19.11.2021 – TRIZZINO: “Lo Forte nascose a Borsellino l’archiviazione dossier mafia-appalti”

IL DOSSIER “MAFIA E APPALTI” E L’UCCISIONE DEL DOTTOR BORSELLINO

 

Borsellino, la famiglia denuncia: «Pm Lo Forte gli nascose archiviazione dossier mafia-appalti» 

 

La denuncia arriva nell’aula B del Tribunale di Caltanissetta, dove si celebra il processo sul depistaggio sulla strage di Via D’Amelio, dall’avvocato Fabio Trizzino, legale di parte civile della famiglia Borsellino, ma anche marito di Lucia, la figlia maggiore del giudice ucciso nell’attentato del 19 luglio del 1992  Cinque giorni prima della strage di Via D’Amelio, il giudice Paolo Borsellino partecipò a un incontro alla Procura di Palermo. In quell’occasione si parlò anche dell’inchiesta “mafia e appalti” di cui il magistrato si era occupato a lungo.
“Ma in quell’incontro il pm Guido Lo Forte nascose al giudice di avere firmato, appena il giorno prima, l’archiviazione dell’inchiesta”.
La denuncia arriva nell’aula B del Tribunale di Caltanissetta, dove si celebra il processo sul depistaggio sulla strage di Via D’Amelio, dall’avvocato Fabio Trizzino, legale di parte civile della famiglia Borsellino, ma anche marito di Lucia Borsellino, la figlia maggiore del giudice ucciso nell’attentato del 19 luglio del 1992.
Trizzino si è detto contrario alla richiesta della difesa dei poliziotti Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, imputati insieme con un altro poliziotto, Mario Bo, di calunnia aggravata, di sentire in aula, i giudici Roberto Scarpinato, Guido Lo Forte e Giuseppe Pignatone. Proprio sull’inchiesta mafia e appalti. Dunque, il dossier torna prepotentemente nel processo.
Come era già accaduto negli altri cinque dibattimenti dedicati alle stragi mafiose del 1992. “Così come è stata formulata, la richiesta è inaccettabile, dal mio punto di vista – dice l’avvocato Fabio Trizzino -. Perché questa è un tema alla mia famiglia carissimo, ma non è questa la sede per sviluppare una eventuale rilettura.
Se c’è la volontà di sviluppare il tema mafia e appalti, basta prestare il consenso ad acquisire due atti”. E aggiunge: “Parlo dell’ordinanza di archiviazione del giudice Lo Forte (su mafia e appalti ndr) e la richiesta mandanti occulti bis”. “Se mi si dice che vogliamo capire il perché in quella riunione si tace a Borsellino la richiesta di archiviazione, questo allora limita la circostanza – dice l’avvocato Trizzino – ma se dobbiamo fare il processo ‘mafia e appaltì qui, francamente, non ha senso”. Alla fine, in chiusura di udienza, dopo una breve camera di consiglio, il Tribunale respinge la richiesta di revoca avanzata dalla difesa di parte civile, ma anche dalla Procura, rappresentata in aula dai pm Maurizio Bonaccorso e Stefano Luciani, e conferma le testimonianze del procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, dell’ex Procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e dell’ex Procuratore di Messina Guido Lo Forte.
La deposizione dei tre è prevista per la prossima udienza, il prossimo 26 novembre.    Sempre sollecitato dall’avvocato Panepinto, Li Gotti, ha detto di non avere “mai assistito a suggerimenti di risposte a Scarantino, anche perché, per mia prassi deontologica, non avrei firmato il verbale”.
Secondo la Procura, invece, Scarantino sarebbe stato indottrinato durante gli interrogatori per accusare falsamente delle persone. Lo stesso ex collaboratore, oggi fuori dal programma di protezione, in diversi interrogatori Scarantino ha raccontato di avere subito “torture” e “maltrattamenti” nel carcere di Pianosa.
“Nel carcere, su di me – ha raccontato Scarantino – avevano carta bianca e potevano fare, m’ammazzavano, mi mettevano nu cungelaturi, poi mi scioglievano” e poi ha aggiunto che “mi facevano le punture che io pareu u zombi, quannu camminavu avevu persu ogni minimo di dignità, aveva persu tutta a dignità che un essere umano poteva aviri, non avea nessuna cosa”. In una delle recenti udienze, uno degli imputati, Fabrizio Mattei, ha ribadito con forza, fino quasi a gridarlo tra le lacrime, “di non avere mai indottrinato” l’ex pentito Vincenzo Scarantino prima degli interrogatori. Di non avere “mai dato” all’ex picciotto della Guadagna “dei suggerimenti” o “di avere scritto appunti sui verbali”. E di “non avere mai indagato sulla strage di Via D’Amelio”. Li Gotti ricorda ancora come in quel periodo ci “fosse un clima generale di perplessità sulle dichiarazioni di Vincenzo Scarantino, era un fatto reale. C’erano molte perplessità. Non vidi soddisfazione per questa svolta per la strage di via D’Amelio. Che era ciò che anche io stavo vivendo. Perplessità dimostrate reiteratamente”. E racconta un aneddoto: “Nel viaggio di ritorno dal carcere di Pianosa, sull’elicottero, a parte il rumore, perché bisognava parlare con le cuffie, c’era molta stanchezza e quindi non si parlò affatto.
A Ilda Boccassini e al dottore Petralia non parlai dell’interrogatorio e non furono fatte osservazioni”. E poi ha sottolineato che anche il collaboratore di giustizia Francesco Marino Mannoia, parlando di Vincenzo Scarantino, aveva sostenuto che Scarantino “non era un ‘picciottò di Cosa nostra, che non era un uomo d’onore”. “Ricordo che disse: ‘Lo conosco, lo mandavamo a comprare le sigarettè, e ricordo che queste sue dichiarazioni non colsero di sorpresa nessuno. Nessuno”.
Nel 1995 la Procura di Caltanissetta sottopose Scarantino a un confronto con il collaboratore Marino Mannoia. Già allora Mannoia aveva concluso, e riferito agli inquirenti, rafforzando quanto detto da altri collaboratori, che il “picciotto della Guadagna” non era un mafioso. Il processo è stato rinviato al prossimo 26 novembre per sentire i giudici Scarpinato, Lo Forte e Pignatone. 
L’avvocato Trizzino ha chiesto, quindi, nell’udienza di oggi, “l’acquisizione del documento in cui i giudici Francesco Messineo, Renato Di Natale, Francesco Paolo Giordano danno conto e ragione di tutte le vicende che hanno riguardato le indagini fatte a Caltanissetta in relazione alla gestione del dossier mafia e appalti”. “Inoltre le vicende connesse a ‘mafia e appaltì sono state di una complessità tale che per riuscire a barcamenarsi… altro che un semplice esame – dice il legale – bisognerebbe aprire un processo a parte”.
“Di processi sulla strage di via D’Amelio ne sono stati fatti cinque. E sembra quasi che l’importanza del filone mafia e appalti non sia mai stato sviscerato nei precedenti procedimenti, ma non è cosi. Nella sentenza del processo ‘Borsellino ter’, cui si richiama la sentenza quater, da un ampio spaccato dell’importanza ai fini del movente dell’eventuale accelerazione della strage di via D’Amelio”.”Questo tema di prove è come un oceano che si apre di fronte a noi – dice ancora l’avvocato Fabio Trizzino – Anche queste parti civili, che vorrebbero approfondito questo aspetto, ma riteniamo che ci siano due avvenimenti che dovrebbero portare a una rilettura di quegli avvenimenti, ma non in questa sede. E sto parlando delle dichiarazioni tardive di Massimo Russo e Alessandra Camassa in cui Borsellino definì il suo ufficio un “nido di vipere”. 
 “Il secondo elemento di novità è la desecretazione degli atti del Csm al seguito dei quali vennero sentiti i pm che si ribellarono al Procuratore Giammanco che ci parlarono di una riunione in cui Borsellino chiese a Guido Lo Forte degli approfondimenti e Lo Forte gli nascose che il 13 aveva firmato una archiviazione”. Oggi era anche prevista la deposizione dell’ex Procuratore aggiunto Antonio Ingroia, ma ha fatto sapere di essere all’estero fino al prossimo 10 dicembre, e dunque, è saltata la sua audizione, chiesta dalla Procura di Palermo. E’, invece, venuto l’avvocato Luigi Li Gotti, il primo legale del falso pentito Vincenzo Scarantino. Rispondendo alle domande dell’avvocato Giuseppe Panepinto, che difende il poliziotto Mario Bo, ha ripercorso i due interrogatori dell’ex picciotto della Guadagna che ha accusato falsamente diverse persone della strage di via D’Amelio, tutte condannate all’ergastolo, salvo poi ritrattare. “Ricordo che Vincenzo Scarantino era un fiume in piena durante gli interrogatori, parlava ad una velocità incredibile e senza pause, non c’erano quasi domande. Erano pochissime”, ha detto Li Gotti.
Era il giugno del 1994. E durante una pausa caffè, Scarantino disse al suo legale, che ha difeso Scarantino per soli tre mesi che lo Stato gli avrebbe promesso la somma di 400 milioni di vecchie lire. “Mi disse anche che gli fu promesso che sarebbe uscito dal carcere – racconta Li Gotti – e io, con molta pazienza, esaurii il mio dovere e dissi a Scarantino che erano tutte frottole, perché ciò che poteva avere dallo Stato era previsto dalla legge e che si scordasse la promessa di 400 milioni di lire. E gli spiegai degli altri collaboratori, sia sul trattamento sanzionatorio”. Li Gotti ha anche ricordato che in quel periodo, nel 1994, il periodo del dopo stragi, “c’era diffidenza sui legali che difendevano i collaboratori di giustizia. “Durò solo sei mesi la difesa di Scarantino. Nell’autunno del 1994 Li Gotti abbandonò la difesa del falso pentito. 
Ma cosa accadde in quella riunione del 14 luglio del 1992, cioè cinque giorni prima della strage di Via D’Amelio, di cui parla l’avvocato della famiglia Borsellino? Era un briefing dei magistrati della Procura di Palermo, e in quella occasione Paolo Borsellino chiese notizie sull’inchiesta. Dalle successive dichiarazioni al Csm da parte dei magistrati presenti a quella riunione, emerse che nessuno disse a Borsellino che era già stata firmata la proposta dell’archiviazione. E Guido Lo Forte, che la firmò, era tra i presenti. Raggiunto al telefono dall’Adnkronos, per una replica, l’ex magistrato, oggi in pensione, si limita a dire: “Dovendo parlare di questo argomento al processo, come ho appreso, preferisco non dire nulla, al momento. Lo farò in aula”. Anche se ha aggiunto: “Fino a questo momento, a dire il vero, non ho ancora ricevuto alcuna citazione…”. 
L’indagine ‘mafia e appaltì fu fortemente voluta da Giovanni Falcone, e poi ripresa da Borsellino, e riguardava le connessioni tra politici, imprenditori e mafiosi. L’inchiesta fu condotta, tra la fine degli anni ’80 e il 1992, dai carabinieri del Ros guidati dall’allora colonnello Mario Mori e dal capitano Giuseppe De Donno. Entrambi sono stati assolti di recente, in appello, nel processo sulla trattativa Stato-Mafia di Palermo. Dall’indagine emerse, per la prima volta, l’esistenza di un comitato d’affari, gestito dalla mafia e con profondi legami con esponenti della politica e dell’imprenditoria di rilievo nazionale, per la spartizione degli appalti pubblici in Sicilia”. “La testimonianza di Scarpinato non è rilevante – ha continuato il legale dei Borsellino- perché non presente alla riunione, mentre Pignatone non era più titolare, a quel tempo, del fascicolo.
Sono elementi che vanno riletti per approfondire, non in questa sede, ma in altre sedi, il comportamento di questi magistrati. Dunque, per me, così come è stata formulata la richiesta, dal mio punto di vista è inaccettabile”. Richiesta respinta. LA SICILIA 19.11.2021


