Il 25 maggio 2021, presso la COMMISSIONE ANTIMAFIA REGIONE SICILIA , Â depone il dr Antonio Ingroia.
INGROIA, giĂ magistrato. PerchĂŠ? PerchĂŠ, evidentemente, non câera un rapporto di reciproca fiducia. La riunione era â non ricordo chi partecipò esattamente â ma era prevalentemente, i titolari di quel procedimento erano, la stragrande maggioranza, tutti delfini di Giammanco e quindi Borsellino doveva stare alla larga da quel tipo di indagine, che riguardava politica, mafia, appalti, èâ evidente.
Io ricordo â non ricordo in che data siamo â di avere colto una battuta che Paolo fece a uno dei fedelissimi di Giammanco del tempo â non ricordo se era al dottore Pignatore o al dottore Lo Forte, comunque a uno dei due â disse: âvoi non mi raccontate tutta la vera storia sul rapporto del Ros âe aveva ragione.
Le rilevazioni del dottor Ingroia
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âSapere che PIGNATONE è indagato per favoreggiamento alla mafia non mi stupisceâ âIl profilo di PIGNATONE era noto a tutti da tempoâŚâ âIl padre era vicino a Salvo Lima. â âCâĂŠ un NATOLI di prima maniera e di seconda maniera.â
- âANTONIO INGROIA: âDopo una riunione Borsellino disse a Pignatone e Lo Forte: sul rapporto mafia e appalti non me la raccontate giustaâ
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- Il jâaccue di Ingroia: âBorsellino non si fidava di molti pmâ
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- INGROIA âMisero BORSELLINO in un angolo
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- 25 maggio 2021 Â AUDIZIONE COMMISSIONE ANTIMAFIA SICILIA â ANTONIO INGROIA
Il jâaccue di Ingroia: âBorsellino non si fidava di molti pmâ. âMi disse di non dire a nessuno di una importante collaborazione che stava per arrivare. Mi chiese di non dirlo neanche a Roberto Scarpinatoâ.
Pochi giorni prima di essere ucciso nella strage di Via DâAmelio il giudice Paolo Borsellino era diventato guardingo, ânon si fidava di molti pm della Procuraâ e âteneva la porta sempre chiusaâ, a differenza dei mesi antecedenti quando âsorrideva e nella sua stanza câera un gran via via di colleghiâ.
A raccontare gli ultimi giorni di vita del giudice antimafia è il suo ex pupillo, Antonio Ingroia. Sentito come teste dellâaccusa nel processo sul depistaggio sulle indagini della strage di Via DâAmelio, lâex Procuratore aggiunto di Palermo e oggi avvocato, rispondendo alle domande del pm Maurizio Bonaccorso, racconta il periodo antecedente e immediatamente successivo alla strage. Alla sbarra ci sono tre poliziotti, Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, accusati di avere indotto lâex pentito Vincenzo Scarantino a mentire accusando persone innocenti. Â
Rispondendo nel corso del controesame alle domande dellâavvocato di parte civile della famiglia Borsellino, lâavvocato Fabio Trizzino, che è anche il genero del giudice ucciso nella strage, ha spiegato che il giudice si fidava di lui e âdi pochi altriâ.
âPensava che lâ80 per cento della procura fosse controllata dal Procuratore di allora GiammancoâŚâ, spiega Ingroia.
Racconta anche che nei mesi successivi alla strage di Capaci gli disse âche era sua intenzione affiancare me a lui durante lâestate per la collaborazione di alcuni collaboratori, in particolare Leonardo Messina.
PerchĂŠ si fidava di me, e perchĂŠ câerano molti magistrati di cui non si fidava. Io quel giorno, il 15 luglio del 1992, lâultima volta che lo vidi, gli dissi che stavo per prendermi qualche giorno di ferie ma lui non la prese bene.
Io lo andai a salutare ma lui rimase con la testa china, mi salutò freddamenteâ.Â
Borsellino aveva chiesto a Ingroia di affiancarlo, in particolare, nella gestione di due collaboratori, Gaspare Mutolo e Leonardo Messina. âMi disse âFai andare tutti questi in ferie e ci lavoriamo noiâ.
