24 Luglio 1992 – FAMIGLIA BORSELLINO: no ai funerali di Stato

 

Il 24 luglio 1992, nella chiesa di Santa Maria Luisa di Marillac, si svolgono i funerali in forma privata di Paolo Borsellino. I familiari rifiutano il rito di Stato, alla cerimonia funebre non è gradita la presenza dei politici e la signora Agnese, vedova del magistrato, accusa l’Esecutivo di non aver saputo proteggere il marito. 
L’orazione funebre la pronuncia Antonino Caponnetto, il vecchio giudice a capo dell’ufficio di Falcone e Borsellino:
Nella giornata precedente, durante le esequie dei cinque agenti di scorta nella Cattedrale di Palermo, la polizia è costretta a intervenire all’arrivo dei rappresentanti dello Stato  (compreso il neo Presidente della Repubblica Italiana Oscar Luigi Scalfaro). La folla è inferocita e inizia a gridare “Fuori la mafia dallo stato”.


Registrazione audio della manifestazione “I funerali del Giudice Paolo Borsellino”, registrato a Palermo venerdì 24 luglio 1992. Sono intervenuti: Dottor Antonino Caponnetto, Cardinale Salvatore Pappalardo.


 


BORSELLINO, FUNERALI SENZA LACRIME DI STATO  

 

