SALVATORE BAIARDO, il gelataio di Omegna amico dei Graviano

 

15.10.2023 Intervista SALVATORE BAIARDO


 

Il gelataio di Omegna, detto il profeta, recluta (dice lui…) 5 parlamentari di FI. Ne respinge 2 dal partito sconosciuto: non prendo cani e porci

Cinque parlamentari di Forza Italia firmano un accordo con il nuovo movimento di Baiardo. Da Forza Italia smentiscono.  22.6.2023 Il ricatto del gelataio Baiardo: cosa vogliono ottenere? A chi si rivolge il «profeta» di Cosa nostra?

Baiardo in diretta su TikTok sostiene che 5 parlamentari di Forza Italia sono pronti a entrare nel suo movimento. La smentita: «Una stron**ta»

 

L’aveva annunciato a inizio mese, su TikTok: «Siamo pronti a fondare un nuovo movimento, poiché la maggiore parte della gente non vuole più i partiti». Adesso Salvatore Baiardo, ex tuttofare dei fratelli Graviano, afferma di aver raccolto già le prime adesioni al suo soggetto politico. Adesioni eccellenti, stando a quanto racconta sempre su TikTok: «Vi do una grandissima notizia.
Hanno firmato con me un accordo cinque parlamentari». Alle domande dei follower sul partito di appartenenza dei presunti deputati, Baiardo replica: «Sono persone normalissime che fanno il loro lavoro sottobanco, non si vedono in televisione. Cinque di Forza Italia». E rilancia: «Cinque sicuri più due in forse. Sono sette deputati, sette deputati per il nostro movimento è tanto». Gli altri due parlamentari, che non sarebbero iscritti al partito di Silvio Berlusconi, dovrebbero incontrarsi con Baiardo domani, venerdì 23 giugno. Ovviamente, la nebulosità delle informazioni non consente di raccogliere la conferma da parte dei cinque soggetti chiamati in causa.
Nel video integrale che trovate in alto, Baiardo si compiace del fatto che «il movimento è partito con il piede giusto. Non siamo nessuno, eppure è già un movimento che parte con cinque parlamentari.
Sul nostro carro non deve salire chiunque. Non siamo la raccolta di cani e porci, ma siamo la raccolta di persone normali, semplici, che hanno voglia di lavorare e di far parte di questo movimento». Come avrebbe individuato questi cinque parlamentari? «Sono venuti loro a cercarmi, per fortuna, perché non saprei nemmeno dove andarle a prendere queste cinque persone, perché non si vedono mai in televisione. Questa è gente che sgobba senza visibilità. Quando tutti e cinque mi hanno chiesto di incontrarmi, per me è stata un grossa soddisfazione. Faranno diventare grande il nostro movimento».

 


2.10.2023 Le chat tra Giletti e il giornalista calabrese Orofino al centro dell’inchiesta Baiardo di Firenze

 


Baiardo conferma: “Dopo l’uscita del mio libro mi vedrete a Mediaset”. Poi difende Berlusconi e attacca Giletti: “Apra un canale Youtube”

 

“Quando mi vedrete sulle reti Mediaset? Dopo l’uscita del mio libro di sicuro. Berlusconi? Per 30 anni è stato un martire della nostra giustizia”. Parola diSalvatore Baiardo che al Salone del libro di Torino avrebbe voluto presentare il suo nuovo libro “Le verità di Baiardo” (ed. Frascati&Serradifalco). “Ma l’uscita è stata ritardata con quello che ha combinato Giletti con le varie procure, è inspiegabile, ha inventato una fantomatica fotografia”, sostiene l’ex gelataio di Omegna, che negli anni ’90 gestiva la latitanza dei fratelli Graviano nel Nord Italia. Per quei fatti Baiardo è stato condannato per favoreggiamento. Recentemente è diventato un personaggio noto al grande pubblico, soprattutto dopo la sua “profezia”: intervistato da Massimo Giletti ipotizzò l’arresto di Matteo Messina Denaro con alcuni mesi d’anticipo. Adesso Baiardo è impegnato nella promozione del suo libro, che dovrebbe uscire prima dell’estate. E nel frattempo Baiardo continua a pubblicare video sul suo profilo Tik Tok. Video che hanno collezionato migliaia di visualizzazioni grazie alle “profezie” che hanno anticipato diversi eventi.
Per esempio: come faceva a sapere che Giletti sarebbe stato cacciato da La7? E come faceva a sostenere che non sarebbe andato in Rai? “L’ho detto, c’è stato il famoso incontro al ristorante tra Cairo, Giletti e non mi faccia dire altri nomi, già lì si sapeva che Giletti era tagliato fuori da tutto”, risponde Baiardo. Che poi si sbilancia anche sul futuro del conduttore: “Non andrà in Rai, né a Mediaset né tornerà a La7”. A Mediaset invece sostiene di potere andarci lui. L’ex gelataio di Omegna sembra confermarlo a ilFattoQuotidiano.it: “Quando mi vedrete sulle reti Mediaset? Dopo l’uscita del libro di sicuro”. Parlerà anche dei rapporti tra Dell’Utri e i Graviano? “Il Baiardo racconta sempre la verità”, dice parlando di sè in testa persona. Poi invia un augurio a Berlusconi “perché gliene hanno fatto passare troppe, è un martire della nostra giustizia”. E quando gli si chiede della popolarità del suo profilo Tik Tok risponde così: “Anche il Fatto Quotidiano ha vissuto grazie alla mafia, se non c’era la mafia il Fatto non so se scriveva tutti questi libri o vendeva copie, perciò la mafia serve a tanti”. E se non ci fosse stata la mafia Baiardo che cosa avrebbe fatto? “Il gelataio e poi sarei andato in pensione”.


25.6.2023 𝗜 𝗽𝗺 𝗱𝗶 𝗙𝗶𝗿𝗲𝗻𝘇𝗲: “𝗕𝗮𝗶𝗮𝗿𝗱𝗼 𝗵𝗮 𝗳𝗮𝘃𝗼𝗿𝗶𝘁𝗼 𝗕𝗲𝗿𝗹𝘂𝘀𝗰𝗼𝗻𝗶 𝗲 𝗗𝗲𝗹𝗹’𝗨𝘁𝗿𝗶”


15.4.2023 “BAIARDO MI FECE VEDERE UNA FOTO DI B. CON GRAVIANO”


7.2.2023 Matteo Messina Denaro e le “stupidate” di Baiardo: «In pochi sapevano che ero malato. Ha tirato a indovinare»


6.2.2033 SALVATORE BAIARDO – Il carretto passava e quell’uomo gridava, “Gelati”


5.2.2023 – BAIARDO  e le nuove rivelazioni…

 


VIDEO Chi é Baiardo

23.1.2023 VIDEO La7


Messina Denaro, i pm indagano sulla “profezia” di Salvatore Baiardo. E potrebbero sentire anche Giletti


ROBERTO SCARPINATO: “Messina Denaro aveva deciso di lasciarsi prendere”. Scambio di prigionieri… Abolizione 41Bis…


BAIARDO: “MATTEO MESSINA DENARO NON NE HA PER MOLTO”


BAIARDO: “HO VISTO IL PASSAGGIO DI MANO DELL’AGENDA ROSSA


BAIARDO: “TUTTO IL MONDO STA PARLANDO DI ME


Chi è davvero Salvatore Baiardo? Tutti i dubbi sulla “profezia” di Matteo Messina Denaro malato

Chi è davvero Salvatore Baiardo? E cosa vuole ottenere? Subito dopo l’arrestodi Matteo Messina Denaro ha cominciato a circolare l’intervento a “Non è l’Arena” dell’ex tuttofare dei fratelli Graviano condannato per calunnia, falso e favoreggiamento. Successivamente, in un altro intervento nella trasmissione di Giletti, Baiardo ha detto che l’ultimo dei Corleonesi sta per morire e che il conduttore di La7, facendolo parlare, «sta rischiando molto». Eppure sono molti i dubbi sulla bontà delle sue dichiarazioni. E soprattutto sul suo vero obiettivo. L’ex magistrato e senatore del Movimento 5 Stelle Roberto Scarpinato ha detto che è il portavoce della mafia: «Parla in tv e annuncia che Matteo Messina Denaro verrà arrestato. E nonostante questo lui resta dov’era. C’è qualcosa che non va».
Il lodo Graviano
Un altro ex giudice oggi sul Fatto Quotidiano è ancora più specifico. Giancarlo Caselli nota che Baiardo parla in maniera stranamente minimizzatrice dei delitti di Filippo e Giuseppe Graviano. La sua tesi per i due all’ergastolo per vari delitti di mafia è che siano «dei bravi ragazzi che da giovani magari hanno fatto delle fesserie. Ma poi volevano cambiare vita trasferendosi al Nord. Tanto è vero che nel 1994 sono stati arrestati a Milano». Ma questo, ricorda l’ex magistrato, contrasta con tutte le ricostruzioni sugli anni della guerra di Cosa Nostra allo Stato. Gaspare Spatuzza, già killer di Brancaccio e collaboratore di giustizia, ricorda di aver incontrato Graviano latitante nel bar Doney a Roma pochi giorni prima dell’attentato dello stadio Olimpico. All’epoca Graviano disse a Spatuzza che era necessario compiere l’attentato contro i carabinieri allo stadio perché si doveva dare “il colpo di grazia”. E “aveva un’aria gioiosa”. Perché disse «che avevamo ottenuto tutto quel che cercavamo grazie a delle persone serie che avevano portato avanti la cosa», per cui «c’eravamo messi il paese nelle mani».
La carriera di un gelataio
Nella sua ultima apparizione tv Baiardo ha anche raccontato di aver visto nel 1992 o nel 1993 una copia dell’agenda rossa di Paolo Borsellino. E ha detto di voler querelare chi lo ha chiamato “pentito“. Perché evidentemente considera diffamatoria l’etichetta. Anche se è stato grazie al pentitismo che lo Stato italiano ha colpito in più occasioni i capi della mafia. Ed è riuscito a conoscerne metodi, ramificazioni, affari e omicidi. Lirio Abbate su Repubblica aggiunge che Baiardo è anche cugino di Cesare Lupo, prestanome dei boss palermitani. Ed è sempre stato dalla parte dei fedelissimi di Totò Riina. Tanto che, per coprirli, ha reso ai giudici dichiarazioni false o reticenti. Mentre la sua attività in tv, secondo il giornalista d’inchiesta, sembra essere una partita da giocare in favore proprio dei Graviano. A dicembre Filippo ha visto respingersi la richiesta di lasciare il 41-bis.
Baiardo e Ciancimino
Mentre “Madre Natura” (lo pseudonimo che si è scelto Giuseppe) conosce da sempre il modo di dispensare silenzi e mezze verità. Di Baiardo ha detto in carcere che è soltanto un gelataio che però aveva investito i frutti di una grande vincita ad Omegna. Ma anche che il vizio del gioco lo stava rovinando e che per questo il suo matrimonio era in crisi. Tanto che lui stesso, amico premuroso, ha deciso ai tempi di trasferirsi vicino a lui per tenerlo d’occhio. Alla fine Abbate paragona Baiardo alla figura di Massimo Ciancimino. Il figlio dell’ex sindaco di Palermo raccontava mescolanze di cose vere e false ai magistrati. E alla fine è finito in carcere per calunnia. Ma Riina odiava Ciancimino: «Se io sono il capo della mafia, lui queste rivelazioni le sta facendo per soldi», diceva. I Graviano invece non avranno certo molto da ridire su quel che dice Baiardo di loro. Quei bravi ragazzi.


Baiardo di nuovo alla SETTE : “Messina Denaro non si pentirà”. E sulla trattativa…

L’uomo che due mesi fa aveva profetizzato l’arresto del boss mafioso torna in tv. “Si è sempre curato a Palermo”. Dalle indagini su Messina Denaro spuntano dettagli che fanno pensare a una vita allo scoperto: dalla Giulietta all’aereo
Era novembre quando Salvatore Baiardo, un ex gelatiere e factotum dei fratelli Giuseppe e Filippo, due dei 4 fratelli mafiosi della famiglia Graviano, noti per essere i mandanti dell’attentato a Padre Pino Puglisi e per aver partecipato all’omicidio di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, disse a Giletti che presto sarebbe stato arrestato Matteo Messina Denaro.
La trasmissione era “Non è l’Arena” e le parole di Baiardo, dette quasi con aria di sfida, colpirono (e si vide) il conduttore. Parlò di una possibile trattativa, dove il boss, da tempo malato, si sarebbe fatto catturare permettendo la liberazione, sottotraccia, di altri mafiosi che stanno scontando l’ergastolo ostativo.
E pochi mesi dopo, è successo. Stasera Baiardo sarà ancora ospite di Giletti, che lo aveva congedato dandogli appuntamento a un eventuale dopo-arresto. Come è avvenuto.
Si è trattata quindi di una trattativa? “Se l’ho detto in quella trasmissione è perché ne ero più che convinto”, sarebbero state le sue parole, stando alle anticipazioni.
Addirittura a suo dire Messina Denaro si sarebbe sempre curato a Palermo.
Il boss ha vissuto negli ultimi due anni, si sta scoprendo, a Campobello di Mazara, nel Trapanese, ma non come una persona che si doveva nascondere. Addirittura a gennaio 2022 si sarebbe recato personalmente a compare la Giulietta su cui viaggiava, in una concessionaria a Palermo. La macchina era intestata a una signora di 86 anni, la madre di Andrea Bonafede, che di fatto è il prestanome di Messina Denaro (ora indagato).  Il super latitante avrebbe, e sarebbe davvero clamoroso, anche preso l’aereo: nel 2003 sbarcò all’aeroporto di Catia La Mar, a una ventina di km da Caracas in Venezuela con un volo che prima aveva fatto scalo a Parigi e Amsterdam. Secondo Baiardo, non si pentirà di quanto commesso nella sua vita.



VIDEO

 

Le rivelazioni shock di Baiardo: “L’unica speranza dei Graviano è che venga abrogato l’ergastolo ostativo” e sul nuovo governo: “Che arrivi un regalino?…Che magari presumiamo che un Matteo Messina Denaro sia molto malato e faccia una trattativa per consegnarsi lui stesso per fare un arresto clamoroso?” e sulla trattativa Stato-mafia: ”Non è mai finita”. 


 SALVATORE BAIARDO: «Graviano non uccise il giudice Borsellino. Era nella mia gelateria a Omegna»

 


SALVATORE BAIARDO: “MESSINA DENARO E GIUSEPPE GRAVIANO VERI FRATELLI, PRESUMO CHE COMANDINO ANCORA OGGI”Ad Abbattiamoli, il rapporto speciale tra Messina Denaro e Giuseppe Graviano,  tra delitti, attività operative, vacanze e regali


 


SALVATORE BAIARDO: “ Graviano non uccise Borsellinonella Era mia gelateria a Omegna»




Salvatore Baiardo: “Messina Denaro e Giuseppe Graviano veri fratelli, presumo che comandino ancora oggi”Ad Abbattiamoli, il rapporto speciale tra Messina Denaro e Giuseppe Graviano,  tra delitti, attività operative, vacanze e regali


 

L’AGENDA ROSSA

 

 


Fra le novità più attese della puntata, quelle sull’agenda rossa di Paolo Borsellino sparita dal luogo della strage il 19 luglio 1992. “L’agenda è in più mani” rivela sempre Baiardo agli inviati di Report Paolo Mondani e Giorgio Mottola. “Non solo, come si presume, in quelle di Graviano e Messina Denaro. Quell’agenda interessava anche ad altre persone. C’è stato un grosso incontro a Orta per quell’agenda rossa. Un grosso incontro”, riferisce sempre BaiardoPrecisando infine di “averla vista ”anche lui. AGI 4.1.2021

ARCHIVIO  Sull’attendibilità di SALVATORE BAIARDOil colonnello dei Carabinieri Andrea Brancadoroteste nel processo “Ndrangheta stragista“, ha ricostruito i mesi che portarono alla cattura di Giuseppe Graviano, su Baiardo e i rapporti fra Berlusconi e Graviano: “era del tutto inattendibile”  Il colonnello Andrea Brancadoro, sulla figura di Salvatore Baiardo, il gelataio di Omegna, e sui rapporti che quest’ultimo aveva detto di conoscere fra Giuseppe Graviano e Berlusconi. “Salvatore Baiardo – ha detto il militare – subito dopo il suo arresto ci disse di essere pronto a collaborare e, dietro la corresponsione di una ingente somma di denaro, di darci il modo di avviare delle indagini sul mondo economico di alto livello di Milano. Mi resi subito conto che le sue notizie erano inconsistenti sul rapporto fra Graviano e Berlusconi”.  “Ritenemmo Baiardo – ha concluso il colonnello Brancadoro – del tutto inattendibile”.Giovanni Verduci 06 marzo 2020 REGGIOTODAY


AUDIO


SALVATORE BORSELLINO “La puntata di Report ha generato solo grandissima confusione”

“Non è alla mafia che interessava l’agenda rossa di Paolo ma alle parti deviate dello Stato. E se quell’agenda fosse nelle mani di Matteo Messina Denaro, avrebbe uno strumento di ricatto incredibile”. E’ intervenuto così all’AdnKronos Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo ucciso da Cosa nostra. Ieri sera la trasmissione Report ha dedicato una puntata alla Trattativa Stato-mafia e alle stragi del 1992, puntata che però secondo il fratello del giudice “non ha fatto altro che creare confusione”. “Chi conosce la storia non ne ha ricavato nulla di nuovo, chi non è addentro alle cose è rimasto stordito – ha affermato – Una serie di notizie, di ipotesi, di informazioni, affastellate una dietro l’altra che hanno generato solo una grandissima confusione. Un frullato di cose vere e altre poco attendibili. Ognuno degli argomenti affrontati ieri sera avrebbe avuto bisogno di una trasmissione dedicata, di un approfondimento. Sono cose serie, non notizie”. In particolare a colpire Salvatore Borsellino sono state le dichiarazioni secondo cui l’agenda rossa del giudice, scomparsa subito dopo l’attentato in via d’Amelio, sarebbe nelle mani del boss latitante Matteo Messina Denaro“La mafia – ha evidenziato – non è interessata al contenuto di quella agenda. E’ lo Stato, e in particolare le sue parti deviate, che avevano tutto l’interesse a farla sparire. L’agenda rossa di Paolo è sicuramente nelle mani dei servizi segreti e non dei mafiosi”. Borsellino non ci sta inoltre a sentire parlare di una “presunta” trattativa Stato-Mafia. “Smettiamola di chiamarla così – ha detto – Una sentenza di primo grado ne ha già riconosciuto l’esistenza, definirla presunta confonde solo le idee di chi ascolta”. E ha aggiunto: “La trattativa per la mafia è stata un’elevazione di status, un riconoscimento. Cosa Nostra e lo Stato sullo stesso piano, a trattare l’uno con l’altro. Pensate cosa sarebbe successo se la sua esistenza fosse venuta fuori negli anni subito dopo le Stragi del 1992, quando la società civile era scossa e mobilitata dalle morti di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Sarebbe stato sconvolgente”. Il fratello del giudice Borsellino non trascura neanche le dichiarazioni del boss stragista Giuseppe Graviano. “La verità – ha detto – è che Berlusconi èriuscito a fregare anche i mafiosi, infatti Graviano gli rimprovera di averlo lasciato in carcere e di non aver ottemperato ai patti. In fondo porta avanti un ricatto nei confronti di Berlusconi, i messaggi che lancia dicono ‘io potrei parlare...’”.ANTIMAFIA DUEMILA 5.1.2021


«Quell’inchiesta di Report su Stato-mafia ha troppe lacune…». Esposto a Csm, Antimafia e Vigilanza Rai. Gli avvocati degli ex ufficiali dei Ros hanno presentato un esposto a Csm, Antimafia e Vigilanza Rai per la trasmissione ReportLa puntata di Report del 4 gennaio scorso ha dato per certo l’avvenuta trattativa Stato-mafia, basandosi solo sull’esito del processo di primo grado. Nessun condizionale, nonostante l’esistenza di ben sei sentenze di tribunale che hanno anche decostruito la tesi sulla presunta trattativa Stato-mafia, condotta dagli ex ros Mario Mori e Giuseppe De Donno tramite l’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino. Non solo. Nella medesima trasmissione, servizio pubblico della Rai, sono intervenuti i magistrati inquirenti rappresentanti l’accusa nel processo del quale si sta svolgendo il II° grado. Sono i punti principali che gli avvocati Basilio Milio e Francesco Romito, legali degli ex ufficiali dei Ros, hanno segnalato con un esposto inviato al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, al vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, David Ermini. al presidente della commissione parlamentare Antimafia,Nicola Morra, al presidente della commissione parlamentare per la Vigilanza dei servizi radiotelevisivi, Alberto Barachini, e al presidente della Rai Marcello Foa. Gli avvocati, nella segnalazione rivolta all’autorità, denunciano che il servizio è andato in onda infondendo certezze ai telespettatori, senza però mostrare i documenti che smentiscono alcune ricostruzioni date anche dai magistrati intervistati. Tutto ciò è avvenuto – si legge nell’esposto – «nonostante la Rai sia un ente assimilabile ad un’amministrazione pubblica in quanto – oltre a beneficiare della riscossione di un canone di abbonamento per la copertura dei costi del servizio pubblico, avente natura di imposta gravante su chi possiede apparecchi radiotelevisivi – è concessionaria ex lege dell’essenziale servizio pubblico radiotelevisivo, che è previsto debba esser svolto nell’interesse generale della collettività nazionale per assicurare il pluralismo, la democraticità, l’ imparzialità e la completezza dell’informazione».

L’intervista a Claudio Martelli e ciò che, però, disse altrove  Durante il servizio, il giornalista di Report chiede all’ex ministro della Giustizia Claudio Martelli: «Quella trattativa fu un’iniziativa di polizia o un’iniziativa anche politica, con un mandante politico, mi faccia l’identikit?». Martelli risponde: «Io penso di sì. Il Presidente della Repubblica dell’epoca, Oscar Luigi Scalfaro». Gli avvocati Milio e Romito, fanno però presente che Report avrebbe dovuto mettere a conoscenza dei telespettatori i fatti cristallizzati nei processi. Ci sono le motivazioni della sentenza di assoluzione di Calogero Mannino, dove i giudici hanno ritenuto «probabile che gli ufficiali del Ros avessero informato di tale iniziativa anche Borsellino – che con Mori e De Donno aveva all’epoca un rapporto di assoluta ed esclusiva fiducia, tanto da chiedere di vederli, riservatamente, nei locali della Caserma dei Carabinieri e non in quelli della Procura, per parlare del rapporto “mafia-appalti” poco prima della sua uccisione – giacché quando il giudice ne era stato informato dalla Ferraro, non ne era rimasto affatto stupito, né contrariato, rispondendo alla dirigente degli Affari Penali del Ministero che andava bene e che se ne sarebbe occupato lui». I legali segnalano anche una intervista che lo stesso Martelli rilasciò a Il Tempo nel 2009. A domanda se «c’è stata questa trattativa tra lo Stato e la mafia?» ha affermato: «c’è stata nei termini, se mi aiuti a prendere Riina io ti do qualcosa in cambio, come avviene con i pentiti. Probabilmente i Ros offrirono qualcosa in cambio dell’arresto del capo dei capi, ma nulla di più. Penso che bisognerebbe abbandonare questa teoria, troppe cose non tornano, evitiamo di arrivare al punto in cui Riina si auto assolva per far ricadere le colpe sulle istituzioni».
Pignatone: “Falcone aveva già scartato l’ipotesi Gladio”. Report è intervenuto anche Roberto Scarpinato, capo della procura generale di Palermo che rappresenta l’accusa nel processo attuale ancora in corso. Ad un certo punto, riferendosi all’omicidio Mattarella, dice: «Falcone giunge alla conclusione che non è stato ucciso da mafiosi ma è stato ucciso da due esponenti della destra eversiva, Cavallini e Fioravanti, gli stessi che sono coinvolti nella strage di Bologna. E da quel momento in poi comincia ad indirizzare la sua attenzione su Gladio». Si sussegue la voce narrante che dice: «l’indagine su Gladio rimase aperta». In questo modo, sottolineano gli avvocati, può indurre i telespettatori a pensare che in effetti Falcone non avrebbe fatto in tempo ad indagare su Gladio. Ma non è così. «Al riguardo – si legge nella segnalazione all’autorità -, anziché lasciare dubbi o sospetti, sarebbe stato doveroso informare telespettatori sulla base di atti pubblici, acquisiti, peraltro, dal predetto Procuratore presso il Csm, precisando che le indagini su Gladio vennero svolte ed esclusero coinvolgimenti negli omicidi politici». E infatti nei verbali c’è l’audizione del magistrato Giuseppe Pignatone che dice due cose fondamentali: una che Falcone era d’accordo con la requisitoria sull’omicidio Mattarella, due che su Gladio ci furono inizialmente dei contrasti sul come fare le indagini. «Noi – disse Pignatone al Csm – avevamo una preoccupazione diversa, dico noi perché su questo eravamo tutti d’ accordo». Alla domanda «Tutti chi?», rispose: «Giammanco, Sciacchitano, Scarpinato, Lo Forte ed io». Il Csm: «Anche Scarpinato?». Rispose sempre Pignatone: «Anche Scarpinato. Scarpinato, come al solito, era molto meno acceso nella discussione, Roberto è quello che è, però sostanzialmente era d’accordo su questa impostazione che partiva dal presupposto che l’indagine si dovesse fare». Poi Pignatone spiegò che alla fine Falcone svolse le indagini con lui. Conclusione? «Giovanni fece tutti gli accertamenti che ritenne, dopo di che fu chiaro che Gladio non c’entrava minimamente». In effetti, come Il Dubbio ha potuto riscontrare, nell’ultimo atto a firma di Falcone sull’omicidio Mattarella si legge che non ha trovato nulla che portasse alla pista Gladio, tranne che rinvenire un appunto dei servizi concernente uno dei presunti killer di Mattarella, ma palesemente estraneo ai fatti.
Subranni, falange armatae protocollo farfalla. Report è intervenuto anche Nino Di Matteo dicendo che Paolo Borsellino parlò in termini estremamente negativi e con un atteggiamento che la signora Agnese definisce sconvolto del suo ex amico generale Antonio Subranni. I legali di Mori e De Donno segnalano che Report avrebbe dovuto – per questioni di imparzialità nei confronti dei telespettatori – riportare fedelmente le parole di Agnese dove si evince tutt’altra interpretazione. Aggiungendo anche altre testimonianze. A partire dai verbali al Csm dove emerge che nell’ultima riunione a cinque giorni dalla strage di Via D’Amelio, Borsellino si è fatto portavoce delle lamentele dei Ros circa la conduzione del procedimento mafia-appalti. Report ha intervistato anche il magistrato Roberto Tartaglia, attuale vice capo del Dap, che dà per certo che la Falange armata sia espressione dei servizi segreti. Ma gli avvocati spiegano che Report, per completezza di informazioni, avrebbe dovuto citare il provvedimento del giudice Monteleone dove – attraverso indagini – ha smentito tale ricostruzione. Così come il Protocollo farfalla, operazione di intelligence che nulla ha che vedere con la presunta trattativa. Anzi, come ha scritto il Copasir, era volto a scovare una regia mafiosa dietro le proteste contro il 41 bis. Operazione, tra l’altro, fallimentare.  Damiano Aliprandi  11 gennaio 2021 IL DUBBIO