PerchĂŠ stava andando in una procura che considerava per lâ80 per cento controllata dal procuratore Giammanco. Poi câera un gruppo sparuto chiamato in modo sprezzante i âFalconianiâ che per lui era un punto di riferimentoâ. E spiega ancora che prima della strage di via DâAmelio il giudice Paolo Borsellino aveva cambiato atteggiamento. Â
âPrima era sempre allegro ed estroverso, a differenza di Giovanni Falcone che era invece piĂš riservatoâ, dice ancora Ingroia. âRicordo un giorno mi disse nella sua stanza di non dire a nessuno di una importante collaborazione che stava per arrivare â racconta â La prima volta non mi disse neanche il nome, ma che câera un grosso pentito che si apprestava a collaborare e che a suo parere poteva fare luce su legami tra Cosa Nostra e altri ambienti.Â
Mi chiese di non dirlo neanche a Roberto Scarpinato, perchĂŠ questâultimo era uno con cui io parlavoâ.
Il riferimento è a Gaspare Mutolo.
Un altro capitolo affrontato da Ingroia è quello sullâex dirigente dei Servizi segreti, Bruno Contrada. Arrestato alla vigilia di Natale del 1992 per concorso esterno in associazione mafiosa, dopo le dichiarazioni del pentito Mutolo. âLâ1 luglio del 1992 Bruno Contrada, allora ai Servizi segreti, sapeva della collaborazione di Gaspare Mutoloâ, âche era ancora top secretâ, dice Ingroia. E racconta di averlo saputo poche ore dopo la strage. âPaolo Borsellino lâ1 luglio si recò quel giorno al Viminale dove incontrò Contrada che gli fece capire di sapere della collaborazione di Mutolo.
Per Paolo era un segnale preoccupante. PerchĂŠ allâinterno del Viminale qualcuno gli mandò a dire che Contrada non era soloâ. âPaolo lo percepĂŹ come un segnale preoccupante. Pensò che qualcuno dal ministero dellâInterno voleva fargli sapere che Contrada non era solo e câerano loro dietro di lui. Questo lo appresi da Carmelo Canale e poi da Agnese Borsellinoâ.  Poi, racconta di episodi âanche sconcertantiâ che hanno riguardato lâex Procuratore di Caltanissetta Giovanni Tinebra, âanche nei miei confrontiâ. âEbbe anche un atteggiamento intimidatorio con me in una occasioneâ. dice. âCon il passare degli anni mi sono convinto che da parte di Tinebra vi fosse da una parte una posizione di conflittualitĂ e di contrarietĂ rispetto alle iniziative che assumeva la Procura di Palermo â racconta Ingroia â e questo mi indusse fare delle pubbliche dichiarazioni in cui criticai la Procura perchĂŠ non indagava sui cosiddetti mandanti esterni della strage. Questa dichiarazione che venne pubblicata da vari organi di stampa a ridosso dellâanniversario dellâattentato, provocò una reazione di Tinebra che in una riunione alla Dna mi avvicinò e mi disse con atteggiamento intimidatorio: âQuesta te la faccio passare, ma non ti permettere piĂš di criticare quello che sto facendoââ. Â
Nei giorni successivi alla strage di via DâAmelio lâallora Procuratore capo di Caltanissetta Giovanni Tinebra chiese proprio allâallora giovane pm Antonio Ingroia di incontrarlo, data la sua vicinanza al giudice Paolo Borsellino. Â
E in quella circostanza Ingroia gli raccontò quanto appreso il giorno dellâattentato da due colleghi, Teresa Principato a Ignazio De Francisci. âDopo la strage di via DâAmelio, la domenica stessa, molti di noi pm piĂš vicini a Paolo ci spostammo negli uffici di Procura. Eravamo seduti sulla panca dei corridoi, io con i colleghi Teresa Principato e Ignazio de Francisci. e loro mi raccontarono un particolare che avevano appreso da Borsellino il giorno primaâ. âQuel giorno Paolo fece un singolare passaggio per le stanze di alcuni pm come se si stesse accomiatando da ognuno e in quella occasione gli aveva riferito che aveva appresoâ. In quel frangente i colleghi gli raccontarono di avere appreso da Borsellino che il collaboratore Gaspare Mutolo gli aveva detto, fuori verbale, di alcune rivelazioni che avrebbe fatto su uomini dello Stato, in particolare su un magistrato, Domenico Signorino (poi morto suicida ndr) e un appartenente ai Servizi segreti, Bruno Contrada. âQuesto è quanto io riferii al dottor Tinebra. Non ricordo se nello stesso frangente i colleghi mi raccontarono anche lâepisodio dellâincontro tra Borsellino e Contrada. Mutolo gli disse: âDottore si guardi le spalle perchĂŠ dentro lo Stato ci sono delle complicitĂ con Cosa nostraâ e gli fece i nomi di Signorino e Contradaâ.  