Il termine “Cosa Nostra”, viene prevalentemente utilizzato per riferirsi esclusivamente alla mafia di origine siciliana e distinguerla, così, dalle altre associazioni e organizzazioni mafiose.
L’organizzazione è fondata su un sistema di relazioni basato sulla violenza e l’intimidazione e imperniato su di un profondo radicamento nel territorio. Si tratta, dunque, di un’organizzazione a base territoriale dove l’unità organizzativa di base (la famiglia) prende il nome dal territorio in cui la stessa opera e controlla e si sviluppa in maniera verticale-piramidale. Più famiglie vicine costituiscono, quindi, un “mandamento” che ha un suo capo deciso e nominato dai capifamiglia. I capi-mandamento della provincia fanno poi parte della “Commissione provinciale” al cui vertice vi è un rappresentante che, insieme agli altri rappresentanti provinciali, concorre a formare la Commissione Regionale. A partire dagli anni ottanta del XX secolo, gli interventi di contrasto dello Stato italiano (e quindi anche della magistratura) a tale fenomeno sono stati più pressanti ed incisivi, grazie anche alle indagini del noto “pool antimafia”, creato dal giudice Rocco Chinnici ed in seguito diretto da Antonino Caponnetto, di cui fecero parte, tra gli altri, anche i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Di conseguenza, anche Cosa Nostra reagì con decisione cercando di creare (o di ristabilire), attraverso gli omicidi e le stragi, quel clima di terrore e di instabilità attraverso il quale poter accrescere consenso e controllo sociale, elementi su cui si fonda la “forza” del fenomeno criminale in questione.
Il ricordo di chi ha sacrificato la propria vita per le istituzioni e nella lotta per la legalità è tracciato anche in questa pubblicazione voluta e curata dal Consiglio Superiore della Magistratura. CSM
Cosa Nostra
Cosa nostra si fonda su un sistema di relazioni basato sulla violenza e l’intimidazione esercitata dai sui adepti, così come recita la legge Rognoni-La Torre del 1982 che introduce nel codice penale l’art. 416 bis che definisce la nuova figura di reato di associazione di stampo mafioso, incentrata sulla nozione di “metodo mafioso”.
Il prestigio all’interno della famiglia mafiosa si raggiunge infatti soprattutto con la consumazione di omicidi, attraverso i quali si dà prova del proprio valore.
Essa si basa su di un profondo radicamento nel territorio e quindi su di un’organizzazione a base territoriale nel senso che l’unità organizzativa di base, cioè la famiglia, prende il nome dal territorio dove opera e controlla.
Le famiglie di Cosa nostra infatti prendono il nome dalle città e dai paesi che controllano (famiglie di Corleone, Trapani, Palermo, ecc). Palermo, la capitale della mafia, è l’unica ad avere sul suo territorio un gran numero di famiglie che, pertanto, prendono il nome dalle “borgate” sotto il loro controllo (famiglie di Brancaccio, Porta Nuova, corso dei Mille, Mondello, ecc).
Ogni famiglia è composta da un numero variabile di uomini d’onore, organizzati secondo una scala gerarchica: “soldati”, “capidecina”, “”consiglieri”, “sottocapo”, “capifamiglia”, “capimandamento”, “rappresentanti provinciale”, “rappresentante regionale”.
L’organizzazione è di tipo verticale-piramidale.
Più famiglie vicine costituiscono infatti un “mandamento” con un suo capo deciso dai capifamiglia. I capimandamento della provincia fanno parte poi della “Commissione Provinciale” al cui vertice vi è un rappresentante provinciale che, insieme agli altri rappresentanti provinciali, partecipa alla “Commissione Regionale” di Cosa nostra. La realizzazione di delitti di rilievo, dalle estorsioni alle rapine fino all’omicidio (eseguito sempre come ultima ratio) è rappresentativa delle relazioni in un dato territorio: ogni delitto di rilievo non può essere commesso in un dato territorio senza la preventiva autorizzazione del capofamiglia o del capomandamento (a seconda della gravità del fatto). Per delitti per così dire eccezzionali – come omicidi di capifamiglia, esponenti delle Istituzioni e personalità in vista – occorre un’autorizzazione direttamente dalla Commissione Provinciale, o addirittura Regionale.
Per quanto riguarda la struttura, Cosa nostra ricorda l’immagine di un carciofo, vale a dire differenti strati, o cerchi concentrici, dell’appartenenza mafiosa:
affiliati questo rappresenta il nucleo più intimo: essi sono coloro che fanno parte anche formalmente all’organizzazione facendovi ingresso attraverso un particolare rito di affiliazione.
⁃ collaboratori esterni
il secondo strato è quello costituito da persone che hanno contatti stabili con chi occupa la posizione più interna: si tratta in genere di politici, imprenditori, faccendieri che, anche se non formalmente affiliati, garantiscono all’organizzazione sistematiche possibilità di condizionamento della vita politico- amministrativa, infiltrazione nell’economia legale, possibilità di riciclaggio dei proventi della attività illecite.
⁃ fiancheggiatori
questo rappresenta lo strato più esterno ed è costituito da coloro che hanno contatti saltuari, ma che garantiscono quegli appoggi, coperture e consenso sociale di cui la mafia ha vitale bisogno per la riproduzione del proprio potere. Vi sono diversi livelli: da una parte vi sono i notabili legati alla mafia che fissano il legame “alto” fra mafia, mondo della politica e mondo degli affari; dall’altra persone comuni che forniscono alla mafia considerazione sociale, accondiscendenza, omertà e, quando serve, consenso elettorale.