Salvatore Borsellino: ”La Rai di ‘Report’ continui a scavare a fondo”. “Spero cresca l’interesse pubblico e che vengano approfondite le notizie fornite in trasmissione”  “Io spero che la Rai di ‘Report’, trasmissione del servizio pubblico, continui a scavare nella ricerca di notizie sull’Agenda Rossa di mio fratello Paolo e sulle vicende legate alla Trattativa Stato-mafia. E spero anche che, viste le cose sostenute nel corso della trasmissione di Rai3 e considerando che in Italia c’è l’obbligatorietà dell’azione penale, qualche pm prenda in mano queste notizie e avvii opportune indagini”. A dirlo all’Adnkronos è Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo. “Ad esempio – prosegue il fondatore del movimento Agende Rosse – sul fatto che il ‘gelataio’ Salvatore Baiardo, ex braccio destro dei fratelli Graviano, abbia detto fuori onda al giornalista Paolo Mondani che lui ha i nomi di chi ha le copie dell’agenda. Un’affermazione che può essere esplicitata davanti a un magistrato. E spero anche che a questa puntata di ‘Report’, che ha riscosso successo e interesse da parte del pubblico, seguano altri approfondimenti di una materia molto complessa, per la quale non sono bastate le due ore del programma per essere spiegata a chi magari non ne ha mai sentito parlare”.  “La trasmissione è stata coraggiosa – sottolinea Borsellino – rappresentando un elemento di rottura, perché ha toccato molti nervi scoperti e vicende che da anni vengono occultate. Oggi non si fanno più attentati sanguinari, ma depistaggi e azioni di dossieraggio per distruggere le persone. In questo difficile panorama, la stampa a volte non si esprime a sufficienza e spesso non riesce a esprimersi affatto perché non può. ‘Report’ ha gettato un sasso nello stagno dell’informazione, che ha cominciato a creare delle onde, che auspico si facciano sempre più grandi, coinvolgendo così tutti coloro che sono interessati a conoscere i fatti riguardanti non solo le stragi del ’92 e ’93, che hanno colpito a morte la mia famiglia e la Repubblica italiana, ma anche quelle dei periodi precedenti, che sono parte delle pagine più buie della storia italiana” “Se in un primo tempo, ho criticato il programma – ricorda ancora Borsellino – è stato perché si è iniziato a parlare di ‘presunta Trattativa’, benché ci sia una sentenza di primo grado che ne comprova l’esistenza -in quanto ‘attentato a corpo politico dello Stato – oltre a quelle sul boss Francesco Tagliavia relativa alla strage di Firenze”.  “A caldo ho manifestato anche riserve sul fatto che si definisse ‘agendina’ quella che ritengo un’importantissima documentazione sottratta dalla macchina di mio fratello Paolo e sul fatto che fosse in mano ai mafiosi, in quanto finora ero sicuro che fosse stata presa dai servizi segreti. Poi però ho riflettuto: una cosa non esclude l’altra e la realtà può superare ogni ipotesi”. “Quell’agenda – conclude quindi Borsellino – se è vero che è stata presa dai servizi può darsi che in seguito sia stata consegnata alla mafia o che la mafia abbia preteso che le venisse consegnata in ‘pegno’, proprio per la conclusione trattativa e il mantenimento dei patti stipulati. Un’arma di ricatto, insomma. Quello che sembra impossibile potrebbe essere una evenienza da non scartare. Tutti elementi da sviluppare in seguito, se un seguito ci sarà. Me lo auguro vivamente”. ANTIMAFIA DUEMILA 9.1.2021


7.1.2021 – La trattativa Stato-Mafia secondo Salvatore BorsellinoIl linguaggio è importante: la trattativa Stato-Mafia non è “presunta”. La trattativa Stato-Mafia esiste ed è provata, come dice Salvatore Borsellino. Lui è il fratello di Paolo Borsellino, ucciso nella strage di via D’Amelio il 19 luglio del 1992. “Smettiamola di chiamarla così. Una sentenza di primo grado ne ha già riconosciuto l’esistenza, definirla “presunta” confonde solo le idee di chi ascolta”. Le dichiarazioni ad Adnkronos di Salvatore Borsellino seguono il servizio di Report andato in onda la sera del 4 gennaio. Nel programma di Sigfrido Ranucci si è parlato dell’agenda rossa di Paolo Borsellino. Salvatore Baiardo a Report: l’agenda rossa è in mano alla mafia Il servizio di Report ha per protagonista Salvatore Baiardo. Si tratta di colui che ha coperto la latitanza della famiglia dietro la strage di via D’Amelio. Ci riferiamo ai Graviano.

I fratelli Graviano, infatti, erano dei killer al servizio di Totò Riina. Ed è nella famiglia Graviano che sarebbe finita l’agenda rossa. Al riguardo ci sarebbe stato un incontro ad Orta, in Piemonte.

Sarebbero stati presenti anche rappresentanti di quei Servizi Segreti arrivati fin troppo in fretta sulla scena della morte di Borsellino. Riguardo la trattativa Stato-Mafia, Baiardo ha  parlato di incontri con Silvio Berlusconi. Ne parla anche il collaboratore di Borsellino Giovanni Paparcuri, che ribadisce la volontà di Borsellino di indagare sul politico, su spinta di Giovanni Falcone. Baiardo parla di giri di soldi fra Marcello dell’Utri e Berlusconi, e la famiglia Graviano. Lo stesso Giuseppe Graviano aveva ribadito in passato come avesse incontrato tre volte Berlusconi, nell’aula bunker di Reggio Calabria per il processo ‘Ndrangheta stragista.

L’opinione di Salvatore Borsellino La grande quantità di teorie, però, ha infastidito Salvatore Borsellino. Il fratello del magistrato non ha apprezzato l’unione fra verità e teorie non confermate. Chi conosce la storia non ne ha ricavato nulla di nuovo, chi non è addentro alle cose è rimasto stordito. Una serie di notizie, di ipotesi, di informazioni, affastellate una dietro l’altra che hanno generato solo una grandissima confusione. Un frullato di cose vere e altre poco attendibili. Ognuno degli argomenti affrontati ieri sera avrebbe avuto bisogno di una trasmissione dedicata, di un approfondimento. Sono cose serie, non notizie. Una delle ipotesi, per esempio, riguarda una delle copie dell’agenda rossa, forse finita nelle mani di Matteo Messina Denaro. Non è alla mafia che interessava l’agenda rossa di Paolo Borsellino ma alle parti deviate dello Stato. E se quell’agenda fosse nelle mani di Matteo Messina Denaro, avrebbe uno strumento di ricatto incredibile.

L’agenda rossa di Borsellino e la trattativa Stato-Mafia L’agenda rossa di Borsellino, oltre ad avere un valore simbolico riguardo l’antimafia, è una delle prove chiave sulla trattativa Stato-Mafia. Secondo chi conosceva Paolo Borsellino, il magistrato aveva cominciato a prendere una serie di appunti considerati fondamentali. Non si separava mai dalla sua agenda, ma era sparita dalla scena del crimine di via d’Amelio. Salvatore Borsellino ha definito all’Adnkronos “una scellerata congiura del silenzio che è durata per 20 anni” ciò che ruota attorno all’agenda. C’era qualcuno che aspettava per fare sparire l’agenda rossa e per impadronirsene […] Quell’agenda è stata sottratta perché doveva servire per gestire i ricatti incrociati con i nomi.

Ad oggi è uno dei più gravi depistaggi della storia italiana. Un’agenda, un oggetto apparentemente innocuo, potrebbe far luce sul torbido rapporto fra politica e mafia. Questo oggetto apparentemente innocuo diventa pericoloso, vitale ed essenza della lotta contro la criminalità organizzata. In ogni sua forma. Magari un giorno l’agenda rossa finalmente finirà nelle mani giuste: quelle della giustizia.  7 GENNAIO 2021 Ultima Voce Giulia Terralavoro


“REPORT FAVORISCE I GRAVIANO”, LA VERITÀ DEL GIUDICE DEL MAXIPROCESSO ALFONSO GIORDANO  Alfonso Giordano, classe 1928, è il magistrato siciliano che ha presieduto il maxi processo a Cosa Nostra. Ha accettato di presiederlo quando più di qualcuno, tra i suoi colleghi, adduceva pretesti per declinare: troppe incognite, troppo lavoro e troppi rischi di essere ucciso. E invece il più ampio processo penale della storia è stato concluso dopo un lavoro ciclopico, svolto per il I grado in ventidue mesi serrati: 460 imputati, 200 avvocati, culminato con 19 ergastoli e 4665 anni di pene detentive complessive. Dopo una vita con il peso della scorta addosso, per le minacce continue di Cosa Nostra, ad appena 92 anni può finalmente dedicarsi a se stesso. Meritato riposo? Mica tanto: quando lo raggiungiamo è immerso nella scrittura del secondo libro, dopo quello dedicato alla storia del maxi processo: una ricostruzione della vicenda di Lucrezia Borgia. Vittima di intrighi di potere e delle maldicenze dell’epoca.

Parliamo di trame più recenti: lei come giudica la tesi della Trattativa Stato-mafia?  Io ho rappresentato lo Stato nel processo più duro contro Cosa Nostra. Il nostro compito era quello di non fare sconti a nessuno, e non ne abbiamo fatti. Diciannove ergastoli comminati insieme e poi confermati in appello e in Cassazione significano che lo Stato con la mafia ci andava giù duro. Alla storia della cosiddetta Trattativa non credo e nessuno che conosce i fatti può credervi. Si era incaricato di smentirla Giovanni Falcone. La aveva considerata una ipotesi inesistente Paolo Borsellino.
Allora proviamo a fissare qualche paletto. Perché poi l’ipotizzata Trattativa la colloca dopo la sua sentenza di primo grado, anzi dopo l’assassinio di Salvo Lima, che non sarebbe riuscito a mitigare la sentenza di Cassazione.  Sono fantasie, per quanto ne so, come conferma la sentenza di assoluzione di Mannino.
Il terzo livello esiste?
Anche su questo presunto terzo livello, troppa fantasia. È stato agitato come uno spettro ma ogni volta che si sono svolte indagini accurate, non sono stati trovati riscontri alle ipotesi. Se ne era occupato Falcone, che lo escludeva completamente: la mafia non accetta suggerimenti e non si presta a cabine di regia congiunte con nessuno.
Cosa ricorda su questo punto nell’istruttoria del maxi processo?  La fecero molto bene Falcone e Borsellino. Conclusero che la mafia era gelosa delle sue cose e che la Commissione, che rappresentava il vertice della Cupola, emetteva le sue sentenze senza dare ascolto né a servizi deviati né a emissari della massoneria, né altri.
Ma il dialogo della mafia con la politica c’era.  In parte c’è sempre stato. Ma sul piano locale, e i politici che prendevano parte al dialogo con Cosa Nostra sono sempre stati quelli siciliani, con incarichi amministrativi. Non c’erano nei nostri riscontri politici di primo piano nazionale.
Lei interrogò personalmente Giulio Andreotti, tra gli altri. Come fu il confronto?  Serio, serrato. Lo andai a sentire a Roma. Andreotti mise a disposizione le informazioni che aveva, negando un suo coinvolgimento diretto. Ma aveva capito il ruolo di Salvo Lima e di Vito Ciancimino. A fine interrogatorio ci fece gli auguri di buon lavoro e non interferì mai, in nessun modo, con le indagini.
Il maxi processo beneficiò delle ampie rivelazioni di Tommaso Buscetta. Che però sui rapporti con la politica non furono così ampie.  È vero, Buscetta non voleva parlare dei rapporti con la politica. Con Falcone accennò al ruolo di Salvo Lima, una volta. Io nel dibattimento lo incalzai ma lui, che pure tirò fuori i nomi di tantissimi mafiosi, non fece nomi di politici. Non so se per paura o per scarse informazioni.
Borsellino voleva andare a fondo e stava indagando sul filone mafia-appalti.  Sì, Borsellino stava stringendo il cerchio sul filone che riguardava più da vicino il sistema delle complicità tra politica e Cosa Nostra, anche con riferimento ad un sistema di corruzione diffuso. Stava indagando su questo nei giorni subito precedenti all’attentato mortale di via D’Amelio.
In quell’occasione scomparve la sua agenda rossa. Ci aiuta a capire che cos’era?  Si è favoleggiato moltissimo su quell’oggetto. Io conoscevo l’ordine meticoloso e l’aggiornamento delle cartelle di indagine di Borsellino, dei suoi uffici con cui mi trovai a lavorare in quegli anni. Non era un uomo che poteva affidare a un quadernetto chissà quali segreti. Aveva una agenda tascabile come la avevamo noialtri; c’erano gli appuntamenti giorno per giorno, gli orari delle riunioni e delle telefonate da fare, e alla fine c’era la rubrica telefonica con i numeri da portarsi dietro, perché parliamo di anni in cui i cellulari non c’erano. Certo è strano che sia sparita, è un mistero chi l’abbia presa e dove sia. Ma escluderei che possa contenere chissà quali rivelazioni.
C’è un florilegio di ipotesi, ci sono pentiti che dicono di averne visto girare anche più copie… Noi sui collaboratori di giustizia dobbiamo stare molto attenti. I depistaggi esistono sempre. Chiedo ai colleghi magistrati di mettere sempre il massimo dell’attenzione sull’attendibilità di chi collabora, perché le finalità della collaborazione sono sempre diverse da quelle che noi immaginiamo. Ciascuno ha in mente una propria mappa di convenienze e connivenze, di interessi particolari. E se raccomando attenzione ai magistrati, figuriamoci ai giornalisti. Chi ricostruisce reportage sulla base di dichiarazioni di presunti pentiti inattendibili non fa un servizio alla verità dei fatti.
Salvatore Baiardo, il gelataio di Omegna, sostiene che Berlusconi sia venuto in Sicilia quattro volte per incontrare i fratelli Graviano.  Mi sembra inverosimile, e non risulta da nessun riscontro, né dalle rivelazioni di Buscetta. Sa cosa penso? Che sia una voce che favorisce i fratelli Graviano, perché li riveste di un’autorevolezza un po’ superiore a quella che avevano. Si vogliono far passare per depositari di segreti che in realtà non esistono.
Che ruolo ha avuto Berlusconi rispetto a Cosa Nostra?  Per quel che so Berlusconi ha avuto delle minacce da Cosa Nostra, sia dal punto di vista economico, sia da quello fisico. Tramite Dell’Utri, di cui si fidava, accettò di assumere Mangano, un personaggio incaricato da Pippo Calò di tenere Berlusconi sotto protezione. Come è noto abbiamo condannato Calò e Mangano, dopo aver acquisito tantissima documentazione. Agli atti non risulta niente di più su Berlusconi, ma vedo che il suo nome continua a circolare a prescindere.
Del maxi processo rimane epico, tra i tanti, il momento del confronto Buscetta-Calò. Come vide reagire Calò alle pesanti accuse che gli venivano rivolte?
Calò era bravo a dissimulare, non cambiava mai espressione, anche quando li mettemmo seduti fianco a fianco. Ma quando Buscetta iniziò a parlare degli omicidi commessi personalmente da Calò, lo vidi prima sbiancare all’improvviso, poi irrigidirsi, con gli occhi sgranati. Ero in quel momento a pochi metri davanti a lui. Buscetta gli disse: “Come hai potuto ammazzare La Licata che era tuo amico, con le tue mani?”. Buscetta provò a negare perfino di conoscerlo: “La Licata chi è?”, e Buscetta lo incastrò: “Ma se hai condiviso con lui anche la cella”, e fece cenno a noi magistrati di andare a verificare sui registri carcerari. Fu l’inizio di una lista di omicidi. Calò capì in quel momento di essere finito, gli stava piombando davanti la realtà. Trasecolò.
È in questi giorni a Palermo l’appello Stato-mafia, come andrà a finire?  Le sentenze del processo a Mannino mettono in chiaro ruoli e dinamiche: non è esistita. Che qualche elemento dello Stato possa aver parlato con qualche elemento della mafia, non lo escludo. Ma non per rispondere a un interesse generale, a un disegno complottistico come quello di cui si legge. Ho conosciuto sul campo il valore di uomini che hanno sfidato la morte centinaia di volte, pur di contrastare Cosa Nostra. E vedere i loro nomi in quel processo mi fa male, mi creda.
Il Generale Mario Mori, per esempio?  Mori, per esempio, certo. Uno che colpiva con grande decisione la criminalità organizzata, a cui lo Stato dovrebbe gratitudine, piuttosto. Ha avuto interlocuzioni, ha cercato informatori, ha seguito la pista di qualche infiltrato che riferiva? Io ho potuto condannare sulla base delle operazioni che ha portato a termine Mori, se vuole la mia testimonianza è questa.
Oggi c’è un processo mediatico che partecipa del processo in aula, magari provando a influenzarlo? C’è una esagerazione, un giustizialismo mediatico. Con una preponderanza sull’interpretazione dei fatti. I fatti andrebbero trattati quali sono, e non come forse sono, o come forse vorremmo che fossero andati. Qui c’è una confusione di ruoli che secondo me è dovuta alla televisione, a un linguaggio poco accurato che mal si concilia con l’attenzione certosina di tutti i dettagli della ricostruzione dei fatti, cosa di cui invece si incarica il processo. Un difetto che si è aggravato nel tempo. Aldo Torchiaro — 9 Gennaio 2021 IL RIFORMISTA



Ingroia: ”Agenda Rossa di Borsellino è in mano a uomini di Stato, non boss”. Secondo l’avvocato “a Report molto sensazionalismo”. “Premesso che è un evento il fatto che la Rai, in prima serata, parli di un argomento tabù come la Trattativa Stato-mafia per il resto la puntata di ‘Report’ di ieri sera su Rai 3 mi è sembrata un’occasione sprecata per far luce sugli anni più bui della nostra storia”. A dirlo all’AdnKronos è Antonio Ingroia, ex procuratore aggiunto di Palermo che istruì il processo sulla Trattativa Stato-mafia come pm insieme al pool poi guidato da Nino Di Matteo.  “Promesse, rivelazioni sconvolgenti, poi non mantenute – ha aggiunto Ingroia, che nel frattempo ha smesso la toga e oggi esercita la professione di avvocato – tranne qualche informazione depistante tipo ‘Matteo Messina Denaro ha l’Agenda Rossa’, visto che l’agenda sparita di Borsellino è certamente nelle mani degli uomini dello Stato e non della mafia”. “Oppure far apparire il dottor Contrada vittima, mentre restano i fatti gravissimi per la sua condanna definitiva per collusione con la mafia. Un grande minestrone – ha concluso Ingroia – dove tutti sembrano colpevoli e tutti innocenti. Non un buon servizio per i cittadini, secondo me. Ho visto molto sensazionalismo ed equilibrismo e nessun giornalismo d’inchiesta”. AMDuemila 05 Gennaio 2021


BAIARDO SMENTISCE IL “FATTO”:”NESSUN RAPPORTO DEI BOSS.CON BERLUSCONI E DELL’UTRI”  Il favoreggiatore dei capimafia Graviano smentisce il Fatto Quatidiano “Qualcuno vuole accostare per forza il Cav alle stragi del 1993”  «I boss, Dell’Utri e Berlusconi?». Tutte minchiate. Letto il (suo) botta e risposta con il Fatto Quotidiano dal titolo «I Graviano, gli affari e la villa di B. in Sardegna», Salvatore Baiardo, condannato per favoreggiamento dei fratelli capimafia Filippo e Giuseppe Graviano, alza il telefono per confutare gran parte dell’intervista. E lancia accuse alla Dia di Firenze che ha fatto e fa di tutto – a suo dire – per farsi dire i nomi di Dell’Utri e Berlusconi così da accostarli ai Graviano e alle stragi del ’93.

Nell’intervista fa cenno a cose delicatissime che sa sui boss Graviano, Berlusconi e Dell’Utri… «Hanno scritto un mucchio di cazzate che io non ho detto».

Prego? E quali sarebbero? «Quelle su Berlusconi, sulle telefonate che i Graviano facevano in mia presenza a Dell’Utri, addirittura hanno scritto che sarei il confidente di un’informativa Dia…».

Quella dove si scrive che Graviano e Dell’Utri facevano affari immobiliari insieme e che il prestanome era il noto Rapisarda? «Appunto. So quel che dico perché i giornalisti hanno registrato l’intervista. Forzano il titolo, poi in basso nell’articolo scrivono che io non confermo di essere l’informatore. Di vero c’è che ho favorito la latitanza dei Graviano, e ho pure pagato col carcere. Non ho mai collaborato con la Dia anche se loro, ancora tre mesi fa, hanno insistito a farmi dire cose su Berlusconi e Dell’Utri che non so».

Lei fa riferimento a una villa in Sardegna, vicino quella di Berlusconi, ospiti i Graviano nell’estate del ’93. Lei sa di rapporti diretti o indiretti dei Graviano con Berlusconi e Dell’Utri? «Assolutamente no. Mai nominati. Mai sentiti. In Sardegna i Graviano erano in vacanza, la villa sarà stata anche vicina a quella dell’ex premier, ma che c’entra? Non si conoscono. Non si sono mai visti. E invece leggendo l’intervista, e il titolo, esce il contrario».

Lei fa riferimento a imprenditori come Rapisarda e Carboni che «facevano affari». Che voleva dire? Che i Graviano erano in rapporto con loro, in rapporti con Dell’Utri? «Macché. Ho solo fatto riferimento a quei nomi che la Dia già citava al momento del mio arresto nel ’95, ma io non sapevo e non so niente di Carboni e Rapisarda, men che meno se fossero in contatto coi Graviano. So invece cose che smentiscono il pentito Spatuzza ma a nessuno interessano».

Per questo i pm non la vogliono ascoltare? «Anche. Ho da dire tanto pure sulla presenza dei Graviano al Nord ma niente ha a che fare con Berlusconi e Dell’Utri».

Perché invece delle interviste non si presenta ai pm? «Gli avvocati di Graviano più volte hanno presentato istanza per farmi testimoniare ma i magistrati non lo hanno ritenuto necessario. Si fidano solo dei pentiti».

È vero che la Dia le ha offerto soldi per collaborare? «Un miliardo e mezzo, una villa e un’attività dove volevo io».

Conferma che era interessata solo a Berlusconi e a Dell’Utri? «Sì. Anche recentemente gli ho detto: ma voi volete sapere tutto dalla A alla Zeta. E loro: no, no. Solo dalla B (come Berlusconi) alla D (come Dell’Utri)».” IL GIORNALE 5.1.2021


A Report l’ex uomo dei Graviano ammicca, ridacchia e fa le sue rivelazioni: chissàSembra proprio uno che si gode la vita l’ex uomo dei Graviano, Salvatore Baiardo. Vanesio e abbronzato – l’intervista deve essere stata realizzata in piena estate – Baiardo ammicca, ridacchia e annuisce alle domande dell’ottimo Paolo Mondani inviato di Report per la recente puntata sulla mafia, nella quale troneggia per le sue rivelazioni.

I Graviano, killer spietati al servizio di Totò Riina, gli avevano aperto una gelateria. Delle due l’una: o gli sta dando una coltellata e loro sono lì a dolersi per il tradimento e giurargli vendetta, oppure la sua voce non è che una estensione di quella dei suoi padroni. Chissà.

È che nel febbraio dello scorso anno – di sicuro prima dell’intervista che abbiamo visto su Rai 3 – “Madre Natura”, come era chiamato Giuseppe Graviano, il boss del rione Brancaccio di Palermo che non ebbe pietà per gli occhi profondi e buoni di don Puglisi, prese a dare botte da orbi contro Silvio Berlusconi. “L’ho incontrato tre volte a Milano, mentre ero latitante”. Parole pesanti come pietre che svolazzano nell’aula bunker di Reggio Calabria durante il processo ‘Ndrangheta stragista mentre lui depone in videoconferenza.

Niccolò Ghedini deve essere cascato giù da una sedia, si precipita a smentirlo e minaccia querele. Graviano sostiene poi che Berlusconi, prima di iniziare la sua attività politica, gli avrebbe chiesto di essere aiutato in Sicilia. A detta del boss, però, molte delle attese che Cosa nostra aveva riposto in Berlusconi vennero meno, come il mantenimento del regime carcerario del 41bis e la mancata abolizione dell’ergastolo.

“Per questo – incalza – ho definito Berlusconi traditore. Sono latitante dal 1984 – dice al procuratore Giuseppe Lombardo che lo interroga – ma fui lo stesso presente quell’anno ad un incontro con Berlusconi, che sapeva della mia condizione. C’erano anche altre persone. Mio nonno, un facoltoso commerciante di frutta e verdura, era in contatto con Berlusconi e fu incaricato da Cosa nostra di agganciare l’ex presidente della Fininvest per investire al Nord”.

Ora spunta l’ex gelataio. Che butta lì, a mezza bocca, quasi un borbottio “Sì, sì, e certo che sì. Si sono visti. Ahi sai tu quante volte!” e così via (un modo di fare che non sappiamo se appartiene al personaggio o è una tecnica per poi ritrattare…). Parla anche dei soldi che i Graviano avrebbero dato a Marcello Dell’Utri e Berlusconi, anche per appoggiare il progetto politico, già a partire dal febbraio-marzo del 1992, e tocca la questione delle questioni, quella che sta a cuore non solo agli investigatori: l’agenda rossa.