Hanno riflettuto a lungo, chiusi in quella casa inutilmente blindata, in via Cilea, le persiane chiuse, folla sul marciapiede. Consegnare o no la bara di Paolo Borsellino, al solito, angoscioso, rito di Stato, all’ omelia di Pappalardo, agli abiti blu della prima fila, alla rabbia dei palermitani impotenti sul sagrato? No, basta, basta davvero. Agnese Borsellino, i suoi figli, Lucia e Manfredi, 22 e 20 anni, la sorella del giudice, Rita, la vecchia madre, Maria, hanno scelto di rinunciare alla rappresentazione ufficiale del dolore, hanno deciso di difendere se stessi e il loro caro dalla fastosa scenografia del potere, dalla formalità, forse anche dall’ ipocrisia di alcuni.
Paolo Borsellino avrà i suoi funerali, strettamente privati, nella chiesa di Santa Maria di Marillac, là dove era solito sentir messa quando poteva, nelle domeniche di festa. Una decisione travagliata, difficile.
Il capo della polizia Parisi ha sperato fino all’ ultimo in un ripensamento, assicurando che no, “non sarebbe stata una parata”. Ma i Borsellino non si sono lasciati convincere.
A tarda sera, mentre la salma del magistrato prendeva la strada, purtroppo già vista, del Palazzo di Giustizia, per il rito “comune” della veglia funebre con gli altri cinque feretri, la famiglia diffondeva una nota, fissava la sua volontà nero su bianco: “E’ nostro desiderio celebrare i funerali alla presenza dell’ intero nucleo familiare… siamo profondamente vicini, nell’ immenso dolore comune, ai familiari delle altre vittime della strage… in tal senso, abbiamo deciso per una veglia congiunta…”.
Tutti insieme, i morti, alla camera ardente. Ma poi funerali separati. Oggi alle 15,30, quelli degli agenti in forma ufficiale alle presenza del presidente della Repubblica (la cerimonia sarà trasmessa in diretta dal Tg1 e da Tg4 a partire dalle 15). In un’ altra chiesa, il loro giudice, domani o dopodomani.
Tutto dipende dall’ arrivo di Fiammetta, la figlia diciannovenne, lontana dalla macerie, lontana dal sangue, in Indonesia per una vacanza, ignara, fino a ieri sera, perfino della fine di suo padre.
Funerali a invito, cercando di non stringere mani non gradite.
Potrà venire il presidente della Repubblica Scalfaro, lui sì, ma altri sarebbe meglio non si facessero vedere. Il messaggio è chiaro. Dolore su dolore. Prima la morte di Falcone, adesso il marito, il padre, il magistrato, ammazzato dalla stessa mano.
In via Cilea, sotto casa Borsellino, è un viavai continuo.
C’è una rabbia silenziosa, disperata nelle facce dei poliziotti che vegliano su quella famiglia spezzata, c’ è un’ angoscia che spegne le parole negli occhi dei compagni di classe di Manfredi, il figlio ventenne, che ha visto tutto, che è passato sul luogo dell’ esplosione subito dopo, quando i corpi carbonizzati erano ancora caldi e i macabri resti di quella strage giacevano dappertutto. La famiglia Borsellino è come la famiglia Falcone: riservata, dignitosa, orgogliosa nella tragedia.
Non fa polemiche aperte, non grida.
Il dolore si consuma tra quelle mura, nel salotto pieno di argenti tirati a lucido, le pareti color ocra, i divani damascati. Agnese Piraino Leto, bionda, minuta, pallida, riceve solo poche persone selezionate.
Arriva Antonino Caponnetto, collega e amico del marito.
L’emozione è forte, la vedova scoppia in lacrime, bacia una fotografia di Paolo pubblicata dai giornali. Sussurra: “Gioia mia, gioia mia. Me l’ hanno tolto”.
Le mani anziane, tremanti, di Caponnetto l’ abbracciano. Le stesse mani, improvvisamente forti, porteranno a spalle, assieme ai giudici Natoli e Ilarda, il feretro a Palazzo di Giustizia, in un clima agitato, sul filo dell’ incidente.
I sopravvissuti, sempre meno, si stringono. Ecco la suocera di Giovanni Falcone, la madre di Francesca Morvillo, uccisa a Capaci nemmeno due mesi fa. “Paolo è andato a trovare Giovanni e Francesca…”, dice Agnese.
Qualcuno la sente pronunciare, con un filo di voce, l’ unica frase di vera rabbia nei confronti dello Stato: “Non meritavano questi uomini”. Giornata di dolore forte, di sfinimento.
Per la famiglia Borsellino, la fine di un percorso. Alle sei della sera, arrivano sei catafalchi nell’ immenso atrio- obitorio del Palazzo di Giustizia. La vedova del giudice avanza sorretta da una coppia di amici. E’ vestita di nero, stringe nelle mani la toga del marito. Dietro di lei, la figlia Lucia, con il fidanzato.
Quella figlia fragile per la quale Borsellino tremava, quella figlia che nell’ 85, all’ epoca del ritiro forzato della famiglia all’ Asinara, assieme a Falcone, divenne anoressica per lo stress crudele.
Dietro la bara fasciata dalla bandiera tricolore, c’è anche Manfredi, gli occhi nel vuoto, un cenno stanco di ringraziamento a Giovanni Galloni, vicepresidente del Csm, tra i primi ad arrivare. 
Le ha parlato, per telefono, alle quattro di domenica prima di morire. Fiammetta era contenta, gli ha raccontato che sarebbe andata a fare una gita nella zona vulcanica dell’ isola di Bali.
Per tutto il giorno hanno cercato di rintracciarla. Senza di lei, niente funerali. “Anche in questo lo Stato è impotente, non riesce nemmeno a trovarmela”, sussurrava Agnese Borsellino, nelle prime, angosciate ore d’ attesa.
Accanto alle lacrime, la forza di una famiglia unita.
Lucia, dopo il primo strazio all’ ospedale (“dov’ è papà, dov’ è papà”, urlava battendo i pugni su una porta a vetri pietosamente sbarrata) si è trovata addosso il coraggio della disperazione.
In mattinata, ha voluto assistere, assieme al fratello, all’ apposizione dei sigilli nell’ ufficio del padre. Sulla scrivania di Borsellino, c’ era un quaderno, i caratteri a stampatello, calligrafia infantile.
Davanti agli agenti che l’ accompagnavano, Lucia ha aperto quel libretto: dentro, il disegno di un angelo custode, chiamato a “vigilare sui giudici di Palermo”.
Avrebbero voluto sequestrarlo, quel quadernino, che Borsellino forse non ha avuto il tempo di sfogliare, ma la figlia si è opposta. “Lo prendo io, non vi serve per le indagini”, ha detto.
Nel pomeriggio, dopo le visite di Ayala, sempre più pallido, dopo l’ apparizione di Rosaria, giovane vedova dell’ agente di Falcone, e qualche ora prima di quella veglia “congiunta” a Palazzo, turbata dalle urla dei familiari, disturbata da tafferugli esterni tra missini e simpatizzanti della Rete, ecco la decisione più difficile: dire no ai solenni funerali di Stato.  ALESSANDRA LONGO La Repubblica 21.7.2019

 

 

Ma non tutti il 24 luglio 1992 appesero lenzuola bianche alle finestre fotografi e postazioni TV dietro pagamento a inquilini.

 

Quel giorno, secondo quanto riportato dai quotidiani dell’epoca che ben raccontarono quel 24 luglio, diversi palermitani riempirono il proprio portafoglio affittando finestre e balconi a fotografi e fotoreporter delle varie testate giornalistiche che erano accorse. A tal proposito riproponiamo l’articolo a firma a.z. uscito sul quotidiano “la Repubblica” il 25 luglio 1992. La Fininvest ha pagato 2 milioni, la Rai nulla, almeno la troupe del Tg3. Assicurarsi una postazione strategica per seguire i funerali di Paolo Borsellino è costato caro a tv e fotografi. Interdetto l’ ingresso in chiesa, per espresso volere della famiglia, cameramen e fotoreporter avevano pensato di chiedere “ospitalità” agli inquilini dello stabile di via Liszt, proprio di fronte alla chiesa di Santa Luisa de Marillac. Altro che ospitalità. 
Con molto cinismo, alcune famiglie hanno preteso e ottenuto somme varianti tra le 200 mila lire e i 2 milioni per l’ affitto dei loro balconi. Il fotografo dell’Ansa ha pagato il prezzo più basso, 200 mila lire. Più cara, la tariffa applicata al collega di un quotidiano locale, costretto a versare altre 100 mila lire.
Col cappio al collo, le reti televisive non hanno trovato postazioni alternative e hanno quindi dovuto cedere al ricatto.
Fininvest e la brasiliana Teleglobo hanno ammesso di aver pagato 2 milioni, mentre alcune troupe della Rai, come quella del Tg3, affermano di essere riuscite a guadagnare la posizione “gratis”.
Sembra che anche il portiere di uno stabile abbia preteso 100 mila lire solo per consentire di citofonare agli inquilini. Sconsolato, il sindaco Aldo Rizzo ha commentato: “Abbiamo tanti guai, non possiamo occuparci di queste cose.Posso solo dire che mi meraviglia”. Continuano anche le polemiche in casa Rai.
Il direttore del tg3, Sandro Curzi, ha chiesto un incontro al direttore generale, Gianni Pasquarelli, per un esame del ruolo dell’informazione pubblica. A.Z. – “LA REPUBBLICA” – 25 LUGLIO 1992 Roberto Greco per referencepost.it


