Paolo, il carabiniere infiltrato nella ‘ndrangheta: il volto della lotta alla criminalità organizzata

 

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Il recente articolo pubblicato su Repubblica che riporta la testimonianza di un carabiniere del Ros, infiltrato nella ‘ndrangheta, noto con il nome in codice di“Paolo”, rivela un aspetto poco noto dell’operato delle forze dell’ordine italiane: l’infiltrazione di agenti nelle organizzazioni criminali per smantellare i clan e neutralizzare le attività illecite.

In particolare, Paolo ha raccontato di essere stato per due anni infiltrato in un clan di ‘ndrangheta, la potente organizzazione criminale calabrese con ramificazioni in tutto il mondo.
Grazie alla sua operazione sotto copertura, è stato possibile smantellare il clan e arrestare i suoi membri, mettendo fine alle attività illecite che ne costituivano il motore economico.
Il racconto di Paolo getta luce su un aspetto poco noto delle organizzazioni criminali come la ‘ndrangheta: la loro capacità di gestire attività economiche complesse, che spaziano dalla gestione di traffici di droga e armi alla riciclaggio di denaro sporco, dall’estorsione alle frodi finanziarie. Secondo Paolo, il clan di ‘ndrangheta a cui è stato infiltrato aveva manager in tutto il mondo, in grado di moltiplicare i milioni ricavati dalle attività illecite.

Ma come è possibile che organizzazioni criminali così complesse riescano ad operare in modo così efficiente e sfuggano alle forze dell’ordine per anni, se non decenni? La risposta sta nella loro capacità di mimetizzarsi, di infiltrarsi nei tessuti sociali ed economici delle comunità in cui operano, di controllare i poteri locali e di godere della protezione di un sistema di complicità che coinvolge anche le istituzioni.
Per questo motivo, l’infiltrazione di agenti sotto copertura rappresenta uno strumento prezioso per smantellare le organizzazioni criminali, perché consente di penetrare il loro mondo e di scoprire le loro attività illecite.
Tuttavia, come ha ammesso lo stesso Paolo, si tratta di un’operazione rischiosa e complessa, che richiede una grande preparazione e un’ottima conoscenza del territorio e delle dinamiche sociali.
In ogni caso, l’esperienza di Paolo dimostra che la lotta alla criminalità organizzata richiede una strategia multifronte, che comprenda non solo l’azione diretta delle forze dell’ordine, ma anche la prevenzione, l’educazione e il coinvolgimento delle comunità locali. Solo in questo modo sarà possibile contrastare efficacemente le organizzazioni criminali e proteggere la legalità e la sicurezza dei cittadini.

Luigi Mussari

 

 

Parla il carabiniere infiltrato: “La ‘ndrangheta ha manager in tutto il mondo”

 

“Ho visto come moltiplicano i milioni”, ha rivelato il militare sotto copertura in una intervista rilasciata a Repubblica.

Se il suo nome si potesse rivelare, rimarrebbe in cronache e annali, asserisce Alessia Candito di Repubblica nel suo articolo dove viene riportata una intervista ad un militare dell’Arma che per diverso tempo è riuscito a monitorare dall’interno le dinamiche della ‘ndrangheta, una delle più potenti organizzazioni criminali al mondo.
Hanno manager in tutto il mondo, ho visto come moltiplicano i milioni”, dichiara alla giornalista. “Paolo” è un infiltrato, il primo italiano che sia riuscito a “bucare” un clan di ‘ndrangheta, e il suo nome reale deve necessariamente rimanere segreto. È un carabiniere del Ros, e di certo non è la sua prima esperienza sotto copertura.

LA STORIA DI UN CARABINIERE DEL ROS CHE SI È INFILTRATO IN UNA ’NDRINA CALABRESE: “CI SONO SOGGETTI CON CAPACITÀ MANAGERIALI INIMMAGINABILI E CONTATTI IN TUTTO IL GLOBO. STANNO A BOVALINO E QUATTRO GIORNI DOPO TE LI RITROVI IN SUDAMERICA, POI DI NUOVO A BOVALINO AL BAR. E MUOVONO MILIONI – HO VISTO MOVIMENTARE UNA TRENTINA DI MILIONI GRAZIE A UN CIRCUITO CRIMINALE CINESE, UNA SORTA DI MONEY TRANSFER CLANDESTINO. I SOLDI VENIVANO RITIRATI E CINQUE MINUTI DOPO ERANO DISPONIBILI IN UN PAESE LATINO AMERICANO – I CLAN TI METTONO ALLA PROVA, VERIFICANO TUTTO QUELLO CHE DICI O RACCONTI”


Estratto dell’articolo di Alessia Candito per “la Repubblica”

Se il suo nome si potesse rivelare, rimarrebbe in cronache e annali. Ma “Paolo” è un infiltrato, il primo italiano che sia riuscito a “bucare” un clan di ’ndrangheta e il suo nome reale deve rimanere segreto.
Si sa e si può dire che è un carabiniere del Ros, che ha esperienza in Italia e all’estero e che quella appena conclusa non è la sua prima operazione coperta. […] per anni ha raccolto informazioni su movimenti finanziari, traffici, latitanze «inclusa quella di Rocco Morabito», ma soprattutto su rapporti e contatti. Imprenditori insospettabili inclusi.

Un tesoro di informazioni divenute essenziali per la maxi inchiesta “Eureka”, che la scorsa settimana ha portato a più di duecento arresti in tutta Europa. […]

Chi era Paolo? Per quanto tempo è diventato lui?

«Due anni e mezzo circa. Ero un insospettabile legato a contesti criminali, utile a risolvere problemi grazie a rapporti, contatti e ganci in Italia e all’estero. […]».

Non ha mai ha avuto paura che la copertura saltasse?

«Tutto è stato pianificato, ma bisogna fare attenzione a qualsiasi cosa. I clan ti mettono alla prova, verificano tutto quello che dici o racconti, le persone che sostieni di conoscere, le circostanze».

Dopo aver indagato per anni sulla ’ndrangheta, che effetto fa trovarsi dentro?

«È molto più pericolosa e ramificata di quanto si possa immaginare».

Com’è possibile che paesini della Locride di poche migliaia di anime siamo al centro di traffici mondiali e transazioni milionarie?

«Non devono ingannare. Non tutti sono allo stesso livello, ma ci sono soggetti con capacità manageriali inimmaginabili e contatti in tutto il globo. Stanno a Bovalino e quattro giorni dopo te li ritrovi in Sudamerica, poi di nuovo a Bovalino al bar. E muovono milioni».

Lo ha visto con i suoi occhi?

«Ho visto movimentare una trentina di milioni grazie a un circuito criminale cinese, una sorta di money transfer clandestino. I soldi venivano ritirati e cinque minuti dopo erano disponibili in un Paese latino americano».

Ha mai avuto la sensazione che ci fosse una regia più grande dietro l’azione dei singoli clan?

«La ’ndrangheta è unitaria, c’è sempre una sorta di mutuo soccorso fra le diverse famiglie». […]

 

 

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