Legale famiglia Borsellino: “Lo Forte gli nascose archiviazione dossier mafia-appalti” 

 

 (dall’inviata Elvira Terranova) – Cinque giorni prima della strage di Via D’Amelio, il giudice Paolo Borsellino partecipò a un incontro alla Procura di Palermo. In quell’occasione si parlò anche dell’inchiesta ‘mafia e appalti’, di cui il magistrato si era occupato a lungo. “Ma in quell’incontro il pm Guido Lo Forte nascose al giudice di avere firmato, appena il giorno prima, l’archiviazione dell’inchiesta”. La denuncia arriva nell’aula B del Tribunale di Caltanissetta, dove si celebra il processo sul depistaggio sulla strage di Via D’Amelio, dall’avvocato Fabio Trizzino, legale di parte civile della famiglia Borsellino, ma anche marito di Lucia Borsellino, la figlia maggiore del giudice ucciso nell’attentato del 19 luglio del 1992. Trizzino si è detto contrario alla richiesta della difesa dei poliziotti Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, imputati insieme con un altro poliziotto, Mario Bo, di calunnia aggravata, di sentire in aula, i giudici Roberto Scarpinato, Guido Lo Forte e Giuseppe Pignatone. Proprio sull’inchiesta mafia e appalti. Dunque, il dossier torna prepotentemente nel processo. Come era già accaduto negli altri cinque dibattimenti dedicati alle stragi mafiose del 1992.  “Così come è stata formulata, la richiesta è inaccettabile, dal mio punto di vista – dice l’avvocato Fabio Trizzino – Perché questa è un tema alla mia famiglia carissimo, ma non è questa la sede per sviluppare una eventuale rilettura. Se c’è la volontà di sviluppare il tema mafia e appalti, basta prestare il consenso ad acquisire due atti”. E aggiunge: “Parlo dell’ordinanza di archiviazione del giudice Lo Forte (su mafia e appalti ndr) e la richiesta mandanti occulti bis”. “Se mi si dice che vogliamo capire il perché in quella riunione si tace a Borsellino la richiesta di archiviazione, questo allora limita la circostanza – dice l’avvocato Trizzino – ma se dobbiamo fare il processo ‘mafia e appalti’ qui, francamente, non ha senso”. Alla fine, in chiusura di udienza, dopo una breve camera di consiglio, il Tribunale respinge la richiesta di revoca avanzata dalla difesa di parte civile, ma anche dalla Procura, rappresentata in aula dai pm Maurizio Bonaccorso e Stefano Luciani, e conferma le testimonianze del procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, dell’ex Procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e dell’ex Procuratore di Messina Guido Lo Forte. La deposizione dei tre è prevista per la prossima udienza, il prossimo 26 novembre.

La replica dell’ex magistrato in pensione: ‘Ne parlerò in aula, anche se non ho ricevuto ancora la citazione’  Ma cosa accadde in quella riunione del 14 luglio del 1992, cioè cinque giorni prima della strage di Via D’Amelio, di cui parla l’avvocato della famiglia Borsellino? Era un briefing dei magistrati della Procura di Palermo, e in quella occasione Paolo Borsellino chiese notizie sull’inchiesta. Dalle successive dichiarazioni al Csm da parte dei magistrati presenti a quella riunione, emerse che nessuno disse a Borsellino che era già stata firmata la proposta dell’archiviazione. E Guido Lo Forte, che la firmò, era tra i presenti. Raggiunto al telefono dall’Adnkronos, per una replica, l’ex magistrato, oggi in pensione, si limita a dire: “Dovendo parlare di questo argomento al processo, come ho appreso, preferisco non dire nulla, al momento. Lo farò in aula”. Anche se ha aggiunto: “Fino a questo momento, a dire il vero, non ho ancora ricevuto alcuna citazione…”.

L’indagine ‘mafia e appalti’ fu fortemente voluta da Giovanni Falcone, e poi ripresa da Borsellino, e riguardava le connessioni tra politici, imprenditori e mafiosi. L’inchiesta fu condotta, tra la fine degli anni ’80 e il 1992, dai carabinieri del Ros guidati dall’allora colonnello Mario Mori e dal capitano Giuseppe De Donno. Entrambi sono stati assolti di recente, in appello, nel processo sulla trattativa Stato-Mafia di Palermo. Dall’indagine emerse, per la prima volta, l’esistenza di un comitato d’affari, gestito dalla mafia e con profondi legami con esponenti della politica e dell’imprenditoria di rilievo nazionale, per la spartizione degli appalti pubblici in Sicilia”. “La testimonianza di Scarpinato non e’ rilevante – ha continuato il legale dei Borsellino- perché non presente alla riunione, mentre Pignatone non era più titolare, a quel tempo, del fascicolo. Sono elementi che vanno riletti per approfondire, non in questa sede, ma in altre sedi, il comportamento di questi magistrati. Dunque, per me, così come è stata formulata la richiesta, dal mio punto di vista è inaccettabile”. Richiesta respinta.

