTE C.G. CASTAGNA – No, non…
  • P.M. Dott. LUCIANI – Da parte del Candura.
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Non risultano atti.
  • P.M. Dott. LUCIANI – O da parte della Valenti.
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Non risultano atti in cui… cioè in cui sarebbero stati fatti questi sopralluoghi.

Perplessità

Orbene, come emerge anche dalla testimonianza appena riportata, una tale attività istruttoria di sopralluogo non veniva mai espletata in passato, allorquando si raccoglievano le dichiarazioni di Candura e Scarantino, per la strage di via D’Amelio.
Durante le pregresse investigazioni, condotte dal dott. Arnaldo La Barbera e dai suoi uomini, nonostante le naturali perplessità che potevano insorgere, in relazione alla personalità di entrambi i ‘collaboratori’ ed anche al contenuto delle loro dichiarazioni (si pensi, solo per fare un esempio, al racconto di Scarantino sulla cerimonia della sua affiliazione a Cosa nostra), non veniva mai fatto un sopralluogo con il ladro dell’automobile, né con la derubata.
Anche per questo motivo, oltre che per il sopravvenuto mutamento dei luoghi, l’atto istruttorio si rivela di fondamentale importanza, andando a riscontrare, in maniera molto significativa e puntuale, le dichiarazioni di Spatuzza (e, per converso, ad escludere la credibilità di quelle rese da Salvatore Candura e da Vincenzo Scarantino, nei precedenti processi). Inoltre, l’individuazione del luogo esatto di sottrazione della Fiat 126, da parte di Gaspare Spatuzza, si rivela ancor più attendibile, in considerazione del fatto che il collaboratore indicava un punto dove, all’epoca del sopralluogo, era impossibile posteggiare un’automobile, poiché vi erano delle fioriere, installate in epoca successiva, come spiegato dalla stessa Pietrina Valenti. Quest’ultima (nella consueta maniera confusionaria), spiegava che, all’epoca dei fatti, nel posto dove venivano poi collocate le fioriere condominiali, si poteva parcheggiare (“io la posteggiavo la macchina dov’è che ora ci sono messe le piante”).
[…] Sempre in occasione della sua testimonianza, Pietrina Valenti precisava che, per come aveva parcheggiato la sua Fiat 126, quella sera, non aveva modo di controllarla a vista, dalle finestre del suo appartamento. […] Le dichiarazioni della Valenti trovavano anche conferma nell’attività di riscontro del Centro Operativo DIA di Caltanissetta, da cui risultava che, effettivamente, la zona dove venivano installate le menzionate fioriere condominiali (dove la teste, come detto, posteggiava la Fiat 126, prima che le venisse rubata), non era visibile dalle finestre dell’appartamento della proprietaria. Al contrario (come anticipato), Salvatore Candura, nel sopralluogo del 24 novembre 2008 (anch’esso agli atti), confermando quanto già dichiarato nei precedenti procedimenti, indicava, come luogo dove rubava la Fiat 126 di Pietrina Valenti, un posto diverso, nelle immediate vicinanze del portone d’ingresso dello stabile, peraltro in una posizione parzialmente visibile dalla camera da letto della Valenti. Venivano, poi, acquisite al fascicolo per il dibattimento, sul consenso delle parti, anche tutte le dichiarazioni rese dai condomini di via Sirillo, su tre temi di prova:

  • se i luoghi subivano o meno delle modifiche, dal luglio 1992, come affermato da Pietrina Valenti e negato da Salvatore Candura (fatta eccezione, secondo quanto dichiarato da quest’ultimo, per due archi in ferro, messi per ostruire la marcia di possibili autovetture, nel vicolo cieco d’accesso al portone condominiale);
  • se, all’epoca dei fatti, era possibile oppure no posteggiare automobili, per un tempo apprezzabile, nel predetto vicolo cieco, come escluso dalla Valenti ed affermato da Candura, che sosteneva, appunto, d’aver rubato la Fiat 126 proprio da siffatta posizione; se qualche condomino notava il furto della Fiat 126 oppure la presenza di due persone nei pressi della medesima automobile, la sera in cui la stessa veniva asportata (attese le menzionate dichiarazioni di Gaspare Spatuzza, secondo cui, mentre perpetrava il furto con Tutino, una coppia con due bambini transitava a piedi).