Funerali di Paolo Borsellino: “ricordo tanta rabbia e tanti fischi ai politici”

28 anni fa, i funerali di Paolo Borsellino. Separati ed in forma privata da quelli degli agenti di scorta che si tennero tre giorni prima in cattedrale, in forma di funerali di Stato. I miei ricordi in cattedrale sono di tanta rabbia e tanti fischi all’indirizzo di politici e classe dirigente. Ricordo semplici cittadini inferociti spezzare il cordone di polizia che aveva avuto l’ordine di non far entrare pubblico in chiesa e sciamare come una valanga umana sul sagrato della cattedrale. Ricordo dello sgabello verde coi fregi del Vaticano – che tutt’ora si può vedere vicino l’altare – lanciato da un poliziotto in borghese all’indirizzo del capo della Polizia Parisi e fermato al volo con una manovra da cestista navigato dal magistrato Ayala (che gli evitò serie conseguenze). I miei ricordi davanti la chiesa di Santa Luisa di Marillac in via Franz Liszt, sono invece quelli della compra vendita di spazi nel palazzo di fronte la chiesa.

 

Foto: Franco Lannino / Studio Camera

Tutti i giornalisti, le troupe televisive e i fotografi (provenienti da tutto il mondo) dato che in chiesa non era stato concesso l’ingresso, si ammassarono sul marciapiede di fronte, oltre le transenne posizionate li dalla notte precedente.
Da li partì la corsa per trovare una postazione che dall’alto potesse avere una buona visione del momento dell’uscita del feretro. Fu così che cominciarono vere e proprie contrattazioni per salire su uno dei tanti balconi di quel palazzo. In pochi minuti c’erano già le tariffe: 300 mila lire per un balcone, 150 mila lire per una finestra. molti giornalisti e operatori accettarono. Quel giorno milioni di lire in nero cambiarono mano. Io mi arrangiai alla “palermitana”, mi arrampicai sul gabbiotto del portiere, che non mi chiese “l’affitto”. Mi ricordo di tanti crampi e dolori alla schiena dato che dovetti stare accovacciato per tre lunghe ore. ma alla fine ce la feci a portare a “casa” il servizio fotografico. Contento di aver aggirato il pizzo richiesto dagli abitanti di quel “simpatico” condominio.

 


L’ORAZIONE FUNEBRE DI
ANTONINO CAPONNETTO AL FUNERALE DI PAOLO BORSELLINO 

 

“Queste sono le parole di un vecchio ex magistrato che e’ venuto nello spazio di due mesi due volte a Palermo con il cuore a pezzi a portare l’ultimo saluto ai suoi figli, fratelli e amici con i quali ho diviso anni di lavoro di sacrificio di gioia, anche di amarezza. Soltanto poche parole per un ricordo, per un doveroso atto di contrizione che poi vi diro’ e per una preghiera laica ma fervente.B Il ricordo e’ per l’amico Paolo, per la sua generosita’, per la sua umanita’, per il coraggio con cui ha affrontato la vita e con cui e’ andato incontro alla morte annunciata, per la sua radicata fede cattolica, per il suo amore immenso portato alla famiglia e agli amici tutti. Era un dono naturale che Paolo aveva, di spargere attorno a se’ amore.
Mi ricordo ancora il suo appassionato e incessante lavoro, divenuto frenetico negli ultimi tempi, quasi che egli sentisse incombere la fine.
Ognuno di noi e non solo lo Stato gli e’ debitore; ad ognuno di noi egli ha donato qualcosa di prezioso e di raro che tutti conserveremo in fondo al cuore, e a me in particolare mancheranno terribilmente quelle sue telefonate che invariabilmente concludeva con le parole: “Ti voglio bene Antonio” ed io replicavo “Anche io ti voglio bene Paolo”. 
C’e’ un altro peso che ancora mi opprime ed e’ il rimorso per quell’attimo di sconforto e di debolezza da cui sono stato colto dopo avere posato l’ultimo bacio sul viso ormai gelido, ma ancora sereno, di Paolo.