L’avvocato Trizzino ‘Su questa inchiesta bisognerebbe aprire un processo a parte’  L’avvocato Trizzino ha chiesto, quindi, nell’udienza di oggi, “l’acquisizione del documento in cui i giudici Francesco Messineo, Renato Di Natale, Francesco Paolo Giordano danno conto e ragione di tutte le vicende che hanno riguardato le indagini fatte a Caltanissetta in relazione alla gestione del dossier mafia e appalti”. “Inoltre le vicende connesse a ‘mafia e appalti’ sono state di una complessità tale che per riuscire a barcamenarsi… altro che un semplice esame – dice il legale – bisognerebbe aprire un processo a parte”. “Di processi sulla strage di via D’Amelio ne sono stati fatti cinque. E sembra quasi che l’importanza del filone mafia e appalti non sia mai stato sviscerato nei precedenti procedimenti, ma non è cosi. Nella sentenza del processo ‘Borsellino ter’, cui si richiama la sentenza quater, da un ampio spaccato dell’importanza ai fini del movente dell’eventuale accelerazione della strage di via D’Amelio”.”Questo tema di prove è come un oceano che si apre di fronte a noi – dice ancora l’avvocato Fabio Trizzino – Anche queste parti civili, che vorrebbero approfondito questo aspetto, ma riteniamo che ci siano due avvenimenti che dovrebbero portare a una rilettura di quegli avvenimenti, ma non in questa sede. E sto parlando delle dichiarazioni tardive di Massimo Russo e Alessandra Camassa in cui Borsellino definì il suo ufficio un ‘nido di vipere'”.

“Il secondo elemento di novità è la desecretazione degli atti del Csm al seguito dei quali vennero sentiti i pm che si ribellarono al Procuratore Giammanco che ci parlarono di una riunione in cui Borsellino chiese a Guido Lo Forte degli approfondimenti e Lo Forte gli nascose che il 13 aveva firmato una archiviazione”. Oggi era anche prevista la deposizione dell’ex Procuratore aggiunto Antonio Ingroia, ma ha fatto sapere di essere all’estero fino al prossimo 10 dicembre, e dunque, è saltata la sua audizione, chiesta dalla Procura di Palermo. E’, invece, venuto l’avvocato Luigi Li Gotti, il primo legale del falso pentito Vincenzo Scarantino. Rispondendo alle domande dell’avvocato Giuseppe Panepinto, che difende il poliziotto Mario Bo, ha ripercorso i due interrogatori dell’ex picciotto della Guadagna che ha accusato falsamente diverse persone della strage di via D’Amelio, tutte condannate all’ergastolo, salvo poi ritrattare.

“Ricordo che Vincenzo Scarantino era un fiume in piena durante gli interrogatori, parlava ad una velocità incredibile e senza pause, non c’erano quasi domande. Erano pochissime”, ha detto Li Gotti. Era il giugno del 1994. E durante una pausa caffè, Scarantino disse al suo legale, che ha difeso Scarantino per soli tre mesi che lo Stato gli avrebbe promesso la somma di 400 milioni di vecchie lire. “Mi disse anche che gli fu promesso che sarebbe uscito dal carcere – racconta Li Gotti – e io, con molta pazienza, esaurii il mio dovere e dissi a Scarantino che erano tutte frottole, perché ciò che poteva avere dallo Stato era previsto dalla legge e che si scordasse la promessa di 400 milioni di lire. E gli spiegai degli altri collaboratori, sia sul trattamento sanzionatorio”. Li Gotti ha anche ricordato che in quel periodo, nel 1994, il periodo del dopo stragi, “c’era diffidenza sui legali che difendevano i collaboratori di giustizia. “Durò solo sei mesi la difesa di Scarantino. Nell’autunno del 1994 Li Gotti abbandonò la difesa del falso pentito.

L’ex collaboratore Scarantino ha sempre denunciato torture a Pianosa  Sempre sollecitato dall’avvocato Panepinto, Li Gotti, ha detto di non avere “mai assistito a suggerimenti di risposte a Scarantino, anche perché, per mia prassi deontologica, non avrei firmato il verbale”. Secondo la Procura, invece, Scarantino sarebbe stato indottrinato durante gli interrogatori per accusare falsamente delle persone. Lo stesso ex collaboratore, oggi fuori dal programma di protezione, in diversi interrogatori Scarantino ha raccontato di avere subito “torture” e “maltrattamenti” nel carcere di Pianosa. “Nel carcere, su di me – ha raccontato Scarantino – avevano carta bianca e potevano fare, m’ammazzavano, mi mettevano nu cungelaturi, poi mi scioglievano” e poi ha aggiunto che ”mi facevano le punture che io pareu u zombi, quannu camminavu avevu persu ogni minimo di dignità, aveva persu tutta a dignità che un essere umano poteva aviri, non avea nessuna cosa”. In una delle recenti udienze, uno degli imputati, Fabrizio Mattei, ha ribadito con forza, fino quasi a gridarlo tra le lacrime, “di non avere mai indottrinato” l’ex pentito Vincenzo Scarantino prima degli interrogatori. Di non avere “mai dato” all’ex picciotto della Guadagna “dei suggerimenti” o “di avere scritto appunti sui verbali”. E di “non avere mai indagato sulla strage di Via D’Amelio”.

Li Gotti ricorda ancora come in quel periodo ci “fosse un clima generale di perplessità sulle dichiarazioni di Vincenzo Scarantino, era un fatto reale. C’erano molte perplessità. Non vidi soddisfazione per questa svolta per la strage di via D’Amelio. Che era ciò che anche io stavo vivendo. Perplessità dimostrate reiteratamente”. E racconta un aneddoto: “Nel viaggio di ritorno dal carcere di Pianosa, sull’elicottero, a parte il rumore, perché bisognava parlare con le cuffie, c’era molta stanchezza e quindi non si parlò affatto. A Ilda Boccassini e al dottore Petralia non parlai dell’interrogatorio e non furono fatte osservazioni”. E poi ha sottolineato che anche il collaboratore di giustizia Francesco Marino Mannoia, parlando di Vincenzo Scarantino, aveva sostenuto che Scarantino “non era un ‘picciotto’ di Cosa nostra, che non era un uomo d’onore”. “Ricordo che disse: ‘Lo conosco, lo mandavamo a comprare le sigarette’, e ricordo che queste sue dichiarazioni non colsero di sorpresa nessuno. Nessuno”. Nel 1995 la Procura di Caltanissetta sottopose Scarantino a un confronto con il collaboratore Marino Mannoia. Già allora Mannoia aveva concluso, e riferito agli inquirenti, rafforzando quanto detto da altri collaboratori, che il ”picciotto della Guadagna” non era un mafioso. Il processo è stato rinviato al prossimo 26 novembre per sentire i giudici Scarpinato, Lo Forte e Pignatone. ADNKRONOS 19.11.2021


Borsellino: processo depistaggio, legale famiglia ‘Lo Forte gli nascose archiviazione mafia-appalti’   

 

Il 14 luglio, nel corso della riunione in procura di Palermo, a cui partecipò anche il giudice Paolo Borsellino, si parlò anche dell’inchiesta mafia e appalti, ma “in quell’incontro il pm lo Forte nascose al giudice di avere firmato il giorno prima l’archiviazione dell’inchiesta”. A dirlo, intervenendo in aula, al processo sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio, è l’avvocato Fabio Trizzino, legale della famiglia Borsellino, e genero del giudice ucciso nell’attentato del 19 luglio del 1992. Trizzino si è detto contrario alla richiesta della difesa dei poliziotti Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, di sentire in aula, i giudici Roberto Scarpinato, Guido Lo Forte e Giuseppe Pignatone. “Così come è stata formulata la richiesta è inaccettabile, dal mio punto di vista – dice l’avvocato Fabio Trizzino – Perché questa è un tema alla mia famiglia carissimo, ma non è questa la sede per sviluppare una eventuale rilettura. Se c’è la volontà di sviluppare questo tema, basta prestare il consenso ad acquisire due atti”. Il riferimento dell’avvocato è “l’ordinanza di archiviazione del giudice Lo Forte (su mafia e appalti ndr) e la richiesta mandanti occulti bis”. “Se mi si dice vogliamo che capire il perché in quella riunione si tace a Borsellino l’archiviazione, questo limita la circostanza – dice l’avvocato Trizzino – ma se dobbiamo fare il processo ‘mafia e appalti’ qui, francamente, non ha senso”. Ma cosa accadde in quella riunione del 14 luglio del 1992, cioè cinque giorni prima della strage di Via D’Amelio? Era un briefing dei magistrati della Procura di Palermo, e in quella occasione Paolo Borsellino chiese notizie sull’inchiesta. Dalle successive dichiarazioni al Csm da parte dei presenti a quella riunione, emerse che nessuno disse a Borsellino che era già stata firmata la proposta dell’archiviazione. E Guido Lo Forte era tra i presenti. L’indagine ‘mafia e appalti’ fu fortemente voluta da Giovanni Falcone, e poi ripresa da Borsellino, e riguardava le connessioni tra politici, imprenditori e mafiosi. L’inchiesta fu condotta, tra la fine degli anni ‘80 e il 1992, dai carabinieri del Ros guidati dall’allora colonnello Mario Mori e dal capitano Giuseppe De Donno. Dall’indagine emerse per la prima volta l’esistenza di un comitato d’affari, gestito dalla mafia e con profondi legami con esponenti della politica e dell’imprenditoria di rilievo nazionale, per la spartizione degli appalti pubblici in Sicilia.  Il Tempo 19.11.2021


Trizzino, avvocato e genero di Borsellino, attacca Lo Forte 

 

«Gli nascose che il 13 luglio 1992 aveva firmato l’archiviazione dell’inchiesta su mafia e appalti». E si oppone alla richiesta della difesa di sentirlo in aula. Gli imputati sono tre poliziotti

«Il dottor Guido Lo Forte nascose a Paolo Borsellino che il 13 luglio 1992 aveva firmato l’archiviazione dell’inchiesta su mafia e appalti. Mi oppongo alla richiesta della difesa di sentirlo in aula insieme a Roberto Scarpinato e Giuseppe Pignatone». Lo ha detto l’avvocato Fabio Trizzino, legale della famiglia Borsellino, e genero del giudice ucciso nell’attentato del 19 luglio del 1992, nel corso dell’udienza di oggi del processo sul depistaggio della strage di Via D’Amelio che si celebra a Caltanissetta e vede imputati tre poliziotti.