E poi ricorda che quel giorno in cui incontrò Tinebra gli disse che la Procura stava indagando proprio su Contrada. Quello stesso giorno Tinebra chiamò Contrada per chiedergli di aiutarlo nelle indagini sulla strage di Via DâAmelio, come raccontato dallo stesso Contrada anche di recente, sentito dalla Commissione regionale antimafia allâArs.  Lâex falso pentito, che accusò anche lâex premier Silvio Berlusconi.âInterrogai Vincenzo Scarantino in veste di sostituto. Ci venne segnalato che aveva presunte rivelazioni da rendere a carico di Bruno Contrada, relativamente a presunte soffiate di questâultimo che avrebbero fatto sfumare operazioni di polizia, e rivelazioni sul coinvolgimento di Silvio Berlusconi su traffico di drogaâ, dice.. Quelle su Berlusconi a naso mi parvero subito inattendibili e infatti non câerano riscontri. In riferimento a quelle su Contrada câerano dei riscontri generici ma non câera nessun elemento sul fatto che Contrada poteâ.  Sempre oggi è stato sentito lâex difensore del falso pentito Vincenzo Scarantino. Santino Foresta. Ricorda, in particolare, di quando il 2 settembre del 1998, mentre era in corso lâinterrogatorio dellâallora collaboratore di giustizia Vincenzo Scarantino, âa un certo punto il pentito ritrattò tutte le dichiarazioni fatte precedentementeâ sulla strage di via DâAmelio, âdicendo di essere stato costretto a fare quelle dichiarazioniâ. âLe sue parole sconcertarono un poâ tutti. Soprattutto i magistrati â racconta â Ricordo che il pm Giordano si mise le mani nei capelliâ. Ma dopo un âpoâ, nel corso dello stesso interrogatorio ritrattò la sua stessa ritrattazione e confermò quanto detto in precedenza ai magistratiâ. Dopo essere stato recluso nel carcere di massima sicurezza di Pianosa, Scarantino decise di collaborare con gli inquirenti spiegando come venne organizzata la strage in cui morĂŹ il giudice Borsellino per cui venne condannato a 18 anni per poi accusare i poliziotti e magistrati, che lo avrebbero spinto a fare quelle accuse. Nel 1998 Scarantino ha ammesso di non avere preso parte allâattentato di via DâAmelio e di essere stato costretto dallâallora capo della squadra mobile di Palermo a confessare il falso e di aver subito maltrattamenti durante la sua detenzione nel carcere di Pianosa. Nel 2007 fu il pentito Gaspare Spatuzza a raccontare di essere stato lâautore del furto dellâauto Fiat 126 usata per lâattentato, scagionando Scarantino e dimostrando che era un falso pentito, usato per sviare le indagini sulla morte di Borsellino.  Lâavvocato Foresta, che in passato ha assistito anche altri collaboratori come Gioacchino La Barbera e Santino Di Matteo, racconta in aula che quel giorno, nel 1998, allâinterrogatorio, câerano i pm Francesco Paolo Giordano, Annamaria Palma e Carmelo Petralia. ââCosa successe nellâinterrogatorio?â, chiede lâavvocato Giuseppe Scozzola, che rappresenta la parte civile nel processo. âScarantino partĂŹ un poâ a ruota libera e cominciò allâimprovviso a ritrattare tutte le dichiarazioni fatte precedentemente â dice Foresta â queste sue parole sconcertarono un poâ tutti, ma soprattutto i magistrati che conoscevano gli atti di indagine. Diceva di avere avuto delle pressioni ma non disse da chiâ. Da parte dei pm? Chiede lâavvocato Scozzola. âNon penso proprio, i pm erano sconcertatiâ. Da parte della Polizia? gli chiede lâavvocato. âNon lo so ma certo non dai magistratiâ. âDopo un poâ nel corso dello stesso interrogatorio ritrattò la ritrattazione. â dice ancora lâavvocato Foresta -Quindi lâinterrogatorio finiâ con la conferma del primo interrogatorioâ.  