Quella famosa agenda di Paolo Borsellino che è diventata un simbolo del movimento antimafia. Dice che è in più mani, in più copie. Cu fu un grosso incontro a Orta per quell’agenda rossa. Un grosso incontro. Lui l’avrebbe addirittura vista. L’agenda non è un semplice oggetto, è una evocazione, il rinvio ad un mondo, è un modo per creare tante attese. Ma attenzione. Non sappiamo per conto di chi parli l’ex gelataio, l’uomo dei Graviano. STEFANIA LIMITI IL FATTO QUOTIDIANO 5.1.2021


La rivelazione del facilitatore della sua latitanza a Report: “Una copia dell’agenda rossa ce l’ha Graviano”


Report, Baiardo e la latitanza dei Graviano  Le prime dichiarazioni di Salvatore Baiardo risalgono al 1996. Le sue dichiarazioni non finirono mai dentro un’inchiesta anche perché lo stesso Baiardo chiese di mantenere l’anonimato e scelse di non voler confermare le sue dichiarazioni.

Durante la puntata di Report, andata in onda ieri 4 gennaio, ha fatto sicuramente scalpore l’intervista a Salvatore Baiardo, personaggio sicuramente sconosciuto ai più. Quanto dichiarato dal Baiardo che, molto spesso, ha solo confermato con il capo quanto chiesto dall’intervistatore, è solo la lunga coda di quella che, ancor oggi, è impossibile definire una vera e propria collaborazione tra il Baiardo e lo Stato.

 Per meglio capire chi sia Salvatore Baiardo bisogna tornare all’inizio del 2020 quando si tenne il processo denominato “’Ndragheta stragista” e a quanto dichiarò allora Francesco Messina, dirigente della polizia di Stato in servizio alla Dia di Milano sino al 1997 e oggi Direttore del servizio Centrale Anticrimine della Polizia di Stato. Acquisito agli atti del processo un documento di duecento pagine, firmato dal dottor Messina, inviato alla procura di Reggio Calabria, in cui gli investigatori della Direzione investigativa antimafia dettagliarono la latitanza in Nord Italia dei boss di Brancaccio e i loro legami – sempre presunti – con Marcello Dell’Utri.

Per meglio avvalorare la loro indagine citano un vecchio documento investigativo del ’97 definito di “portata eccezionale, alla luce delle nuove risultanze sulle mancate attenzioni istituzionali sulla figura di Baiardo e che, con il senno del dopo, conferisce alle dichiarazioni confidenziali di questi comprovata attendibilità e riscontro”.

E sui contenuti di questo documento fu deciso di sentire il dottor Messina che, rispondendo alle domande del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, ha ricostruito la collaborazione “ondivaga” di Salvatore Baiardo, il gelatiere di Omegna di origini siciliane, “testa di legno” dei fratelli Graviano, nell’ambito dell’inchiesta sulle stragi.

 “Io – ricorda Francesco Messina – ho incontrato fisicamente due volte Salvatore Baiardo, insieme al collega Zito della Dia di Firenze, quando lo stesso sembrava orientato a collaborare nell’estate del 1994, vicino a Omegna. In quell’occasione rappresentò di avere genericamente notizie per ricostruire la latitanza dei Graviano, ci parlò dei Graviano e dei loro contatti ma ci disse di avere paura e non si fece nulla”.

 Nel corso delle sue dichiarazioni ha raccontato il contenuto del primo verbale di sommarie informazioni rilasciato da Salvatore Baiardo e sull’annotazione di servizio sul primo incontro con il gelatiere di Omegna che rappresentò agli investigatori della sua conoscenza con i fratelli Graviano dal 1989 sino al 1994: anno in cui i Graviano vennero arrestati. 

Baiardo – dichiarò Messina – ci ha riferito che a casa sua, fra il 1991 e il 1992, fu presente a due conversazioni telefoniche fra Marcello Dell’Utri e Filippo Graviano su questioni di interesse economico. Capì che si trattava di Dell’Utri perché Graviano pronunciò il suo nome a chi rispose al telefono per farsi annunciare”.

 E ancora: “Baiardo ci disse di avere particolari su rapporti fra Dell’Utri e Graviano e che vi fosse coinvolto anche tale Fulvio Lima che, a suo dire, era parente di Salvo Lima e che aveva rapporti economici con Graviano”.

Baiardo – ha continuato Francesco Messina – ci disse che i Graviano, attraverso Dell’Utri, erano interessati al finanziamento del nascente partito di Forza Italia perché poteva garantirli.

Baiardo, poi, ci raccontò anche di aver accompagnato i fratelli Graviano presso il ristorante Assassino dove avrebbero dovuto incontrare Dell’Utri ma che non partecipò a quell’incontro”.

Si aprì quindi un’inchiesta? No, le dichiarazioni del Baiardo non finirono mai dentro un’inchiesta anche perché lo stesso Baiardo chiese di mantenere l’anonimato e scelse di non voler confermare le sue dichiarazioni per paura.

“Sino al 1997 – ha spiegato Messina – non si fecero accertamenti”. Rispondendo a una domanda della presidente Ornella Pastore, infine, Francesco Messina commenta il rapporto con Salvatore Baiardo, o meglio la sua idea sulla collaborazione: “Era difficile – ha detto – trovare una logica nel comportamento di Baiardo. Non c’è mai stata una grande collaborazione. Abbiamo anche avuto il dubbio che il suo comportamento fosse etero diretto”.

 Dopo il 1997 Baiardo torna a parlare, come una bomba a orologeria.

Nel 2012 racconta ai giornalisti Peter Gomez e Marco Lillo: “I Graviano sono stati lì due estati. Nel 1992 ho affittato io la villa per loro e invece di sentire me i magistrati sentono le cazzate di Tranchina e Spatuzza. Andate a vedere la villa pagata da me, affittata da me. Era in linea d’aria a 200 metri dall’ex presidente del Consiglio (Silvio Berlusconi, ndr). Via mare ci si arriva perché era proprio sul mare. Poi da quello a dire che si conoscessero e si frequentassero c’è ne passa. Io l’ho affittata nel 1992. Poi presumo che nel 1993 abbiano ripreso la stessa villa, ma il contratto non l’ho fatto io”.

 Anche queste dichiarazioni non sono finora mai state riscontrate e per i magistrati Baiardo non è attendibile.

L’unico riscontro possibile delle dichiarazioni del Baiardo sono solo le sue dichiarazioni antecedenti, ossia quelle che compaiono nel documento della Dia di Firenze sopracitato: “I fratelli Graviano avrebbero, inoltre, trascorso parte della latitanza (agosto- settembre 1993) in località della Sardegna, ivi occupando sia un appartamento che una villa, entrambi ubicati nella zona di Porto Rotondo“.

Si tratta però d’informazioni che il gelataio di Omegna si è sempre rifiutato di ripetere di fronte ai magistrati. «Con noi, ci furono dei contatti preliminari finalizzati a capire se fosse intenzionato a collaborare – spiega Messina – e sembrava intenzionato a dare un contributo, tanto che il dottor Patronaggio e il dottor Caselli vennero da Palermo alla Dia di Milano per sentirlo. Lui fu convocato e all’apertura del verbale disse che non aveva nulla da riferire». WORDNEWS 5.1.2021


STRAGI DI STATO / ALZIAMO TUTTI I CAPPUCCI ECCELLENTI La Lista dei 3000 nomi custodita nel covo di Totò Riina. Il più grande Depistaggio di Stato della nostra storia, ossia quello sulla Strage di via D’Amelio. Questi e tanti altri ingredienti nel Super Puzzle di tutta la stagione stragista, a cominciare dall’eccidio di Bologna. Complimenti alla squadra di Report capitanata dall’intrepido Sigfrido Ranucci. Cento di queste storie. A partire da una seconda, ci auguriamo tempestiva puntata, in cui vengano meglio focalizzati alcuni temi. Eccoli.

L’AGENDA CHE PASSA DI MANO IN MANOL’Agenda Rossa – Uno degli argomenti clou della puntata di Report. La chiave di volta per capire la genesi, la dinamica, i meccanismi di tante stragi e individuarne i mandanti, rimasti sempre a volto coperto. Tale la considerano, per fare solo due nomi, i primi a volere verità & giustizia, Fiammetta e Salvatore Borsellino, la figlia e il fratello di Paolo.

Nel corso della puntata viene più volte intervistato il guardaspalle di Giuseppe Graviano, che ne ha coperto per anni la latitanza. Secondo la sua versione, l’Agenda è passata per tante mani, soprattutto mafiose: da quelle dei fratelli Graviano, of course, a quelle di Matteo Messina Denaro, il superlatitante che verrà di certo arrestato ‘ad orologeria’, come è successo per Bernardo Provenzano (poteva essere assicurato alle galere dieci ani prima, grazie al preciso imput di Luigi Ilardo, ovviamente non ascoltato da toghe eccellenti e poi ammazzato in tempo reale) e, sul fronte della camorra, per Michele Zagaria.

La primula rossa, dunque, verrà ‘presa’ solo al momento giusto. Perché ora è in possesso di due formidabili armi di ricatto: l’Agenda rossa, appunto, e la Lista dei 3000 nomi, come vedremo poi. Ma per molti sarà sempre ‘scomodo’: quindi più opportuno ‘eliminarlo’ prima dell’arresto e far sparire una volta e per sempre le due ‘armi letali’.

Torniamo all’Agenda Rossa. In mani mafiose, certo. Ma transitata anche per mani immacolate, addirittura istituzionali.

Ne sa di certo molto il colonnello dei carabinieri Giovanni Arcangioli, uno dei primi a correre in via D’Amelio (alloggiava lì?) e ad estrarre dall’auto ancora avvolta dalle fiamme la borsa (contenente l’Agenda) di Paolo, e portarsela via di corsa. Ha subìto un processo, Arcangioli, proprio per il giallo della borsa-agenda: ma ne è uscito candido come un giglio.

A questo punto sorgono spontanei alcuni interrogativi.

Possibile mai che non sia saltata fuori, dal processo Arcangioli, la reale dinamica dei fatti? Cioè: a chi diavolo mai ha consegnato la borsa? Chi l’ha mandato sul posto? Come mai Report non ha girato le domande ad Arcangioli? E chiesto lumi al pm di quel processo?

Passiamo oltre e andiamo a più alti livelli. La Voce ha più volte portato alla luce le dichiarazioni di Roberta Ruscica, una giornalista di razza, autrice nel 2015 de “I Boss di Stato – I protagonisti, gli intrecci e gli interessi dietro la Trattativa Stato-Mafia”.

Nel corso della presentazione del libro a Napoli, nel 2016, Ruscica ha rammentato un episodio di anni prima, quando era corrispondente per alcune testate da Palermo. Aveva conosciuto ed era entrata in confidenza con Anna Maria Palma, la prima ad indagare sulla strage di via D’Amelio con il collega Carmelo Petralia e l’aggregazione, mesi dopo, di Nino Di Matteo.

Ebbene. Ruscica ricorda con precisione quanto le aveva confidato Palma: “ho avuto tra le mie mani l’Agenda di Borsellino”. Queste le parole, mai smentite.

Come mai il team di Ranucci non ha pensato bene di intervistare Anna Maria Palma sulla circostanza dell’Agenda e non solo?

Perché non far parlare Roberta Ruscica, che sulla Trattativa ha scritto un ottimo volume?

Perché non chieder lumi allo stesso Nino Di Matteo, invece intervistato su tanti altri argomenti?

In sintesi: quell’Agenda dei Misteri non è passata solo per mani mafiose. Verranno una buona fuori le “Mani di Stato”?

LA LISTA CHE FA ANCORA TREMARE I PALAZZI. L’Elenco dei 3000 nomi – Siamo ad un’altra pagina, ed altrettanto inquietante e misteriosa.

La Voce ne ha cominciato a scrivere, quasi per caso, una quindicina d’anni fa. Allorchè il celebre capitano Ultimo, al secolo Sergio Di Caprio, cominciò ad inviare una serie di ‘avvertimenti’ alla Voce, rea di aver tirato fuori una storia del tutto sconosciuta. Ed emersa tra le carte processuali di alcune udienze milanesi.

Si trattava della querela sporta da Ultimo nei confronti di due giornalisti che avevano osato scrivere (come del resto la Voce) della mancata perquisizione del covo di Totò Riina: infatti, per ben due settimane, una volta arrestato il super boss, quel covo rimase del tutto incustodito. Autori della ‘disattenzione’ il colonnello del Ros Mario Mori e il suo braccio destro, ossia il capitano Di Caprio. Il relativo processo li ha visti – tanto per cambiare – innocenti come viole mammole.

Ma un altro processo, quello milanese sulla querela, ha fatto ‘involontariamente’ luce sul mistero del famigerato Elenco dei tremila. Nel corso di una udienza, infatti, Ultimo attaccò a testa bassa i due giornalisti, sostenendo di non aver mai parlato dell’Elenco, tantomeno di 3000 nomi.

La Voce, a questo punto, contattò il legale dei due giornalisti, Caterina Malavenda, chiedendole se mai i due suoi assistiti avessero fatto riferimento, nel libro, a quella Lista dei 3000 nomi. Ci rispose di no: nessun riferimento mai, in tutte le pagine del volume.

Da qui la nostra intuizione: la classica excusatio non petita. La coda di paglia. Nella foga di attaccare i due autori, Ultimo tirò lui stesso fuori la story, fino a quel momento ignota a tutti.

Più volte la Voce ha scritto che quell’Elenco è stato – nel corso degli anni – il formidabile strumento di ricatto usato per seppellire verità & giustizia, per evitare che chi sa possa parlare. Un deterrente in piena regola. Finito, anche stavolta, nelle mani di alcuni vertici mafiosi, in primis quelle di Matteo Messina Denaro. E con ogni probabilità anche di pezzi da novanta dei Servizi.

Ora torna alla ribalta, quell’Elenco dei 3000 nomi, nelle parole finali di Sigfrido Ranucci. A questo punto: come mai il numero uno di Report non ha pensato bene di far intervistare il mitico Ultimo che di quella vicenda tutto sa?

IL PIU’ COLOSSALE DEPISTAGGIO DI STATOIl Depistaggio – Last but not least, siamo al terzo tassello: quello del più clamoroso depistaggio istituzionale nella storia del nostro Paese, che la Voce ha tante volte raccontato. Riepiloghiamolo per sommi capi (per una più approfondita analisi potere cliccare sui link in basso).

Tutto ruota, come ricorderete, sulle verbalizzazioni di Salvatore Scarantino, che ha subito indicato la pista mafiosa per la strage di via D’Amelio. Solo che quegli imputati, condannati in tre gradi di giudizio e sbattuti in galera per ben 15 anni, non c’entravano niente con la strage di via D’Amelio! Picciotti sì, ma del tutto estranei all’eccidio di Paolo Borsellino e della sua scorta.

Quale è stata la chiave per innescare il meccanismo infernale? La verbalizzazione di Scarantino, del tutto inventata, farlocca, buona per sbattere i mostri in galera.

E coprire i veri killer e soprattutto i mandanti. A chi è stata addossata tutta la responsabilità? All’ex questore di Palermo Arnaldo La Barbera, il quale non può più difendersi perché morto (morte naturale, a quanto pare) una quindicina d’anni fa. Ottima e abbondante circostanza per scaricargli addosso tutte le responsabilità circa quel taroccamento, l’impupazzamento del teste base, Scarantino. Insieme ai suoi poliziotti di fiducia, tre dei quali sono oggi sotto processo.

Sanno anche gli studenti al primo anno di giurisprudenza che esistono delle precise catene di responsabilità: la polizia giudiziaria lavora, ma sempre su imput della magistratura, ossia degli inquirenti. Altrimenti saremmo in ‘uno stato di polizia’, come è successo in tante nazioni sudamericane e non solo (e come, in realtà, sta accadendo anche da noi, in tempi di pandemia).

Cosa dice la catena di comando? Che c’era un pool di magistrati ad indagare sulla strage di via D’Amelio. L’abbiamo già rammentato: era composta dal tandem Palma-Petralia ai quali dopo alcuni mesi si è aggiunto Di Matteo.

Sorge spontaneo l’interrogativo: potevano non sapere i prima due, poi tre magistrati del taroccamento di Scarantino? Della totale subordinazione del ‘teste’ ai voleri dei poliziotti, capaci di imboccargli tutte le battute processuali dalla prima all’ultima? E di minacciarlo di pesantissime ritorsioni sulla famiglia qualora non si fosse attenuto al copione?

Interrogativi ai quali altri magistrati hanno risposto subito: negando ogni responsabilità di Palma e Petralia. In base a quale criterio? Con quali motivazioni? In base a quali deduzioni?

E restano scolpite nella pietra (per le colossali incongruenze) le testimonianze delle tre toghe (Palma e Petralia, appunto, più Di Matteo), al processo che vede sul banco degli imputati i tre poliziotti del team di Arnaldo La Barbera, l’unico fino ad oggi crocifisso per quel depistaggio.

Anche da Report. Come mai l’attrezzata equipe di Ranucci non ha chiesto lumi, sulla questione, a quel Di Matteo che ha intervistato su altri temi? Perché non ha chiesti ulteriori lumi a Palma e Petralia? Perché non ha sentito i legali di quegli innocenti che si sono fatti 15 anni di galera da innocenti?

Perché – per fare un solo esempio tra i giornalisti – non è stato intervistato Enrico Deaglio – una firma, una storia – fresco autore di “2010-2020” che ne racconta di cotte e di crude su quel Depistaggio di Stato, tanto da far incavolare l’icona antimafia Di Matteo, già con un diavolo per capello a causa dei j’accuse di Fiammetta Borsellino?

Sotto il profilo storico, siamo ben lieti di scoprire il ruolo svolto dal vegliardo (già allora) Gianfranco Miglio, leghista e cinghia di trasmissione tra le mafie fascisteggianti, sotto la guida del Venerabile Licio Gelli. E ricostruire un bel pezzo di storia di casa nostra in quest’ottica, compresa la chicca sull’ex capo dello Stato Luigi Scalfaro, il Bugiardo di Stato su Trattativa e dintorni.

Una bella fetta della trasmissione griffata Report è dedicata ad un tema collaterale. Riguarda le misteriose triangolazioni Italia-estero, in mezzo ad affari, cappucci e le più svariate connection. Tra i protagonisti l’allora braccio destro di Miglio, Gianmario Ferramonti (plurintervistato da Report) e un faccendiere, Enzo De Chiara.

Di tali personaggi la Voce ha scritto per anni. E prima ancora ha investigato su di loro un magistrato coraggioso, che dalla procura di Aosta aveva già ‘capito tutto’. O almeno molto di quello che allora stava bollendo in pentole. Un vero peccato che la sua clamorosa inchiesta “Phoney Money” sia finita in flop. O meglio ‘ammazzata’ dai suoi superiori di allora, che ne vedevano tutta la dirompente – per allora – potenza.

Un’inchiesta parallela, all’epoca, prese piede in Campania, avviata da alcuni coraggiosi pm della procura di Torre Annunziata: si chiamava “Cheque to Cheque”, e guarda caso toccava gli stessi temi, dai riciclaggi internazionali alle connection politico-mafio-massoniche, ovviamente sempre via Servizi. Anche quell’inchiesta – è inutile ripetere lo stesso ritornello – è stata abbondantemente insabbiata. Sorge spontanea la domanda.  Come mai Report (ma, come detto all’inizio, siamo in attesa della seconda puntata) non ha pensato bene di intervistare quel pm di Aosta al quale venne scippata e poi affossata l’indagine, per essere quindi spedito – per la solita ‘incompatibilità ambientale’ – in un’altra sede giudiziaria? Si chiama David Monti. Non è difficile – per chi ha voglia – rintracciarlo. Può essere l’uomo giusto per ‘chiudere il cerchio’: visto che un anno fa, prima del Covid, ha partecipato ad alcuni importanti eventi promossi dal Grande Oriente d’Italia. Alla segreteria del GOI sicuramente hanno un suo recapito. 5 Gennaio 2021 di Andrea Cinquegrani LA VOCE DELLE VOCI


Baiardo, gli incontri Graviano-Berlusconi e l’agenda rossa. “Abbiamo sentito più volte Salvatore Baiardo e stiamo vagliando la sua posizione e potrebbe essere una fonte significativa”. E’ questo il dato che emerge dalla Procura di Firenze secondo quanto riportato ieri in un articolo del giornalista Franco Viviano su Il Quotidiano del Sud.  Che proprio nel capoluogo toscano fosse nuovamente aperto un fascicolo nei confronti di Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri è noto da tempo.

L’inchiesta fu riaperta (i due erano già stati indagati e archiviati) a seguito delle intercettazioni in carcere dei colloqui del boss di Brancaccio Giuseppe Graviano, che tirava in ballo il leader di Forza Italia come complice e mandante occulto degli eccidi in Continente (“Berlusca mi ha chiesto questa cortesia, per questo c’è stata l’urgenza” diceva il capomafia durante l’ora di passeggio con il camorrista Umberto Adinolfi). In questi anni l’indagine è stata sviluppata a 360°. Si è appreso durante il processo d’appello Stato-mafia che l’accusa nei confronti di Berlusconi e Dell’Utri riguarda non solo le stragi di Firenze, Roma e Milano, ma anche gli attentati falliti dell’Olimpico, quello al pentito Contorno e al conduttore Maurizio Costanzo. Un nuovo impulso investigativo verrebbe dalle parole di Salvatore Baiardo, gelataio piemontese di origini siciliane che all’inizio degli anni 90 curò la latitanza dei fratelli Graviano.

Lunedì la trasmissione di Report, condotta da Sigfrido Ranucci, ha mandato in onda un’intervista inedita in cui lo stesso ha parlato al giornalista Paolo Mondani di incontri, a cui avrebbe assistito, tra i boss di Brancaccio, Dell’Utri e Silvio Berlusconi, ma anche di incontri che avrebbero avuto come oggetto l’Agenda Rossa di Paolo Borsellino. A suo dire, quel prezioso documento sarebbe in possesso degli stessi mafiosi, i boss Giuseppe Graviano e Matteo Messina Denaro, in quanto ve ne sarebbero più copie. Addirittura l’avrebbe anche vista.

Su tutti questi elementi è facile pensare che la Procura di Firenze stia facendo i propri approfondimenti, non partendo dalla puntata di Report, ma da quell’informativa della Dia di Milano, redatta il 4 novembre 1996 dall’oggi capo della Direzione centrale anticrimine della polizia, Francesco Messina, assieme all’allora dirigente della Direzione investigativa antimafia di Firenze, Nicola Zito, in cui si faceva riferimento proprio ad alcune dichiarazioni di Baiardo.

Testimonianza al processo ‘Ndrangheta stragistaChiamato a testimoniare nel processo di Reggio Calabria “‘Ndrangheta stragista”, che vedeva imputati (entrambi condannati all’ergastolo in primo grado) il boss di Brancaccio e Rocco Santo Filippone, boss di Melicucco, per essere stati mandanti degli attentati ai carabinieri avvenuti tra la fine del 1993 ed il gennaio 1994, in cui morirono i brigadieri Fava e Garofalo, Messina disse in maniera chiara di non aver mai ricevuto alcuna “delega di indagine a seguito dell’informativa. Eppure quel documento finì sul tavolo del Procuratore di Firenze Pier Luigi Vigna, al tempo impegnato nelle indagini sulle stragi in Continente (Firenze, Roma e Milano) del 1993. Già a metà degli anni Novanta, prima dei colloqui investigativi con la Dia fu sentito a sommarie informazioni anche dai carabinieri di Palermo, ma quando fu convocato dai magistrati Gian Carlo Caselli e Luigi Patronaggio “si rifiutò di parlare”. Successivamente Baiardo fu anche ritenuto non attendibile dal pm di Firenze Giuseppe Nicolosi.

Ma cosa disse l’ex gelataio in contatto con i boss dal 1989 fino al loro arresto, agli investigatori?  Tra le altre cose riferì di aver assistito a due conversazioni telefoniche tra Filippo Graviano e Marcello Dell’Utri“Ci disse che in quelle telefonate si evinceva che i due avevano in comune interessi economici. Nella prima di queste telefonate, avvenute fra il ‘91 e il ‘92, aveva capito che l’interlocutore era Dell’Utri perché Filippo Graviano aveva pronunciato questo nome per farsi annunciare” aveva spiegato Messina nel processo di Reggio Calabria. Inoltre era a conoscenza dei rapporti che i Graviano avevano con settori dell’imprenditoria e della politica. “Nel corso di vari incontri intrattenuti con i fratelli Graviano e Cesare Lupo, Baiardo aveva ricevuto dettagli sui rapporti che legavano i Graviano a Dell’Utri e che in questo contesto di comuni affari c’era anche tale Fulvio Lima di Palermo, parente di Salvo Lima. Poi aveva aggiunto che questo imprenditore di origini palermitane chiamato Rapisarda si era prestato a investimenti immobiliari sia in Lombardia, sia in Sardegna e che era un prestanome dei Graviano” aveva aggiunto il capo della Direzione centrale anticrimine della polizia.

Al tempo Baiardo riferì anche di “aver accompagnato fisicamente in un ristorante milanese che si chiama ‘L’Assassino’ in cui i due avrebbero dovuto incontrare Dell’Utri, ma che lui poi non avrebbe assistito all’incontro”. Il fatto sarebbe avvenuto tra il 1992 ed il 1993.  A Report ha parlato anche di ulteriori incontri e di fronte a queste accuse, che non si possono ignorare, vanno comunque approfonditi temi e cercati i dovuti riscontri.

Un magistrato attento e meticoloso come Luca Tescaroli, che conduce l’indagine affidatagli dal Procuratore Giuseppe Creazzo assieme al pm Luca Turco, non si accontenterà di parole fumose o frasi a metà.

Affermazioni come quelle sull’agenda rossa di Borsellino appaiono improbabili nel momento in cui svariati elementi fanno ritenere che quel documento prezioso sia finito nelle mani di uomini di Stato più che dei boss.

Cosa sappiamo  Possiamo ipotizzare che la Procura di Firenze abbia ripreso da tempo tutto questo lavoro. Le nuove dichiarazioni su Report offrono un’ulteriore opportunità di approfondimento.

Tra le questioni da approfondire anche quelle che erano emerse nell’informativa della Direzione investigativa antimafia di Reggio Calabria che finì agli atti del processo ‘Ndrangheta stragista. In duecento pagine inviate dal commissario Michelangelo Di Stefano, dal vice questore Beniamino Fazio e dal capo centro Teodosio Marmo al procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo furono sviluppati alcuni accertamenti partendo dalla figura di Baiardo.