«La testimonianza di Scarpinato non è rilevante – ha continuato il legale – perché non presente alla riunione, mentre Pignatone non era più titolare, a quel tempo, del fascicolo. Sono elementi che vanno riletti per approfondire, non in questa sede, ma in altre sedi, il comportamento di questi magistrati. Così come è stata formulata la richiesta, dal mio punto di vista è inaccettabile. Perché questo è un tema carissimo alla mia famiglia ma non è questa la sede. Se c’è la volontà di sviluppare questo tema basta il consenso ad acquisire due atti: l’ordinanza di archiviazione del giudice Lo Forte e la richiesta mandanti occulti bis».

L’avvocato Luigi Li Gotti, ex difensore del falso pentito Scarantino, racconta invece che «nel corso dell’interrogatorio al carcere di Pianosa, Scarantino parlava velocemente, era agitato. Nessuno gli dava suggerimenti anche perché, per mia prassi deontologica, non avrei firmato il verbale». Li Gotti nel giugno del 1994 venne nominato legale del falso pentito. È stato chiamato oggi a deporre nell’ambito del processo sul depistaggio delle indagini successive alla strage di via d’Amelio che si celebra in Tribunale a Caltanissetta nei confronti di tre poliziotti accusati di calunnia aggravata. «Durante una pausa – ha aggiunto il teste – mi disse che gli erano stati promessi 400 milioni delle vecchie lire e che sarebbe stato portato in una località protetta. Gli dissi che erano frottole perché dallo Stato poteva avere ciò che era previsto dalla legge. In un successivo momento, Scarantino in aula disse: l’unica persona che mi aveva detto la verità era l’avvocato Li Gotti».

A Pianosa, nel primo interrogatorio di Vincenzo Scarantino, «c’era anche Tinebra e fu lui a sollevare il problema di come evitare, anche con i suoi precedenti difensori, il rischio che si sapesse della sua collaborazione. Partecipai al primo interrogatorio che si svolse a Pianosa e ad agosto andai a Iesolo per un altro interrogatorio. Nell’autunno del 1994, dopo aver avuto problemi cardiaci, rinunciai alla difesa di Scarantino. Penso che la mia nomina fosse una conseguenza della mia non preclusione ad assistere collaboratori di giustizia in un periodo in cui non era vista di buon grado anche nell’ambiente forense. C’era un clima di perplessità sulle dichiarazioni di Scarantino, era un fatto reale». Giornale di Sicilia 19.11.2021


BORSELLINO: PROCESSO DEPISTAGGIO, LEGALE FAMIGLIA : “LO FORTE GLI NASCOSE ARCHIVIAZIONE MAFIA-APPALTI”

 

Il 14 luglio, nel corso della riunione in procura di Palermo, a cui partecipò anche il giudice Paolo Borsellino, si parlò anche dell’inchiesta mafia e appalti, ma «in quell’incontro il pm lo Forte nascose al giudice di avere firmato il giorno prima l’archiviazione dell’inchiesta». A dirlo, intervenendo in aula, al processo sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio, è l’avvocato Fabio Trizzino, legale della famiglia Borsellino, e genero del giudice ucciso nell’attentato del 19 luglio del 1992. Trizzino si è detto contrario alla richiesta della difesa dei poliziotti Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, di sentire in aula, i giudici Roberto Scarpinato, Guido Lo Forte e Giuseppe Pignatone. «Così come è stata formulata la richiesta è inaccettabile, dal mio punto di vista – dice l’avvocato Fabio Trizzino – Perché questa è un tema alla mia famiglia carissimo, ma non è questa la sede per sviluppare una eventuale rilettura. Se c’è la volontà di sviluppare questo tema, basta prestare il consenso ad acquisire due atti». Il riferimento dell’avvocato è «l’ordinanza di archiviazione della giudice Loforti (su mafia e appalti ndr) e la richiesta mandanti occulti bis». LA VALLE DEI TEMPLI 19.11.2021


Mafia e appalti, “Lo Forte nascose archiviazione a Borsellino”   

 

“Il dottor Guido Lo Forte nascose a Paolo Borsellino che il 13 luglio 1992 aveva firmato l’archiviazione dell’inchiesta su mafia e appalti. Mi oppongo alla richiesta della difesa di sentirlo in aula insieme a Roberto Scarpinato e Giuseppe Pignatone“. Lo ha detto l’avvocato Fabio Trizzino, legale della famiglia Borsellino, e genero del giudice ucciso nell’attentato del 19 luglio del 1992, nel corso dell’udienza di oggi del processo sul depistaggio della strage di Via D’Amelio che si celebra a Caltanissetta e vede imputati tre poliziotti.

 “Testimonianza Pignatone e Scarpinato irrilevante” “La testimonianza di Scarpinato non è rilevante – ha continuato il legale – perché non presente alla riunione, mentre Pignatone non era più titolare, a quel tempo, del fascicolo. Sono elementi che vanno riletti per approfondire, non in questa sede, ma in altre sedi, il comportamento di questi magistrati”.

L’affondo del genero di Borsellino  “Così come – ha detto Trizzino – è stata formulata la richiesta, dal mio punto di vista è inaccettabile. Perché questo è un tema carissimo alla mia famiglia ma non è questa la sede. Se c’è la volontà di sviluppare questo tema basta il consenso ad acquisire due atti: l’ordinanza di archiviazione del giudice Lo Forte e la richiesta mandanti occulti bis”.

Le testimonianze di oggi al processo  “Nel primo interrogatorio di Vincenzo Scarantino al carcere di Pianosa il dottore Tinebra era presente. Ricordo un particolare: prima dell’interrogatorio noi parlammo nella stanza del direttore del carcere. Perché si era posto il problema di come evitare che i precedenti difensori di Scarantino potessero con lui conferire, ignorando la sua collaborazione, e per evitare anche il rischio che si conoscesse la sua collaborazione. E ricordo benissimo che in questa fase interlocutoria era presente il dottore Tinebra e che fu lui a sollevare il problema”. Lo ha detto l’avvocato Luigi Li Gotti, chiamato questa mattina a deporre nell’ambito del processo per il depistaggio delle indagini sulla strage di Via D’Amelio che si celebra a Caltanissetta.

Li Gotti rispondendo alle domande dell’avvocato della difesa Giuseppe Panepinto ha precisato “L’incarico di difensore di Vincenzo Scarantino lo assunsi nel giugno del 1994 – ha detto – e partecipai al primo interrogatorio al carcere di Pianosa, in agosto andai a Iesolo per un interrogatorio. Il giorno dopo ebbi problemi cardiaci e fui operato. Nell’autunno del 1994 rinunciai alla difesa di Scarantino. Penso che la mia nomina fosse una conseguenza della mia non preclusione ad assistere collaboratori di giustizia in un periodo in cui non era vista di buon grado anche nell’ambiente forense. C’era molta diffidenza, molta freddezza. Nel rispetto della mia deontologia dovevo fare il mio dovere e quindi mi fu comunicato che ero stato nominato dallo Scarantino”.

Imputati al processo, con l’accusa di calunnia aggravata, sono tre poliziotti: Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. Secondo l’accusa, i tre poliziotti sotto processo avrebbero indotto, con le minacce e le pressioni, l’ex pentito Vincenzo Scarantino a rendere false dichiarazioni.

A Scarantino promessi soldi  “Ho un ricordo molto vivo dell’interrogatorio a Pianosa: Scarantino parlava come un fiume in piena, non c’erano pause, era molto agitato. La seconda cosa che ricordo è che a un certo punto ci fu un’interruzione. Potei parlare con lui da solo e mi disse quello che gli era stato promesso, ossia 400 milioni di lire fuori dal carcere e in località protetta. Il mio dovere fu quello di dire a Scarantino che erano tutte frottole. Perché ciò che poteva avere dallo Stato era quello previsto dalla legge”. Lo ha detto l’avvocato Luigi Li Gotti, chiamato questa mattina a deporre al processo per il depistaggio delle indagini sulla strage di Via D’Amelio.

