19 ottobre 1998, al processo d’appello per la strage di via D’Amelio, Scarantino torna a ribadire la sua ritrattazione

. “Negli ultimi anni – racconta l’ex “pentito” – telefonavo spesso alla dottoressa Palma per informarla che volevo dire la verità, cioè finire di fare il falso pentito, ma lei replicava sempre: ‘Scarantino, stia calmo la finisca di fare così, lo Stato le ha dato la casa, la villetta a mare, l’automobile’”. Scarantino afferma che, per rendersi “più credibile”, accusò soprattutto il cognato Salvatore Profeta (uno dei tre imputati condannati al carcere a vita, ndr): “Ad ognuno degli imputati affibbiavo due accuse per l’attentato di via D’Amelio, così se venivano assolti per la strage rimaneva sempre il reato di omicidio. Io comunque mentivo per fare un piacere ai magistrati, e loro mi hanno fatto dare da un’ispettrice di polizia un libro scritto da Buscetta per imparare come era composta Cosa nostra. Dicevano che ero troppo grezzo come pentito, cioè non conoscevo l’organigramma della mafia. Prima, infatti, parlavo di quartieri della Guadagna, della Noce, e così, via mentre poi appresi che dovevo dire famiglie”.
Scarantino aggiunge che “su altri omicidi so che la procura di Palermo non ha mai creduto a quello che ho raccontato e commentando con i pm del processo
Borsellino dicevo, ‘ma come, per la strage sono credibile, mentre per gli altri delitti no?’ La dottoressa Palma, però, mi rassicurava dicendo che le cose per me si sarebbero aggiustate