“Da vecchi fascicoli non indicizzati delle tante attività della Dia è stata rinvenuta un’informativa del Centro Operativo di Firenze, indirizzata al compianto dottor Chelazzi, avente ad oggetto: Stragi di Firenze, Roma e Milano e riguardante l’analisi dei movimenti di Giuseppe e Filippo Graviano, scrivevano gli inquirenti. Non solo. Si definisce l’informativa di Messina, risalente al 26 febbraio del 1997, “di portata eccezionale, alla luce delle nuove risultanze sulle mancate attenzioni istituzionali sulla figura di Baiardo e che, con il senno del dopo, conferisce alle dichiarazioni confidenziali di questi – che il dr. Messina, nella recente deposizione, ha ritenuto doveroso non cautelare ex art. 203 cpp – comprovata attendibilità e riscontro, atteso che dall’analisi dei metadati del telefono cellulare del Baiardo è stato possibile ricostruire i movimenti dei fratelli Graviano nell’anno 1993, così confermando entità e consistenza dei rapporti con il gelataio di Omegna”.

E’ dunque emerso che nell’estate del 1993 i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano erano in vacanza in Sardegna “a un tiro di schioppo” dalla villa dell’ex Premier Silvio Berlusconi.

Rispetto alla latitanza in Nord Italia, ha ricordato in aula sempre Di Stefano che in quella stessa zona del lago d’Orta vivevano proprio i fratelli Graviano, accompagnati da Salvatore BaiardoBalduccio Di Maggio, il boss arrestato da latitante a Borgomanero e poi fondamentale per arrivare all’arresto di Totò Riina, e il generale Francesco Delfino, proprio l’uomo che arresterà lo stesso Di Maggio e che fu implicato negli anni al centro di indagini di primo piano, e qualche volta anche come indagato, ma è stato sempre prosciolto o ancora Pasquale Galasso, membro della Nuova Camorra organizzata.

La latitanza in Sardegna  Sulla latitanza di Graviano in Sardegna, riferendosi a un passaggio di quel documento della Dia di Firenze del 1997, gli investigatori nell’informativa scrivevano: “I fratelli Graviano avrebbero, inoltre, trascorso parte della latitanza (agosto- settembre 1993) in località della Sardegna, ivi occupando sia un appartamento (nel complesso denominato “I tramonti” n.d.r.) che in una villa (ubicata in contrada Volpe n.d.r.), entrambi ubicati nella zona di Porto Rotondo”.  Gli uomini della Dia avevano fatto notare oggi come “la zona che si sta considerando è ricompresa in un’area che vede, a poche centinaia di metri di distanza, la nota Villa Certosa di Berlusconi Silvio. All’interno dell’informativa c’è anche una mappa geografica della zona. “Quindi – commentavano – il dato che qui preme evidenziare – annotato il cointeresse imprenditoriale dei Graviano e Dell’Utri tra il 1992 e il 1994, durante la latitanza dei due e caratterizzata da incontri de visu con il politico – è la presenza dei due ricercati, nell’agosto del 1993, a un tiro di schioppo dalla residenza estiva del leader della istituenda Forza Italia, rendez vous dei collaboratori di Berlusconi e, si presume, anche di Dell’Utri”. “Naturale – continuavano gli investigatori – chiedersi, allora, se nel corrispondente periodo anche il loro presunto socio in affari, Marcello Dell’Utri (secondo quanto oggi riferito dal dr. Messina in relazione alle propalazioni di Salvatore Baiardo) si trovasse a Villa Certosa in vacanza”.  Da tutto questo si riparte per capire ciò che è avvenuto in quegli anni. Perché dietro a stragi e delitti di mafia degli anni Novanta non c’era solo Cosa nostra e dare un volto ai mandanti esterni è un impegno che non può essere disatteso.  di Giorgio Bongiovanni e Aaron Pettinari ANTIMAFIA DUEMILA 7.1.2021


Trattativa stato-mafia: vent’anni di panzane. Le ricostruzioni si rincorrono e alimentano leggende senza lo straccio di una prova. Gli ultimi servizi sulle stragi mafiose hanno fatto il giro dei social ma di novità e di cose verificate ce ne sono ben poche. Per riassumere la puntata di Report sulla trattativa stato mafia e le stragi, può essere utile una citazione messa a epigrafe del libro “Complotto!” scritto a quattro mani dal compianto Massimo Bordin e Massimo Teodori. Si tratta quella di Mordecai Richler: «Il mio problema con i teorici della cospirazione è che, se gli dai un dito di porcherie accertate, loro si prendono tutto un braccio di fantasie. O peggio». Sì, perché ogni evento tragico di questo Paese, ed è un fatto, può essere però preso per comporre un mosaico a proprio piacimento. Così si possono unire i puntini e dire che tutte le stragi che hanno attraversato questo nostro strano Paese siano mosse da una unica regia. Quindi, come fa intendere Report, la strage di Bologna e quelle siciliane di Capaci e Via D’Amelio appartengono ad un unico piano eversivo.  Vale la pena ricordare cosa disse, in una intervista su radio radicale a cura di Sergio Scandura, l’ex magistrato ed ex parlamentare di Rifondazione comunista Giuseppe Di Lello: «Ho già in passato espresso delle perplessità enormi per la ricostruzione secondo me un po’ giornalistica di questo pezzo della storia d’Italia che accomuna soggetti molto diversi tra di loro e mescola due epoche storiche distinte». Di Lello non è un personaggio qualsiasi. È un pezzo pregiato della storia dell’antimafia. Ha fatto parte del pool antimafia dal primissimo momento. Il Pool lo fondò Rocco Chinnici, nei primi anni ottanta, e chiamò con sé quattro giovani magistrati quarantenni: Giovannni Falcone, Paolo Borsellino, Leonardo Guarnotta e Peppino Di Lello.

Quest’ultimo è stato uno dei protagonisti del celeberrimo maxiprocesso alla mafia ed è restato fino alla fine nel pool, cioè fino a che non lo smantellarono.Ma ritorniamo al mosaico composto da Report. Ogni tassello affrontato mostra però alcune lacune. Sicuramente per distrazione. Partiamo dallo scoop sull’agenda rossa. Anche perché è l’unico, il resto è stato tutto già affrontato dalle motivazioni relative alla sentenza di primo grado sulla trattativa stato mafia. Sì, perché nelle stesse pagine , si auto-certifica anche la peculiarità dell’attività ricognitiva svolta, definendola espressamente «ardua e pressoché titanica» dal momento che ha riguardato non i singoli fatti contestati agli imputati, ma un insieme amplissimo di «vicende complesse e mai del tutto chiarite che hanno riguardato la storia repubblicana in un arco temporale ricompreso tra la metà degli anni sessanta e i giorni nostri», passando dai tentativi di golpe dei primi anni settanta, al sequestro Moro, sino al terrorismo brigatista e alla P2, oltre, ovviamente, alle stragi mafiose. Esattamente quello che ha riportato Report.

Nulla, appunto, di esclusivo.Però sull’agenda rossa di Borsellino sì. Report ha intervistato Salvatore Baiardo, l’uomo che ha coperto la latitanza dei fratelli Graviano, potente famiglia mafiosa accusata anche della strage di via D’Amelio. In sostanza dice che ci sono più copie dell’agenda sottratta dall’ auto in fiamme del giudice Borsellino, finite a diverse persone. Non solo a Matteo Messina Denaro e i Graviano stessi, ma anche ad altri soggetti. Stupefacente. Un uomo che faceva il gelataio ad Omegna (località dove appunto latitava Graviano), ha custodito per tutti questi anni un segreto di tale portata. Ma è una persona attendibile? Non possiamo giudicarlo noi. Ma per rispetto della cronaca, dobbiamo ricordare che Baiardo, condannato per favoreggiamento ai Graviano, nel 94 aveva raccontato molte cose alla Dia di Firenze che stava indagando sulla strage di Via dei Georgofili. Il risultato di allora? Nessun riscontro alle sue affermazioni che non hanno portato a delle certezze giudiziarie. Non solo. Baiardo ha sostenuto che, il giorno dell’attentato in Via D’Amelio , Graviano fosse con lui, nella sua gelateria di Omegna, e che, appresa la notizia, si sarebbero diretti verso casa per vedere il telegiornale. Parliamo di un personaggio, appunto, ambiguo. Report l’avrebbe dovuto dire.

Magari evocando cosa disse Vincenzo Amato, giornalista de La Stampa scelto da Baiardo in quanto suo conoscente, per rilasciargli le sue dichiarazioni: «La mia personale impressione su Salvatore Baiardo è, al di là delle vicende accertate, questa: che lui “venda” un po’ di fumo per cercare di ritagliarsi un qualche spazio. Non mi sembra del tutto credibile. Lui effettivamente è stato arrestato e si è fatto in carcere dal ’95 al ’99 effettivamente per questi rapporti con i Graviano. È anche noto alle forze dell’ordine locali perché ha avuto una serie di, diciamo di vicende, di guai giudiziari; tra l’altro per piccole truffe anche da mille euro, da cifre di questo genere». Ecco, stando alle parole del giornalista Amato, parliamo di uno che avrebbe millantato per truffare persone.Anche l’intervista a Gioacchino Genchi è interessante. Ha parlato della sparizione di alcuni file dal computer di Falcone. Ebbene, appare strano che al giornalista di Report non abbia specificato i nomi dei file. Sì, perché c’è una lunga intervista di giugno scorso che Genchi ha rilasciato al giornale on line Ilsicilia.it, dove disse testuali parole: «C’era un file nascosto, denominato “Orlando.bak”, un file di backup per il quale mancava il file “Orlando.doc”. Era sparito. Qualcuno lo ha cancellato, probabilmente perché dava fastidio. Il file “Orlando.bak” conteneva tracce degli appunti di Falcone per difendersi al Csm dalle accuse dell’allora sindaco Orlando».

Invece a Report questo passaggio non compare. Possibile che Genchi non glielo abbia riferito? Sicuramente sarebbe stato un altro tassello interessante, anche se difficoltoso per comporre il mosaico che ne è uscito fuori.Anche la famosa frase di Borsellino riportata a conclusione dal conduttore di Report, sarebbe diventato un altro tassello anomalo se fosse stata riportata nella sua interezza. Perché? Manca il riferimento ai magistrati. Allora la diciamo noi. Nel verbale di assunzione di informazioni del 18 agosto 2009, davanti al Pubblico Ministero presso il tribunale di Caltanissetta, la signora Agnese Piraino Borsellino ha dichiarato: «Ricordo perfettamente che il sabato 18 luglio 1992 andai a fare una passeggiata con mio marito sul lungomare di Carini senza essere seguiti dalla scorta.

In tale circostanza, Paolo mi disse che non sarebbe stata la mafia ad ucciderlo, della quale non aveva paura, ma sarebbero stati i suoi colleghi ed altri a permettere che ciò potesse accadere. In quel momento era allo stesso tempo sconfortato, ma certo di quello che mi stava dicendo». Paolo Borsellino, in tale occasione, non fece nessun nome alla moglie, la quale però ha soggiunto: «comunque non posso negare che quando Paolo si riferì ai colleghi non potei fare a meno di pensare ai contrasti che egli aveva in quel momento con l’allora Procuratore Giammanco».

Sarebbe stato un tassello difficile da farlo incastrare nel mosaico ricostruito da Report. Così come sarebbe stato ancora più “anomalo” rendere pubblici in TV i verbali che Il Dubbio, dopo 28 anni, ha pubblicato per la prima volta dove si parla dell’ultima riunione in procura alla quale partecipò Borsellino: emerge che ci fu tensione e avanzò rilievi sulla conduzione del procedimento mafia appalti, facendosi portavoce delle lamentele dei ros Mori e De Donno.  Parliamo del 14 luglio. Il giorno dopo qualcuno andò da Borsellino a parlar male del carabiniere dei ros. Cinque giorni dopo la strage.  «Del nido di vipere si continua a non parlare», esclama polemicamente su Facebook l’avvocato Fabio Trizzino, legale della famiglia Borsellino. “Nido di vipere” è un’altra espressione di Paolo Borsellino, riferendosi alla procura di Palermo di allora. IL DUBBIO 6.1.2021 DAMIANO ALIPRANDI


Secondo Report Falcone e Borsellino non hanno capito nulla della trattativa Stato-Mafia. Il giudice Giovanni Falcone ha già dovuto fare i conti con le tesi di fondo riportate da Report. Ha indagato e le ha smontate pezzo per pezzo. Ma andiamo con ordine, partendo dal fatto che il teorema sulla presunta trattativa Stato Mafia sta man mano cambiando in corso d’opera. Lo vediamo con l’arrivo del pentito Pietro Riggio, ex agente penitenziario passato alla mafia, che in tutti questi anni avrebbe custodito indicibili segreti, a partire dal coinvolgimento di alcuni funzionari della Dia che avrebbero fatto il doppio gioco per la cattura di Bernardo Provenzano. Non solo. Nell’attentato di Capaci, la mafia corleonese appare perfino ingenua: Giovanni Brusca ha creduto di aver premuto il telecomando che ha azionato il tritolo, mentre in realtà sarebbero state altre “entità” come i servizi segreti libici.

Ora arriva Report che aggiunge altri dettagli: ci sarebbe stata una sorta di organizzazione superiore formata da massoni, servizi segreti deviati, P2 ed estremisti di destra che avrebbe contribuito ad organizzare tutte le stragi: da quella di Bologna a quelle di Capaci e Via D’Amelio. In sostanza c’è questa sorta di Terzo Livello che avrebbe non solo orientato Cosa Nostra, ma tutta la Storia del nostro Paese. Scoop? In realtà sono antiche suggestioni che hanno tormentato lo stesso Falcone, il quale in più di una occasione ha dovuto smontare. «Non esistono vertici politici che possono in qualche modo orientare la politica di Cosa Nostra. È vero esattamente il contrario. Credo di averlo dimostrato in più occasioni», ha spiegato Falcone davanti al Csm per difendersi dall’esposto presentato dall’allora sindaco di Palermo Leoluca Orlando, insieme all’avvocato Alfredo Galasso e Carmine Mancuso. Il giudice Falcone poi è andato sul punto: «Il terzo livello, inteso come direzione strategica, che è formata da politici, massoni, capitani d’industria, ecc. e che sia quello che orienta Cosa Nostra, vive solo nella fantasia degli scrittori: non esiste nella pratica». Più avanti ha poi esclamato: «Magari ci fosse un terzo livello! Basterebbe una sorta di Spectre, basterebbe James Bond per togliercelo di mezzo!». Dello stesso avviso era ovviamente il suo collega e amico fraterno Paolo Borsellino: durante l’intervista rilasciata a Giuseppe D’ Avanzo a pochi giorni dalla strage di Capaci, ha ribadito il concetto sottolineando che per fare quel brutale attentato, la mafia non aveva certo bisogno di aiuti esterni.

Ora però scopriamo che i due giudici non ci avrebbero capito nulla. Sono morti mica perché stavano annientando la mafia (basti pensare al maxi processo) e indagando sugli interessi convergenti con il mondo politico economico (appalti con il coinvolgimento di importanti pezzi della grande borghesia). Assolutamente no. Sono stati uccisi perché la loro morte sarebbe rientrata in una sorta di strategia della tensione per destabilizzare la vita democratica del Paese. Una società segreta così sofisticata e ingegnosa che, altro scoop di Report, perfino un gelatiere di Omegna, tale Salvatore Baiardo, viene a conoscenza che più copie dell’agenda rossa di Borsellino sarebbero finite in diverse mani. Non interessa sapere che, nel passato, la Dia di Firenze si era messo in contatto con lui nell’ambito delle inchieste sulle stragi. «Era difficile – ha detto l’allora funzionario della Dia Francesco Messina sentito recentemente al processo ‘ndrangheta stragista – trovare una logica nel comportamento di Baiardo. Non c’è mai stata una grande collaborazione. Abbiamo anche avuto il dubbio che il suo comportamento fosse etero diretto». Evidentemente, per un certo giornalismo di inchiesta va bene sentire chiunque.

Ha quindi sbagliato Falcone. Non si era accorto, ad esempio, che l’estremista di destra palermitano, Alberto Volo, definito un mitomane in più di una sentenza, gli diceva la verità parlando di Gladio e società occulte che avrebbero contribuito nell’omicidio Piersanti Mattarella. Anche in quel caso, Cosa Nostra apparirebbe come una comparsa. Un Totò Riina quasi senza colpa, ma manovrato da altri. Falcone lo ha ascoltato attentamente, per poi mettere nero su bianco agli atti: «Vale la pena di rilevare immediatamente come il comportamento del Volo in questo processo risponda a quel ruolo fantastico e delirante del quale l’imputato ha deciso di connotare ogni momento della sua esistenza».

In realtà lo stesso Volo, 40 anni prima di Report e dell’attuale procuratore generale di Bologna Ignazio De Francisci (proviene dalla procura di Palermo) che indaga sui presunti mandanti della strage (quasi tutti morti), aveva parlato con Falcone di un collegamento tra gli ex nar Valerio Fioravanti e Francesca Mambro con la P2 di Gelli. Ancora una volta Falcone non ci ha capito nulla. Sì, perché vagliò anche quelle dichiarazioni, per poi giungere a questa conclusione: ovvero che la «la valutazione negativa di Fioravanti come killer della P2 nasce nell’ambiente di Terza Posizione, soprattutto dopo l’omicidio di Mangiameli» e che «i rapporti presunti tra Fioravanti e Gelli non costituiscono oggetto di cognizione diretta, ma vengono dedotti dai rapporti tra Valerio e Signorelli, ritenuto in contatto con Gelli per tramite di Aldo Semerari». Falcone scarta anche questi legami, oltre a ribadire «l’irriducibile vocazione di Cosa Nostra a salvaguardare la propria segretezza e la propria assoluta indipendenza da ogni altro centro di potere esterno».

Dulcis in fundo, Report rispolvera anche l’ipotesi che sia Falcone che Borsellino si sarebbero interessati di Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi. Non c’è un solo indizio che porti a quello. Anzi, l’esatto contrario. Due sono le prove che smentiscono tale diceria. Una è l’intervista fatta, per conto della Tv francese Canal Plus, a Paolo Borsellino. I due giornalisti, Fabrizio Calvi, alias Jean- Claude Zagdoun, autore di numerosi libri, soprattutto sui servizi segreti e Jean Pierre Moscardo, scomparso nell’ottobre 2010, hanno anticipato che gli avrebbero fatto domande su Dell’Utri e Berlusconi. Non sapendo nulla di loro, Borsellino ha chiesto al suo collaboratore Giovanni Paparcuri di trovare qualche atto. Trovò un rapporto della Finanza di Milano e glielo ha dato. Durante l’intervista, quella integrale, emerge in tutta evidenza che Borsellino non se ne stesse assolutamente occupando e infatti, alle ripetute sollecitazioni dei giornalisti, ci ha tenuto sempre a precisare che erano argomenti da lui non trattati.

La seconda prova è proprio il famoso appunto di Falcone relativo a Berlusconi che è stato ritrovato circa due anni fa. Grazie alla ricostruzione dell’ex ispettore di polizia Maurizio Ortolan, ora sappiamo che Falcone ascoltò il pentito Francesco Marino Mannoia raccontare, fra l’altro, del pizzo pagato da Berlusconi per proteggere la Standa. Falcone, racconta l’ispettore, interrogava prendendo appunti e solo dopo verbalizzava. Chiese subito a Mannoia se avesse qualche riscontro su Berlusconi e quello rispose ridendo che certo non ne aveva. Falcone poi non lo mise a verbale e l’ispettore non se ne stupì. Sì, perché il giudice aveva il “difetto” di non imbastire processi sul sentito dire. Ciò accadde nel 1989 e non risulta che Falcone abbia dato un seguito alla questione. In fondo si trattava di estorsioni e in quel periodo stava svolgendo indagini ben più delicate.

«Dobbiamo capire quali informazioni possano essere finite a Borsellino, potremmo iniziare a vedere la finalità preventiva di bloccarlo sul fronte del dossier mafia appalti», ha ribadito recentemente l’avvocato Fabio Trizzino, legale della famiglia Borsellino, durante il recente processo contro Matteo Messina Denaro. Peccato che Report non l’abbia intervistato o preso minimamente in considerazione. In quel caso non servirebbero suggestioni o testimonianze de relato, ma montagne di documenti, verbali e atti che comproverebbe la casuale delle stragi. L’inchiesta costerebbe più fatica, sicuramente meno intrigante, ma sarebbe più gratificante perché finalmente si ridarebbe voce a Falcone e Borsellino. Un po’ meno ai loro presunti eredi.  IL RIFORMISTA 6.1.2021 


Pettinari: ”Da puntata Report riflessioni su mandanti esterni” Secondo il caporedattore di ANTIMAFIADuemila però alcuni aspetti illustrati andavano approfonditi maggiormente. “Sicuramente il merito dello speciale di Report è che pone l’accento sui mandanti esterni delle stragi e sul fatto che ci sono indagini aperte, il che è rivoluzionario perché non è mai stato detto con questa chiarezza in una televisione pubblica. Detto ciò ci sono alcuni aspetti che dovevano essere approfonditi. Diciamo che è stata una puntata un po’ compressa”. A dirlo è Aaron Pettinari, capo redattore di ANTIMAFIADuemila durante un’intervista rilasciata a Vox Italia sulla puntata della trasmissione “Report” sulla Trattativa Stato-mafia andata in onda lunedì in prima serata su Rai 3. Tra gli aspetti critici illustrati dall’inchiesta c’è la questione dell’Agenda Rossa di Paolo Borsellino di cui parla Salvatore Baiardo, colui che favorì la latitanza di Giuseppe e Filippo Graviano. “Viene detto essere in mano di Giuseppe Graviano e che ce ne sono più copie ma a nostro parere è inverosimile – ha spiegato Pettinari – perché l’interesse di far sparire l’Agenda è degli apparati. Noi stessi di ANTIMAFIADuemila abbiamo consegnato alla magistratura la fotografia di Giovanni Arcangioli con in mano la borsa di Borsellino dove era contenuta l’agenda nei minuti successivi alla strage. E’ ovvio che pensiamo che sono gli apparati di Stato a far sparire quel preziosissimo documento”, ha sottolineato. Altri aspetti su cui, ha affermato Pettinari, “possiamo disquisire è sul fatto che la trattativa Stato-mafia non è presunta me è confermata. Così come possiamo disquisire – ha aggiunto – sul dato che sicuramente per quanto riguarda alcuni passaggi della ricostruzione non si sono approfonditi alcuni temi che sono molto più complessi di quello che è stato rappresentato come il coinvolgimento del Sisde nelle stragi”. Ad ogni modo, ha ribadito Pettinari nel suo intervento, a “Report” va il plauso di aver “acceso i riflettori su vicende di cui non si parlava da tempo in televisione”. ARON PETTINARI ANTIMAFIA Duemila 6.1.2021



Sul lago d’ Orta i misteri dell’agenda rossa di Borsellino e la trattativa stato-mafia. Li ha svelati Report in tv Il lago d’Orta protagonista, suo malgrado, della puntata di Report di lunedì scorso, dedicata alla trattativa Stato-Mafia e a quel complesso quanto ancora oscuro periodo della storia italiana funestato dalle stragi mafiose e dagli attentati a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.Ad aver tirato in ballo Omegna e Orta è stato Salvatore Baiardo, ex gelataio a Omegna, uomo prossimo ai fratelli Graviano (killer vicini a Totò Riina), dei quali Baiardo favorì la latitanza. Come in trasmissione ha puntualizzato il direttore centrale dell’anticrimine alla Polizia di Stato, Francesco Messina. Baiardo, che oggi vive in Lombardia, ha accennato a diversi incontri svoltisi sul lago d’Orta nel 1991 con i Graviano. L’oggetto? “Investimenti” ha poi spiegato Messina. E’ un altro rendez-vous citato da Baiardo a colpire sopra ogni cosa: il “grosso incontro” ad Orta a cui parteciparono uomini dei servizi segreti e della mafia sull’agenda rossa di Paolo Borsellino. L’agenda che conteneva gli esiti delle indagini svolte dal magistrato nei 40 giorni seguiti alla morte di Falcone; e che negli istanti immediatamente successivi alla strage di via D’Amelio, qualcuno provvide a far scomparire dalla 24 ore che il magistrato portava con sè. L’agenda rossa, che secondo Baiardo è in diverse mani (in più copie) oggi è un simbolo della lotta alla mafia, cercata come il “sacro graal” da tutti coloro che vorrebbero fosse fatta piena luce sui fatti di quegli anni. Partendo proprio dalle intuizioni di Borsellino, e da quella trattativa Stato-Mafia di cui si cercano prove certe, incontrovertibili. VCO 24 6.1.2021


“Sta buttando lo zuccherino – dice Salvatore Baiardo, uomo dei Graviano, riferendosi alle parole del boss di Brancaccio Giuseppe Graviano– questo penso anche il più stupido lo abbia capito. Perché non sono i 20 miliardi che ha tirato su con la… cosa, con il cugino. Berlusconi i soldi li ha presi, ma da ben altre fonti”. Sul passaggio di soldi dei Graviano a Berlusconi, Baiardo racconta: “Non è che poi loro dicevano: toh questo è per Forza Italia o questo è. Questi sono per voi e poi loro sapevano cosa ne dovevano fare”. Un rapporto, quello tra i Graviano e Berlusconi, che secondo Baiardo risalirebbe al nonno di Giuseppe e durato fino al 27 gennaio 1994, giorno dell’arresto di Filippo e Giuseppe Graviano. Il giorno prima, il 26 gennaio 1994, Silvio Berlusconi scende in campo REPORT 4.1.2021


Nel 1994 il nome di Baiardo, fiancheggiatore della latitanza dei boss Graviano, era finito in una informativa della Dia dove riferiva di aver assistito, tra il ‘91 e il ‘92 a delle conversazioni telefoniche tra dell’Utri e i Graviano su presunti interessi economici in comune. Al nostro Paolo Mondani, confessa di aver assistito agli incontri tra Berlusconi, Dell’Utri e i Graviano. I legali di Dell’Utri e quelli di Berlusconi smentiscono, dicono: non ci sono stati mai incontri e del resto 25 anni di indagini lo hanno confermato REPORT 4.1.2021


 Pietro Riggio, membro della famiglia mafiosa di Caltanissetta, da due anni racconta fatti inediti sulle stragi. “Quello che mi fece capire – dice Riggio riportando le parole del mafioso Vincenzo Ferrara- è che l’indicatore dei luoghi dove erano avvenute le stragi fosse stato Marcello Dell’Utri”. Oggi Dell’Utri e Berlusconi sono indagati dalla Procura di Firenze per le bombe del 1993, quelle appunto di Firenze, Roma e Milano. Le indagini nascono dalle dichiarazioni intercettate ai Graviano in carcere dalla Procura di Palermo. REPORT 4.1.2021

Mafia, ‘trovata’ l’agenda di Borsellino.”Ce l’hanno Graviano e Messina Denaro” Dopo 28 anni dall’omicidio del giudice, arriva la rivelazione choc e retroscena inediti sulla trattativa Stato-Mafia “La Mafia ha in mano l’agenda rossa di Paolo Borsellino”. Salvatore Baiardo, un gelataio piemontese di origini siciliane che all’inizio degli anni 90 curò la latitanza dei fratelli Graviano, in un’intervista a Report, la trasmissione di Rai Tre, svela un clamoroso retroscena dopo quasi 20 anni dalla morte del giudice. “E’ in mano a più persone, tra cui Giuseppe Graviano e Matteo Messina Denaro, e non solo”. Baiardo – si legge sul Fatto Quotidiano – conferma e anzi rilancia gli incontri tra Graviano e Silvio Berlusconi (“Sono stati più di tre, io li ho visti”) e consegna anche i nomi delle altre persone in possesso dell’agenda (“C’è stato un grosso incontro a Orta”). Si tratta di rivelazioni tutte da verificare. Berlusconi e Dell’Utri negano da decenni quanto affermato da Baiardo che in passato fu ritenuto non attendibile dal pm di Firenze Giuseppe Nicolosi. Poi Report – prosegue il Fatto – intervista uno dei collaboratori più stretti di Paolo Borsellino. Nel maggio del ’92, prima della strage di Capaci, Borsellino entra nella stanza del collaboratore Giovanni Paparcuri e gli chiede: “Giovanni, ma c’hai qualcosa su Berlusconi?”. “Io francamente cado dalle nuvole perché questo Berlusconi io, fino a quel momento, non l’ho mai sentito”, dice Paparcuri, convinto che quella curiosità gliel ’aveva fatta venire Falcone, che aveva appuntato su un foglietto, poi ritrovato dallo stesso Paparcuri, le rivelazioni di Ma – rino Mannoia sui finanziamenti di Berlusconi ai mafiosi.AFFARI ITALIANI 5.1.2021


La rivelazione dopo 28 anni: “L’agenda rossa di Borsellino? C’è più di una copia in giro” | VIDEO

“UNA PUNTATA STORICA PER REPORT”. COSÌ SIGFRIDO RANUCCI, AUTORE E CONDUTTORE DEL PROGRAMMA RAI.  La puntata, traccia e descrive tutti i principali spunti investigativi che identificano le deviazioni dello Stato nella stagione stragista e ciò che successivamente è emerso nelle inchieste sulla cosiddetta ‘Trattativa fra pezzi dello stesso Stato e la mafia. “C’è un filo che collega la strage di Bologna a quelle del ’92 – ’94. Approfondiremo il ruolo nelle stragi della P2, dei servizi di sicurezza, della destra eversiva e di Cosa Nostra – spiega Ranucci – e tutte le novità investigative che hanno portato negli ultimi 27 anni per ben tre volte a indagini nei confronti di Silvio Berlusconi Marcello Dell’Utri per il reato di concorso in strage. Le prime due archiviate, l’ultima ancora in corso presso la procura di Firenze”.  Ed è proprio sul caso che Report manderà in onda un’intervista esclusiva a Salvatore Baiardo, favoreggiatore della latitanza dei Graviano che, dopo pochi anni di carcere, è libero.