Nessuno di noi, e io meno di chiunque altro, puo’ dire che ormai tutto e’ finito. 
Pensavo in quel momento di desistere dalla lotta contro la delinquenza mafiosa, mi sembrava che con la morte dell’amico fraterno tutto fosse finito.
Ma in un momento simile, in un momento come questo coltivare un pensiero del genere, e me ne sono subito convinto, equivale a tradire la memoria di Paolo come pure quella di Giovanni e di Francesca. 
In questi pochi giorni di dolore trascorsi a Palermo che io vi confesso non vorrei lasciare piu’, ho sentito in gran parte della popolazione la voglia di liberarsi da questa barbara e sanguinosa oppressione che ne cancella i diritti piu’ elementari e ne vanifica la speranza di rinascita.
E da qui nasce la mia preghiera dicevo laica ma fervente e la rivolgo a te, presidente, che da tanto tempo mi onori della tua amicizia, che e’ stata sempre ricambiata con ammirazione infinita.
La gente di Palermo e dell’intera Sicilia, ti ama presidente, ti rispetta, e soprattutto ha fiducia nella tua saggezza e nella tua fermezza. Paolo e’ morto servendo lo Stato in cui credeva cosi’ come prima di lui Giovanni e Francesca.
Ma ora questo stesso Stato che essi hanno servito fino al sacrificio, deve dimostrare di essere veramente presente in tutte le sue articolazioni, sia con la sua forza sia con i suoi servizi.
E’ giunto il tempo, mi sembra, delle grandi decisioni e delle scelte di fondo, non e’ piu’ l’ora delle collusioni degli attendismi dei compromessi e delle furberie, e dovranno essere, presidente, dovranno essere uomini credibili, onesti, dai politici ai magistrati, a gestire con le tue illuminate direttive questa fase necessaria di rinascita morale: e’ questo a mio avviso il primo e fondamentale problema preliminare ad una vera e decisa lotta alla barbarie mafiosa.
Io ho apprezzato le tue parole, noi tutti le abbiamo apprezzate, le tue parole molto ferme al Csm dove hai parlato di una nuova rinascita che e’ quella che noi tutti aspettiamo, e laddove anche con la fermezza che ti conosco hai giustamente condannato, censurato, quegli errori che hanno condotto martedi’ pomeriggio a disordini che altrimenti non sarebbero accaduti perche’ nessuno voleva che accadessero. Solo cosi’ attraverso questa rigenerazione collettiva, questa rinascita morale, non resteranno inutili i sacrifici di Giovanni, di Francesca, di Paolo e di otto agenti di servizio.
Anche a quegli agenti che hanno seguito i loro protetti fino alla morte va il nostro pensiero, la nostra riconoscenza, il nostro tributo di ammirazione.
Tra i tanti fiori che ho visto in questi giorni lasciati da persone che spesso non firmavano nemmeno il biglietto come e’ stato in questo caso, ho visto un bellissimo lilium, splendido fiore il lilium, e sotto c’erano queste poche parole senza firma: “Un solo grande fiore per un solo grande uomo solo”. Mi ha colpito, presidente, questa frase che mi e’ rimasta nel cuore e credo che mi rimarra’ per sempre.
Ma io vorrei dire a questo grande uomo, diletto amico, che non e’ solo, che accanto a lui batte il cuore di tutta Palermo, batte il cuore dei familiari, degli amici, di tutta la Nazione. Caro Paolo, la lotta che hai sostenuto fino al sacrificio dovra’ diventare e diventera’ la lotta di ciascuno di noi, questa e’ una promessa che ti faccio solenne come un giuramento.”

 

 
 