Li Gotti ha aggiunto che “Scarantino, in un successivo momento, quando fece la ritrattazione, lo disse: l’unica persona che mi aveva detto la verità era l’avvocato Li Gotti”.

“Nessuna dritta”  “Nel corso dell’interrogatorio al carcere di Pianosa Scarantino parlava velocemente, non faceva pause, non gli furono dati suggerimenti anche perché, per mia prassi deontologica, non avrei firmato il verbale”, ha aggiunto Li Gotti.

“Nel viaggio di ritorno dal carcere di Pianosa, sull’elicottero, a parte il rumore (bisognava parlare con le cuffie), c’era molta stanchezza e quindi non si parlò affatto. A Ilda Boccassini e al dottore Petralia – precisa – non parlai dell’interrogatorio e non furono fatte osservazioni”.

L’avvocato Panepinto, nel corso dell’udienza, ha fatto notare al teste che le dichiarazioni fatte in precedenza erano differenti e che, in particolare, aveva sostenuto di essersi confrontato con i magistrati in merito alle sue perplessità su quanto detto da Scarantino. Li Gotti ha precisato che per viaggio aveva inteso anche quello dal carcere alla postazione dell’elicottero. “Che ci fosse un clima di perplessità sulle dichiarazioni di Scarantino era un fatto reale”, ha detto. BLOG SICILIA 19.11.2021


“Lo Forte nascose a Borsellino l’archiviazione del dossier Mori”.  


Il 14 luglio, nel corso della riunione in procura di Palermo, a cui partecipò anche il giudice Paolo Borsellino, si parlò anche dell’inchiesta mafia e appalti, ma «in quell’incontro il pm Lo Forte nascose al giudice di avere firmato il giorno prima l’archiviazione dell’inchiesta». A dirlo, intervenendo ieri in aula, al processo sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio, è l’avvocato Fabio Trizzino, legale della famiglia Borsellino, e genero del giudice ucciso nell’attentato del 19 luglio del 1992. Trizzino si è detto contrario alla richiesta della difesa dei poliziotti Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, di sentire in aula, i giudici Roberto Scarpinato, Guido Lo Forte e Giuseppe Pignatone. «Così come è stata formulata la richiesta è inaccettabile, dal mio punto di vista – ha detto l’avvocato Fabio Trizzino – Perché questo è un tema alla mia famiglia carissimo, ma non è questa la sede per sviluppare una eventuale rilettura. Se c’è la volontà di sviluppare questo tema, basta prestare il consenso ad acquisire due atti». Il riferimento dell’avvocato è «l’ordinanza di archiviazione del giudice Lo Forte (su mafia e appalti ndr) e la richiesta mandanti occulti bis». «Se mi si dice che vogliamo capire il perché in quella riunione si tace a Borsellino l’archiviazione, questo limita la circostanza – ha detto l’avvocato Trizzino – ma se dobbiamo fare il processo “mafia e appalti” qui, francamente, non ha senso». Ma cosa accadde in quella riunione del 14 luglio del 1992, cioè cinque giorni prima della strage di Via D’Amelio? Era un briefing dei magistrati della Procura di Palermo, e in quella occasione Paolo Borsellino chiese notizie sull’inchiesta. Dalle successive dichiarazioni al Csm da parte dei presenti a quella riunione, emerse che nessuno disse a Borsellino che era già stata firmata la proposta dell’archiviazione. E Guido Lo Forte era tra i presenti. L’indagine “mafia e appalti” fu fortemente voluta da Giovanni Falcone, e poi ripresa da Borsellino, e riguardava le connessioni tra politici, imprenditori e mafiosi. L’inchiesta fu condotta, tra la fine degli anni ‘80 e il 1992, dai carabinieri del Ros guidati dall’allora colonnello Mario Mori e dal capitano Giuseppe De Donno. Dall’indagine emerse per la prima volta l’esistenza di un comitato d’affari, gestito dalla mafia e con profondi legami con esponenti della politica e dell’imprenditoria di rilievo nazionale, per la spartizione degli appalti pubblici in Sicilia. In quella riunione emerse il forte interesse riposto da Borsellino all’indagine, ma anche il suo malcontento per le modalità con cui l’indagine era stata gestita, e la sua profonda fiducia nei confronti dell’operato dei carabinieri del Ros. L’avvocato Trizzino, nell’udienza di ieri, ha chiesto «l’acquisizione del documento in cui i giudici Francesco Messineo, Renato Di Natale, Francesco Paolo Giordano danno conto e ragione di tutte le vicende che hanno riguardato le indagini fatte a Caltanissetta in relazione alla gestione del dossier mafia e appalti». «Inoltre le vicende connesse a “mafia e appalti” sono state di una complessità tale che per riuscire a barcamenarsi… altro che un semplice esame – ha detto il legale – bisognerebbe aprire un processo a parte». «Di processi sulla strage di via D’Amelio ne sono stati fatti cinque. E sembra quasi che l’importanza del filone mafia e appalti non sia mai stata sviscerata nei precedenti procedimenti, ma non è cosi. Nella sentenza del processo “Borsellino ter”, cui si richiama la sentenza quater, dà un ampio spaccato dell’importanza ai fini del movente dell’eventuale accelerazione della strage di via D’Amelio». «Questo tema di prove è come un oceano che si apre di fronte a noi – ha affermato ancora l’avvocato Fabio Trizzino – Anche queste parti civili, che vorrebbero approfondito questo aspetto, ma riteniamo che ci siano due elementi che dovrebbero portare a una rilettura di quegli avvenimenti, ma non in questa sede. E sto parlando delle dichiarazioni tardive di Massimo Russo e Alessandra Camassa in cui Borsellino definì il suo ufficio un ‘nido di vipere’». «Il secondo elemento di novità è la desecretazione degli atti del Csm al seguito dei quali vennero sentiti i pm che si ribellarono al giudice Giammanco, che ci parlarono di una riunione in cui Borsellino chiese a Guido Lo Forte degli approfondimenti e Lo Forte gli nascose che il 13 aveva firmato una archiviazione». IL RIFORMISTA 22.11.2021


26.11. 2021  “Paolo sapeva dell’archiviazione mafia-appalti”, Lo Forte si difende dalle accuse dei Borsellino

 

le testimonianze al processo Depistaggio via D’Amelio

  • L’avv. Fabio Trizzino, legale della famiglia Borsellino, e genero del giudice ucciso nell’attentato del 19 luglio del 1992 pochi giorni fa lo aveva accusato di aver nascosto la notizia dell’archiviazione del dossier mafia-appalti.
  • Oggi il magistrato Guido Lo Forte in aula si difende: “Non nascosi nulla, Borsellino sapeva”.
  • “Gravi anomalie dei Ros su intercettazioni”
  • Testimonianze anche di Pignatone e Scarpinato

“Tutto il pool antimafia, compreso Paolo Borsellino, sapeva della richiesta di archiviazione che peraltro riguardava una tranche residuale dell’indagine mafia-appalti. Spiegammo che era una scelta obbligata perché per le posizioni per cui volevamo chiedere l’archiviazione non avevamo prove e tutto ciò fu condiviso all’unanimità, senza rilievi. E’ assolutamente falso che avrei nascosto a Borsellino il fatto di aver firmato la richiesta di archiviazione. Borsellino era già informato di questa prospettiva e poi io stesso ne parlai ai colleghi, lui compreso, in occasione della riunione del 14 luglio del 1992″. Lo ha detto l’ex procuratore di Messina Guido Lo Forte, per anni aggiunto a Palermo, deponendo al processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio.

La testimonianza. Lo Forte è stato citato dal legale di due degli imputati, l’avvocato Giuseppe Seminara che assiste i poliziotti Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, imputati del depistaggio e accusati di calunnia aggravata, insieme al funzionario di polizia Mario Bo. Oggetto della deposizione l’inchiesta mafia-appalti condotta dalla Procura di Palermo nei primi anni ’90.

Secondo alcuni legali proprio il rischio che da quell’indagine venissero fuori collusioni tra mafia, politica e imprenditoria sarebbe stata il movente dell’accelerazione dell’attentato a Borsellino che a marzo 1992 era arrivato come aggiunto in Procura a Palermo.

Qualcuno avrebbe temuto che Borsellino, occupandosi di quella inchiesta avrebbe rappresentato una minaccia. “Borsellino mi chiese solo se si trattava dell’indagine che riguardava anche un appalto di Pantelleria di cui già avevamo parlato e io risposi di sì- ha aggiunto – Il discorso finì lì”.

“Gravi anomalie dei Ros su intercettazioni” Lo Forte ha confermato che i carabinieri del Ros comunicarono solo nel 1992 l’esistenza di intercettazioni del 1990 che avrebbero potuto evitare la richiesta di archiviazione e soprattutto che avrebbero potuto portare molto prima a indagini su politici e pezzi dell’imprenditoria italiana che poi la Procura comunque portò avanti.

