4.12.2016 – LA NAZIONE «Ecco cosa scoprì la nostra procura» di LUCA CECCONI
La rabbia e l’orgoglio. Il titolo del libro di Oriana Fallaci calza a pennello a Piero Franco Angeloni, 60 anni, massese, ex finanziere in pensione per gravi motivi invalidanti, che ha scritto un libro dove racconta la sua storia nelle Fiamme Gialle e l’inchiesta condotta degli anni Novanta sulle infiltrazioni mafiose nelle cave di marmo. Rabbia, orgoglio e anche amarezza sono le motivazioni che lo hanno spinto a scrivere «Gli anni bui della Repubblica».
«La rabbia è tanta – dice Angeloni, che è sposato e ha due figli adulti – perchè l’indagine fu bloccata e perchè in questi anni molti hanno parlato e parlano a vanvera, senza conoscere le cose.
Ma c’è anche l’orgoglio di aver condiviso questa e altre battaglie insieme ad autentici servitori dello Stato, come i procuratori Augusto Lama e Beniamino Garofalo, come il capo della squadra mobile Antonio Sardo e l’ispettore di polizia Francesco Santucci, gente rimasta fuori dai giochi di potere che avviliscono il nostro Paese».
L’inchiesta sulla mafia nelle cave era a buon punto, con tanti riscontri. Perchè fu fermata? «Perchè i legami tra mafia e imprenditoria, in questo caso le cave, erano intrecciati anche con la politica. Furono adottate varie scuse che ad essere sinceri sono anche… passabili, ma che in fondo restano pur sempre scuse. Fu l’allora ministro Martelli di fatto a bloccarci. E se pensiamo che l’inchiesta riguardava il collegamento fra la mafia e il gruppo Ferruzzi – siamo stati i primi a capire questa collusione – il dubbio di un tentativo di insabbiamento è legittimo, perchè Gardini e il gruppo Ferruzzi erano legati, tramite i finanziamenti ai partiti, al Psi di Craxi. Ricordo la frase di Falcone “la mafia è entrata in Borsa’’ quando il gruppo Ferruzzi entrò a Piazza Affari».
ANGELONI è un fiume in piena. La vicenda lo ha toccato nel profondo. «La mafia c’era già in Versilia e a Marina di Massa ma con altri giri. Le cave entrano in ballo con la Calcestruzzi. Il giro di affari era notevole non solo con il marmo ma anche con il carbonato di calcio per la desolforazione delle centrali a carbone Enel (contratto da tremila miliardi di lire). E poi c’erano gli affari negli appalti pubblici siciliani. I soldi, tanti, arrivarono anche con le compravendite della società, del tipo compro a 1 e rivendo a 3».
E’ una storia anche di morti ammazzati e di suicidi eccellenti. «Il suicidio è quello di Gardini – racconta Angeloni – che è stato erroneamente messo in relazione con Mani Pulite e le tangenti. Dalla nostra indagine si evince invece la difficoltà di uscire dal circolo vizioso della mafia. Chi ci entra non può uscire. I morti ammazzati sono tanti. Ricordiamo l’imprenditore Alessio Gozzani che si era opposto proprio ai mafiosi nelle cave di marmo (Carmelo Musumeci è in carcere per quell’omicidio avvenuto sull’autostrada Genova-Livorno nel 1991). Ma potremmo parlare anche di Borsellino».
In che senso? «Noi nell’estate del ’91 mandammo informative e atti alla procura di Palermo sui legami tra gruppo Ferruzzi e famiglia Buscemi in cui si chiedevano anche approfonditi accertamenti bancari e patrimoniali. Ma la procura di Palermo non fece niente, non dette importanza alla cosa. Anzi, in seguito siamo stati informati che le nostre intercettazioni (due anni di ascolto) si erano smagnetizzate. Quell’indagine avrebbe potuto portare a far luce sulla presenza della mafia in certi appalti pubblici e forse “salvare’’ Falcone e Borsellino»..