I fasci di fiorì deposti da ignoti palermitani sulla soglia del portone sono visibili da molto lontano. E’ una landa desolata la via Cilea, all’ora di pranzo. I palazzi della nuova zona residenziale sembrano piegarsi sotto il sole impietoso della prima vera estate ’92. La casa del giudice Paolo Borsellino è all’ottavo piano dell’edificio contrassegnato col n. 21.
Uno sbarramento di poliziotti in divisa impedisce accesso ai fotoreporter. E’ stato un pellegrinaggio, per tutta la mattinata di ieri ed anche la sera di domenica. Decine di giovani, commossi, arrivano, sostano, posano un fiore o semplicemente pregano.
Salgono soltanto gli amici di famiglia. Più che i curiosi, si ha l’impressione che la famiglia Borsellino non gradisca ingerenze di carattere, diciamo, «politico».
No, non vogliono proprio che si speculi su questa ennesima tragedia.
Lo Stato, nei funerali del procuratore aggiunto Paolo Borsellino, sarà assente.
La famiglia, almeno per ora, sembra irremovibile e resiste ad ogni pressione: nessuna auto blu, nessuna scorta, nessuna autorità. Non si riempirà, stavolta, la basilica di San Domenico.
Non ci sarà la diretta Tv. E il governo non sarà costretto, come avvenne per i funerali di Giovanni Falcone, ad imboccare la porta secondaria della sacrestia per sfuggire alla contestazione della piazza.
Il dolore dei Borsellino sarà solo loro. E dei loro amici. Di quelli che saranno invitati: perché il lutto autentico non venga mischiato alle frasi di circostanza, alla ipocrisia delle falso cordoglio. Eppure non è stata una decisione presa a cuor leggero.
Non si tratta di reazione rabbiosa: è lucida consapevolezza.
In casa Borsellino ne  hanno discusso, stamattina.
Il giovane Manfredi ha trascorso in piedi il pomeriggio, la serata e la nottata di domenica. Prima ha voluto vedere: è andato nell’inferno di via D’Amelio, lo hanno visto aggirarsi tra le macerie come il figlio che cerca le spoglie del padre in un campo di battaglia.
L’hanno visto barcollare.
Anche Lucia barcolla, adesso. La ragazza, ancora convalescente dopo un periodo lunghissimo e terribile in cui ha rifiutato il cibo per il terrore di perdere il padre, adesso sta immobile.
Entrambi hanno parlato con mamma Agnese. Madre-disperazione appare devastata: è irriconoscibile questa donna che per tanti anni è stata la compagna discreta e insostituibile di un uomo che il suo vero matrimonio l’aveva contratto con l’aspirazione ad amministrare giustizia. Non hanno dovuto dibattere troppo, per convenire che «non c’era alcuna necessità di funerali di Stato». Il resto della famiglia ha convenuto, anche il vecchio Angelo Piraino Leto, ax presidente del Tribunale di Palermo e padre della signora Agnese. Alla consultazione è mancata Fiammetta, l’altra figlia. E’ in viaggio, in Indonesia. I funerali si faranno solo quando la ragazza rientrerà a Palermo.
Mamma Agnese comunali che saranno «strettamente privati» e si celebreranno nella chiesa di Santa Maria Marinai;, dove Paolo Borsellino andava ogni domenica.
Il parroco è già stato messo al corrente, tramite don Cesare Battoballi, il giovane prete cugino di Antonio Schifani uno dei poliziotti della scorta di Falcone, morto nella strage di Capaci.
II sacerdote è stato in via Cilea, ieri mattina. L’accompagnava Rosaria Costa, la vedova di Schifani, la ragazza che ha commosso l’Italia intervenendo in diretta Tv ai funerali del marito per dire: «Mafiosi, inginocchiatevi».
E’ stato l’incontro di due donne affrante, quella di Rosaria e mamma Agnese.
Un abbraccio stretto e commovente. Ci sarà -olo una deroga alla decisione dei Borsellino: riguarda il Capo delio Stato. Ieri mattina Scalfaro ha telefonato alla famiglia: un colloquio privato. Il Presidente ha assicurato il suo intervento per accelerare le ricerche di Fiammetta.
Non si sa altro del contenuto della telefonata, si sa, però, che Scalfaro è stato invitato ai funerali. Sarà la sola eccezione. Anche Martelli ha telefonato alla signora Borsellino.
Il ministro si è intrattenuto a lungo con la vedova. Il colloquio è rimasto riservato ma non sembra aver provocato ripensamenti nella determinazione di «fare a meno dei rappresentanti del governo». C’è anche Antonio Caponnetto, nel salotto, insieme coi parenti. E’ stato in piedi tutta la notte. Abbraccia la signora Agnese.
Lei piange, guarda una foto di Paolo e sussurra: «Gioia mia… gioia… me lo hanno preso. E’ tutto finito». E’ un susseguirsi di emozioni. Arriva la madre di Francesca Morvillo, la moglie di Giovanni Falcone morta nella strage di Capaci, stringe ìe mani della signora Agnese e singhiozza: «Paolo è andato a trovare Giovanni e Francesca».
Poi una frecciata rivolta allo Stato: «Non meritavano uomini così». Ma è ancora di Caponnetto il commento più amaro: «Non vado a palazzo di giustizia.
Non voglio incontrare alcune persone, non voglio vedere certe facce.
Troppi farisei a Palermo, troppi amici dell’ultima ora».
La tensione sale, il silenzio sostituisce le parole. Arriva un vecchio amico di Paolo Borsellino, il maresciallo Canale. Lucia va con lui. Vuole presenziare alla ricognizione nell’ufficio del padre.
Vuole gli oggetti personali. E’ coraggiosa Lucia. Manfredi sta seduta su una poltroncina accanto ad una porta chiusa.
Sembra abbia montato la guardia, al di là di quella porta c’è lo studio del padre. Francesco La Licata «Fiammetta è a Bali E questo governo non è neppure capace di trovarla» In alto: il corpo del giudice Borsellino
ARCHIVIO STORICO LA STAMPA EDIZ. 21.7.1992