Alla domanda dellâavvocato Giuseppe Seminara se dopo la ritrattazione di Scarantino âcâè una sua interlocuzione o un confronto con i magistratiâ, replica: âCi fu una pausa in cui si verbalizzò ciò che aveva detto, poi ritrattò la ritrattazione dando una spiegazione. Ma non ci fu una interlocuzione tra Scarantino e pm. Io rimasi con i magistrati e Scarantino era a quattro mesi di distanza. Non mi pare che qualcuno si sia avvicinato, lo avrei visto. Il contesto era particolareâ.  Nel corso dellâudienza è stata ascoltata anche una ex legale del falso pentito Francesco Andriotta. Che esclude âdi avere mai consegnato dei documenti, degli appunti o degli atti della dottoressa Annamaria Palma a Francesco Andriottaâ. A parlare è lâavvocata Floriana Maris. Il processo è stato rinviato al prossimo 22 dicembre. 15.12.2021 ADNKRONOS (dallâinviata Elvira Terranova)
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3.8.2024 âANTONIO INGROIA: âDopo una riunione Borsellino disse a Pignatone e Lo Forte: sul rapporto mafia e appalti non me la raccontate giustaâ
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Lâex magistrato, stretto collaboratore del giudice ucciso il 19 luglio 1992, racconta il clima allâinterno della procura di Palermo diretta da Pietro Giammanco. âLui e i suoi fedelissimi misero Borsellino in un angoloâ
ÂŤSono passati trentadue anni, ma lo ricordo come fosse ieri â dice Antonio Ingroia, allâepoca sostituto procuratore a Palermo â Al termine di una movimentata riunione nella stanza del procuratore Giammanco, Paolo Borsellino si avvicinò a Guido Lo Forte e Giuseppe Pignatone, disse: âVoi due non me la raccontate giusta sul dossier mafia e appaltiÂť.
Loro cosa risposero? ÂŤFecero un sorriso e si allontanaronoÂť.
Quando si tenne quella riunione? ÂŤGiammanco lâaveva convocata per il 14 luglio, dopo le polemiche seguite alla pubblicazione di stralci del diario di Falcone, in cui si parlava della difficoltĂ di lavorare alla procura di PalermoÂť.
Che cosa si disse in quellâincontro? ÂŤSi fece il punto su diverse indagini, ma su quella riunione ho ricordi sbiaditi. La collega Antonella Consiglio raccontò qualche settimana dopo al Csm che Borsellino espresse un certo dissenso: lamentava che alcuni atti della procura di Marsala non erano stati acquisiti nel fascicolo su Angelo SiinoÂť.
Anche a Marsala vi eravate occupati di mafia e appalti? ÂŤDopo aver ricevuto il rapporto del Ros, Giammanco aveva fatto una sorta di spezzatino, inviandoci uno stralcio che riguardava il porto di Pantelleria. Il procuratore Borsellino aveva incaricato me di occuparmene, arrivammo ad arrestare il sindaco. Ricordo pure che eravamo stati a Palermo per parlare di alcuni aspetti dellâindagine con GiammancoÂť.
Quando avvenne? Paolo era ancora il procuratore di Marsala, erano i giorni in cui stava meditando di fare domanda per ricoprire la funzione di procuratore aggiunto a Palermo, incarico che poi iniziò nel settembre 1991.
Cosa accadde in questâaltra riunione con Giammanco? ÂŤRicordo che nella stanza câerano i colleghi Lo Forte e Pignatone, i piĂš fedeli collaboratori di Giammanco. Parlammo dello stralcio di mafia e appalti che ci avevano inviato, ma Paolo lanciò anche una battuta a Giammanco: âSe faccio domanda a Palermo come procuratore aggiunto mi metti a occuparmi di esecuzioni in un sottoscala?â. Giammanco sorrise, disse che gli avrebbe dato la delega a seguire le indagini di mafia su Trapani e Agrigento. Tornando a Marsala, Paolo mi disse: âQuesti qui cercheranno di mettermi in un angoloâ. Ma fece comunque domanda per PalermoÂť.