Le circostanze complessivamente desumibili dalle dichiarazioni acquisite agli atti, possono riassumersi (in maniera estremamente sintetica, considerata anche la sopravvenuta confessione, da parte di Salvatore Candura, della falsità delle proprie precedenti dichiarazioni, sul furto della Fiat 126, sotto casa di Pietrina Valenti), come segue. Effettivamente, alla fine del vicolo cieco che conduce al portone dello stabile di via Bartolomeo Sirillo n. 5, successivamente al luglio del 1992, venivano realizzate, da uno dei condomini (Passantino Vincenzo), delle opere (abusive), consistenti nella realizzazione di alcuni gradini, di fronte all’entrata per l’edificio. Detta circostanza, oltre che dal diretto interessato (che operava, come accennato, senza alcun titolo edilizio, per cui non esistono atti pubblici, per una precisa datazione delle opere), veniva confermata anche dagli altri condomini (tutti collocavano tali opere, all’incirca, negli anni 2000-2005). Inoltre, pure i paletti per impedire l’accesso al cortile prospiciente al portone d’ingresso, venivano collocati in epoca più recente, rispetto al luglio 1992 (verosimilmente, dopo l’anno 2003). Lo stesso vale per le fioriere poste nel cortile/parcheggio dello stabile, a ridosso dell’edificio condominiale, collocate nella stessa epoca dei paletti.

Anche Candura ammette di aver mentito

Quanto alla possibilità di posteggiare, all’epoca dei fatti, nel vicolo cieco che conduce al portone d’ingresso condominiale, le dichiarazioni dei condomini non erano del tutto univoche: molti evidenziavano che, prima dell’installazione dei paletti, le automobili venivano parcheggiate fin davanti al portone dello stabile, ma solo per soste brevi (come per scaricare merci o per la pausa pranzo); tuttavia, la collocazione degli ostacoli si rendeva necessaria proprio per evitare che parcheggiassero lì autovetture che non consentivano l’accesso allo stabile, qualora ve ne fosse stato bisogno, per i mezzi di soccorso; con particolare riferimento alla signora Pietrina Valenti, alcuni condomini dichiaravano che la stessa era solita parcheggiare dal lato delle fioriere; altri ricordavano, genericamente, che la predetta parcheggiava dove trovava posto. Sul punto, Roberto Valenti (confermando, sia pure con qualche titubanza, le indicazioni già fornite in fase d’indagine, anche con la redazione di uno schizzo planimetrico) dichiarava che sua zia Pietrina, abitualmente, posteggiava la Fiat 126 sul lato lungo del cortile, limitrofo all’edificio condominiale, in posizione dove la stessa ne poteva controllare visivamente la presenza, affacciandosi dalle finestre dell’abitazione. Analoghe indicazioni dava Luciano Valenti, che spiegava come la sorella Pietrina era solita posteggiare, sul lato lungo dello stabile di via Sirillo (confermando, anche in tal caso, le indicazioni offerte in uno schizzo planimetrico, redatto di suo pugno, acquisito al fascicolo per il dibattimento); inoltre, quest’ultimo teste chiariva anche quanto dichiarato nel dibattimento del primo processo sulla strage di via D’Amelio: allorquando rispondeva che la Fiat 126 della sorella, prima di esser rubata, veniva posteggiata “sotto la scala” (proprio come sostenuto, all’epoca, da Salvatore Candura), non intendeva indicare (in senso letterale) proprio l’ingresso dello stabile.
Peraltro, anche Salvatore Candura, allorché (nell’interrogatorio reso il 10.3.2009, acquisito al fascicolo per il dibattimento, col consenso delle parti e riportato in nota) decideva di ammettere (innanzi all’evidenza) la falsità delle sue precedenti dichiarazioni in merito al furto della Fiat 126, dichiarava (fornendo una versione, comunque, da prendere con le dovute cautele) che l’automobile della Valenti era posteggiata dalla parte delle fioriere (anch’egli redigendo uno schizzo planimetrico, allegato al verbale), riferendo che la vedeva parcheggiata lì, nella stessa sera in cui veniva, poi, asportata (poiché, a suo dire, quella sera, si recava effettivamente a casa di Pietrina, per farle visita) e che, durante il sopralluogo indicava agli inquirenti, volutamente, un posto sbagliato per lanciare loro un segnale sulla falsità delle proprie dichiarazioni (delle quali avrebbe sempre avvertito il peso). Anche in dibattimento, Candura confermava tali indicazioni.
[…] Infine, si deve dare atto (più che altro per completezza d’esposizione) che anche Vincenzo Scarantino e Salvatore Candura, dopo aver confessato -entrambi- la falsità delle loro precedenti dichiarazioni su questi fatti, tornavano sui loro passi anche sul punto specifico, spiegando che la Fiat 126 di Pietrina Valenti non si poteva affatto rubare con lo “spadino”. Vincenzo Scarantino, nel corso di un interrogatorio (acquisito al fascicolo per il dibattimento), ammetteva di aver adeguato le sue dichiarazioni alla versione di Candura circa l’utilizzo dello “spadino” per rubare la Fiat 126 della Valenti, spiegando che solo i modelli più “antichi” di detta automobile potevano essere rubati con tale arnese, mentre quelle “di ‘a secunna serie in poi con uno spadino non si apre”, confermando così la versione di Agostino Trombetta e quella di Gaspare Spatuzza.