 

L’addio in privato

 

 

I funerali di Paolo Borsellino, si svolgeranno nella chiesa di Santa Maria Luisa di Marillac.
Lo ha reso noto la famiglia, la cerimonia si svolgerà in forma strettamente privata.
Tra gli intimi che parteciperanno alla cerimonia funebre del magistrato, il maresciallo dei carabinieri Carmelo Canale, stretto collaboratore del giudice. «Lo seppelliremo in silenzio – ha detto il maresciallo Canale – con i pochi ìntimi, con quelli che gli vplevano bene. Lo seppelliremo in silenzio perché così lui avrebbe voluto, perchè il dottor Borsellino non gradiva la confusione e le proteste in chiesa. Lui era un cristiano praticante». Fiammetta, la figlia minore, provieni? dall’Indonesia dove si trovava in vacanza, sarà accompagnata a Palermo nella giornata di oggf con un aereo messo a disposizione dal presidente del Consiglio.
ARCHIVIO STORICO LA STAMPA EDIZ. 23.7.1992

Il giudice Sarà sepolto domani

Salvo imprevisti dell’ultima ora si svolgeranno domani i funerali, in forma privata, del giudice Paolo Borsellino, che erano stati rimandati in attesa di rintracciare la figlia Fiammetta in vacanza a Bali.
Anche in quell’occasione ci dovrebbe esser la presenza del presidente Scalfaro, l’unico personaggio dello Stato che i familiari hanno invitato per le esequie.
Intanto la salma di Borsellino è stata trasferita dalla camera ardente allestita a palazzo di giustizia nella parrocchia di Santa Maria Luisa di Marillac. Nella chiesa è vegliata esclusivamente dai familiari.
In questo tempio – ha ricordato il parroco Alessandro Manzone – il procuratore aggiunto si recava ogni domenica per assistere alla messa.
«Era un uomo – dice il sacerdote – che riusciva ad abbinare fede e professione, testimoniando il suo essere cristiano e i valori in cui credeva anche nel lavoro».   ARCHIVIO STORICO LA STAMPA EDIZ. 22.7.1992


Da Scalfaro, l’ultimo applauso a Borsellino

 