Aveva visto giusto Borsellino, si trovò presto isolato allâinterno della procura di Giammanco. ÂŤDopo il delitto Lima, Falcone e Borsellino compresero che era accaduta una cosa epocale. Borsellino voleva indagare sulle dinamiche mafiose di Palermo e anche sullâomicidio dellâeuroparlamentare Dc, ma Giammancoglielo negò. Borsellino voleva anche andare negli Stati Uniti per interrogare Buscetta: pure questo Giammanco impedĂŹ. Il procuratore arrivò a nascondergli la notizia del pentimento di Gaspare MutoloÂť.
Inizialmente, chi era stato incaricato di interrogare quel collaboratore cosĂŹ importante? ÂŤAliquò, Lo Forte e anche Natoli, che allâepoca era vicino agli uomini di Giammanco, pure avendo trascorso un periodo importante allâufficio istruzione di Falcone e BorsellinoÂť.
In quello che abbiamo dei diari di Falcone, ci sono molti riferimenti allâisolamento allâinterno della procura di Giammanco. Cosa le disse Paolo Borsellino al proposito? ÂŤPaolo era convinto che dietro ogni annotazione potesse nascondersi uno spunto importante per comprendere la causale della strage di Capaci. Per questo voleva indagare a fondo su ogni spuntoÂť.
Sono trascorsi trentadue anni, i reati contestati dalla procura di Caltanissetta sono tutti prescritti, è il segno che una veritĂ processuale su quella stagione non potrĂ mai piĂš esserci? ÂŤUna veritĂ processuale forse non potrĂ esserci, è vero, ma sono doverosi gli approfondimenti che la magistratura continua a fare su un periodo storico ancora carico di misteri.  Certo, per questo tipo di ricerche, forse la sede piĂš adeguata dovrebbe essere quella di una commissione parlamentare dâinchiesta, ma nel nostro paese i veti incrociati della politica e le contrapposte âtifoserieâ hanno sempre bloccato il lavoro delle commissioni.  Dunque, ben vengano le indagini della magistratura. E mi aspetterei che ci fosse collaborazione da parte di tuttiÂť.
A chi si riferisce? ÂŤMi ha colpito il silenzio di Natoli e Pignatone quando sono stati convocati per lâinterrogatorio. Ovviamente, era un loro diritto tacere, ma quando ad essere interrogati sono personaggi pubblici, questi dovrebbero rendere conto alla collettivitĂ .  CosĂŹ, ci siamo ritrovati a criticare Silvio Berlusconi, quando si è avvalso della facoltĂ di non rispondere al processo DellâUtri. Â
Certi silenzi agli occhi dei cittadini appaiono ancor piĂš pesantiÂť.â di Salvo Palazzolo 3.8.2024 La RepubblicaÂ
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5.8.2024 – ANTONIO INGOIA: âBorsellino perseguitato dalle vipere della Procuraâ
Ingroia, ex pm che collaborò con il giudice ucciso nellâattentato, dialoga con Affari sui rapporti âtesiâ tra i magistrati di Palermo
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Rischiavano di passare in sordina le audizioni della figlia di Paolo Borsellino, Lucia, e di suo marito, lâavvocato Fabio Trizzino, nella Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali straniere. Audizioni che, tuttavia, si sono rivelate dirompenti in particolare per alcune dichiarazioni di Trizzino: il legale dei figli del magistrato antimafia ucciso nellâattentato di via dâAmelio, nel ricostruire i mesi antecedenti la strage del luglio 1992, ha riportato alcune frasi che avrebbe pronunciato Paolo Borsellino prima della sua morte: âDefinĂŹ il suo ufficio un nido di vipereâ.Â
Parole inquietanti, che si sono aggiunte a quelle riportate dalla figlia Lucia: âSaranno i miei colleghi a volere la mia morteâ, e che hanno gettato una nuova luce su uno dei pezzi di storia piĂš intricati e per molti versi ancora avvolti dal mistero del nostro Paese.