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Cave e mafia, il filo sottile . Torna alla ribalta di Rai Tre l’inchiesta sulla Calcestruzzi
Salvo Sottile a Far west riprende le interviste pubblicate dal nostro giornale sta nel 2016 sul legame fra criminalità organizzata ed escavazione. Un reportage che coinvolse nomi eccellenti .
Infiltrazioni mafiose alle cave a fine Anni 80: «La nostra inchiesta avversata e sottovalutata»
Parla l’ex maresciallo Angeloni, autore del libro “Gli anni bui”: «Mandammo gli atti a Palermo: smagnetizzarono le intercettazioni»
«Questa (…) è stata l’operazione di Polizia più importante alla quale ho partecipato e con la quale sono stati messi a nudo i rapporti tra mondo imprenditoriale e mafioso dell’epoca, non permettendo alla lunga mano mafiosa di impadronirsi del bene preponderante e specifico del mio territorio: gli agri marmiferi della provincia di Massa e Carrara, le nostre stupende cave, che hanno prodotto il marmo per Michelangelo e che sono famosissime nel mondo. A dimostrazione che anche una piccola Procura della Repubblica, come quella massese, può recare vanto ed orgoglio a tutti quei cittadini che credono ed hanno creduto nella Giustizia e nei suoi umili, ma coriacei, servitori».
È così che termina il libro “Gli anni bui della Repubblica”, scritto dall’ex maresciallo della Guardia di Finanza Piero Franco Angeloni ed edito da Book Sprint.
Il volume, riproducendo atti processuali, intercettazioni ed informative delle forze dell’ordine, ricostruisce l’indagine sulle infiltrazioni mafiose alle cave di Carrara, avviata nei primi anni ’90 dal giudice Augusto Lama, all’epoca sostituto procuratore della Repubblica a Massa.
Angeloni, che in quegli anni lavorava con la magistratura inquirente apuana, era stato braccio destro di Lama in quell’inchiesta, che fu bloccata quando l’allora ministro della giustizia Claudio Martelli, socialista, aprì un procedimento disciplinare contro il magistrato, sulla base di un esposto che censurava le sue esternazioni su possibili coinvolgimenti del gruppo Ferruzzi di Raul Gardini con la mafia siciliana.
La vicenda, nei giorni scorsi, è stata ripercorsa in un’intervista esclusiva al Tirreno dallo stesso giudice Lama, il quale ha anche ricordato di essere stato poi assolto dall’accusa contestatagli.
Angeloni, oggi 60enne ed in pensione per gravi motivi invalidanti, ha spiegato di aver scritto il suo libro per un’esigenza di giustizia e verità storica.
«Il sospetto di un possibile insabbiamento della nostra inchiesta – afferma – era legittimo, perché Gardini ed il suo gruppo, grazie ai finanziamenti ai partiti, erano molto legati al Psi».
L’indagine avviata a Massa fu la prima a concentrarsi sulla collusione tra Cosa Nostra ed il gruppo Ferruzzi, all’epoca proprietario della Sam-Imeg, due società che controllavano il 65% delle cave carraresi, riuscendo a provarne l’esistenza attraverso molti dati ed abbondanza di riscontri.
«Il 26 agosto 1991 – prosegue Angeloni – il giudice Lama inviò alla procura di Palermo informative ed atti inerenti i legami tra il gruppo Ferruzzi e la famiglia siciliana dei Buscemi, richiedendo anche approfonditi accertamenti bancari e patrimoniali su di essi».
Nel capoluogo siciliano, però, questi documenti non suscitarono l’attenzione che avrebbero meritato e vennero archiviati il 1° giugno 1992, subito dopo la strage di Capaci. Ma non solo.
«In seguito – ricorda Angeloni – siamo stati anche informati che le nostre intercettazioni (due anni di lavoro) furono smagnetizzate».
Dopo l’omicidio del giudice Paolo Borsellino, però, la procura di Palermo decise di riprendere l’indagine iniziata da quella apuana sulla Imeg.
In merito a quest’ultimo punto Angeloni avanza un’ipotesi assai interessante. «Se la magistratura siciliana ci avesse subito prestato ascolto – sostiene l’ex finanziere massese – si sarebbe potuto far luce sulla presenza della mafia in certi appalti pubblici e, forse, salvare le vite di Falcone e Borsellino».