“Si trattò di una anomalia grave – ha aggiunto – Come anomalo fu il fatto che il pm Lima di Catania ci avvertì molto dopo delle dichiarazioni di un testimone, il geometra Lipera, sull’imprenditore De Eccher che poi noi incriminammo. Informammo di tutto il Csm e il ministero della Giustizia”, ha concluso.

In aula anche Pignatone: “nessun contrasto su mafia-appalti” “Borsellino, almeno in mia presenza e a riunioni a cui partecipai io, non disse mai che sull’inchiesta mafia-appalti si sarebbe potuto fare di più. Cioè non si è mai lamentato che l’indagine non fosse stata valorizzata come meritava”. Lo ha detto Giuseppe Pignatone, ex procuratore di Roma, per anni in Procura a Palermo, deponendo al processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di Via D’Amelio in corso davanti al tribunale di Caltanissetta.

Anche Pignatone è stato citato per riferire dell’inchiesta mafia-appalti secondo alcuni vero movente dell’attentato a Borsellino.

“Nessuno si è mai permesso di dirmi cosa fare dall’esterno o ha fatto pressioni – ha detto Pignatone – In caso contrario lo avrei denunciato. All’interno dell’ufficio l’allora procuratore Giammanco ci disse di lavorare e valorizzare gli elementi che andavano valorizzati, d’altro canto non si arrestano persone senza prove”, ha aggiunto Pignatone smentendo qualunque sottovalutazione dell’inchiesta mafia-appalti.

“A metà luglio facemmo un’assemblea dell’ufficio – ha spiegato il teste – In quel periodo dalla stampa arrivavano attacchi alla Procura e accuse di avere insabbiato l’inchiesta. Giammanco convocò i colleghi proprio per una operazione trasparenza e per spiegare come erano andate le cose. In quell’occasione Borsellino, con cui già avevamo parlato di una tranche dell’indagine, ci chiese se si trattava degli accertamenti che comprendevano un appalto di Pantelleria e gli dicemmo di sì. A quel punto rispose solo di parlarne con Ingroia”.

Scarpinato “a insabbiare il dossier mafia-appalti fu il Ros”. A puntare il dito contro i carabinieri del ROS anche l’ex procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, sentito stamani come teste al processo in corso a Caltanissetta.

“Dopo la morte di Paolo Borsellino, precisamente a settembre del 1992, il Ros dei carabinieri depositò la cosiddetta informativa Sirap in cui si sosteneva che dietro le illecite aggiudicazioni degli appalti in Sicilia c’erano politici come Nicolosi, Mannino e Lima. Scoprimmo allora che i carabinieri erano in possesso di intercettazioni a carico di questi e altri personaggi ‘illustri’ già dal 1990 e che fino al 1992, nonostante nel 91 ci avessero consegnato una prima informativa, non vi avevano fatto cenno”

La Procura all’epoca venne accusata con una campagna di stampa di aver insabbiato gli accertamenti. Accusa respinta da Scarpinato che ha ricostruito tutte le fasi dell’indagine che portò poi ad arresti e condanne di politici e imprenditori e quindi – spiega il magistrato – fu tutt’altro che chiusa. Tornando alle intercettazioni depositate dopo due anni dalla loro effettuazione Scarpinato ha aggiunto: “chiedemmo perché non ce le avevano depositate prima, un maresciallo del Ros ci disse che aveva ricevuto indicazioni dal Ros di non consegnarle perché non erano rilevanti”.

“Questo fu il vero insabbiamento – ha aggiunto – e fu fatto credere che la procura aveva intercettazioni su personaggi eccellenti e le nascondeva mentre le aveva il Ros. Fu una cosa gravissima ed è grave che ogni tanto, specie in fasi nodali di certi processi parte della stampa la ritiri fuori”.

Borsellino e l’indagine su mafia e appalti. “Borsellino mi chiese a fine maggio del 1992 a che punto fosse l’indagine mafia e appalti. L’inchiesta lui la conosceva perché aveva letto la richiesta di misura cautelare che avevamo fatto. Gliela avevamo mandata perché c’era un episodio relativo a un appalto di Pantelleria sul quale lui, da procuratore di Marsala, rivendicava la competenza a indagare. In quell’occasione gli feci una sintesi dell’indagine”. Blog Sicilia


28.11.2021 – Scarpinato: ”Mafia appalti? Indegna falsità dire che l’inchiesta fu chiusa” 

 

L’ex Procuratore generale di Palermo sentito assieme a Lo Forte nel processo sul depistaggio di via d’Amelio

Oltre cinque ore. Tanto è durata venerdì l’udienza nel processo sul depistaggio di via d’Amelio che ha visto le importanti testimonianze dell’ex Procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, e dell’ex procuratore aggiunto Guido Lo Forte. Due testimonianze che smentiscono scientificamente le strampalate idee di Fiammetta Borsellino e di certi avvocati difensori (di mafiosi e non), sulla vicenda mafia-appalti.
“L’inchiesta mafia-appalti del febbraio 1991 è un’indagine in progresso con vari atti. Dire che l’inchiesta è stata archiviata è una falsità indegna”. “L’indagine ebbe vari momenti. Prima fu assegnato a tutti i membri del pool antimafia. Poi si fece il rinvio a giudizio dei sette che erano stati arrestati, i primi a giugno 1991 ed i secondi a gennaio 1992. Il rinvio a giudizio è di maggio 1992. Dopo vi fu uno stralcio sulla parte più importante dell’inchiesta: appalti di mille miliardi di lire, gestiti dalla Sirap. Lo stralcio è del giugno 1992. Restava una parte residuale con alcuni personaggi nei cui confronti non erano ancora stati acquisiti sufficienti elementi per un rinvio a giudizio”. E’ l’ex procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, che all’epoca era sostituto procuratore alla Procura della Repubblica di Palermo, a spiegare ogni passaggio dell’inchiesta che tanto negli anni Novanta quanto oggi è al centro di numerose polemiche, sulla stampa e non solo. 
Un’indagine che è stata oggetto di prova anche in diversi processi sulla stagione delle stragi (da quella su via d’Amelio al processo trattativa Stato-mafia) e che viene indicato, in particolare dai contestatori della trattativa (a cominciare dalle difese di Mori, Subranni e De Donno), come il “motivo principe” dell’accelerazione che portò alla strage del 19 luglio 1992. Abbiamo già scritto in altre occasioni il perché, a nostro avviso, non può essere considerato tale, anche se è certamente un dato che Paolo Borsellino si sia interessato di quelle indagini nei 57 giorni che separano la strage di Capaci da quella di via d’Amelio. 
Uno dei punti che tanti giornaloni hanno sempre contestato è la nota archiviazione di uno stralcio dell’indagine che riguardava 13 persone, avvenuta il 20 luglio 1992, sulla richiesta della stessa Procura, avanzata il 13 luglio. 
Titolari di quell’indagine erano Guido Lo Forte e Roberto Scarpinato ed entrambi sono stati chiamati a deporre davanti al Tribunale di Caltanissetta che vede imputati alcuni membri della squadra “Falcone-Borsellino” guidata da Arnaldo La Barbera. Si tratta dei poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, accusati di calunnia aggravata.
Scarpinato, sentito per oltre due ore, ha evidenziato le ombre emerse nel corso di quell’indagine.