Molti gli episodi e i nomi richiamati, tra i quali quello di Roberto Scarpinato, presente durante le audizioni in quanto oggi senatore â prima magistrato. Ma anche quello di Antonio Ingroia, ex magistrato del pool antimafia di Palermo, che lavorò al fianco di Paolo Borsellino proprio negli anni prima delle stragi.
Affaritaliani.it ha parlato proprio con Ingroia, per cercare di arricchire la storia dei frammenti di veritĂ ancora mancanti.
Ă vero che Paolo Borsellino aveva definito la procura di Palermo un ânido di vipereâ? E perchè?
Si tratta di giudizi e valutazioni che fece il dott. Borsellino e che comunicò anche a me. Sicuramente è vero, era un ânido di vipereâ dove il clima era veramente teso. Ă certo che Paolo Borsellino si fidava davvero di pochi magistrati lĂŹ dentro, e aveva ragione. Tanto che piĂš di una volta mi è capitato, mentre parlavamo e mi stava raccontando qualcosa di riservato, che lui interrompesse bruscamente la conversazione.
In particolare câera una forte ostilitĂ con il procuratore capo Pietro Giammanco
Borsellino non si fidava soprattutto di Giammanco, è vero. Anche perchĂŠ questâultimo aveva sempre osteggiato prima Falcone e poi Borsellino stesso nelle loro indagini. Io fui tra i primi a denunciare al Csm nellâagosto del 1992, in alcune audizioni, la condotta di Giammanco. Contestazioni che determinarono lâapertura di un procedimento del Csm sulla Procura di Palermo, proprio allâindomani della strage di via dâAmelio. Alcuni di noi (magistrati, ndr) sottoscrissero un documento di contestazione (che passò agli onori della cronaca come il âdocumento degli 8 ribelliâ) nei confronti di Giammanco, ritenendo che non fosse una guida autorevole a capo della Procura dopo i due lutti terribili.
Il Csm aprĂŹ unâinchiesta, e per un periodo rischiammo di essere sottoposti noi a procedimento disciplinare perchĂŠ avevamo osato denunciare queste cose ribellandoci al capo ufficio ⌠. Il Csm si è spaccato, ma la posizione di Giammanco era insostenibile â tanto che lui sparĂŹ dallâufficio in quei giorni. Alla fine qualcuno consigliò a Giammanco di ritirarsi, e lui chiese il trasferimento in Corte di Cassazione. Da quel momento non si è mai piĂš sentito parlare di lui.
Lâavvocato Trizzino ha parlato di âcose terribiliâ che Borsellino aveva scoperto su Giammanco. Lei sa di cosa si tratta?
Ci sono diverse questioni da affrontare. Una, per esempio, che riguarda lâomicidio dellâallora onorevole Salvo Lima (politico siciliano noto per i rapporti che ebbe con Cosa nostra, ndr).
Borsellino in quelle settimane acquisĂŹ informazioni sui rapporti anche politici che Giammanco aveva con certi ambienti, vicini proprio allâon. Salvo Lima. Una volta parlando con me â non ricordo lâespressione precisa â disse: âGiammanco è un uomo di Limaâ. Quindi lo riteneva sostanzialmente un magistrato colluso.
Lo stesso maresciallo Carmelo Canale, che era un suo stretto collaboratore come me fin dai tempi di Marsala, dichiarò in un mio processo che Borsellino gli aveva detto: âPrima o poi farò mettere le manette a Giammancoâ.
Al centro delle audizioni di Trizzino câè anche lâindagine che Borsellino stava compiendo relativamente al rapporto Ros âmafia e appaltiâ. Anche in questo câentrava Giammanco?
Le indagini di Borsellino trovano origine nelle ritrovate annotazioni di Giovanni Falcone, diari in parte pubblicati (rimane il mistero mai accertato sino in fondo della parziale cancellazione della sua agenda) in cui si parlava del rapporto Ros mafia-appalti.