Sorgono anche nuovi interrogativi sul suicidio di Gardini, avvenuto a Milano il 23 luglio 1993, un gesto che finora era stato messo in relazione con l’inchiesta Mani pulite e le tangenti. «Dalla nostra indagine – conclude Angeloni – si evince invece la difficoltà di uscire dal circolo vizioso della mafia da parte dell’imprenditore ravennate. Chi vi entra, poi non può più uscirne». 31.1.2017 IL TIRRENO
Quando la Calcestruzzi era “padrona” delle cave
CARRARA. Si torna a parlare dell’ombra della mafia in territorio apuano. I cinque anni in cui la più grande azienda mondiale di marmo finì nelle mani della famiglia Buscemi sono tornati alla ribalta…
Si torna a parlare dell’ombra della mafia in territorio apuano. I cinque anni in cui la più grande azienda mondiale di marmo finì nelle mani della famiglia Buscemi sono tornati alla ribalta dopo che Mauro Michele Giarrusso, capogruppo del Movimento 5 Stelle in Senato e membro della commissione parlamentare antimafia, ha annunciato un’inchiesta sul caso Sam-Imeg e richiesto accertamenti sulla presunta presenza massonica al vertice del potere politico cittadino.
Le pagine buie relative all’epoca in cui l’imprenditore ravennate Raul Gardini comprò con la Calcestruzzi Spa (impresa capofila del gruppo Ferruzzi) la Sam-Imeg, due società che controllavano il 65% delle cave e della lavorazione del marmo di Carrara, sono ripercorse anche in uno degli importanti documenti pubblicati in appendice a “Un suicidio imperfetto. Raul Gardini: storia di una vita da corsaro e di una morte sospetta”, libro edito da Castelvecchi, scritto dal giornalista ed economista Fabrizio Spagna.
L’autore di questa biografia-inchiesta, dopo aver esaminato soprattutto i legami tra Gardini e gli Usa, gettando nuovi interrogativi sul suo suicidio, avvenuto il 23 luglio 1993 a Milano, approfondisce “i rapporti tra gruppo Ferruzzi e mafia”, riproducendo le 45 pagine della richiesta di archiviazione presentata il 9 giugno 2003 dall’allora procuratore capo di Caltanissetta Francesco Messineo al gip nisseno per uno dei filoni di inchiesta sulle stragi di Capaci e via D’Amelio, nel quale si è affrontata anche la morte di Gardini. In questo atto la Procura di Caltanissetta, pur ritenendo di non disporre di elementi idonei a sostenere in giudizio l’accusa a carico dei cosiddetti “mandanti occulti” delle stragi che costarono la vita a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, afferma che per interpretare gli omicidi dei due giudici risultano importanti le dichiarazioni del pentito Angelo Siino, considerato il “ministro dei lavori pubblici di Cosa Nostra”, che indicavano la Calcestruzzi come la società che si prestava a favorire gli interessi della mafia. La ditta, in particolare, avrebbe partecipato alla maxi speculazione di Pizzo Sella, la magnifica collina che sovrasta il golfo di Palermo, costruendovi 314 ville completamente abusive, simbolo dello strapotere mafioso sulla città. Falcone e Borsellino sarebbero stati eliminati proprio perché avrebbero scoperto tutta la verità sull’interesse strategico nutrito da Cosa Nostra per la gestione degli appalti pubblici.
A guidare Gardini in quest’affare sarebbe stato un vecchio socio di suo suocero Serafino Ferruzzi, Lorenzo Panzavolta, detto “Il Panzer”, comandante partigiano, dirigente delle cooperative rosse di Ravenna e presidente della Calcestruzzi, il quale gli avrebbe spiegato che per questa società c’era la possibilità di prendersi tutti gli appalti pubblici siciliani, alleandosi, però, con i fratelli Antonino e Salvatore Buscemi, molto legati a Totò Riina, che dal 1982 entrarono direttamente nella proprietà della ditta. A conferma di questa tesi il procuratore Messineo riporta la celebre frase pronunciata dal giudice Falcone quando il gruppo Ferruzzi venne quotato a Piazza Affari: «La mafia è entrata in borsa».