Baiardo ci rivela che ha partecipato a diversi incontri fra Graviano, Berlusconi e Dell’Utri. E ci dice che i primi risalgono al ’91, spiegando con precisione dove si incontrassero. Baiardo parla anche dei soldi che i Graviano avrebbero dato a Dell’Utri e Berlusconi, anche per appoggiare il progetto politico, già a a partire dal febbraio -marzo del 1992.

Ed ancora, fra le novità più attese della puntata, quelle sull’agenda rossa di Paolo Borsellino sparita dal luogo della strage il 19 luglio 1992. “L’agenda è in più mani” rivela sempre Baiardo agli inviati di Report Paolo Mondani e Giorgio Mottola. “Non solo, come si presume, in quelle di Graviano e Messina Denaro. Quell’agenda interessava anche ad altre persone. C’è stato un grosso incontro a Orta per quell’agenda rossa. Un grosso incontro”, riferisce sempre Baiardo. Precisando infine di “averla vista ” anche lui.

Sigfrido Ranucci annuncia inoltre che, nella puntata, vi sarà “la ricostruzione di un filo di relazioni comuni tra i capi piduisti, il terrorismo di destra, i servizi segreti deviati e la criminalità organizzata che percorre il periodo storico che va dalla strage di Bologna del 1980 alla preparazione della strategia stragista dei primi anni ‘90”.
La puntata di Report, è un filo rosso anche per “i nodi irrisolti nel caso delle indagini sulla strage di Capaci, l’omicidio Ilardo, il ruolo di Giovanni Aiello detto ‘Faccia da mostro’ nel racconto del collaboratore di giustizia Consolato Villani”. Villani racconta, nell’intervista, che “Dietro le stragi in Sicilia e anche in Calabria e tutto quello che è successo in Italia c’erano i servizi segreti deviati che partecipavano all’interno istigando, diciamo, queste situazioni”. Infine una triste parentesi che riguarda lo stesso conduttore di Report: Francesco Pennino, in carcere con i boss nel 2010, dopo la pubblicazione del libro a firma di Ranucci con il collega Nicola Biondo sull’infiltrazione di Ilardo, gli rivela che i Madonia l’avrebbero voluto ammazzare “ti volevano far del male” , ma che poi hanno avuto “lo stop da fuori, di non far rumore”. AGI 4.1.2021


TRATTATIVA STATO-MAFIA, MISTERI ITALIANI, AGENDA ROSSA E P2: STASERA “PUNTATA STORICA” DI REPORT Il conduttore svela: “C’è un filo che collega la strage di Bologna a quelle del 92 -94” «Una puntata storica per Report». Sigfrido Ranucci, conduttore della nota trasmissione Rai. La puntata, traccia e descrive tutti i principali spunti investigativi che identificano le deviazioni dello Stato nella stagione stragista e ciò che successivamente è emerso nella cosiddetta “trattativa” fra pezzi dello stato e la mafia. «C’è un filo che collega la strage di Bologna a quelle del 92 -94. Approfondiremo il ruolo nelle stragi della P2 dei servizi di sicurezza, della destra eversiva e di Cosa Nostra – spiega Ranucci – e tutte le novità investigative che hanno portato negli ultimi 27 anni per ben tre volte a indagini nei confronti di Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri per il reato di concorso in strage. Le prime due archiviate, l’ultima ancora in corso presso la procura di Firenze». Ed è proprio sul caso che Report manderà in onda un’intervista esclusiva a Salvatore Baiardo, favoreggiatore della latitanza dei Graviano che, dopo pochi anni di carcere, è libero. «Baiardo ci rivela che ha partecipato a diversi incontri fra Graviano, Berlusconi e Dell’Utri. E ci dice che i primi risalgono al ’91, spiegando con precisione dove si incontrassero. Baiardo parla anche dei soldi che i Graviano avrebbero dato a Dell’Utri e Berlusconi, anche per appoggiare il progetto politico, già a partire dal febbraio-marzo del 1992».

L’agenda rossa  E ancora. Si parlerà dell’agenda rossa sparita dal luogo della strage il 19 luglio 1992 e appartenente a Paolo Borsellino. «L’agenda è in più mani», rivela sempre Baiardo alla trasmissione Rai, «non solo, come si presume, Graviano e Messina Denaro. Quell’agenda interessava anche ad altre persone. C’è stato un grosso incontro a Orte per quell’agenda rossa. Un grosso incontro». Precisando infine di «averla vista» anche lui.  4.1.2021 GAZZETTA DEL SUD


“Non uccise il giudice Borsellino, quel giorno era a Omegna”  Memoriale per scagionare il boss Graviano accusato della strage di via D’Amelio «Non può essere stato Giuseppe Graviano a far esplodere l’autobomba che uccise il giudice Borsellino e la sua scorta. Quel giorno Graviano era con me ad Omegna». Le affermazioni, che se fossero vere riaprirebbero il capitolo della strage di via D’Amelio a Palermo, arrivano da Salvatore Baiardoomegnese di origine siciliana oggi residente a Castano Primo e conosciuto nel Cusio per l’attività politica e amministrativa negli anni Ottanta. Baiardo, che ha scontato quattro anni di carcere, dal ‘92 al ‘95, per favoreggiamento e riciclaggio a favore dei boss Graviano, ha affidato le sue «rivelazioni» ai suoi legali attraverso una memoria scritta. PUBBLICATO IL 19 Aprile 2012

 


Anni ’90: I Graviano nel VCO. Dialogo con il giornalista Vincenzo Amato  «Non uccise il giudice Borsellino. Era nella mia gelateria a Omegna» è il titolo dell’articolo che, uscito il 19 aprile su La Stampa Vco, raccoglie le parole di Salvatore Baiardo, palermitano per anni residente a Omegna.  Baiardo introduce nuovi elementi riguardo la presenza dei Graviano al nord, a Omegna, in particolare riguardo la strage in cui il 19 luglio 1992 morirono il giudice e la sua scorta, rivalutando il ruolo di Giuseppe Graviano, pluripregiudicato di Cosa Nostra recentemente accusato di aver anche fatto esplodere la bomba. E lo fa dalla posizione di amico, creandogli un alibi. Sostiene che, quel tragico giorno, Graviano fosse con lui, nella sua gelateria di Omegna, e che, appresa la notizia, si sarebbero diretti verso casa per vedere il telegiornale. Un posto di blocco lungo la strada sarebbe una prova della veridicità delle sue dichiarazioni. Il pezzo è firmato da Vincenzo Amato, giornalista scelto da Baiardo in quanto suo conoscente, per rilasciargli le sue dichiarazioni e consegnargli un memoriale di quattro pagine dove ripercorre la permanenza dei fratelli Giuseppe e Filippo Graviano nel Vco.  Questa conoscenza porta Amato ad acquisire una posizione diversa dal giornalista, a divenire una chiave di comprensione della vicenda e dei suoi personaggi, a spostarsi “dall’altra parte della telecamera” per ricoprire il ruolo del “testimone”.

Salvatore Baiardo, vita pubblica e guai giudiziari.  «La mia personale impressione su Salvatore Baiardo è, al di là delle vicende accertate, questa: che lui “venda” un po’ di fumo (la vicenda di cui sopra, ndr) per cercare di ritagliarsi un qualche spazio. Non mi sembra del tutto credibile. Lui effettivamente è stato arrestato e si è fatto in carcere dal ’95 al ’99…effettivamente per questi rapporti con i Graviano. È anche noto alle forze dell’ordine locali perché ha avuto una serie di, diciamo…di vicende, di guai giudiziari; tra l’altro per piccole truffe anche da mille euro, da cifre di questo genere. L’ultima è stata di qualche mese fa». E poi, c’è la più recente e giudiziariamente interessante operazione Biancaneve, da cui il 1° maggio emerge che «questi qui si spacciavano come procuratori di una questa grossa società londinese, prendevano degli immobili e poi davano in cambio soldi in realtà falsi».
Baiardo aveva la gelateria Pastore e, anni fa, «A Omegna era consigliere comunale; suo papà è stato anche assessore…era capostazione. Salvatore è arrivato a Omegna con lui, da Palermo». Un giorno Baiardo chiamò Amato, gli chiese se sarebbe passato «qualche volta da Castano Primo. Ha residenza a Lesa, – specifica – ma è domiciliato presso Castano Primo». L’appuntamento perché «Voleva scrivessi un articolo non troppo, diciamo, scandalistico, perché ci sono ancora due figlie che vivono in zona e “allora sai non vorrei un titolo sparato” era quello che mi ha raccontato lui». Continua, «Secondo me lui l’ha fatto perché cercava già un minimo di spazio e visibilità perché poi con me m’ha detto che aveva appuntamento a Palermo con quelli de L’Espresso, so che doveva andare a Matrix, che doveva fare cose…non ci credo… Secondo me, diciamo, ha buttato una specie di esca; anche nei confronti della stessa magistratura, magari. Su La Stampa più di tanto non gli abbiamo dato spazio perché non volevamo neanche prestarci, penso io al ragionamento che può aver fatto il giornale, al gioco di questo qui che cercava un suo spazio».

Amicizia e sostegno, i rapporti con Giuseppe Graviano.  «Io gli ho chiesto “Come hai conosciuto i Graviano” e lui mi dice “No perché, sai, mia moglie…è parente, cugina, del Tranchina”, che era appunto l’autista, l’uomo di fiducia dei Graviano (arrestato,  cominciò a collaborare riguardo la strage di via d’Amelio. Poi definito “pentito per un giorno” perché ritrattò e smise di raccontare, ndr)».
Questo legame di parentela acquisito sarebbe il motivo del contatto tra Baiardo e i Graviano, oltre al fatto che «Probabilmente, questo, negli anni ’90, era un posto tranquillo, di vacanza».
«Da quel che ho capito io, e da un minimo di verifiche che ho potuto fare, effettivamente il Graviano è rimasto ad Omegna sul lungolago in questo appartamento sotto l’attuale Supermercato Savoini che un tempo ospitava la Coop. All’inizio il Graviano, credo lui e anche il fratello, hanno abitato a casa del Baiardo e non gli andava bene. Ci sono stati dei passaggi…in questi passaggi poi ha fatto anche ristrutturare un’abitazione ad Omegna che non gli piaceva neanche quella. Si, lui ha cambiato diversi…non so se questi appartamenti erano intestati al Graviano o se li ha presi solamente in affitto il Baiardo».
Inoltre, per Giuseppe, «Il Baiardo aveva aperto questo conto corrente da 70 milioni di lire». Depositati presso un istituto bancario di Omegna, i soldi venivano portati da Fabio Tranchina nella gelateria di Baiardo.
«La mia impressione è che lui sia stato sicuramente una pedina utilizzata dai Graviano. Perché lui mi raccontava che per i Graviano ha affittato delle case; non so se in Emilia Romagna, al mare, dove questi andavano per le vacanze, insomma».
Qualche mese fa il nome di Baiardo comparve legato a un altro processo che vede imputato Giuseppe Graviano: l’omicidio di Giuseppe di Matteo, sciolto nell’acido nel 1996 perché figlio del pentito Santino. «Sulla vicenda del bambino lui ha detto di non c’entrare nulla. Ha detto che completamente non ne sapeva nulla. Se non ho capito male, facendo anche delle verifiche su internet, i Graviano hanno chiesto la sua testimonianza ma il giudice non l’ha neanche accolta».

Quel 19 luglio 1992.  Baiardo sostiene che «il giorno in cui avrebbe fatto esplodere la bomba, l’autobomba, in via d’Amelio, Graviano era ad Omegna, era in gelateria con lui e, quando hanno saputo la notizia, sono andati subito a casa per vedere il telegiornale e per strada li ha fermati questo poliziotto di Omegna. Allora io, nell’articolo, non avendo potuto fare delle verifiche, non ho messo i nomi delle persone che lui tira in ballo. Lui mette il nome e cognome di un poliziotto che l’ha fermato, che lo conosceva; al quale lui chiaramente non ha avuto necessità di dire le sue generalità…e ha dato un nome falso del Giuseppe Graviano. Cioè, lui quando l’ha fermato…si saranno salutati e lui avrà detto “bene, Salvatore Baiardo, piacere”, “E il signore che è con lei, Baiardo, come si chiama?”. Ha risposto dandogli il nome di una persona che effettivamente ad Omegna c’è, esiste (come scritto nell’articolo de La Stampa le iniziali sono F.M., ndr). Non gli ha chiesto i documenti…un documento, la carta d’identità. Conoscendolo, li ha lasciati andare».
Ma per quale motivo arriverebbero ora le sue dichiarazioni? «Lui giustamente dice “lo dico adesso perché è adesso che il Graviano è implicato nella strage di via d’Amelio, non cinque anni fa”». È infatti recente l’arresto di Fabio Tranchina, avvenuto per qualche imprevista coincidenza proprio il 19 aprile 2011, e le sue conseguenti dichiarazioni, considerate attendibili dai magistrati. Poi, «A quanto diceva il Baiardo, ovviamente, lo fa per amore della verità. Dice, “la posizione dei Graviano non cambia perché un ergastolo in più o in meno non gli cambia nulla”. Vero, non cambia nulla a loro; cambia la storia però. Forse ne hanno sei di ergastoli, addirittura…sei ergastoli, però cambia la storia. La strage di Borsellino ha cambiato la storia dell’Italia, c’è stata una svolta nel Paese».

Oggi, giochi di (in)congruenze.  «Cosa dice il Baiardo… “Il poliziotto dovrebbe ricordarsi il volto della persona che era con me e poter testimoniare che potrebbe essere questo Giuseppe Graviano”». E Amato precisa, «Le vicende del Graviano sono diventate di dominio pubblico parecchi anni dopo… Per cui sono queste cose molto difficili da verificare. Ma questo (il poliziotto, ndr) non c’è più perché è un episodio di vent’anni fa…e, sai, vent’anni dopo, il poliziotto per ricordarsi una roba del genere deve avere una gran memoria fotografica. Su questo bisognerebbe capire se c’è ancora qualche verbale, qualche documento che, dopo vent’anni, ti dice quel giorno chi è stato fermato. Io credo, una mia personale supposizione, che in polizia potrebbero andare a controllare, a fare una verifica perché io credo che i registri loro li hanno sempre». Anche se, d’altra parte, ci ripensa e teme «sia un po’ dura, quel giorno avranno fermato 50 macchine. Oggi ci sono i computer, vent’anni fa non c’erano i sistemi informatizzati di oggi. Non credo la questura tenga lì quintali i carta».
Per dare conferma della presenza dei Graviano a Omegna, «Il Baiardo in questo documento che lui ha scritto fa anche i nomi dei muratori che hanno lavorato alla ristrutturazione di questa casa, di questo edificio. Ma come fa uno a ricordarsi se vent’anni fa, ristrutturando una casa, c’era quella persona o no».
«Ti ripeto – avanza, schiettamente – è un personaggio un po’ ambiguo lui, un po’ strano, un po’ particolare». Chiarisce l’idea, riferendo un episodio, «A me ha dato il numero di telefono di un avvocato; quando gli ho telefonato è cascato dalle nuvole, ha detto “Ma come gli è venuto in mente. Io questo Salvatore Baiardo si è vero l’ho visto una volta, ha detto che si sarebbe fatto sentire. Poi non l’ho sentito più”. E sarebbe dovuto essere il suo…il suo avvocato». D’altra parte, però, ci sono elementi veritieri, «Nel senso che appunto dice che il Graviano è rimasto per parecchio tempo, praticamente un anno. E questi tempi qui, secondo me, corrispondono, da quel che ho capito con…gli atti della magistratura».
Quindi, «Lui gioca secondo me su questo, perché le altre cose che ha detto sono già in qualche modo risapute, cioè il periodo che è rimasto ad Omegna e questo credo sia tutto già verificato. Anche se forse non di dominio pubblico…». Baiardo sta forse giocando con i nodi più saldi della storia nazionale, tra le pieghe d’ombra dei fatti comprovati, nell’incomprensibile tentativo di stringerli o al lentarli. LIBERA NOVARA DI EROBIN · 30.5.2012


Baiardo, i fratelli Graviano e gli “interessi particolari” per la nascente Forza Italia  Durante l’udienza del processo “Ndrangheta stragista” il dirigente della polizia Francesco Messina ha ricostruito i primi contatti con il gelatiere di Omegna che raccontò dei contatti fra Filippo Graviano e l’ex senatore forzista. “I fratelli Graviano erano interessati al finanziamento del nascente partito di Forza Italia perché poteva garantirli”. Francesco Messina, dirigente della polizia di Stato in servizio alla Dia di Milano sino al 1997, rispondendo alle domande del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo durante il dibattimento del processo “Ndrangheta stragista”, ha ricostruito la collaborazione “ondivaga” di Salvatore Baiardo: il gelatiere di Omegna, “testa di legno” dei fratelli Graviano, nell’ambito dell’inchiesta sulle stragi.

Gli incontri. “Io – ricorda Francesco Messina – ho incontrato fisicamente due volte Salvatore Baiardo, insieme al collega Zito della Dia di Firenze, quando lo stesso sembrava orientato a collaborare nell’estate del 1994, vicino ad Omegna. In quell’occasione rappresentò di avere genericamente notizie per ricostruire la latitanza dei Graviano, ci parlò dei Graviano e dei loro contatti ma ci disse di avere paura e non si fece nulla”.

La conoscenza datata  Rispondendo alle domande del Procuratore Giuseppe Lombardo, poi, Francesco Messina ha raccontato il contenuto del primo verbale di sommarie informazioni rilasciato da Salvatore Baiardo e sull’annotazione di servizio, poi acquisita agli atti del processo “Ndrangheta stragista”, sul primo incontro con il gelatiere di Omegna che rappresentò agli investigatori della sua conoscenza con i fratelli Graviano dal 1989 sino al 1994: anno in cui i Graviano vennero arrestati. 

Filippo Graviano e Dell’Utri. Baiardo – ha detto Messina – ci ha riferito che casa sua, fra il 1991 e il 1992, fu presente a due conversazioni telefoniche fra Marcello Dell’Utri e Filippo Graviano su questioni di interesse economico. Capì che si trattava di Dell’Utri perché Graviano pronunciò il suo nome a chi rispose al telefono per farsi annunciare”. Il dirigente della Polizia di Stato, poi, è andato avanti: “Baiardo ci disse di avere particolari su rapporti fra Dell’Utri e Graviano e che vi fosse coinvolto anche tale Fulvio Lima che, a suo dire, era parente di Salvo Lima e che aveva rapporti economici con Graviano”.

L’interessamento a Forza Italia. Il discorso, poi, si è spostato sull’aspetto politico. “Baiardo – ha proseguito Francesco Messina – ci disse che i Graviano, attraverso Dell’Utri, erano interessati al finanziamento del nascente partito di Forza Italia perché poteva garantirli. Baiardo, poi, di raccontò anche di aver accompagnato i fratelli Graviano presso il ristorante Assassino dove avrebbero dovuto incontrare Dell’Urto ma che non partecipò a quell’incontro”.

Gli accertamenti e la collaborazione  Tutte queste notizie, però, non finirono dentro un’inchiesta anche perché Baiardo chiese di mantenere l’anonimato e scelse di non voler confermare le sue dichiarazioni per paura. “Sino al 1997 – ha spiegato Messina – non si fecero accertamenti”. Rispondendo ad una domanda della presidente Ornella Pastore, infine, Francesco Messina commenta il rapporto con Salvatore Baiardo, o meglio la sua idea sulla collaborazione: “Era difficile – ha detto – trovare una logica nel comportamento di Baiardo. Non c’è mai stata una grande collaborazione. Abbiamo anche avuto il dubbio che io suo comportamento fosse etero diretto”. REGGIO TODAY 12.5.2020


‘NDRANGHETA STRAGISTA, COLONNELLO BRANCADORO: ”COSÌ ARRIVAMMO A GRAVIANO” Baiardo parlò di rapporti tra boss di Brancaccio e Berlusconi, ma era inattendibile” Dalla prima udienza in cui ha iniziato a deporre nel processo calabrese che lo vede imputato per essere stato mandante, assieme a Rocco Santo Filippone, degli attentati contro i carabinieri avvenuti in Calabria tra la fine del 1993 ed il 1994, Giuseppe Graviano  lo ha ripetuto già più volte al procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo: “Se lei andrà ad indagare sull’arresto condotto nei confronti di Giuseppe e Filippo Graviano scoprirà i veri mandanti delle stragi. Scoprirà chi ha ucciso il poliziotto ucciso insieme alla moglie, Agostino. Scoprirà la verità su tante cose. Però i carabinieri devono dire la verità“.