In chiesa il presidente recita una preghiera e chiede aiuto alle persone giuste e pulite Da Scalfaro, l’ultimo applauso a Borsellino Una enorme folla ha ascoltato l’omelia in strada, sotto il sole. Alla cerimonia anche Galloni, un parente: lui non era invitato .
Se i funerali di martedì nella cattedrale si ricorderanno come un incubo, quelli di Paolo Borsellino, ieri, lasceranno tutt’altra memoria: una folla straripante, ma contenuta; il presidente della Repubblica che non sa dove sedersi, e che poi si sistema fra la propria figlia e la signora Agnese, vedova del giudice ucciso. E poi, dietro, come una crostimi arruffata e angelicata, in discretissimo incognito, Francesco Cossiga, Cossiga il Tremendo, se ricordate, commosso, silenzioso. La televisione ha ripreso dall’esterno e avrete visto tutti quella grande piazza terrosa che separa i caseggiati di via Cilea dalla chiesa. Noi eravamo dentro, e siamo stati abbastanza vicini alla famiglia, ai ragazzi commossi, ai compagni d università. E sulla bara era distesa la toga rossa del magistrato. Caponnetto, come si legge nel testo del suo discorso, ha ricordato il biglietto del cittadino che ha lasciato un lilium per Borsellino, con su scritto: «Un solo grande fiore per un grande uomo solo».
Ripetere che Borsellino non era solo, che viveva in tutti, sarebbe retorico, ormai. Paolo Borsellino è morto. Lo abbiamo in foto e nella mente, ci sono i suoi figli e i suoi allievi. Esistono videocassette e testi di discorsi, scritti e conferenze. Ma è morto. E quella era la sua bara. Per ora la mafia ha vinto. C’era il prefetto Parisi, capo della polizia, che stava seduto sulla stessa panca del ministro Martelli e del vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura Galloni. A proposito di Galloni un parente dei Borsellino mi dice esplicitamente che la sua presenza è stata subita dalla famiglia, che non lo aveva invitato ma che non ha neppure potuto dire di no. C’era. Ce n’erano tanti. Troppi. Borsellino, quando seppe che stava per morire, dettò ai suoi un elenco delle persone che avrebbe desiderato vedere in prima fila al proprio funerale.  
Quelle e non altre. La famiglia però non è riuscita, né ha potuto né saputo resistere a tutte le pressioni. E cosi sono entrati nelle prime file uomini che Borsellino, dall’interno della sua prigione corporale, non avrebbe voluto sentirsi accanto. Quanto a Galloni non esisteva alcun divieto, ma nessun motivo di simpatia, né riconoscenza. La cerimonia.
E’ stata molto cristiana, molto moderna, talmente moderna da sembrare, ai nostri occhi viziati da un’infanzia di controriforma barocca e latina, quasi una bella messa protestante: con una figura femminile vestita da diacona, con un coro di voci che cantavano canzoni sacre moderne, tutto molto suggestivo. Un signore gentilissimo mi avvicina e si presenta come il consuocero del povero giudice. Non sapevo che Borsellino avesse figli sposati, e in effetti non ne aveva. Ma il signor Francesco Gabrielli è il papà di Federica, fidanzata di Manfredi. E mi racconta un episodio, un frammento di vita, che da solo illustra una società e una cultura: «Mia figlia mi ha raccontato, proprio pochi giorni fa, di avere scoperto che Paolo Borsellino aveva aperto una grappetta, cioè un fascicolo, a suo nome.
Dentro c’era tutto quello che la riguardava, compresi i nomi degli amici, i numeri di telefono… Esattamente come faceva con i suoi tre figli. Aprendo una cartella con il suo nome, di fatto l’aveva dichiarata sua quarta figlia».
Questo minimo dettaglio, al di là della psicologia, assume un valore ulteriore se si considera quel che ci ha detto ieri il consigliere Caponnetto a proposito dell’inseparabile agenda di Borsellino, volatilizzata il giorno della sua morte, anche se la borsa che la conteneva è rimasta intatta. La sorella di Federica, Francesca, mi racconta un altro episodio del rapporto padre-figli. Prima di morire Borsellino aveva deciso di regalare al figlio Manfredi gli sci d’acqua. Ma aveva anche deciso di tenere nascosto il fatto che fosse lui a comprarli: voleva che fosse Federica, la futura nuora, a darglieli come un dono suo. E così ieri l’altro Federica è entrata in un negozio d’articoli sportivi ed ha comperato quegli sci d’acqua che facevano parte delle promesse di Paolo Borsellino, e ha consegnato a Manfredi soltanto il buono d’acquisto. Il giorno che se la sentirà, andrà a ritirarli. Mi rendo conto che tutti que- sti ragazzi, questi giovani che ho intomo, tutti sui vent’anni, già formano coppie stabili e definitive, sono legati dall’infanzia, sono legati dagli studi, dal vicinato, dall’amicizia dei padri. Sono amorì «in casa», benedetti dalla parentela, e tuttavia di libera scelta. E si vede in filigrana il tessuto della società siciliana e palermitana, la fratellanza e la sorellanza, il senso dell’onore e della famiglia, Federica che è fidanzata di Manfredi, ma che studia insieme con Lucia Borsellino, sorella di Manfredi, gli ultimi esami di laurea in farmacia: «Laboratorio 3» fra pochi giorni. Mancano ormai soltanto Tecnica di laboratorio e Farmacologia. E intanto Manfredi, ovviamente, studia Legge seguendo le orme paterne: è al secondo anno, in regola con gli esami, anche se il primo lo amareggiò perchè prese soltanto 21. La messa prosegue. Si alternano al podio, o forse si dovrebbe dire ancora pulpito, le persone care e comunque quelle invitate a «dire parole» sull’ucciso. E’ un dramma nel dramma perché, l’abbiamo visto altre volte, l’emozione moltiplicata dall’elettronica, elevata alla potenza del dolore, produce creature spettacolari e terribili, o anche qualche episodio di insopportabile trombonismo. Ma come dimenticare la sorella dei]’ucciso, Rita, leggere il suo testo che contiene le inevitabili parole del sangue, del perdono, dei veleni, con la voce infranta, il tremore trattenuto in un vestitino scuro a righine e da un volto terreo? I parlanti si alternano alle voci cantanti