◽️Noi dobbiamo vestire il pupo così come è, dobbiamo chiudere al più presto e andarcene”.
E’ un fiume in piena, l’avvocato Gioacchino Genchi, ex vicequestore aggiunto della Questura di Palermo, nella lunga deposizione al processo d’appello sul depistaggio sulle indagini sulla strage di via D’Amelio che vede alla sbarra tre poliziotti: Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, accusati di calunnia in concorso aggravata dall’avere agevolato Cosa nostra.
Secondo l’accusa i poliziotti, guidati da La Barbera, avrebbero imbeccato il falso pentito Vincenzo Scarantino, che poi ha fatto condannare all’ergastolo degli innocenti.
In primo grado per Bo e Mattei è subentrata la prescrizione mentre Ribaudo è stato assolto dall’accusa.
Genchi, in oltre sei ore di deposizione, ha risposto a tutte le domande di accusa e difesa, ripercorrendo il periodo che va dal 1988 al 1993, quando collaborò con l’allora dirigente Arnaldo La Barbera, deceduto nel 2002. Gioacchino Genchi, rispondendo alle domande del pm Maurizio Bonaccorso, applicato alla Procura generale, e al sostituto Pg Antonino Patti, ribadisce più volte che
◽️Arnaldo La Barbera “era portatore di direttive precise. Non faceva nulla, se non sotto il controllo del Capo della Polizia Parisi e del Prefetto Luigi Rossi.
◽️La Barbera ha eseguito direttive e non ha mai agito autonomamente”. Ma più volte sottolinea che la traiettoria di La Barbera, a un certo punto, avrebbe preso una piega diversa.
◽️”Arnaldo La Barbera aveva preso una deriva e non stava lavorando per i miei fini che erano i fini istituzionali. Io non accettavo minimamente di trasgredire a quelli che erano i miei doveri istituzionali”, sottolinea l’avvocato ed ex poliziotto Gioacchino.
◽️”La Barbera era stato istruito dall’allora Procuratore di Caltanissetta Tinebra sui contenuti della sentenza del maxi processo che portava in modo automatico ad attribuire a Cosa nostra qualsiasi evento fosse avvenuto a Palermo, quindi La Barbera eseguiva direttive, sempre.
◽️Tutto ciò che c’è nelle dichiarazioni di Mutolo, che portava a un ruolo equivoco di Contrada e altri appartenenti allo Stato, doveva essere sottaciuto perché si doveva chiudere così per poi avere la promozione e andare via da Palermo. Perché si doveva confezionare il pacco.
◽️Contrada era stato mollato, era stato espulso dal sistema, che a quel punto si doveva ricompattare”. “Contrada, volendo, dopo l’arresto, avrebbe potuto palesare argomenti che potevano non essere graditi. C’era una forma di complicità o un tentativo di aiutarlo. C’era paura di Contrada e questo me lo disse La Barbera perché avrebbe potuto parlare anche di una serie di vicende come quella di Contorno”.
◽️Sulle stragi GENCHI si dice convinto che “non si volevano individuare i veri responsabili delle stragi, su Capaci c’era il movente politico”.
◽️Genchi ricorda anche la vicenda del falso pentito Salvatore Candura, che fu creduto dai pm di Caltanissetta. “Io percepii subito che si trattava di un soggetto che presentava dei grossi problemi di ordine psichico. La seconda percezione fu che in tutte le risposte di Salvatore Candura dimostrava di essere istruito.
◽️Genchi oggi ha detto che nel 1992 ha assistito a Mantova all’interrogatorio tra il pm Carmelo Petralia e il falso pentito Candura. Ma per Genchi “erano evidenti le assurdità riferite” da Candura. Lo stesso ex pentito fu poi condannato per calunnia.
VIA D’AMELIO – DEPISTAGGIO DELLE INDAGINI – processo d’appello in corso
VIA D’AMELIO – DEPISTAGGIO DELLE INDAGINI – processo d’appello in corso