Nel 1987 la Calcestruzzi comprò dall’Eni di Vincenzo Grotti la Sam-Imeg. Il primo grande affare si presentò nel 1990, con un contratto da tremila miliardi di lire per la desolforazione delle centrali a carbone Enel, in cui il carbonato di calcio di Carrara era essenziale.
Ma le cose precipitarono. Antonino Buscemi aveva preso il controllo delle cave e a gestirle aveva mandato suo cognato, Girolamo Cimino, in veste di amministratore delegato della Sam-Imeg, insieme al suocero di quest’ultimo, Rosario Spera, con l’incarico di direttore commerciale. I siciliani – secondo la ricostruzione di quegli eventi – imposero condizioni vessatorie ai cavatori e ai rappresentanti delle ditte consorziate, in particolare per quanto riguarda il pagamento dell’odiosa tassa del “settimo” (fino al 14% del fatturato), balzello che i subaffittuari devono versare ai concessionari degli agri marmiferi.
Un piccolo imprenditore, Alessio Gozzani, socio della Silver Marmi, si oppose, dando del “terrone” a Cimino e fu ucciso nel 1991, dopo un agguato in piena regola sull’autostrada Livorno-Genova (per quell’omicidio sta scontando l’ergastolo Carmelo Musumeci, il “padrino” della Versilia di quegli anni).
Il giudice Augusto Lama, all’epoca sostituto procuratore della Repubblica di Massa-Carrara, cominciò ad indagare, ma fu bloccato dall’allora ministro della giustizia Claudio Martelli con un procedimento disciplinare, sulla base di un esposto che censurava le sue esternazioni su possibili coinvolgimenti del gruppo Ferruzzi con la mafia.
L’indagine massese, però, era iniziata con il piede giusto, come conferma il documento firmato dal procuratore Messineo ed allegato al libro di Spagna, in cui si fa riferimento ad alcuni atti trasmessi da Lama a Palermo il 26 agosto 1991, “relativi ad indagini espletate nei confronti della Imeg, riconducibile ai fratelli Buscemi”, che chiedevano approfonditi accertamenti bancari e patrimoniali su di essi.
Il giudice Messineo, però, ammette che all’epoca «la magistratura di Palermo, probabilmente per limitato bagaglio di conoscenze a disposizione, non attribuì soverchia importanza alla connessione Buscemi-gruppo Ferruzzi», dal momento che il procedimento iniziato a Massa-Carrara a carico di Antonino Buscemi venne archiviato nel capoluogo sicilianol’1 giugno 1992, «subito dopo la strage di Capaci e le relative intercettazioni furono smagnetizzate».
Dopo la morte di Borsellino, però, la Procura di Palermo riprese il vecchio spezzone di indagini, avviato da quella apuana sulla Imeg. Il procuratore di Caltanissetta ricorda anche un incontro avvenuto nel 1994 tra Lama ed il magistrato del tribunale palermitano Giuseppe Pignatone.
Per le nostre cave il periodo buio e opprimente proseguì fino al 1992, quando la Sam-Imeg passò a una famiglia carrarese e a un altro gruppo di industriali apuani e spezzini. In merito a tale passaggio di mano, Messineo richiama l’attenzione sul verbale del 19 aprile 1994 di Giuseppe Berlini, “tesoriere occulto” del gruppo Ferruzzi, dinanzi al pm Lama, da cui si apprende che il ricavato della vendita della Imeg, con corrispettivo in parte in nero, servì per ripianare le perdite delle società del gruppo. Parte dell’attivo fu utilizzato per pagamenti a un uomo d’affari greco e in altre direzioni, fra cui il versamento di 621 milioni di lire a Primo Greganti, cassiere del Pci-Pds, attraverso il conto “62035 Gabbietta” del Banco di Lugano. IL TIRRENO 29.11.2015