Oggi si stima a grandi linee che Cosa Nostra conti circa 5.000 affiliati e almeno
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- LO STATUTO DI COSA NOSTRA
Cosa Nostra l’organizzazione criminale di stampo mafioso nata in Sicilia, la più famosa e fino agli inizi degli anni ’90 la più potente tra le organizzazioni mafiose a livello internazionale. A lungo identificata con la parola di origine siciliana “Mafia”, Cosa Nostra ha giocato un ruolo e ha avuto un peso nelle vicende politiche dell’Italia unita, sin dalle origini. La prima volta che comparve la parola «mafia» in Italia fu nel 1863, durante lo spettacolo teatrale “I mafiusi della Vicaria” di Giuseppe Rizzotto e Gaetano Mosca. La piéce teatrale ebbe molto successo all’epoca, con oltre trecento repliche nella sola Palermo e addirittura Re Umberto I tra gli spettatori a Napoli: il protagonista, Gioacchino Funciazza, dominava sugli altri mafiusi, facendosi pagare “u pizzu” per dormire su un giaciglio, ma al tempo stesso difendeva gli oppressi dal nuovo Stato e tutti quelli che chiedevano la sua protezione. Non solo, il boss rispettava i morti, battezzava i nuovi affiliati, promuoveva i migliori della banda. Tutte cose considerate all’epoca «onorevoli», ma il mafioso non era ancora «uomo d’onore» come sarebbe stato inteso decenni dopo. L’aggettivo «mafioso» era piuttosto sinonimo di «uomo coraggioso», mentre diventava «bella donna» se declinato al femminile. Tant’è che Rizzotto fu aspramente criticato, in primo luogo dall’etnologo Giuseppe Pitrè, che lo accusava di aver attribuito valore negativo alla parola. «La mafia non è setta né associazione, non ha regolamenti né statuti.», sosteneva lo studioso, «Il mafioso non è un ladro, non è un malandrino; e se nella nuova fortuna toccata alla parola, la qualità di mafioso è stata applicata al ladro, ed al malandrino, ciò è perché il non sempre colto pubblico non ha avuto tempo di ragionare sul valore della parola, né s’è curato di sapere che nel modo di sentire del ladro e del malandrino il mafioso è soltanto un uomo coraggioso e valente, che non porta mosca sul naso, nel qual senso l’essere mafioso è necessario, anzi indispensabile. La mafia è la coscienza del proprio essere, l’esagerato concetto della forza individuale, unica e sola arbitra di ogni contrasto, di ogni urto d’interessi e d’idee; donde la insofferenza della superiorità e peggio ancora della prepotenza altrui. Il mafioso vuol essere rispettato e rispetta quasi sempre. Se è offeso non si rimette alla legge, alla giustizia, ma sa farsi personalmente ragione da sé, e quando non ne ha la forza, col mezzo di altri del medesimo sentire di lui». WIKIMAFIA
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Processi: AUDIO DEPOSIZIONI ALLE UDIENZE
- FALCONE E BORSELLINO TRASFERITI D’URGENZA ALL’ASINARA
- IL BLINDATO, L’AULA BUNKER E LE GABBIE
- IL MAXIPROCESSO
- IL MAXIPROCESSO
- IL MAXIPROCESSO VENT’ANNI DOPO
- IL RICORDO DEL MAXIPROCESSO E LA MEMORIA DI FALCONE E BORSELLINO
- IL SECONDO MAXIPROCESSO A COSA NOSTRA
- INTERVISTA A FALCONE SUL MAXIPROCESSO
- L’AVVIO
- LE IMMAGINI MAI SVELATE PRIMA
- MICHELE GRECO AL PROCESSO
- NON AVEVO MAI DATO ERGASTOLI
- OMICIDI
- PARLA BUSCETTA
- PIPPO CALÒ
- DON MASINO, IL BOSS DEI DUE MONDI
Confronti
- BAGARELLA E LA BARBERA
- CALÒ E BUSCETTA
- CALÒ E CANCEMI
- RIINA E MARCHESE
- RIINA E MUTOLO 1P
- RIINA E MUTOLO 2P
- RIINA E MUTOLO 3P
- RIINA E MUTOLO 4P
- RIINA E MUTOLO 6P
- RIINA E MUTOLO 7P
- RIINA E MUTOLO 8P
- RIINA E MUTOLO 9P
- SINAGRA E ROTOLO
Deposizioni
- GAETANO SCAVONE
- GERLANDO ALBERTI
- GIOVANNI BONTATE
- BALDUCCIO DI MAGGIO
- LO VERSO
- LEOLUCA BAGARELLA
- LEOLUCA BAGARELLA 2
- LUCIANO LIGGIO
- MICHELE GRECO 1P.
- MICHELE GRECO 2P.
- PIPPO CALÒ
- SALVATORE CONTORNO
- SALVATORE RIINA
- SALVATORE RIINA 2
- TOMMASO BUSCETTA
- TOMMASO BUSCETTA 2
- TOMMASO BUSCETTA 3
- TOMMASO SPADARO
ORDINANZA AGRIGENTO+60 – 4.46.1993 – La Procura di Palermo emette l’ordinanza di custodia cautelare contro più appartenenti a cosa nostra. Tra i destinatari vi era, per la prima volta, Matteo Messina Denaro con la cattura di 23 soggetti e 16 notifiche in carcere. Altri furono arrestati nei giorni successivi.
Processi: AUDIO DEPOSIZIONI ALLE UDIENZE
QUANDO LO STATO TRATTÒ CON COSA NOSTRA
I MISTERI DEL COVO DI TOTÒ U CURTU