Siccome Borsellino â e lo disse a me â sapeva che Falcone non era solito a tenere diari, si sorprese e mi disse: âse ne ha lasciati vuol dire che gli appunti sono importanti, voglio approfondire la cosaâ. Va detto che nel 1991, prima di trasferirsi a Palermo, io e Borsellino â da Marsala â ricevemmo dalla procura di Palermo uno stralcio del rapporto che riguardava alcuni appalti del territorio, tra cui quello relativo al porto di Pantelleria, il cui sindaco feci arrestare. E giĂ allâepoca arrivarono notizie dai Carabinieri che alla Procura di Palermo stavano cercando di insabbiare questo rapporto, Giammanco in particolare. E proprio per âuccidere lâindagineâ lâavevano sparpagliata in tutte le procure siciliane.
GiĂ Borsellino, quindi, aveva un campanello dâallarme, e da Falcone sapeva che giĂ lui aveva incontrato delle difficoltĂ . Da qui lâintenzione di vederci chiaro. E dal momento che non si fidava di tanti magistrati allâinterno della procura di Palermo volle capire come stavano le cose.
Anche per questo organizzò un incontro segreto con lâallora colonnello Mori e il capitano De Donno. Può dirci di piĂš in merito?
Quello che io so, perchĂŠ il contenuto esatto dellâincontro non è noto, lâho riferito a suo tempo alla magistratura di Caltanissetta (che non fece nulla, anzi il procuratore Tinebra poi si rivelò avere contribuito a depistare le indagini su Borsellino, benchĂŠ conoscesse le dichiarazioni su Giammanco).
SĂŹ, io credo che sia anche in questo contesto che si può collocare lâincontro con Mori e De Donno, ma non è lâunico incontro. Ne fece uno anche con lâallora procuratore (oggi senatore) Scarpinato, organizzato da me. âVoglio vederci chiaro â mi disse Paolo â Siccome tu ti fidi di Scarpinato, organizzami un incontroâ. Presero accordi, nessuno dei due mi raccontò dellâincontro, ma immagino che Scarpinato gli abbia esposto come la pensava. E desumo che lo stesso sia accaduto con Mori e De Donno. Bisogna precisare che Borsellino â a dispetto di quanto si dice ancora â non si fidava di tutti Carabinieri. Si fidava solo di alcuni Carabinieri che conosceva bene, tra cui lâallora maresciallo Canale. Per questo suppongo che, come era stato per me, chiese a Canale di fungere da intermediario con i due.
Altrettanto sicuramente posso dire che in quello stesso periodo vi fu una famosa riunione della Dda nella quale emerse come la questione del rapporto Ros âMafia e appaltiâ non lo convincesse. Tanto che Borsellino, incrociando uno dei magistrati piĂš vicini a Giammanco poco dopo la riunione, gli disse âVoi non me la raccontate giustaâ. Ma ancora non aveva scoperto molto, stava approfondendo.
Ingroia, non è che â forse â sono le stesse âcose terribiliâ scoperte e su cui stava indagando che hanno portato alla morte di Falcone prima e Borsellino poi?
Che Giammanco abbia cercato di ostacolare Falcone prima e poi Borsellino non câè dubbio. Che le ragioni fossero collegate certamente ad ambienti magari non mafiosi, ma sicuramente politico-affaristici di quel nucleo su quale Falcone e Borsellino volevano indagare, e poi abbiamo provato a indagare noi, è altrettanto certo. Ma da qui a dire che câè un diretto coinvolgimento di Giammanco o di altri magistrati nelle due stragi⌠. Ă chiaro che se Giammanco ostacolava intenzionalmente Borsellino nellâinteresse di altri, comunicava questi altri quello che succedeva in Procura, quello che aveva scoperto Borsellino⌠.
Ma magari fosse cosĂŹ semplice. Io penso che non ci sia stata una sola causa per la strage di via DâAmelio, ma piĂš cause che si sono sommate. Non penso però che lâordine sia arrivato dalla Procura di Palermo.
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TESTO
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10.8.2024 – INGROIA:âPignatone? Magistrato antitetico a Falcone e Borsellino. Implacabile con i deboli, indulgente con i fortiâ

Lâex membro del Csm indagato per favoreggiamento alla mafia. Parla lâex magistrato Antonio Ingroia
Per ora è solo unâindagine, ma lâaccusa mossa dalla Procura di Caltanissetta allâex procuratore Giusppe Pignatone è gravissima: favoreggiamento alla mafia.