Venerdì scorso, davanti alla Corte d’assise presieduta da Ornella Pastore, l’argomento dell’arresto di “Madre Natura” (così veniva chiamato il capomafia di Brancaccio), avvenuto il 27 gennaio 1994, è stato affrontato con l’escussione del teste Andrea Brancadoro, oggi colonnello dell’Arma dei Carabinieri e che al tempo curò le indagini.
Il boss stragista, videocollegato dalla saletta del carcere di Terni, tramite il proprio avvocato, Giuseppe Aloisio, ha rivolto una serie di domande al teste nel tentativo di capire chi, eventualmente, lo possa aver “tradito”.
In realtà qualche idea, sul punto, se l’è fatta in questi anni di carcere. Ecco perché la deposizione di Brancadoro poteva avere, a suo modo di vedere, un rilievo. Basta leggere le dichiarazioni del boss durante le conversazioni con il compagno d’ora d’aria, Umberto Adinolfi.
Durante quella latitanza il boss di Brancaccio non si aspettava di essere arrestato (“A Milano facevo una vita normale – racconta Giuseppe Graviano, il boss delle stragi, al suo compagno dell’ora d’aria – non mi aspettavo l’arresto, ero circondato da una copertura favolosa. Com’ero combinato io… solo il Signore… lo bacio. Mi sono spiegato?”) e l’arresto arrivò all’improvviso, nel ristorante “Gigi il cacciatore”, che all’epoca si trovava in via Procaccini.
In quel momento Giuseppe e Filippo Graviano erano a cena con le fidanzate (poi divenute mogli in carcere), Bibbiana Galdi e Francesca Buttita. A tavola, c’erano anche due amici arrivati da Palermo, Salvatore Spataro e Giuseppe D’Agostino.
Durante la giornata, arrivano persone a Milano, quelli che mi hanno fatto arrestare … il giocatore del pallone … D’Agostino… suo padre” diceva ancora Graviano al suo interlocutore. Ed è proprio quella la domanda che Graviano si porta dentro da ormai ventisei anni. In quelle intercettazioni citava spesso D’Agostino, ma in una delle scorse udienze ha spiegato che a suo modo di vedere “D’Agostino Giuseppe è stato coinvolto a sua insaputa, era la prima volta che veniva a Milano“. Ma gli altri?
Se i carabinieri diranno la verità su come sono andati i fatti, quelli che mi hanno arrestato, se anche D’Agostino Giuseppe dirà chi li ha aiutato a fare il provino al Milan e le società di Milano. Se indagate su questo, voi scoprirete la verità su chi sono i veri mandanti” aveva ripetuto nelle ultime udienze.
Se in passato si era pensato che ad essere pedinato poteva essere D’Agostino è emerso che gli occhi degli investigatori erano puntati sul cognato, Spataro, su indicazioni di una fonte confidenziale.
Più volte Aloisio ha provato a ricevere indicazioni sulla fonte, addirittura anche chiedendo di rivelare il nome. Il militare (con l’assenso della Corte) dapprima si è fermamente opposto (“La fonte fiduciaria è un soggetto palermitano, esposto a rischi significativi e non escludiamo che possa ancora vivere a Brancaccio“), poi, quando gli è stato chiesto se si trattasse di una donna, ha aggiunto: “Dopo il suo arresto ho avuto colloqui investigativi con Graviano Giuseppe e so che è ossessionato dalla questione – dice – e non posso dare ulteriori indicazioni. Parliamo di Brancaccio, il triangolo via Loreto, via Modeo, Corso dei Mille, il quartiere è quello“.
L’indicazione su Spataro L’udienza è proseguita con il racconto sulle indagini che furono sviluppate dopo la morte di don Pino Puglisi, “un fatto eccezionale, di una gravità estrema nella Palermo di quegli anni, una Palermo in cui negli anni novanta non registrava la presenza di fenomeni di microcriminalità, se non per quanto attiene le rapine agli autotrasportatori che si verificavano con cadenza giornaliera”.
Il militare non sa ben dire quando, se “i primi di ottobre, di novembre o di dicembre“, ma ad un certo punto una fonte indicò ai carabinieri Salvatore Spataro, insospettabile infermiere di Palermo, come un possibile contatto di Giuseppe Graviano.
Ad un certo punto “la fonte ci aveva avvisato di un imminente viaggio di Spataro in treno verso il nord Italia. Noi, però, dalle intercettazioni non eravamo riusciti a captare niente che ci facesse pensare ad uno spostamento imminente in programma. La mattina del 26 gennaio, però, capimmo che Spataro non si era recato a lavoro e allora attivammo un pedinamento alla stazione di Palermo. I miei uomini, due soli carabinieri, avevano l’ordine di individuare Spataro e seguirlo”.
Così videro Salvatore Spataro, insieme alla sua famiglia, recarsi a Milano, in treno. E dalle intercettazioni sentirono parlare del Duomo. Così venne predisposto un servizio ulteriore per Milano.
Il pedinamento di Graviano a Milano  Il colonnello dei Carabinieri ha anche raccontato che a Milano, il 27 gennaio, venne individuato Giuseppe Graviano e che questi fu anche pedinato “fra la folla in giro per Milano, dove si era incontrato con altre due famiglie giunte in Lombardia dal Sud, sino a tarda sera”.
Seguimmo Graviano – ha proseguito il colonnello Brancadoro – che in taxi raggiunse il ristorante Gigi il cacciatore dove entrammo in azione e lo catturammo appena fuori dal locale dopo cena”.
In quell’arresto vi era anche il fratello Filippo Graviano che in un primo momento non fu riconosciuto dagli investigatori (“per noi si trattava di un favoreggiatore con una carta d’identità intestata a Filippo Mango”). La scoperta sull’identità del boss di Brancaccio avvenne in carcere, quando Giuseppe Graviano contattò la madre per comunicarle dell’arresto e chiese ad uno degli agenti che lo stavano tenendo in custodia di chiamare il fratello Filippo, che si trovava in una stanza accanto, per potergli fare salutare la parente.

Inattendibilità Baiardo sui rapporti tra Graviano e Berlusconi Infine Brancadoro ha anche raccontato degli accertamenti che furono compiuti sulle dichiarazioni di Salvatore Baiardo, gelataio e figlio dell’ex assessore socialdemocratico di Omegna, un paese sul lago d’Orta in Piemonte. Baiardo è l’uomo che ha ospitato i Graviano nella loro latitanza. Si scoprirà essere il cugino della moglie di Cesare Lupo, un fedelissimo dei boss di Brancaccio.
Baiardo, che verrà poi condannato per favoreggiamento ai Graviano, pur senza divenire collaboratore di giustizia, racconterà molte cose alla Dia di Firenze che al tempo indagava sulla strage di via dei Georgofili. In passato ha persino tentato di scagionare “Madre Natura” con un memoriale. Al tempo però, si diceva pronto a riferire elementi importanti su Graviano ed i rapporti con Berlusconi.
Salvatore Baiardo – ha ricordato il militare in aula – subito dopo il suo arresto ci disse di essere pronto a collaborare e, dietro la corresponsione di un ingente somma di denaro, di darci il modo di avviare delle indagini sul mondo economico di alto livello di Milano. Le informazioni diceva di averle avute da Graviano stesso. Lui dette soltanto un’indicazione: parlò di una società Euromobiliare srl che gestiva supermercati, che non abbiamo mai trovato. Dall’altra ci si rende conto della qualità dell’informatore al parlarci. Mi resi subito conto che le sue notizie erano inconsistenti sul rapporto fra Graviano e Berlusconi. Ritenemmo Baiardo del tutto inattendibile”.
Il processo è stato rinviato a questa settimana, ma l’emergenza Coronavirus non aveva ancora raggiunto il suo apice con il decreto dei giorni scorsi e le sospensioni di tutte le udienze fino al 22 marzo. di Aaron Pettinari ANTIMAFIA DUEMILA 9.3.2020


MAFIA, L’INFORMATIVA DELLA DIA: “NELL’ESTATE DEL 1993 I GRAVIANO ERANO IN VACANZA IN SARDEGNA A UN TIRO DI SCHIOPPO DALLA VILLA DI BERLUSCONI” In un documento di duecento pagine inviato alla procura di Reggio Calabria, gli investigatori della Direzione investigativa antimafia dettagliano la latitanza in Nord Italia dei boss di Brancaccio e i loro legami – sempre presunti – con Marcello Dell’Utri. E citano un vecchio documento investigativo del ’97 definito di “portata eccezionale, alla luce delle nuove risultanze sulle mancate attenzioni istituzionali sulla figura di Baiardo e che, con il senno del dopo, conferisce alle dichiarazioni confidenziali di questi comprovata attendibilità e riscontro” Nell’estate del 1993 i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano erano in vacanza in Sardegna “a un tiro di schioppo” dalla villa di Silvio Berlusconi. Un’informazione mai riscontrata che per la prima volta viene considerata attendibile in un documento di polizia giudiziaria. A raccontare i dettagli della latitanza dei boss di Brancaccio e i loro legami – sempre presunti – con Marcello Dell’Utri è un’informativa della Direzione investigativa antimafia di Reggio Calabria. Duecento pagine inviate dal commissario Michelangelo Di Stefano, dal vice questore Beniamino Fazio e dal capo centro Teodosio Marmo al procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, titolare della pubblica accusa al processo ‘Ndrangheta stragistaLa versione di Graviano – È il procedimento in cui l’imputato Graviano ha deciso per la prima volta di aprire bocca per mandare una serie di messaggi trasversali. Durante una serie di udienze nei mesi scorsi il boss di Brancaccio ha sostenuto di essere stato in affari con Silvio Berlusconigrazie agli investimenti compiuti dal nonno a Milano negli anni ’70. Ha parlato di “imprenditori di Milano” che non volevano fermare le stragi. Ha invitato a indagare sul suo arresto, avvenuto al ristorante Gigi il cacciatore il 27 gennaio del 1994, per scoprire i veri mandanti delle stesse stragi. Poi, solo 24 ore fa, ha comunicato l’intenzione di non volere più rispondere alle domande. Il motivo? “La consapevolezza che le sue dichiarazioni resteranno prive di riscontro”, ha spiegato il suo avvocato Giuseppe Aloisio.

Tutti a Omegna I fatti provano il contrario. Da alcuni mesi, infatti, il pm Lombardo ha chiesto alla Dia di tornare a indagare su uno dei momenti più misteriosi della recente storia d’Italia: il biennio compreso tra il 1992 e il 1994. Due anni di stragi, di sangue, di tentativi eversivi e nuovi patti di convivenza tra Stato e mefia. Due anni che i Graviano trascorrono da latitanti in Nord Italia, a Omegna, sul lago d’Orta, accompagnati dal fidato gelataio Salvatore Baiardo. Nello stesso periodo e nella stessa zona dimorano Balduccio Di Maggio, il boss arrestato da latitante a Borgomanero e poi fondamentale per arrivare all’arresto di Totò Riina, e il generale Francesco Delfino, proprio l’uomo che arresterà lo stesso Di Maggio. Non è l’unica coincidenza che segnalano gli investigatori. “Da vecchi fascicoli non indicizzati delle tante attività della Dia è stata rinvenuta un’informativa del Centro Operativo di Firenze, indirizzata al compianto dottor Chelazzi avente ad oggetto: Stragi di Firenze, Roma e Milano e riguardante l’analisi dei movimenti di Giuseppe e Filippo Graviano”, scrivono gli inquirenti. Che definiscono quel documento, risalente al 26 febbraio del 1997, “di portata eccezionale, alla luce delle nuove risultanze sulle mancate attenzioni istituzionali sulla figura di Baiardo e che, con il senno del dopo, conferisce alle dichiarazioni confidenziali di questi – che il dr. Messina, nella recente deposizione, ha ritenuto doveroso non cautelare ex art. 203 cpp – comprovata attendibilità e riscontro, atteso che dall’analisi dei metadati del telefono cellulare del Baiardo è stato possibile ricostruire i movimenti dei fratelli Graviano nell’anno 1993, così confermando entità e consistenza dei rapporti con il gelataio di Omegna”. di Lucio Musolino e Giuseppe Pipitone 30 MAGGIO 2020 IL FATTO QUOTIDIANO


Quanto costa una trasmissione come Report? Me lo sono chiesto perchè è su Rai … e ci pigliano il canone con la bolletta! Ora dico tristemente: capisco che a qualcuno viene la strizza ,dopo la sentenza Mannino in Cassazione.  e capisco che si provi ( capisco ma , ovviamente , non condivido) a correre alle contromisure di disinformazione … lo spettetore che non conosce atti e fatti è facilmente suggestionabile ! Se gli racconti di terzi livelli , servizi segreti e simili l’ascoltatore si impressiona e non può fare caso alla identificazione dei personaggi( il solito Contrada, mentre Genchi parla del prefetto Rossi , La Barbera morto e faccia di mostro, morto pure lui e poi i soliti Berlusconi e Dell’Utri, alla faccia delle archiviazioni varie) E lo spettatore non lo sa e non lo deve sapere che certe sentenze, frutto di processi difficili, rischiosi e sofferti ,hanno detto altro Non importa. Basta sostenere in tv ipotesi investigative, finora non confermate in giudizio e dire per circa 4 volte la parola depistaggio, così sintetizzando e “ archiviando” tutto il casino fatto sul processo di via D’Amelio! Di questo depistaggio, è la parola d’ordine, l’imperativo , NON SI PARLA A parte questo , che non è poco, si fa una trasmissione / casino! Chi ha preso l’agenda rossa? Ci sono fotocopie in mano a Graviano? A Massina Denaro? E l’originale chi lo ha? Le copie a quei due chi gliele ha date? Berlusconi ? I Servizi( chi)? LaBarbera ? O vogliamo dire che la prese la mafia , così , per curiosità ! 1000 notizie raccattate qua e là e un filo conduttore del discorso che manca vistosamente… boh ! Ci ho provato , resistendo faticosamente , a vedere tutto per capire… boh !? E comunque non è corretto fare tagli così strumentali alle interviste . Per fare finta di aver sentito tutti (per una finta par condicio) si sente , oltre ai sostenitori tradizionali e istituzionali di “ trattativa “ , pure i “ contrari” , o i non sostenitori Solo che si tagliano i pezzi non utili … così sentiamo che a Mannino si lascia solo una imprecazione; Gabriele Paci dice tre parole (più o meno “sgrunt)” e Genchi ( la cui ricostruzione dei fatti è chiara e articolata quando parla “ sotto giuramento “ nei processi ) dice solo ciò che può essere incasellato nel tema di Report Insomma… una trasmissione che non valeva la pena di vedere Quanto la abbiamo pagata ? ROSALBA DI GREGORIO 5.1.2021 fb  – ROSALBA DI GREGORIO Avvocato e difensore storico di importanti imputati di mafia. L’esperienza più impegnativa dell’inizio della professione sarà il primo maxiprocesso di Palermo, dove, assieme all’avv. Marasà, difenderà una decina di imputati, tra cui Vittorio Mangano. Autrice del libro Dalla parte sbagliata. La morte di Paolo Borsellino e i depistaggi

“I Graviano, gli affari e la villa di B. in Sardegna”. Parla Salvatore Baiardo, gelataio e consigliere comunale del Psdi nella cittadina di Omegna (Verbania). Nel 1996, dopo la cattura dei fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, Baiardo ha parlato segretamente con gli investigatori della Dia rifiutandosi di mettere a verbale le sue rivelazioni: “Ero il loro riciclatore. Quell’estate erano in vacanza a 200 metri dal Cavaliere”

“Sono stato un riciclatore dei Graviano, li ho portati a spasso in tutto il nord Italia dal 1989 fino alla mattina del loro arresto. So tutto di loro e dei loro affari al nord e in Sardegna, li ho ospitati, ho le foto e i contratti delle case dove hanno abitato, ma nessun magistrato mi vuole sentire”. Si presenta così Salvatore Baiardo, 55 anni, già gelataio e consigliere comunale del Psdi nella cittadina di Omegna, sulle sponde del lago di Orta in provincia di Verbania. Nel 1996, dopo la cattura dei fratelli Filippo e Giuseppe GravianoBaiardo ha parlato segretamente con gli investigatori della Direzione investigativa antimafia rifiutandosi di mettere a verbale le sue rivelazioni.

L’INFORMATIVA DEL 1996 – Secondo quello che risulta a Il Fatto Quotidiano è infatti lui il protagonista di un’informativa della Dia del 4 novembre 1996. Una nota esplosiva nella quale due investigatori di alto livello raccontano di avere ricevuto da “persona indagata e per la quale pende richiesta di archiviazione a Firenze” una serie di rivelazioni sotto garanzia di anonimato. L’informatore della Dia riferiva “di avere conosciuto i Graviano nel 1989”; “di avere assistito in casa sua tra il ‘91 e il ’92 a una-due conversazioni telefoniche intercorse tra Filippo Graviano e Marcello Dell’Utri dalle quali si evinceva che i due avevano in comune consistenti interessi economici, in particolare nel settore immobiliare, a Milano e in Sardegna”; che il prestanome per i suddetti investimenti era “un imprenditore a nome Rapisarda”; “che i fratelli Graviano erano interessati al finanziamento tramite Marcello Dell’Utri del nascente movimento politico Forza Italia, che avrebbe dovuto garantire i loro interessi in quanto la Dc attraversava un periodo di forte difficoltà”. Sempre lo stesso informatore, secondo la Dia, aveva poi riferito “di avere accompagnato nella primavera del ‘92, o 93 i fratelli Graviano nel ristorante “L’Assassino” di Milano dove avrebbero dovuto incontrare Marcello Dell’Utri, ma di non avere avuto mai la possibilità di assistere personalmente agli incontri”;

Oggi con Il Fatto Quotidiano, che lo ha prima sentito più volte al telefono e poi l’ha incontrato nel suo paese di residenza, Baiardo non conferma il suo ruolo di ex informatore. E quando gli si cita il rapporto della Dia replica solo: “Io non sono mai stato all’Assassino”. Poi dice: “Graviano lo ha anche specificato. Ha detto scrivete che Baiardo non è un confidente, ma un favoreggiatore”. Lui, del resto, vuole parlare di altro. Dice di essere in grado di scagionare Giuseppe Graviano dall’accusa di aver ucciso Borsellino e di poter dimostrare che gli ultimi due pentiti che accusano il suo amico boss stanno mentendo o quanto meno dicono molto meno di quel che sanno. Una cosa, comunque, Baiardo la conferma: “A metà degli anni 90 gli investigatori mi hanno fatto ponti d’oro perché collaborassi. Ancora due ore prima del mio arresto si sono seduti al tavolo e mi hanno offerto un miliardo e mezzo, una villa, una nuova vita per me e la mia famiglia. Poi ci hanno provato anche i magistrati in carcere. Ma ora che invece voglio parlare io di altre cose, i giudici non mi convocano”. E così Baiardo – dopo 15 anni di silenzi – quando i due nuovi pentiti della cosca di Brancaccio, Gaspare Spatuzza e Fabio Tranchina, hanno cominciato a raccontare i segreti della strage di via D’Amelio, ha provato a contattare i giornali. Con tempismo perfetto, quando Giuseppe Graviano e i suoi legali lo hanno cominciato a tirare in ballo nei processi per confutare le accuse dei collaboratori di giustizia, Baiardo ha inviato una mail a Il Fatto.

IL TEMPISMO DELLE RIVELAZIONI – E adesso, prima al telefono e poi seduto a un tavolo, racconta tra qualche reticenza e molti sorrisi, i suoi anni formidabili. Cominciati nel 1989 quando a lui che viveva al nord da sempre, Cesare Lupo (suo cugino acquisito e cognato di Tranchina), porta a Omegna i Graviano. Lupo, a sua volta cognato dei Graviano, nel 2001 è stato arrestato perché considerato nuovo boss di Brancaccio. Tranchina, invece, si è buttato pentito. E Baiardo ce l’ha con lui: “Dice un sacco di minchiate. Ha raccontato di avermi consegnato solo una ventina di milioni di lire per farmi acquistare una gelateria, ma si dimentica di altri 18 miliardi che nel corso degli anni mi ha consegnato in buste e valigie. Dice che Giuseppe ha fatto saltare in aria Borsellino (in realtà Tranchina sostiene di avere comprato per il boss il telecomando e di averlo accompagnato a fare i sopralluoghi in via D’Amelio nei giorni precedenti alla strage, ndr), quando il 19 luglio del ‘92 Giuseppe era da me a Omegna. E c’è pure la prova. Quel giorno la polizia ci ha fermato per un controllo. Io avevo i miei documenti. Quelli di Giuseppe portavano il nome di un certo Francesco Mazzola, solo che ora gli investigatori sostengono che quel verbale non si trova. Filippo invece era a Padova. Insomma, dico io, quei due possono averne anche ammazzati cento, ma questa della strage Borsellino mi sembra una cioccolatata”.

IL REBUS DI PUNTA LADA – Baiardo parla con un forte accento lombardo, ha i capelli lunghi e gli occhi nascosti dagli occhiali scuri. Spiega che quando i Graviano cominciarono a frequentare Omegna, lui li presentò a tutti i suoi amici: “C’erano industriali, professionisti, gente di ogni tipo. Rimanevano con me per settimane poi a un certo punto pensarono di trasferirsi lì. Era il 1991, io cercai anche una villa, loro si davano da fare per trovare delle possibilità per investire i loro soldi”. A Capodanno festeggiano tutti assieme all’Hotel San Rocco di Orta San Giulio.“Ci sono anche le foto”, dice Baiardo, “gli investigatori le hanno sequestrate”. Poi parla delle vacanze estive nell’Agrigentino, assieme a una coppia di amici e molti mafiosi, ma nega che gli sia stato presentato anche Matteo Messina Denaro, l’attuale capo di Cosa Nostra, “C’era della gente, non so chi fossero”, dice. Quindi la vacanza delle vacanze: la Sardegna. Un rebus che ha fatto impazzire gli investigatori. I Graviano, ospiti di una grande villa a Punta Lada, sono lì il 17 e 18 agosto del ‘93, un mese dopo gli ultimi attentati da loro organizzati (al Pac di Milano e alle Basiliche di Roma). Si crogiolano al sole con le fidanzate, mentre Silvio Berlusconi sta mettendo a punto nella sua villa gli ultimi preparativi in vista della nascita di Forza Italia. In Sardegna c’è anche, come risulta dai suoi tabulati telefonici, Baiardo. Ma cosa facevano in Sardegna i Graviano? Questo è quello che ci ha esattamente detto in uno dei colloqui con lui che qui riportiamo fedelmente.

“Sono stati lì due estati. Nel 1992 ho affittato io la villa per loro e invece di sentire me i magistrati sentono le cazzate di Tranchina e Spatuzza. Andate a vedere la villa pagata da me, affittata da me. Era in linea d’aria a 200 metri dall’ex presidente del Consiglio (Silvio Berlusconi, ndr). Via mare ci si arriva perché era proprio sul mare. Poi da quello a dire che si conoscessero e si frequentassero c’è ne passa. Io l’ho affittata nel 1992. Poi presumo che nel 1993 abbiano ripreso la stessa villa, ma il contratto non l’ho fatto io”.

E che facevano i Graviano in Sardegna? Vacanze, ma poi avevano anche persone con cui si incontravano e facevano gli affari loro.

Ma se facciamo i nomi di…. (Baiardo ci previene) Flavio Carboni (poi indagato per gli affari con Marcello Dell’Utri anche in Sardegna nel 2009, ndr), Rapisarda (che crea tra il 1992 e la fine del 1993 proprio con Marcello Dell’Utri una serie di società, ndr), gira e rigira – chiosa – son sempre i soliti. (Poi nell’ultimo colloquio Baiardo farà marcia indietro sui due nomi, ndr).

Ma Tranchina dice un’altra cosa…. Tranchina parla di un appartamento sulla piazzetta con i negozi e i magistrati si accontentano di questa versione. Ma quando mai! Nel 1992 la villa in cui alloggiavano i Graviano c’era costata 200 milioni, 130 nel mese di agosto e 70 milioni per settembre. Negli appartamentini stavamo noi e nel villone c’erano loro.

Ma lei ha conservato il contratto di affitto?  Guardi io ho tutto. Ci sono i filmini, le fotografie, le agende di quegli anni che parlano. Poi leggo che Spatuzza sostiene che Giuseppe Graviano ha l’asso nella manica, allora diamo retta a Spatuzza e aspettiamo che Graviano si giochi quest’asso.

Secondo lei perché Graviano ha chiesto che lei sia sentito per approfondire queste cose? Forse vuole mandare un segnale a qualcuno? Vuole far sapere che c’è una persona che sa tutto quello che è successo nell’estate del 1993?  È una sua supposizione. Ma ci può anche stare. Io però sarei uno stupido ad andare in galera per calunnia.

Lei però ha fatto due confronti nel 2009 con i fratelli Graviano in carcere e ha detto di non conoscerli. Ora vuole essere sentito?
L’avvocato dei Graviano lo ha chiesto al processo per l’omicidio Di Matteo, ma loro hanno preferito acquisire proprio i verbali di quei confronti in cui non dicevo nulla. L’avvocato di Giuseppe mi ha detto: ‘Siccome è la quarta volta che lo chiedo, la convocherò in appello’.

Ma lei cosa vuole dire ai giudici?  Che Graviano il giorno della strage di via D’Amelio non era lì. Io non voglio che le mie figlie credano a queste cose. E poi non se ne può più delle balle che dicono questi due. Spatuzza dice che non mi conosce e che non è mai venuto al nord. Solo una volta a Bologna. Minchiate. Si è dimenticato che mi ha incontrato tre volte dopo l’arresto dei Graviano quando ha preso in mano lui il mandamento di Brancaccio e veniva lui qui al nord a curare i loro interessi. La terza volta, nel 1996, lo fece con arroganza. Venne a pretendere la bellezza di 800 milioni di lire dei Graviano perché, diceva, erano della cosca. Anche Tranchina dice che mi ha portato 20 milioni per la gelateria, ma è un’altra minchiata. Tranchina mi ha portato 18 miliardi di vecchie lire. Allora era il loro uomo di fiducia poi ha perso colpi, era il cognato di mio cugino, Lupo, che era il braccio destro del Graviano, altro che 20 milioni per la gelateria.

Baiardo lei descrive uno scenario in cui nelle testimonianze dei pentiti sono spariti i soldi…. Guardi io vivevo con i Graviano in quel periodo. Quando stavamo a Venezia alloggiavamo in un palazzo di tre piani sul Canale. Lo abbiamo affittato dagli imprenditori Bisazza, quelli delle piastrelle. Non so se mi spiego. Tre piani uno più bello dell’altro. Anche lì abbiamo speso una bella cifra.

Resta una domanda, la più importante: Baiardo, che ci facevano al nord i Graviano? Davvero Dell’Utri incontrava Filippo Graviano per parlare di affari?
.Di queste cose non voglio parlare adesso. C’è già la Dia di Firenze che mi martella, l’ultima volta son venuti tre mesi fa. Non voglio parlare di questo.  di Peter Gomez e Marco Lillo  da Il Fatto Quotidiano del 28 giugno 2012. 