Le gravi anomalie. “L’archiviazione del luglio 1992? Non è l’archiviazione di mafia-appalti. Mafia-appalti continua anche dopo quella archiviazione, tant’è che il 5 settembre 1992 viene depositata la nuova informativa sulla Sirap e nel maggio 1993 vengono arrestati 25 personaggi, tra cui lo staff direttivo della Sirap, l’onorevole Lombardo e fu chiesta autorizzazione a procedere nei confronti dei Ministri. Quindi quella archiviazione non riguardava mafia-appalti, come spesso nella stampa si legge impropriamente, ma riguardava soltanto la posizione di alcuni soggetti per cui non erano stati aggiunti sufficienti elementi anche a causa di una grave anomalia istituzionale”. Nella lunga deposizione in più occasioni Scarpinato ha fatto riferimento alla relazione della Procura di Palermo, del giugno 1998, in cui venne ricostruita l’intera vicenda dell’inchiesta mafia-appalti nel momento in cui, subito dopo l’istanza di archiviazione, scoppiò una violentissima polemica mediatica contro la Procura di Palermo “rea”, a detta dei giornali, di aver fatto sparire la posizione di politici di primissimo piano.
“C’erano state gravi anomalie – ha continuato il magistrato – Prima ancora della richiesta di ordinanza di custodia cautelare, nel maggio 1991, c’erano stati articoli di stampa incomprensibili sul ‘Secolo XIX’, sul Giornale di Sicilia, sul Corriere della Sera. Si diceva che la Procura si era rifiutata di ricevere l’informativa mafia-appalti dei carabinieri del febbraio 1991. Cosa assolutamente incredibile perché l’informativa era stata depositata immediatamente. Poi un articolo dove si diceva che la Procura aveva insabbiato posizioni di importanti politici alcuni dei quali ricoprivano incarichi governativi. Cosa incomprensibile perché nell’informativa del febbraio 1991 non si parlava di questi importanti esponenti politici”. 
Nomi che invece compariranno il 5 settembre del ’92, un anno e mezzo dopo il deposito della prima informativa, in cui si facevano espliciti riferimenti a Calogero Mannino, Salvo Lima e Rosario Nicolosi. 
“Solo quando vi fu questo deposito dell’informativa Sirap capimmo il perché i giornali, nell’anno precedente, dicevano che c’erano quei politici – ha detto Scarpinato rivolgendosi al Tribunale – La cosa grave che nella nuova informativa vi erano intercettazioni di questi personaggi che risalivano al 1990. E nonostante le intercettazioni fossero del 1990 in quell’informativa del febbraio 1991 non venivano indicate nelle 900 pagine e nei 488 allegati”.
Scarpinato ha anche raccontato ciò che disse Carmine Iannotta al processo nei confronti di Canale: “A un maresciallo, quello che ascoltava le intercettazioni, tale Carmine Iannotta, fu chiesto perché non furono messe le intercettazioni dei politici, tra cui De Michelis (le cui intercettazioni furono inserite in un altro rapporto del novembre 1991, ndr). Il maresciallo disse che aveva ricevuto disposizioni dal vertice del Ros perché quelle intercettazioni non erano state ritenute rilevanti”. 
“Cosa grave – ha ribadito poco dopo con forza – è che quando viene ucciso Lima, nel marzo 1992, noi cerchiamo di capire il perché viene ucciso. E neanche allora il Ros deposita un’intercettazione del maggio 1990 dove Lima raccomanda una delle persone che poi arrestammo: Cataldo Farinella. Questo è stato il vero insabbiamento dell’inchiesta Mafia-Appalti. Ed è stato fatto credere che la Procura di Palermo, nel febbraio 1991, aveva le intercettazioni dei politici. Le aveva il Ros quelle intercettazioni e ce le ha nascoste. E in questi anni hanno fatto credere che noi avevamo quella intercettazione e che non abbiamo voluto arrestare i politici. Questo è veramente una cosa gravissima dal punto di vista istituzionale ed è ancora grave che nel corso degli anni, ogni volta che si arriva in coincidenza con appuntamenti processuali importanti, questa storia venga ripresa dalla stampa”. 

La vicenda Lipera. Scarpinato ha anche spiegato come si arrivò all’archiviazione del luglio 1992. “Noi – ha poi aggiunto l’ex Procuratore generale – iniziammo a scrivere quella richiesta di archiviazione verso giugno. E c’erano tra questi soggetti alcuni nomi, come Claudio De Eccher e Domenico Favro, nei cui confronti, a quella data, non avevamo sufficienti elementi. Colui che avrebbe dovuto fornirci questi elementi, Lipera, si era completamente chiuso e aveva rifiutato di fornire qualsiasi elemento accusatorio. Mentre scrivevamo non sapevamo che nel frattempo Lipera, a cominciare dal giugno, aveva iniziato a collaborare con il dottor Felice Lima, dicendo a lui quello che non aveva detto a noi ed affermando il falso, cioè che noi non lo avevamo voluto sentire. Una circostanza del tutto falsa. In carcere lo sentimmo per cinque ore alla presenza del capitano De Donno spingendolo a rendere dichiarazioni. Lipera non aveva reso nessuna dichiarazione accusatoria, affermava che la mafia non c’entrava nulla negli appalti in Sicilia e che Siino, uomo chiave degli appalti, era un piccolo imprenditore che si rapportava soltanto con politici. Poi, nell’ottobre 1992, scoprimmo con un’informativa che giungeva da Catania, che Lipera a Lima aveva detto altro. Resta il dato che sulla base di queste dichiarazioni e su quelle di altri collaboratori di giustizia, poi arrestammo nel maggio 1993 De Eccher, Favro, i vertici Sirap, assieme ai boss. Quindi scoprimmo che Lipera non aveva parlato con noi perché minacciato da mafiosi. Lo disse lui stesso. Disse anche di aver ricevuto dal suo capo un’offerta di 150 milioni di vecchie lire affinché si addossasse tutta la responsabilità e non lo accusasse. E poi un avvocato, che scoprimmo in seguito  essere un uomo vicino ai Graviano, arrestato due vuole come riciclatore e poi traffico di stupefacenti, gli disse di non parlare con magistrati di Palermo perché aveva saputo che i magistrati di Palermo avevano dato il rapporto ai mafiosi”. 
Gli incontri con Borsellino. Altro argomento sviluppato durante l’esame è quello degli incontri avuti con Paolo Borsellino prima della strage di Via d’Amelio. “Ebbi due interlocuzioni su mafia-appalti. Una specifica ed una accidentale. Io e Borsellino avevamo frequenti incontri e parlavamo di tutti i processi di Palermo. In uno di questi incontri il discorso cadde anche sul processo mafia-appalti. Siamo alla fine del maggio 1992, da poco c’era stato il rinvio a giudizio. 
Lui il processo lo conosceva perché nel luglio del 1991 l’informativa fu inviata a più Procure, tra cui quella di Marsala, in relazione ad un appalto di Pantelleria, di cui Borsellino ed Ingroia avevano rivendicato la competenza. Mi chiese a che punto eravamo con il processo. Io feci una sintesi di quanto era successo e ricostruii l’architettura accusatoria senza entrare nel merito di ogni singola posizione. Per quelli che restavano fuori dallo stralcio Sirap dissi che probabilmente avremmo fatto archiviazione, salvo poi che da indagini successive non fosse poi emerso altro. Cosa che poi avvenne”. 
Successivamente vi fu un secondo incontro. “In questa occasione mi chiese particolare riservatezza – ha affermato Scarpinato – Era arrivato il famoso esposto ‘Corvo bis’, esposto indirizzato a una trentina di autorità istituzionali, al Presidente della Repubblica, ai direttori di giornali ed anche a Paolo Borsellino. Lui era stato particolarmente colpito dal contenuto dell’esposto che, come lui disse, era stato scritto da una mente raffinatissima. In quell’esposto si dava una spiegazione dell’omicidio Lima e della strage di Capaci. Un argomento a cui Borsellino era interessatissimo”. Dopo aver indicato i punti che venivano affrontati nel cosiddetto Corvo bis (si parlava di incontri tra l’ex ministro Mannino e il boss Totò Riina e del presunto patto stretto tra loro: i voti della mafia alla corrente di Mannino in cambio di appalti a imprese mafiose e benefici carcerari ai boss, nonché si davano indicazioni su alcune indagini da fare e si suggeriva di rivedere mafia-appalti, ndr).
Scarpinato ha ricordato ciò che gli disse Borsellino: “Ragionavamo su chi potesse aver scritto l’esposto anonimo e mi disse: ‘Mi hanno detto che un possibile autore di questo esposto anonimo è un ufficiale del Ros’. E poi aggiunse che avrebbe avuto o che aveva avuto, non lo ricordo, un appuntamento con delle persone per cercare di capire chi era l’autore dell’esposto. E aggiunse: ‘Questa notizia tienitela per te’. Tanto è che il 27 luglio 1992, quando il Csm sentii tutti magistrati della Procura di Palermo a seguito della mia iniziativa, cioè la preparazione di un documento preparato da me e sottoscritto da altri sette magistrati con cui sostanzialmente chiedevamo l’allontanamento del Procuratore Giammanco, io dissi al Csm che avevo avuto degli incontri riservati con Paolo Borsellino nei quali lui mi vincolò al segreto. Successivamente ho letto quanto dichiarato dal tenente Canale, che Borsellino si recò alla Caserma Carini di Palermo per chiarire proprio sul Corvo bis”. 

La riunione in Procura del 14 luglio. Scarpinato poco ha potuto dire sulla riunione in Procura del 14 luglio 1992. Quella in cui, secondo alcune testimonianze, Borsellino chiese conto delle indagini su mafia-appalti. “Io non c’ero per motivi familiari. Ne parlai con la mia ex moglie, Teresa Principato e mi pare con De Luca. Uno dei due mi disse che Borsellino chiese qualcosa sull’indagine di Pantelleria e che Lo Forte gli disse che ne aveva parlato con Ingroia”. 