Anche Salvatore Candura ammetteva che quel modello di Fiat 126 in uso a Pietrina Valenti si poteva mettere in moto solo rompendo il bloccasterzo e collegando i fili d’accensione, spiegando addirittura (ma la circostanza deve esser valutata con il beneficio dell’inventario) che, al momento della sua falsa collaborazione, dichiarava volutamente che lui utilizzava un “chiavino”, anche se ciò era un “controsenso” (così come, a suo dire, lo era pure la circostanza di avere utilizzato il medesimo attrezzo anche per aprire la portiera, poiché quella macchina si poteva aprire pure con la “chiave Simmenthal”), al fine di lanciare dei segnali agli inquirenti […].


Da ex pentito di mafia a truffatore | La parabola di Salvatore Candura

 

PALERMO – Si è rimesso di nuovo nei guai da solo. Salvatore Candura, 55 anni, credeva di potersi fare beffa di nuovo dello Stato che lo ha smascherato per la seconda volta.

Era già accaduto quando si inventò di avere rubato la Fiat 126, poi consegnata a Vincenzo Scarantino e imbottita di tritolo per ammazzare il giudice Paolo Borsellino e gli agenti di scorta in via D’Amelio. Due decenni dopo un altro collaboratore di giustizia, Gaspare Spatuzza, raccontò un’altra verità passata al vaglio dei giudici. Scarantino e Candura si erano inventati tutto e furono così cacciati dal programma di protezione. Rientrato a Palermo, senza più la protezione i soldi dello Stato, Candura si è messo alla testa di una banda di truffatori.

Seguiva tutti i passaggi – dalle ferite inferte ai complici – alla riscossione degli indennizzi, passando per le viste mediche negli ospedali. Solo che, nel frattempo, ha commesso un nuovo errore. Aveva denunciato all’autorità giudiziaria di essere stato vittima di intimidazioni nella speranza, forse, di tornare a essere un protetto di Stato. Gli è andata malissimo perché è stato pedinato e intercettato dagli agenti della Direzione investigativa antimafia che non hanno trovato riscontro alcuno alla denuncia dell’ex pentito. Il pentito lo hanno intercettato mentre diceva ai suoi complici di “…di prendere delle bottiglie…” per sfregiare al volto una serie di donne e incassare l’indennizzo.

Gli investigatori scrivono che “una sorta di firma d’autore del duo Salvatore Candura-Maurizio Furitano è la realizzazione di profondi tagli al viso delle persone coinvolte, quasi sempre giovani donne, che richiedono l’apposizione di numerosi punti di sutura e che vengono successivamente considerati sfregi permanenti”. Ed ancora: “Si sono dimostrati persone estremamente pericolose e senza scrupoli, non hanno dimostrato alcuna pietà nei confronti dei soggetti cui procurano profondi tagli e fratture”. Ce n’era abbastanza per chiedere che venissero fermati al più presto, prima che ci scappasse il morto.

 

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