Mafia, l’informativa della Dia: “Nell’estate del 1993 i Graviano erano in vacanza in Sardegna a un tiro di schioppo dalla villa di Berlusconi”

Un misterioso uomo che parla di una borsa La presenza di appartenenti ai Servizi Segreti, in via D’Amelio, a pochi minuti dalla deflagrazione, risulta anche  da un’altra deposizione dibattimentale. Infatti, il Vice Sovrintendente Giuseppe Garofalo, in servizio alla Questura di Palermo, Sezione Volanti, arrivava sul posto appena cinque minuti dopo la deflagrazione e, dopo aver constatato che non c’era più nulla da fare per il Magistrato ed i colleghi della Polizia di Stato che gli facevano da scorta, aiutava i residenti nello stabile di via D’Amelio, soccorrendo forse anche la madre del Magistrato. Quando riscendeva in strada, il poliziotto notava, nei pressi della Croma blindata di Paolo Borsellino, un uomo in borghese, con indosso la giacca (nonostante il torrido clima estivo) e pochi capelli in testa. Alla richiesta di chiarimenti sulla sua presenza lì, l’uomo si qualificava come appartenente ai “Servizi”, mostrando anche un tesserino di riconoscimento: vi era persino un veloce e secco scambio di battute fra i due, sulla borsa di Paolo Borsellino. Infatti, l’agente dei Servizi Segreti chiedeva se c’era la borsa del Magistrato dentro l’auto blindata, oppure (addirittura) si giustificava per il fatto che aveva detta borsa in mano. Si riporta uno stralcio della deposizione:

 

  • P.M. Dott. PACI – Allora, nel 1992 lei prestava servizio?
  • TESTE G. GAROFALO – Alla Volante, alla Sezione Volanti della Questura di Palermo.
  • P.M. Dott. PACI – Ecco, che qualifica aveva allora?
  • TESTE G. GAROFALO – Ero vice-sovrintendente ed ero al comando di un’unità operativa, di una Volante.
  • P.M. Dott. PACI – Quindi era il capopattuglia.
  • TESTE G. GAROFALO – Sì.
  • P.M. Dott. PACI – Senta, da quanto tempo svolgeva servizio presso l’ufficio Volanti?
  • TESTE G. GAROFALO – Eh, forse neanche un anno; non ricordo ora di preciso, ma penso che… di essere stato assegnato alle Volanti di Palermo il ’92 stesso, se non… se non erro, o il ’91, comunque un breve periodo. (…)
  • P.M. Dott. PACI – Ho capito. Senta, veniamo al giorno della strage di via D’Amelio.
  • TESTE G. GAROFALO – Sì.
  • P.M. Dott. PACI – Lei era in servizio?
  • TESTE G. GAROFALO – Sì, ero in servizio, ero sulla 32, sulla Volante 32.
  • P.M. Dott. PACI – Il turno qual era?
  • TESTE G. GAROFALO – E il turno era 13.00 – 19.00. La Volante 32 abbracciava la zona da Mondello, orientativamente, verso via Autonomia Siciliana, e quelle zone, insomma,
  • limitrofe. Ricordo che… ora non…
  • P.M. Dott. PACI – Certo. Allora, veniamo alla strage e al deflagrare della bomba. La notizia voi l’apprendete come?
  • TESTE G. GAROFALO – Allora, noi l’apprendiamo via radio. Sul posto viene inviata subito la Volante 21, che era quella più… più vicina al… alla zona. Noi, come 32, eravamo nella zona di Mondello o comunque, insomma, nella nostra zona di competenza.
  • P.M. Dott. PACI – Quindi nella zona di Mondello vi trovavate quando avete…
  • TESTE G. GAROFALO – Sì, Mondello, sì, in quella zona lì.
  • P.M. Dott. PACI – Ma avete sentito l’esplosione o…?
  • TESTE G. GAROFALO – Allora, si è sentito un boato, solo che logicamente è stata inviata dalla Sala… da parte della Sala Operativa la Volante 21, che evidentemente era quella più vicina o comunque era quella di zona. Noi di fatto abbiamo deciso di… di avvicinarci verso… verso il luogo dov’era stata segnalata questa… questa esplosione. All’inizio, come prima notizia, era stata fornita dalla Sala Operativa un’esplosione di una bombola, qualcosa del genere, solo che, insomma, il… conoscendo i luoghi, insomma, orientativamente sapevamo che in quella zona lì vi era un obiettivo sensibile, che era evidentemente un luogo legato al dottore Borsellino, e quindi ho… ho invitato il mio autista ad accelerare la marcia.
  • P.M. Dott. PACI – Senta, e dal momento in cui c’è stata questa segnalazione della Sala Operativa, o meglio, voi il boato l’avete sentito, quindi…
  • TESTE G. GAROFALO – Sì.
  • P.M. Dott. PACI – …prendiamo come punto di riferimento il momento in cui sentite l’esplosione e il boato. Al momento in cui arrivate in via D’Amelio quanto sarà passato?
  • TESTE G. GAROFALO – Ma saranno passati cinque minuti, anche di meno, perché, insomma, era domenica, le strade erano sgombre, non c’era traffico, quindi di fatto è stata una… quasi immediato il nostro arrivo.
  • P.M. Dott. PACI – Quindi entro cinque minuti siete arrivati.
  • TESTE G. GAROFALO – Sì, più o meno, cinque – dieci minuti, insomma, quello, i tempi erano quelli.
  • P.M. Dott. PACI – Allora, senta, siccome nella sua deposizione, che si è svolta in due momenti, no? Lei ha già raccontato (…) e adesso lo racconterà alla Corte, che alcuni elementi poi lei li ricordò a seguito di un colloquio avuto con un suo collega.
  • TESTE G. GAROFALO – Sì.
  • P.M. Dott. PACI – Ecco, allora vorrei, innanzitutto, che lei esprimesse e riferisse alla Corte quello che è il ricordo di allora, poi parleremo di quello che le ha riferito il suo collega; però noi vorremmo che lei, per quanto capisco sia difficile, insomma, selezioni quello che è il ricordo di quella giornata, per come lei… Poi parleremo di quelli che sono gli elementi che poi il suo collega le ha rammentato. (…) Però questo in un secondo momento. In questo momento vorrei che lei riferisse alla Corte quello che è il ricordo visivo di quel giorno e dei particolari che lei ha, diciamo, memorizzato.
  • TESTE G. GAROFALO – Niente, siamo arrivati sul luogo della… dell’attentato, ricordo che già era arrivata la Volante 21.
  • P.M. Dott. PACI – Quindi quante pattuglie o uomini delle Forze dell’Ordine erano già presenti?
  • TESTE G. GAROFALO – Allora, al momen… quando sono arrivato io, ho visto solo la Volante 21, ma potrei anche sbagliarmi, perché, insomma, la… la situazione emotiva era parecchio… parecchio pesante. Di certo la Volante 21 era già lì sul posto, quindi era un’auto con tre… tre agenti, tre poliziotti. Siamo arrivati noi come 32 e ci siamo resi conto di quello… di quello che era successo e abbiamo… abbiamo notato… abbiamo visto parecchie autovetture in fiamme e…
  • P.M. Dott. PACI – Ecco, le autovetture erano in fiamme quando arrivate?
  • TESTE G. GAROFALO – Sì, sì, sì.
  • P.M. Dott. PACI – In particolare le chiedo: lei ha ricordo della vettura del dottor Borsellino?
  • TESTE G. GAROFALO – Allora, non… non so se… abbiamo visto le due autovetture, le due… le due Croma blindate. Sì, le abbiamo viste, cioè le ho viste, me le ricordo. Di fatto l’attenzione è rivolta ai… alle persone, insomma, ai colleghi che erano morti, al dottore Borsellino, è stata quasi immediata, nel senso che ci siamo resi conto che, insomma, non… non c’era nulla da fare e… e quello che abbiamo deciso di fare… di fare sul momento era quello di aiutare le persone che si trovavano all’interno delle abitazioni che erano state devastate, perché oltre alla… all’impatto nel… cioè l’esplosione ha creato dei danni enormi sulle abitazioni che circondavano il luogo del… dell’attentato, e quindi io ricordo di essere salito insieme ad altri colleghi, ora non… non so se sono venuti insieme a me o sono partito da solo, siamo saliti all’interno dell’abitazione del… del dottore Borsellino proprio per vedere com’era la… se c’era bisogno di aiutare delle persone. I miei ricordi lì sono così, vaghi, io ho percezione di essere addirittura entrato a casa del dottore Borsellino e di avere preso la mamma del dottore Borsellino e di averla portata giù, però sono dei… dei frame, dei… dei flash di memoria. Questa, insomma, è la situazione.
  • P.M. Dott. PACI – Lei ha notato, ha individuato persone, magistrati, persone conosciute? Insomma, se ha individuato volti in qualche modo conosciuti a lei o personaggi dell’entourage giudiziario.
  • TESTE G. GAROFALO – Nell’immediato, quando siamo… quando siamo arrivati noi, non c’era nessuno evidentemente, perché il nostro è stato il primo intervento. Poi, con l’andar del tempo, si sono presentati sul luogo della…
  • P.M. Dott. PACI – Sì.
  • TESTE G. GAROFALO – …dell’esplosione parecchi personaggi noti: magistrati, Giudici.
  • P.M. Dott. PACI – Sì, sì, sì, però, diciamo, nell’immediatezza, cioè quando lei arriva, trova solamente gli uomini della Volante 21?
  • TESTE G. GAROFALO – Sì, sì, per come io ho dei ricordi. Poi c’è quella…
  • P.M. Dott. PACI – Ci arriviamo. (…) Un attimo, volevo un attimo che focalizzasse, se è possibile, la memoria e l’attenzione su questi particolari: sullo stato delle vetture, delle due vetture blindate. Se lei è in grado di riferire qual era lo stato di queste vetture quando arrivate, cioè se erano ancora in fiamme, se c’erano dei focolai, se c’erano i Vigili del Fuoco.
  • TESTE G. GAROFALO – Quando siamo arrivati, le auto… c’erano dei focolai evidentemente, quello che ricordo parecchio bene era il fumo, cioè il fumo che scaturiva da… da quella zona.
  • P.M. Dott. PACI – La domanda gliela devo fare, però lei deve capire la mia intenzione che è quella di cercare di, da un lato, ravvivare il ricordo, ma senza cercare di, diciamo, forzare il dato. Cioè mi rendo conto che, come dice lei, ci sono dei frame, ci sono dei particolari che sono importanti, sarebbe oggi importante capire. Quando lei arriva, ricorda se all’interno delle due vetture blindate c’erano delle fiamme? Se c’era un principio di incendio anche all’interno delle vetture.
  • TESTE G. GAROFALO – No, non…
  • P.M. Dott. PACI – Non è in grado di dare questa informazione?
  • TESTE G. GAROFALO – Non mi pare che c’erano delle… delle fiamme all’interno delle… dei mezzi blindati.
  • P.M. Dott. PACI – Dei mezzi blindati. Ricorda la presenza di personale dei Vigili del Fuoco?
  • TESTE G. GAROFALO – Non… non nell’immediatezza.
  • P.M. Dott. PACI – Non nell’immediatezza. Oltre a personale della 21 ricorda se c’era personale dei Carabinieri, personale…
  • TESTE G. GAROFALO – Questo non… no, non lo ricordo, onestamente.
  • P.M. Dott. PACI – …della Croce Rossa? Se già, insomma, c’era…
  • TESTE G. GAROFALO – No, no, c’eravamo solo noi e la 21.
  • P.M. Dott. PACI – Quindi, diciamo, il primo intervento è della 21.
  • TESTE G. GAROFALO – E il nostro.
  • P.M. Dott. PACI – E subito dopo arrivate voi.
  • TESTE G. GAROFALO – Sì.
  • P.M. Dott. PACI – Quindi la zona non è transennata.
  • TESTE G. GAROFALO – No, no, è proprio…
  • P.M. Dott. PACI – La visibilità?
  • TESTE G. GAROFALO – E’ pessima, perché c’era fumo, c’era fuliggine, c’era un po’ di tutto, è una sorta di… un film da guerra, né più e né meno.
  • P.M. Dott. PACI – Quando lei dice la visibilità era pessima, vuol dire che c’era una visibilità pari a un raggio di…?
  • TESTE G. GAROFALO – No, ma non… non si può quantificare, perché le autovetture che sono state coinvolte non erano solo quelle delle… del dottore e della scorta, erano anche altre autovetture che erano parcheggiate nella zona, quindi i fumi, l’olio bruciato, quindi era un… non so neanche io come poterlo spiegare visivamente. Era… la visibilità… non siamo di fronte a una visibilità ridotta a causa di un banco di nebbia, siamo di fronte a un… a una zona di guerra, quindi fumo, si usciva da una zona dove c’era… non si poteva vedere, in altre zone non si vedeva, in altre zone non potevamo neanche respirare, cioè non… non c’era una netta non visibilità o una visibilità in alcune zone, era un misto di… di situazioni.
  • P.M. Dott. PACI – Ho capito. Allora, tra i flash che lei ha di quel giorno (…) ricorda qualcosa? Oltre, appunto, a questa carneficina a cui lei assiste, ricorda qualcosa di specifico, di qualcosa che ha attirato la sua attenzione?
  • TESTE G. GAROFALO – Questo è il… la situazione. Non ricordo, non riesco ad inserirlo in un… in un lasso di tempo preciso, se immediatamente prima del nostro arrivo… cioè se immediatamente dopo del nostro arrivo o dopo dieci – venti minuti, questo non… non riesco a capirlo, non riesco a ricordarlo; di fatto nella zona dove c’erano le macchine di via D’Amelio…
  • P.M. Dott. PACI – Le macchine intende le blindate?
  • TESTE G. GAROFALO – Sì, le blindate, le autovetture, insomma, tutte le… i mezzi danneggiati, comunque sul teatro dei fatti, diciamo così. Ho un contatto con una persona, ma questo contatto è immediato, velocissimo, dura pochissimo, perché evidentemente la nostra… il nostro intento era quello di mantenere le persone al di fuori della… della zona e quindi non fare avvicinare a nessuno, anche per un problema di natura… di ordine pubblico, perché c’era il rischio che altre autovetture… i serbatoi di altre autovetture potessero esplodere. E incontro questa… un soggetto, una persona, al quale… ecco, e questo è il momento, non riesco a ricordare se questo soggetto mi chiede della… della valigia, della borsetta del dottore o se lui era in possesso della valigia.
  • P.M. Dott. PACI – Quindi c’è un riferimento alla valigia.
  • TESTE G. GAROFALO – C’è un contatto, questo.
  • P.M. Dott. PACI – Ecco, c’è un contatto con una persona.
  • TESTE G. GAROFALO – Con questa persona, al quale io chiedo, evidentemente, il motivo perché si trovava su quel… su quel luogo. Questo soggetto mi dice di essere… di appartenere ai Servizi.
  • P.M. Dott. PACI – Ai Servizi?
  • TESTE G. GAROFALO – Ai Servizi.
  • P.M. Dott. PACI – Scusi, dice appartenente ai Servizi o dice SISDE, SISMI? Cioè la parola…
  • TESTE G. GAROFALO – No, Servizi.
  • P.M. Dott. PACI – La parola la ricorda qual era?
  • TESTE G. GAROFALO – Ai Servizi.
  • P.M. Dott. PACI – Ai Servizi.
  • TESTE G. GAROFALO – L’ho lasciato andare perché sono sicuro, e questa è l’unica cosa di cui sono veramente certo, mi avrà mostrato dei documenti di riconoscimento.
  • P.M. Dott. PACI – Quindi, ecco, questa era la domanda che le volevo fare.
  • TESTE G. GAROFALO – Sì.
  • P.M. Dott. PACI – Lei accerta che questa persona, dopo che si è presentata come personale dei Servizi, è accreditato, insomma, le mostra un tesserino, qualcosa?
  • TESTE G. GAROFALO – Sì, perché altrimenti avrei perso più tempo con lui, nel senso che lo avrei accompagnato da parte, lo avrei… lo avrei preso e consegnato ad altri colleghi. Cioè, voglio dire, io avevo prestato servizio a Palermo anche in altri tempi, ero alla Mobile, alla Squadra Mobile, alla Sezione Omicidi, e non era una cosa al di fuori dal normale che in occasione di eventi delittuosi particolari si presentassero dei soggetti appartenenti a dei Servizi sul luogo di un omicidio, quindi, insomma (…) per noi era una cosa normale. Quindi, all’atto in cui io ho avuto contezza che questo soggetto fosse dei Servizi…
  • P.M. Dott. PACI – Che effettivamente appartenesse ai Servizi di Sicurezza.
  • TESTE G. GAROFALO – Ai Servizi, riscontrato cioè anche da un… dalla presentazione di un tesserino, io non ho più avuto contatti con quel soggetto, cioè non… la mia attenzione è stata… si è focalizzata su altri… su altre emergenze.
  • P.M. Dott. PACI – Allora, detto che è una persona che lei incontra in prossimità del teatro (…) di questa azione di guerra, detto che si presenta come una persona appartenente ai Servizi e che le dà dimostrazione di questa sua appartenenza, la cosa che lei ha detto è che faceva riferimento alla borsa del dottor Borsellino. (…) Questo particolare adesso dobbiamo scavare.
  • TESTE G. GAROFALO – E’ un particolare… io ribadisco, non so se lui mi abbia chiesto qualcosa sulla borsa o se io l’abbia visto in possesso della borsa o… o altre… altri particolari, perché, ripeto, è stata una frazione di secondi.
  • P.M. Dott. PACI – Voglio capire questo: il riferimento ad una borsa, che è incerto, cioè se è stato oggetto di colloquio o se questo avesse una borsa, in riferimento alla borsa del dottor Borsellino, cioè che questa fosse la borsa che apparteneva al magistrato, qual è? Qual è l’aggancio?
  • TESTE G. GAROFALO – E l’aggancio… i motivi per cui… allora, io ripeto, non… a distanza di tanti anni i ricordi si affievoliscono, poi un fatto così tragico comunque si tende a cancellare quelli che sono i ricordi legati a questi… a questi fatti. Ripeto, non… non so se lui mi abbia chiesto, tra virgolette: “La borsa del dottore Borsellino è all’interno della macchina”, oppure, tra virgolette, io gli abbia chiesto: “Cosa qui con la borsa in mano?” Oppure

BAIARDO  GIA’ NEL  1994  parlò dei rapporti economici tra i fratelli Graviano e Dell’Utri. E disse che i Graviano erano interessati al finanziamento del nascente movimento politico Forza Italia perché erano convinti che questo li avrebbe garantiti, avrebbe garantito i loro interessi.  E altro… 

La nota venne redatta solo il 4.11.96… a due anni dalla fondazione di Forza Italia e pochi mesi dopo la caduta del primo governo Berlusconi…  Non si indagò oltre. Baiardo per il suo comportamento ondivago venne ritenuto inattendibile

Al processo ’ndrangheta stragista il 12 maggio 2020  ha testimoniato Francesco Messina, che dal ’92 al ’94 era responsabile del settore investigazioni finanziarie  del centro operativo di Milano 

Riferisce che nell’ambito delle indagini sulle stragi del ’93, tra i soggetti attenzionati c’erano i fratelli Graviano.  A seguito dell’arresto dei Graviano il 26 gennaio ’94 partì l’attività di monitoraggi dei cellulari in mani loro.

Emerse il coinvolgimento di Baiardo nelle indagini dei Carabinieri come favoreggiatore, quindi lo segnalò all’autorità giudiziaria  di Milano. Poi le cose sono state approfondite con l’autorità giudiziaria di Firenze. Anche il traffico di Baiardo è stato oggetto di attenzione perché in diverse situazioni  aveva accompagnato i Graviano durante la latitanza. 

Il cellulare di Baiardo era il riferimento. Dalla sua ricorrenza telefonica mandavano gli uomini a sentire le persone 

Individuarono una villetta a Forte dei Marmi (contratto intestato ad un imprenditore milanese, Vittorio Tosonotti) dove trascorsero un certo periodo Giuseppe e Filippo Graviano e Matteo Messina Denaro, tutti e tre accompagnati dalle rispettive compagne.  

Baiardo, uno dei principali favoreggiatori dei latitanti Graviano, viveva a Omegna in provincia di Novara. 

All’inizio aveva dato indicazioni che sembravano portare la sua intenzione di tenere in qualche modo testimonianza e rappresentare le circostanze che lo avevano portato a intrattenere un rapporto con i Graviano. 

Baiardo rappresentò genericamente di essere in possesso di informazioni che potevano essere strategiche per ricostruire tutto il periodo di questa latitanza e  indicazioni che potevano essere utili.

Venne redatto un primo verbale di sommarie informazioni da un ufficiale dell’Arma dei Carabinieri.

Su mandato della Procura di Firenze si acquisirono i verbali che erano presenti nel fascicolo del nucleo operativo di Palermo. 

Messina lo incontrò in due occasioni. Nella prima, tra luglio e agosto ’94, incontrò Baiardo, ancora libero, assieme al suo collega Nicola Zito, allora direttore della Direzione investigativa antimafia di Firenze in prossimità di Omegna dove viveva.

Messina il 4 novembre 1996 redasse l’informativa sul colloquio avuto con Salvatore Baiardo.

In quell’informativa non c’è il nome di Salvatore Baiardo, perché all’epoca non voleva comparire per timori per la sua incolumità e fu utilizzato il termine ‘persona indagata nel procedimento penale 3309 del 93 (il processo sulle stragi) e per la quale pendeva rituale richiesta di archiviazione a Firenze.

In questa nota, del 4 novembre ’96, a firma del capo centro Zito da lui redatta, depositata presso il Tribunale di Firenze, al dott. Vigna che all’epoca era procuratore di Firenze, Baiardo accennò all’esistenza di rapporti tra i fratelli Graviano e alcuni soggetti in particolar modo milanesi.

Baiardo  rappresentava di aver conosciuto i fratelli Graviano  dal 1989 e che a casa sua tra il ’91 e il ’92  lui fu presente a due conversazioni telefoniche tra Filippo Graviano e Marcello Dell’Utri nelle quali si evinceva che i due avevano interessi economici in comune. Nella prima di queste due telefonate aveva capito che l’interlocutore era Dell’Utri in quanto Filippo Graviano aveva pronunciato questo nome  per farsi annunciare da chi stava dall’altra parte. 

Nel corso di vari incontri tra lui, i fratelli Graviano e Lupo Cesare aveva avuto informazioni in merito alla natura dei rapporti che legavano Dell’Utri ai fratelli Graviano e aveva capito che in questa vicenda economica era coinvolto un tale Fulvio Lima  di Palermo a suo dire parente dell’on. Salvo Lima.

Parlò di un certo Rapisarda, di origini siciliane, che secondo lui era un prestanome dei Graviano, del fatto che c’erano interessi economici che legavano secondo lui i fratelli Graviano a questo Rapisarda che si prestava a investimenti immobiliari sia in Lombardia che in Sardegna.

Ha sostenuto che i Graviano erano interessati al finanziamento del nascente movimento politico Forza Italia perché erano convinti che questo li avrebbe garantiti, avrebbe garantito i loro interessi. 

Disse di avere accompagnato fisicamente tra il 92 e il 93 i fratelli Graviano in un ristorante di Milano  che si chiama L’Assassino dove i due si sarebbero dovuti incontrare con Dell’Utri anche se lui non lo aveva visto.

Ribadiva che i rapporti più stretti con Dell’Utri li aveva Filippo che lui riteneva la mente finanziaria. 

Il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo gli chiede che fine abbia fatto quell’indagine.

Quella nota finì sulla scrivania del procuratore di Firenze Pier Luigi Vigna, poi  non ricevettero delega come Dia, almeno fino a quando c’era lui (Messina) a Firenze e fino a quando era operativo il gruppo Stragi.

Messina ha più volte ribadito che l’atteggiamento di Baiardo era talmente ondivago che non era considerabile da un punto di vista dell’ affidabilità, era veramente difficile trovare una logica  nel suo comportamento, non si capiva se lo facesse perché voleva realmente fare il salto e troncare con Cosa Nostra o invece se lo facesse perché eterodiretto, noi abbiamo avuto questo  dubbio 

All’atto della escussione con dott. Patronaggio e dott. Caselli convocato negli uffici della Dia di Milano si rifiutò di parlare, disse che non aveva niente da dire. 

 Dalla testimonianza del colonnello  Andrea Brancadoro del 6 marzo 2020 processo ‘ndrangheta stragista (*2)

Baiardo al momento dell’arresto manifestò l’intenzione di voler approcciare una collaborazione con la giustizia attraverso la corresponsione di una ingente somma di denaro per poter dare informazioni su un mondo economico lombardo di altissimo livello. 

Brancadoro si rendeva conto che le scarne indicazioni che Baiardo aveva dato sulle cointeressenze economiche tra Graviano Giuseppe e il Presidente Berlusconi erano elementi assolutamente inconsistenti e ricorda che l’analisi di questa situazione formò oggetto di un incontro dedicato in Procura a Palermo con il dottor Caselli ed il dottor Patronaggio, dove decisero, ritenendo questo Baiardo non parzialmente, totalmente, del tutto inattendibile, di continuare eventualmente gli approfondimenti del caso lasciandoli alla competenza della Procura di Milano e della DIA di Milano. E in questo senso ci fu una sorta di passaggio di consegne tra lui e il dottor Francesco Messina, l’attuale direttore centrale anticrimine la Polizia di Stato il quale fece questi approfondimenti ma a suo parere questi approfondimenti non hanno portato a nessuna determinazione diversa dalle percezioni che lui aveva avuto in fase iniziale. 

(squadra mobile di Palermo che svolge attività investigativa  rivolta sempre alla cattura dei fratelli Graviano 

all’ epoca il dirigente della catturandi pare fosse dottor San Filippo e dottor Salina capo della squadra mobile)

Baiardo, in una intervista a Il Giornale del 26 giugno 2012  (“Baiardo smentisce il “Fatto”: “Nessun rapporto dei boss con Berlusconi e Dell’Utri”) che sta circolando, accusa la Dia di Firenze di aver fatto e fare di tutto per farsi dire i nomi di Dell’Utri e Berlusconi così da accostarli ai Graviano e alle stragi del ’93.   (*3)

”Di vero c’è che ho favorito la latitanza dei Graviano, e ho pure pagato col carcere. 

Non ho mai collaborato con la Dia anche se loro, ancora tre mesi fa, hanno insistito a farmi dire cose su Berlusconi e Dell’Utri che non so”.

Afferma che la Dia per collaborare gli ha offerto un miliardo e mezzo, una villa e un’attività dove voleva lui.

La Dia era interessata solo a Berlusconi e a Dell’Utri «Anche recentemente gli ho detto: ma voi volete sapere tutto dalla A alla Zeta. E loro: no, no. Solo dalla B (come Berlusconi) alla D (come Dell’Utri)».

(*1)Si può ascoltare la registrazione audio integrale dell’udienza del 12 maggio 2020 al link: https://www.radioradicale.it/…/processo-ndrangheta…

(*2) https://www.radioradicale.it/…/processo-ndrangheta…

(*3)  https://www.ilgiornale.it/…/baiardo-smentisce…

Fonte: La memoria di chi ha lottato con serietà e professionalità contro la mafia.