La nota dell’agosto 1990. Uno dei documenti che spesso viene portato in alto dai carabinieri del Ros per dimostrare che la presenza di politici di rilievo fosse a conoscenza della Procura di Palermo sono alcune note presentate negli anni Novanta all’attenzione di Giovanni Falcone e Guido Lo Forte in cui si chiedevano autorizzazioni ad intercettazioni o ancora dove si dava atto di “ulteriori complessi accertamenti tesi a l’identificazione di personaggi legati al mondo economico, politico, nazionale che in base agli incarichi svolti, valenti sull’intero territorio dello Stato, forniscono valido e insostituibile aiuto al raggiungimento degli scopi illegali dell’organizzazione mafiosa”.  
“Nell’informativa del 1991 c’erano tante intercettazioni in cui si parla anche di soggetti politici come l’onorevole Alessi e l’onorevole Coco, ma senza rilievo penale. Ritenemmo che fossero questi gli importanti personaggi politici di cui si anticipava, ma che non fosse poi emerso nulla. Non potevamo pensare che c’erano Lima, Mannino o Nicolosi”. E poi ancora: “Che c’erano lo appresi nel settembre 1992, con una certa irritazione. Perché la stampa in precedenza parlava di specifiche intercettazioni che noi fino a quella data non avevamo avuto. Almeno io pensai che tutto ciò che era stato accertato della Sirap fosse nell’informativa del 1991. Così non è stato”. Ed all’appunto del pm che ha ricordato alcune note in cui si fanno dei riferimenti, seppur generici, Scarpinato ha risposto: “Ed anche se nelle note si può accennare a qualcosa e si parla della Sirap, allora perché non le inserisci nel febbraio 1991? Perché non le metti? Se non le metti deve esserci un motivo, ma lo devi spiegare. Perché quando la stampa parlava delle intercettazioni non sono intervenuti dicendo che quelle intercettazioni effettivamente c’erano e che non erano state inserite perché ci stavano lavorando? Avremmo chiarito subito. E invece non è stato così”.
Falcone e la questione Gladio. Durante il controesame del pm Stefano Luciani, in riferimento a Giovanni Falcone ed alcuni riferimenti nei diari su mafia-appalti, Scarpinato ha evidenziato che quel dato “è un errore”. “I diari di Falcone al 70% riguardano l’inchiesta Gladio. E in quell’accenno in cui si fa riferimento ad un finanziamento della Regione Siciliana non c’entrava niente con mafia-appalti. Era un’indagine della dottoressa Sabatino. E sia la dottoressa Sabatino che De Donno hanno chiarito che non è una vicenda legata a mafia-appalti”. Inoltre l’ex procuratore generale ha confermato che Falcone aveva un interesse molto forte per l’indagine su Gladio. 
“Con Falcone ci vedevamo spesso. Mi disse che Mutolo stava per collaborare e che avrebbe fatto rivelazioni importanti. Mi chiese di fare domanda per la Procura nazionale antimafia perché insieme avremmo potuto fare delle indagini su fatti importanti e si riferiva in particolare a Gladio. Come riferii al Csm tutti e due avemmo un duro scontro con Giammanco. Per Falcone si doveva partire da lì per ricostruire i delitti politici, mentre Giammanco era contrario. Quando andò a Roma non mi chiese nulla su mafia-appalti invece mi chiese di altre cose importanti perché lui era sicuro di diventare Procuratore nazionale antimafia”.

Lo Forte: “Decisione unanime su mafia-appalti”Successivamente a salire sul pretorio è stato Guido Lo Forte che dell’inchiesta Mafia appalti si è occupato in tutte le sue fasi, sin dai tempi in cui indagava assieme a Giovanni Falcone. Rispetto alla richiesta di archiviazione ha ribadito: “Tutto il pool antimafia, compreso Paolo Borsellino, sapeva della richiesta di archiviazione. Spiegammo che era una scelta obbligata perché per le posizioni per cui volevamo chiedere l’archiviazione non avevamo prove e tutto ciò fu condiviso all’unanimità, senza rilievi. Questo lo dico perché ho letto giornali in cui si afferma una circostanza falsa. Cioè quella per cui io in una riunione in Procura del 14 luglio 1992 avrei taciuto e nascosto a Borsellino il fatto di aver firmato la richiesta di archiviazione. Punto primo. Non si trattava di una richiesta di archiviazione dell’inchiesta ma di una parte residuale priva di contenuti probatori. E poi c’era la parte più importante dell’inchiesta che era vivissima e che diede importantissimi sviluppi”.
Parlando della riunione del 14 luglio 1992 ha poi aggiunto: “Io allora riferii delle decisioni adottate in Dda, dissi che c’era una parte che si era deciso di archiviare. E nessuno fece rilievi. Unica cosa che Borsellino mi chiese riguardava una vicenda di un appalto di Pantelleria di cui già avevamo parlato precedentemente. La vicenda è la seguente. Nell’informativa del febbraio 1991 ci accorgiamo che vi erano delle intercettazioni in cui si fa riferimento a questo appalto. E poiché il Comune ricade nella giurisdizione di Marsala io e Pignatone informammo Borsellino e rappresentammo l’esistenza di queste intercettazioni e lui ci disse che già a Marsala c’era un’inchiesta nata in maniera autonoma da altra fonte. E ci disse di raccordarci con Ingroia. Noi parlammo con Ingroia e venne deciso di seguirlo in maniera autonoma. Noi nel luglio 1991 trasmettemmo le carte alla Procura di Marsala. Nel luglio 1992 Borsellino mi chiese se l’indagine riguardava questa vicenda. Confermai e poi mi chiese cosa avessimo fatto di quelle carte e dissi che con Ingroia siamo rimasti che le carte sarebbero state trasmesse per competenza a Marsala. E il discorso finì lì”. Lo Forte ha confermato che i carabinieri del Ros comunicarono solo nel 1992 l’esistenza di intercettazioni del 1990 che avrebbero potuto evitare la richiesta di archiviazione e soprattutto che avrebbero potuto portare molto prima a indagini su politici e pezzi dell’imprenditoria italiana che poi la Procura comunque portò avanti nel tempo. “Si trattò di una anomalia grave – ha aggiunto – Come anomalo fu il fatto che solo tempo dopo fummo avvertiti delle dichiarazioni di un testimone, il geometra Lipera, sull’imprenditore De Eccher che poi noi incriminammo”. 
Nel corso della testimonianza Lo Forte ha anche spiegato i motivi per cui in un primo momento non furono utilizzate le dichiarazioni di Messina. “Noi sapemmo subito delle dichiarazioni di Messina – ha detto – Alla fine di giugno 1992 lui inizia a collaborare con la Procura di Caltanissetta. Dal 30 giugno venne sentito anche da Paolo Borsellino. Nella prima fase lo interrogano i procuratori aggiunti Borsellino ed Aliquò. Successivamente, fino al 17 luglio, gli interrogatori proseguono con Borsellino e Principato. Messina già negli interrogatori del 30 giugno e del 1 luglio 1992 parla di Angelo Siino e della manipolazione di un appalto nella provincia di Caltanissetta. Gli atti erano secretati e non si potevano utilizzare se non con il consenso della Procura nissena. E poi c’era il fatto che eravamo dentro i primi 15 giorni di collaborazione. C’erano ancora tutti i riscontri da fare. Comunque le dichiarazioni di Leonardo Messina poi le utilizzammo, una volta riscontrate verso la fine del ’92 e inizio ’93, per la richiesta cautelare del maggio 1993 in cui si affrontò il tema della manipolazione mafiosa degli appalti nell’inchiesta nota Riina Salvatore +24”. 
Prima di Lo Forte e Scarpinato ad essere sentito dal Tribunale è stato  l’ex capo della Procura della Repubblica di Roma, oggi in pensione, Giuseppe Pignatone che, all’epoca dei fatti, era in servizio alla Procura della Repubblica di Palermo. 
Questi ha raccontato di numerose riunioni in Dda in cui si parlava dell’inchiesta mafia-appalti. “A giugno-luglio – ha ricordato – dopo la strage di Capaci le riunioni della Direzione distrettuale antimafia di Palermo erano continue. A queste partecipava anche Paolo Borsellino. In una occasione – il 14 luglio 1992 – di fronte a continue fughe di notizie e accuse di insabbiamento contro la stessa procura di Palermo, il procuratore Giammanco convocò una riunione aperta a tutto l’ufficio. Non ci furono contestazioni da parte di Borsellino su mafia e appalti in particolare. Ci fu richiesta di chiarimento per una fase precedente. Ma non ricordo prese di posizione particolari da parte di Paolo Borsellino”. 
A fine udienza sono state già chieste le testimonianze di altri magistrati che parteciparono alla famosa riunione del 14 luglio 1992 e che furono auditi davanti al Csm in quell’anno. Il Tribunale scioglierà la riserva sul punto alla prossima udienza, il 15 dicembre, quando saranno sentiti gli avvocati Ingroia, Foresta, Falzone e Maris. ANTIMAFIA DUEMILA Giorgio Bongiovanni e Aaron Pettinari 28.11.2021