LâattivitĂ ruota attorno a unâindagine collegata aperta a Palermo nel 1991, su input della procura di Massa-Carrara, relativa alle infiltrazioni di Cosa nostra nelle cave di marmo in Toscana. Di quel fascicolo il collega Gioacchino Natoli chiese e ottenne lâarchiviazione alla fine del giugno del 1992. Tra i principali indagati câerano Nino e Salvatore Buscemi, imprenditori mafiosi vicini al capo dei capi Totò Riina, poi divenuti soci del gruppo Ferruzzi. Secondo lâaccusa, Natoli, Giammanco e Screpanti avrebbero aiutato i sospettati a âeludere le investigazioniâ, svolgendo âunâindagine apparenteâ e in particolare chiedendo âlâautorizzazione a disporre attivitĂ di intercettazione telefonica per un brevissimo lasso temporaleâ, per cui non sarebbero state âtrascritte conversazioni particolarmente rilevanti, da considerarsi vere e proprie autonome notizie di reatoâ. Insomma, un vero e proprio favoreggiamento nei confronti di quella mafia che Pignatone, nel corso della sua lunga carriera dalla Calabria a Roma, ha perseguito. Come mai, allora, il nome dellâattuale presidente del Tribunale vaticano viene accostato ai Buscemi? E che cosa câentra questa indagine con il dossier Ros âmafia-appaltiâ, che ancora una volta viene riportato in auge per far luce sulle stragi del 1992? Il primo a parlarne, nel settembre del 2023 davanti alla Commissione Antimafia, è stato lâavvocato Fabio Trizzino, marito di Lucia Borsellino, mentre tanti protagonisti vicini a quelle vicende hanno scelto il silenzio, pensiamo al generale Mario Mori, al colonnello Giuseppe De Donno.
Affaritaliani.it ne ha parlato con Antonio Ingroia, ex magistrato del pool antimafia di Palermo, che lavorò al fianco di Paolo Borsellino proprio negli anni prima delle stragi, e che conosce molto bene Pignatone.
Avvocato, Pignatone si è dichiarato innocente di fronte allâaccusa di favoreggiamento Ă un suo diritto, e del resto non abbiamo bene contezza degli elementi in possesso della Procura di Caltanissetta, che si incentra esclusivamente sullâintreccio tra la mafia e lâimprenditore Ferruzzi. Ă bene precisare, infatti, che questa vicenda è diversa dal dossier Mafia-appalti dei Ros, anche se ne costituisce un filone, e Pignatone è il nome in comune tra le due vicende.
Ma Lei che lo conosce unâopinione se la sarĂ fatta⌠Quello che posso dire è ciò che in tempi non sospetti ho sempre dichiarato: Giuseppe Pignatone ha incarnato un modello di magistrato antitetico rispetto a quello trasmesso da Falcone e Borsellino nella valutazione della rilevanza penale delle condotte. Questo nonostante per la sua preparazione tecnica e investigativa sia stato uno dei migliori.
In che senso? Falcone e Borsellino erano uomini, e magistrati, autonomi e indipendenti fino allâisolamento a difesa delle loro idee. Pignatone, invece, interpretava il ruolo di magistrato secondo principi di compatibilitĂ rispetto al sistema, alla politica. Non esagero quando dico che è stato un magistrato che ha incarnato il modello del doppio-pesismo: implacabile con i piĂš deboli della mafia militare e indulgente con i potenti (soprattutto nella valutazione delle relazioni esterne della mafia con il mondo dellâimprenditoria e della politica).
Mi fa un esempio? Per esempio quando rivendicò che non erano censurabili le condotte di certi parlamentari regionali perchĂŠ rispetto alle scienze politiche la magistratura deve âfare un passo indietroâ.
Ora Pignatone è presidente del Tribunale Vaticano. Cosa ne pensa? Che vista la situazione si dovrebbe porre qualche imbarazzo, almeno per ragioni di opportunità , nei piani alti del Vaticano.  GiovedÏ, 1 agosto 2024 AFFARI ITALIANI
ANTONIO INGROIA
IL RAPPORTO MAFIA APPALTI E LâELIMINAZIONE DEL DOTTOR BORSELLINO
COMMISSIONE ANTIMAFIA REGIONE SICILIA
- VIA DâAMELIO â RELAZIONE FINALE E AUDIZIONI