e al microfono sale una ragazza bruna molto bella e severa che intona un inno di alleluia che somiglia ai canti celtici irlandesi di «Enya», inse¬ guita da un coro che invoca «non abbandonerai l’anima mia». Dalla lettera di San Paolo agli apostoli, legge un giovanotto in grigio, vibrante di emozione, un nipote. E subito viene ricordato che sull’Arca di Noè soltanto 8 si salvarono, otto giusti e non di più. Si guarda intorno. Non sono giusto 8 i sostituti procuratori che si sono dimessi, come se volessero a modo loro ridar vita al pool antimafia? Dal Vangelo secondo Matteo: vedendole falde deìmonte Gesù salì la montagna circondato dai suoi discepoli e disse: beati coloro che hanno fame e sete di giustizia perché avranno giustizia. Quando, si chiedono nel brusio della preghiera? Da chi? Ecco la Schifarli in prima fila, la vedova in nero che lesse straziata e corretta (dal sacerdote) un testo di rifiuto del perdono. Le siamo accanto, è fragile, è tremante, è ferita a morte. L’officiante prende il microfono: «Guai – dice – a chi accumula ciò che non è suo». Applausi, applausi dentro e fuori la chiesa, dove è radunata la folla, e dai palazzi dai balconi gremiti. Parole gravi che frustano un’aria pesante, non più mitigata dai condizionatori: «Borsellino si era accorto di essere odiato da chi ha ostacolato in ogni modo la sua azione, di essere stato perseguitato. Abbiamo il dovere sacrosanto di continuare questa lotta. Oscar Luigi Scalfaro parla per pochi minuti, e il suo tono è sommesso e forte allo stesso tempo. E’ lui il capo del Consiglio superiore della magistratura, è da lui che i giudici di Palermo si aspettano decisione e tutela. Il presidente della Repubblica usa parole sobrie e appropriate, anche se esordisce in nome della madre di tutti noi, come se fosse obbligatorio e scontato che o si è cattolici apostolici romani o non si è. Il Presidente assicura fermezza, assicura il éiiò interesse”atffWo, ricorda con molta passione le qualità del servo dello Stato che lo Stato, distrattamente imprevidente, sempre un passo indietro rispetto alle necessità di oggi, ha lasciato o ha consentito che si uccidesse. Usa parole emotivamente e moralmente efficaci in nome e per conto delle persone giuste, oneste, pulite, che vogliono la pace, le persone per le quali vale la pena pregare affinché le persone responsabili «mai siano motivo di vergogna e odio». Ma il presidente della Repubblica si impegna: e dalla sua dichiarazione di impegno prende poi slancio la forte allocuzione di Antonino Caponnetto, il padre del pool antimafia, il pensionato tornato in servizio, in militanza attiva, stremato da un collasso che lo ha fatto vacillare, seguito da una moglie trepida e con un grande bicchier d’acqua a portata di mano perché ha bisogno di reidratarsi, bere e volontà. Del discorso straordinario e teso di Antonino Caponnetto diamo conto per intero in prima pagina. Ma quel discorso è stato applaudito per ottantadue secondi, e se provate a vedere quanto sono lunghi guardando 1 orologio, potete, possiamo capire il senso di quell’applauso. Il telegramma del cardinale Pappalardo che gelidamente si scusa di non esserci, riceve quattro battute di mani. Forsemeno ancora. La funzione va avanti nella sua impeccabile regìa, il prefetto Parisi si alza dalla sua panca e comincia ad arretrare, in piedi, avviandosi verso l’uscita. Anche qui, in questa chiesa, dovrà subire un’amarezza: un cognato dell’ucciso lo affronta con parole aspre e aggressive, e il prefetto è costretto a subire. Il vecchio Angelo Piraino Leto, magistrato anche lui, è il suocero di Borsellino, padre di Agnese. Ed è un uomo all’antica che ricorre a tutto il bagaglio della retorica tradizionale. E’ l’unico che, dicendo «siamo in presenza del presidente Scalfaro e del suo predecessore», dà atto della presenza di Francesco Cossiga. Quanto al resto, l’anziano uomo di legge reclama il ritorno all’ordine, rimpiange, così dice, i tempi in cui «delitto e castigo erano un binomio indissolubile». La triste cerimonia è alla fine. Corre voce che qualcuno sia stato colto da malore e portato via, ma il fatto non ha interferito con il rito. La bara viene alzata a spalla e vediamo Bartolo, il ragazzo di Lucia, Manfredi naturalmente, tutti i parenti 0 gli uomini della famiglia sollevare il feretro mentre si leva un primo lungo applauso, e poi l’applauso prosegue, dilaga quando la bara esce all’esterno, e’ sale la confusione, scoppiano minimi alterchi da nervosismo e da «lei non sa chi sono io», ci sono i soliti ordini cretini che ingiungono di sbarrare un’uscita lasciando che la gente si insulti e soffochi, finché il presidente della Regione, con lodevole buonsenso, interviene intimando alle forze dell’ordine, e in nome dei suoi poteri, di riaprire il passaggio. Partono le auto delle scorte, rombano, si accendono le lampade, applausi per il presidente della Repubblica, per il ministro Martelli, anche per il povero Parisi, ovazioni per Caponnetto, applausi per Giuseppe Ayala e la chiesa si svuota, lentamente ma con qualche convulsione. Il furgone parte per «I Rotoli» cimitero antico di Palermo, dove il padre di Paolo volle improvvisamente comperare una tomba con una piccola cappella, presentendo la morte. E’ un cimitero marino, come quello amato da Paul Valéry, e lì riposerà l’ultimo giusto giustiziato dalla mafia. Paolo Suzzanti Il suocero del magistrato «Rimpiango i tempi nei quali delitto e castigo erano un binomio indissolubile» A sinistra, portata a spalle, cori sopra la toga rossa eia giudice, la bara del giudice Paolo Borsellino esce dalla chiesa di Santa Luisa di Marillac Il presidente della Repubblica Scalfirò e il capo della polizia Parisi applaudono la salma del giudice all’uscita dalla chiesa Circondato dagli uomini della scorta, ai funerali c’era anche l’ex sindaco Leoluca Orlando.

 

 

 

GRAZIE CARO PAPÁ di Manfredi Borsellino 

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