La testimonianza dell’appuntato dei Carabinieri ROSARIO FARINELLA  capo scorta ad all’ex giudice Giuseppe Ayala  Il Carabiniere, ricorda che, subito dopo la deflagrazione, quando si muovevano, con l’automobile blindata, dal residence ‘Marbella’, per andare ad accertarsi dell’accaduto, parcheggiando poi all’incrocio fra la via dell’Autonomia Siciliana e la via D’Amelio, Ayala faceva presente che in quella strada abitava la madre di Paolo Borsellino (circostanza che contrasta con quanto affermato dallo stesso Ayala, in merito al fatto che, prima della strage, non era al corrente della circostanza appena menzionata). Dopo il riconoscimento dei resti di Paolo Borsellino e delle altre vittime, il militare si recava presso la Croma blindata, unitamente ad Ayala, che non perdeva mai di vista. Vi era qualche fiammata dal lato posteriore destro ed un vigile del fuoco la spegneva. Poi, Farinella e il vigile del fuoco aprivano la portiera posteriore destra della Croma, forzandola, poiché Ayala si accorgeva che dentro vi era la borsa di Paolo Borsellino.

Lo stesso Farinella, inoltre, prelevava direttamente la borsa dal sedile posteriore e, dopo un certo lasso di tempo in cui la teneva in mano, su indicazione di Ayala, la consegnava ad una persona -in abiti civili- conosciuta dal Parlamentare (anche questo ricordo del teste contrasta decisamente con quanto affermato da Ayala ed anche dal giornalista Cavallaro, in merito alla consegna della borsa ad un ufficiale in uniforme, neppure conosciuto). Il soggetto che riceveva la borsa non era Giovanni Arcangioli (la cui fotografia veniva mostrata al teste) ed era una persona (si ripete) conosciuta da Ayala. Quest’ultimo spiegava al consegnatario che si trattava della borsa del Magistrato (“Questa è la borsa che abbiamo preso della macchina del dottore Borsellino”) e veniva rassicurato dall’interlocutore, prima che questi s’allontanasse verso via dell’Autonomia Siciliana (“lo stesso ci rassicurò, dicendo che si sarebbe occupato della cosa, per cui gli consegnai la borsa”).

Uno stralcio della deposizione:

  • P.M. Dott. GOZZO – Sì, buonasera, appuntato, buongiorno. Le volevo fare in primo luogo la domanda specifica, diciamo, orientiamoci nel tempo e nello spazio: lei dove prestava servizio il 19 luglio del 1992?
  • TESTE FARINELLA R. – Ero in servizio al Nucleo Radiomobile di Palermo, però in servizio provvisorio presso le scorte di Palermo. (…) Scortavo il dottor Ayala.
  • P.M. Dott. GOZZO – Seguiva, quindi, il dottor Ayala. Si ricorda se in particolare proprio il giorno 19 luglio del 1992 lei era in servizio di scorta al dottor Ayala?
  • TESTE FARINELLA R. – Sì, come caposcorta.
  • P.M. Dott. GOZZO – Come caposcorta. Nella fattispecie, nel momento in cui… lei dove si trovava nel momento della strage, diciamo al momento dello scoppio?
  • TESTE FARINELLA R. – Circa cinquanta metri, cento metri in linea d’aria, eravamo all’hotel Marbella, se ricordo male. (…) Perché la personalità abitava lì.
  • P.M. Dott. GOZZO – La personalità abitava là. Quindi stavate aspettando la personalità, doveva scendere?
  • TESTE FARINELLA R. – Sì.
  • P.M. Dott. GOZZO – Cosa avete fatto subito dopo lo scoppio?
  • TESTE FARINELLA R. – Subito l’abbiamo avvisato e abbiamo capito che veniva il fumo di là. Lui diceva che là ci abitava la… la mamma e siamo andati subito lì.
  • P.M. Dott. GOZZO – La mamma di chi?
  • TESTE FARINELLA R. – Del Giudice Borsellino.
  • P.M. Dott. GOZZO – Dunque il dottor Ayala sapeva di questo fatto.
  • TESTE FARINELLA R. – Sì.
  • P.M. Dott. GOZZO – Una cosa le volevo chiedere: se ci può descrivere, se può descrivere alla Corte, che potrebbe anche non saperlo, quanto dista l’hotel Marbella da via D’Amelio.
  • TESTE FARINELLA R. – In linea d’aria nemmeno cento metri, perché deve passare la ferrovia, il palazzo e quello.
  • P.M. Dott. GOZZO – Quindi nel momento in cui il dottore Ayala ha ricostruito che poteva essere il dottore Borsellino la vittima dell’attentato, perché diceva…
  • TESTE FARINELLA R. – No, no, no.
  • P.M. Dott. GOZZO – Cioè che, insomma, proveniva comunque dai pressi…
  • TESTE FARINELLA R. – Proveniva di là.
  • P.M. Dott. GOZZO – Cosa avete fatto?
  • TESTE FARINELLA R. – Mica avevamo la sfera magica.
  • P.M. Dott. GOZZO – Cosa avete fatto?
  • TESTE FARINELLA R. – Niente, ci siamo portati su quella parte e poi siamo entrati; non potevamo entrare, perché siamo entrati i primi di tutti quasi là, perché eravamo vicino. Siamo arrivati contemporaneamente ai Vigili del Fuoco, quindi nemmeno potevamo entrare con le fiamme che c’erano.
  • P.M. Dott. GOZZO – Può quantificare all’incirca quanto tempo era passato dall’esplosione che lei ha sentito da lontano?
  • TESTE FARINELLA R. – Non lo saprei dire. (…) Poco tempo.
  • P.M. Dott. GOZZO – …cronologicamente quando siete arrivati, siete arrivati contemporaneamente ai Vigili del Fuoco.
  • TESTE FARINELLA R. – Sì, sì.
  • P.M. Dott. GOZZO – Chi c’era lì di altre Forze di Polizia lo ricorda?
  • TESTE FARINELLA R. – No.
  • P.M. Dott. GOZZO – Quando siete arrivati voi.
  • TESTE FARINELLA R. – No, perché noi siamo arrivati, io mi… stavo dietro; c’era tanta gente, quindi ho dato ordine al mio carabiniere di lasciare la macchina, chiudere la macchina e stare con me, insieme con la personalità, cosa che è fuori dalla regola, visto la gravità della situazione.
  • P.M. Dott. GOZZO – Certo. Senta, che cosa avete fatto una volta arrivati in via D’Amelio? Quindi arrivate insieme ai Vigili del Fuoco. Cosa fate con il dottor Ayala?
  • TESTE FARINELLA R. – Andiamo dove è successo il cratere, camminando vedevamo dei corpi dei colleghi della scorta.
  • P.M. Dott. GOZZO – Sì. E in particolare vi siete diretti ad un posto specifico?
  • TESTE FARINELLA R. – Sì, siamo entrati dentro, abbiamo visto…
  • P.M. Dott. GOZZO – Dentro il cortiletto, stiamo parlando…
  • TESTE FARINELLA R. – Sì, sì.
  • P.M. Dott. GOZZO – …dei numeri 19 e 21 di via D’Amelio.
  • TESTE FARINELLA R. – Ma… sì, sì. Poi abbiamo visto il dottore che era lì per terra, l’abbiamo conosciuto tramite i baffi.
  • P.M. Dott. GOZZO – Parliamo del dottore Borsellino, evidentemente.
  • TESTE FARINELLA R. – Sì, perché era senza gambe e senza arti.
  • P.M. Dott. GOZZO – Il dottor Ayala l’ha riconosciuto da questo.
  • TESTE FARINELLA R. – Sì, sì.
  • P.M. Dott. GOZZO – Dopo avere visto queste scene terribili, dove siete andati? Se lo ricorda.
  • TESTE FARINELLA R. – Ma abbiamo visto un po’ sia la collega, la poliziotta, era sul marciapiede, vicino la macchina, e altri colleghi.
  • P.M. Dott. GOZZO – Quindi, diciamo, avete fatto un giro dei luoghi per riuscire a verificare qual era lo stato.
  • TESTE FARINELLA R. – Sì.
  • P.M. Dott. GOZZO – E ricorda se vi siete avvicinati all’autovettura (…) che doveva essere del magistrato?
  • TESTE FARINELLA R. – No, dopo. (…) Al momento pensavamo soltanto alle persone (…) Alle vittime.
  • P.M. Dott. GOZZO – Quindi, diciamo, c’è stato un periodo in cui avete
  • pensato a verificare dov’erano i corpi, essenzialmente.
  • TESTE FARINELLA R. – Sì, vedere tutti i colleghi che, cioè, conoscevamo e uscivamo insieme.
  • P.M. Dott. GOZZO – Dopo avere fatto questa cosa tremenda, diciamo, siete andati poi sulla macchina, vicino alla macchina?
  • TESTE FARINELLA R. – Poi, appena siamo usciti, le due macchine erano posizionate al centro della strada e guardando le macchine il dottor Ayala ha notato che c’era la borsa dentro il sedile posteriore.
  • P.M. Dott. GOZZO – Ci può descrivere la macchina com’era? Prima di tutto se vi erano delle fiamme, se non vi erano delle fiamme, se era chiusa, se era aperta.
  • TESTE FARINELLA R. – Ma no, la macchina era chiusa, chiusa ma non forse a chiave, era chiusa e c’era un po’ di… di fiamma nel lato destro, la ruota, non mi ricordo bene. Abbiamo chiamato i Vigili del Fuoco e abbiamo fatto spegnere.
  • P.M. Dott. GOZZO – Dico, il vigile del fuoco in particolare cosa ha fatto?
  • TESTE FARINELLA R. – Abbiamo… ha spento la… quell’incendio che c’era all’esterno e poi abbiamo… ha forzato la macchina per aprire lo sportello posteriore.
  • P.M. Dott. GOZZO – Quindi per aprire la porta, l’ha fatto da solo o lei lo ha aiutato?
  • TESTE FARINELLA R. – Non ricordo se l’ho aiutato io o l’abbiamo fatto insieme o l’ha fatto solo lui, non… è impossibile ricordare queste cose.
  • P.M. Dott. GOZZO – E allora, per aiuto del suo ricordo, il 2 marzo del 2006 lei ha detto, a pagina 1: “Con l’aiuto dello stesso vigile del fuoco abbiamo aperto la portiera posteriore”.
  • TESTE FARINELLA R. – Sì, dico… può essere, sì.
  • P.M. Dott. GOZZO – Si ricorda dove il dottor Ayala aveva visto la borsa? Va beh, l’ha vista anche lei, immagino, facendo…
  • TESTE FARINELLA R. – Sì, passando da là, vicino le macchine.
  • P.M. Dott. GOZZO – Dov’era la borsa del dottore Borsellino?
  • TESTE FARINELLA R. – Nel sedile posteriore.
  • P.M. Dott. GOZZO – Nel sedile posteriore. Dove ci si siede, diciamo così, o sotto, diciamo, dove si poggiano i piedi?
  • TESTE FARINELLA R. – No, no, dove… nel seggiolino.
  • P.M. Dott. GOZZO – Nel seggiolino.
  • TESTE FARINELLA R. – Altrimenti, se era sotto, come facevamo a vederlo?
  • P.M. Dott. GOZZO – Senta, l’operazione di aprire la porta è stata difficile, facile? Da che cosa dipendeva?
  • TESTE FARINELLA R. – Sì, era un po’ incastrata dall’onda d’urto, naturalmente.
  • P.M. Dott. GOZZO – Dal calore anche?
  • TESTE FARINELLA R. – Non sono un esperto per questo.
  • P.M. Dott. GOZZO – Senta, l’ha prelevata lei la borsa poi dall’autovettura?
  • TESTE FARINELLA R. – Sì.
  • P.M. Dott. GOZZO – Ma l’ha fatto autonomamente o su disposizione del dottor Ayala?
  • TESTE FARINELLA R. – Io l’ho presa la borsa, se ricordo… se non ricordo male, l’ho presa io, perché aprendo la porta ho preso la borsa e volevo darla a lui; lui non l’ha voluta prendere perché non era più magistrato, quindi mi ha detto di tenerla io, e l’ho tenuta io.
  • P.M. Dott. GOZZO – Tenerla in attesa di qualcosa o tenerla definitivamente?
  • TESTE FARINELLA R. – No, tenerla in… che lui individuasse qualche persona da dare la borsa e dire la borsa di chi era.
  • P.M. Dott. GOZZO – Sì. E a chi dovevate… cioè aveva già individuato a chi dovevate consegnarla? No nel senso della persona, dico, dovevate consegnarla alle Forze dell’Ordine?
  • TESTE FARINELLA R. – Mah, di questo non me ne ha parlato e non abbiamo parlato, mi ha detto, dice, di tenerla, che… di consegnarla a qualche persona, o qualche ufficiale o qualche ispettore di Polizia e di darla, a qualche persona.
  • P.M. Dott. GOZZO – Quindi a qualcuno delle Forze dell’Ordine.
  • TESTE FARINELLA R. – Certo. Che noi non avevamo il potere, cioè la cosa per tenerla, non è che la possiamo tenere una borsa.
  • P.M. Dott. GOZZO – Una volta che il dottor Ayala ha individuato questa persona… l’ha individuata questa persona? Domanda preliminare che non ho fatto. Dico, ha individuato questa persona appartenente alle Forze dell’Ordine a cui darla?
  • TESTE FARINELLA R. – Sì, lui ha individuato una persona, che mi… mi disse, dice: “Appuntato, dia la borsa”, mi avrebbe detto il nome, ma non ricordo, e io ho consegnato la borsa alla persona che mi ha detto il dottor Ayala. Io non conoscevo.
  • P.M. Dott. GOZZO – Senta, il dottor Ayala le disse che si trattava di una persona delle Forze dell’Ordine o le disse semplicemente di darla a questa persona?
  • TESTE FARINELLA R. – Mi ha detto allora che era o un ufficiale o un ispettore, non ricordo. Mi ha detto che era un funzionario, appartenente o alla Polizia o ai Carabinieri, non ricordo.
  • P.M. Dott. GOZZO – Si trattava di una persona, che lei rico… prima di tutto se ricorda come era fatta, diciamo, questa persona e poi com’era vestita anche.
  • TESTE FARINELLA R. – Come era vestita non… non ricordo.
  • P.M. Dott. GOZZO – No, non intendo dire se aveva un vestito rosso o verde.
  • TESTE FARINELLA R. – Ah.
  • P.M. Dott. GOZZO – No, non le sto chiedendo questo. (…) Le sto chiedendo, visto che le è stato
  • presentato come un ufficiale, se era vestito, diciamo così, d’ordinanza o se invece era in abiti civili.
  • TESTE FARINELLA R. – Adesso ho capito. No, in abiti civili. (…) Se era in divisa, era facile capirlo.
  • P.M. Dott. GOZZO – Certo. Che lei sappia, il dottor Ayala lo conosceva o si è qualificato lui come persona appartenente alle Forze di Polizia?
  • TESTE FARINELLA R. – No, penso che lo conosceva.
  • P.M. Dott. GOZZO – Pensa che lo conoscesse.
  • TESTE FARINELLA R. – Perché mi ha detto: “Dagliela a lui”, che è una persona che conosceva lui, perché… Gli ho detto: “Devo darla a lui?” “Sì – dice – è una persona che conosco io”. “Ecco qua la borsa”.
  • P.M. Dott. GOZZO – Nel consegnare la borsa, il dottor Ayala spiegò di che cosa si trattava all’ufficiale?
  • TESTE FARINELLA R. – Certo, ha detto, dice: “Questa è la borsa che abbiamo preso della macchina del dottore Borsellino”.
  • P.M. Dott. GOZZO – Quindi che era la borsa di Borsellino, essenzialmente.
  • TESTE FARINELLA R. – Certo, quella era.
  • P.M. Dott. GOZZO – Si ricorda se vi disse qualche cosa, a questo punto, questo ufficiale che lei non conosceva?
  • TESTE FARINELLA R. – No, perché non… io ho consegnato, loro si sono parlati e basta. Non è che… io non conoscevo, quindi ho stato in fiducia del dottor Ayala e basta.
  • P.M. Dott. GOZZO – Sempre per aiuto alla sua memoria, le ricordo che il 2 marzo del 2006 lei ha detto, a pagina 2: “Lo stesso ci rassicurò, dicendo che si sarebbe occupato della cosa, per cui gli consegnai la borsa”.
  • TESTE FARINELLA R. – Certamente, una volta che la… prende la borsa, è normale che…
  • P.M. Dott. GOZZO – Quindi lo conferma questo, che vi disse: “Non vi preoccupate, ci penso io”.
  • TESTE FARINELLA R. – E certo.
  • P.M. Dott. GOZZO – E voi vi siete disinteressati di questa vicenda.
  • TESTE FARINELLA R. – Certamente, eh, certo.
  • P.M. Dott. GOZZO – Avete aperto la borsa mentre l’avevate nella vostra disponibilità? Sto parlando di lei e del dottor Ayala, chiaramente.
  • TESTE FARINELLA R. – Assolutamente no, perché l’avevo io soltanto.
  • P.M. Dott. GOZZO – Quando il dottor Ayala ha avuto la borsa, ricorda se si sono avvicinate… quando lei aveva la borsa, diciamo, si sono avvicinate delle persone, degli amici del dottor Ayala che lo hanno salutato?
  • TESTE FARINELLA R. – No, no, ma…
  • P.M. Dott. GOZZO – Le faccio una domanda specifica: ricorda se si è avvicinato il giornalista Cavallaro? Con cui oltretutto la personalità stava scrivendo in qualche modo un libro e quindi lei avrà avuto modo di vedere altre volte.
  • TESTE FARINELLA R. – No.
  • P.M. Dott. GOZZO – Non ricorda il dottore Cavallaro nel…
  • TESTE FARINELLA R. – Assolutamente. Ma lì c’erano una calca di persone, quindi parlava con tante persone, non è che parlava solo con una persona in una parte da soli, allora vedevo con chi parlava. Si parlava con tante persone che… in divisa, colleghi, quindi non è che era… Deve pensare che eravamo avvolti da… da una folla di persone.
  • P.M. Dott. GOZZO – Senta, lei ricorda se vi erano dei magistrati sul luogo del…? Degli altri magistrati, perché il dottore era in quiescenza, ma era ancora magistrato. C’erano degli altri magistrati in servizio che lei conosceva lì sui luoghi?
  • TESTE FARINELLA R. – No, no.
  • P.M. Dott. GOZZO – Il dottore Lo Forte, nella fattispecie.
  • TESTE FARINELLA R. – No, no, no.
  • P.M. Dott. GOZZO – Non lo ricorda. Quanto tempo siete rimasti sui luoghi? Se ricorda.
  • TESTE FARINELLA R. – Un’ora, non ricordo con… circa un’oretta o di più o di meno, non… non saprei dire, perché non è che stavamo lì a guardare l’orologio in quei momenti, una cosa…
  • P.M. Dott. GOZZO – Lei aveva detto nel 2006: “Almeno un paio d’ore”. (…) Ecco, le volevo fare una domanda: prima di tutto se lo conferma questo, almeno un paio d’ore, che aveva detto allora.
  • TESTE FARINELLA R. – Dico (…) non saprei quantificare. Se allora ho detto così, io adesso non riesco a quantificarlo.
  • P.M. Dott. GOZZO – Certo.
  • TESTE FARINELLA R. – Dopo ventun anni come facciamo?
  • P.M. Dott. GOZZO – Dico, ma ricorda se vi siete allontanati per recarvi da qualche altra parte?
  • TESTE FARINELLA R. – Poi siamo andati… ce ne siamo andati di lì e siamo andati a Mondello.
  • P.M. Dott. GOZZO – Volevo riuscire a capire. Quindi è stato successivo questo fatto, dico, non è stata una parentesi, cioè prima siete stati in via D’Amelio, siete andati là e poi siete tornati?
  • TESTE FARINELLA R. – No, no, siamo andati via e non siamo più ritornati.
  • P.M. Dott. GOZZO – Una volta che l’ufficiale ebbe la borsa, lei ricorda cosa fece l’ufficiale? Al di là di quello che ha detto. Che cosa fece? Dove si recò?
  • TESTE FARINELLA R. – Ha preso la borsa ed è andato verso l’uscita.
  • P.M. Dott. GOZZO – Aprì la borsa?
  • TESTE FARINELLA R. – No.
  • P.M. Dott. GOZZO – Non lei, l’ufficiale.
  • TESTE FARINELLA R. – No, assolutamente.
  • P.M. Dott. GOZZO – E’ un’altra domanda rispetto a quella che ho fatto prima.
  • TESTE FARINELLA R. – No, no, no, assolutamente. Davanti a noi ha preso la borsa, si è parlato con il dottor Ayala, ha girato, ha salutato e se n’è andato verso l’uscita.
  • P.M. Dott. GOZZO – Quindi verso via D’Amelio, verso l’uscita di via D’Amelio, diciamo.
  • TESTE FARINELLA R. – Sì, sì.
  • P.M. Dott. GOZZO – Verso via Autonomia Siciliana.
  • TESTE FARINELLA R. – Sì, verso via Autonomia Siciliana.
  • P.M. Dott. GOZZO – Io le volevo mostrare, a questo punto… Presidente, sono le stesse foto che ho mostrato, quelle allegate (…) Quelle esibite già ieri, sì. (…) allora, le volevo fare le domande specifiche: se riconosce qualcuno nelle prime due foto che… quindi nella prima pagina che le viene mostrata, la pagina 3 di questa relazione.
  • TESTE FARINELLA R. – Il dottor Ayala.
  • P.M. Dott. GOZZO – Sì. E l’altra persona, invece, quella vestita con…
  • TESTE FARINELLA R. – Arcangioli.
  • P.M. Dott. GOZZO – Eh.
  • TESTE FARINELLA R. – No, no, non la ricono… non la ricordo, perché non… completamente.
  • P.M. Dott. GOZZO – (…) E io questo le volevo chiedere, non gliel’ho chiesto immediatamente. Un’altra cosa le volevo chiedere: quella persona a cui avete consegnato la borsa, se lo ricorda, ricorda, prendendo a base la sua altezza, se fosse della sua altezza, altezza superiore, altezza inferiore?
  • TESTE FARINELLA R. – Guardi, in quel momento io ho avuto solo ed esclusivamente fiducia del dottor Ayala; mi sono disinteressato della persona, chi poteva essere e chi non poteva essere, quindi non ho fatto tanta attenzione alla persona in cui io ho consegnato la borsa, perché il
  • dottor Ayala ha garantito lui, dice: “Dagliela a lui, è una persona che conosco io”, basta, per me… non dovevo… cioè la mia idea, la mia mente non doveva stare… avevo tante cose in testa all’infuori di quella persona. (…) Ha garantito lui, me l’ha detto lui, per me…
  • P.M. Dott. GOZZO – Per lei va bene. Senta, un’altra cosa le volevo chiedere: lei ricorda se, diciamo, quando avete aperto l’autovettura vi erano delle fiamme all’interno?
  • TESTE FARINELLA R. – No.
  • P.M. Dott. GOZZO – Quindi non è stato necessario utilizzare l’idrante per…
  • TESTE FARINELLA R. – Era… no.
  • P.M. Dott. GOZZO – Per la macchina, per l’interno della macchina intendo.
  • TESTE FARINELLA R. – No, all’interno non c’era…
  • P.M. Dott. GOZZO – No, glielo chiedo relativamente allo stato della borsa. Lei ricorda in che stato era la borsa? Perché lei l’ha tenuta per un po’ di tempo, ha detto.
  • TESTE FARINELLA R. – Perfetto.
  • P.M. Dott. GOZZO – Quindi era assolutamente intonsa, diciamo così, non era…
  • TESTE FARINELLA R. – Integra, ma si vede come… si evince anche nelle foto, quindi… La borsa…
  • P.M. Dott. GOZZO – E no, adesso le mostro le foto, perché, diciamo, lo stato della borsa è un po’ diverso poi, successivamente. Ecco, volevo sapere prima di tutto se riconosce il tipo di borsa. Presidente, chiederei di mostrare questo, è un album fotografico che era allegato al verbale di s.i.t. di una persona che dovremmo sentire oggi, cioè Maggi. (…) E’ la fotografia della borsa del dottore Borsellino. (…) Dico, io le specifico che dalle fotografie si evince che la borsa è da un lato, diciamo, abbastanza direi carbonizzata, mentre dall’altro lato è perfetta. Dico, quando lei l’ha presa era in queste condizioni o era in condizioni perfette, come ha detto lei?
  • TESTE FARINELLA R. – No, la borsa era integra.
  • AVV. REPICI – Quando, quindi, fermate la macchina, il dottor Ayala vi spiega che cosa ci fosse lì nei pressi, nella zona dell’esplosione, in via D’Amelio? Se ci abitasse qualcuno.
  • TESTE FARINELLA R. – Quando siamo entrati, dice: “Ma qua c’è… – dice – abita la mamma del dottor Borsellino”.
  • AVV. REPICI – Ah, quindi ve lo dice lui.
  • TESTE FARINELLA R. – Sì.
  • TESTE FARINELLA R. – Io ricordo che passando di là, il dottor Ayala ha detto: “C’è la borsa all’interno”. Poi se hanno detto gli altri o gli altri hanno visto, non lo so, non l’ho sentito io.
  • AVV. REPICI – A lei l’ha detto il dottor Ayala?
  • TESTE FARINELLA R. – Sì, certo.
  • AVV. REPICI – Può riferire le modalità pratiche con cui fu forzata la portiera?
  • TESTE FARINELLA R. – Avvocato, come faccio a saperlo adesso? Se è stata forzata, c’era un vigile del fuoco. (…) Aveva… non so, in quel momento aveva un attrezzo e l’ho aiutato pure io ad aprire la portiera, non…
  • AVV. REPICI – Non ha ricordo.
  • TESTE FARINELLA R. – E’ impossibile, cioè è impossibile ricordare quegli attimi di…
  • AVV. REPICI – Lo capisco.
  • TESTE FARINELLA R. – Queste piccolezze che… visto la gravità
  • della situazione andavo…
  • AVV. REPICI – Lo capisco, appuntato, lo capisco, cerchiamo di riuscire a recuperare ogni dettaglio. Mentre lei fa questa operazione, cioè cerca di aprire la porta, poi si avvale dell’aiuto del vigile del fuoco e poi, infine, una volta aperta la portiera, estrae dalla macchina la borsa, il dottor Ayala è rimasto lì al suo fianco?
  • TESTE FARINELLA R. – Certamente. Mica posso lasciare la personalità. Il mio compito era la personalità, non la borsa.
  • AVV. REPICI – E’ chiaro. In quel frangente lei sentì il dottor Ayala o chiunque altro parlare di un’agenda del dottor Borsellino?
  • TESTE FARINELLA R. – Assolutamente no, nessuno ha parlato di questo finché avevo la borsa io, o successivamente non abbiamo mai parlato, che non c’è stato nessun motivo
 

 


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