Speciale “PROCESSO DEPISTAGGIO”
La famiglia Borsellino: “Diritto alla verità”. Il 12 luglio Camera consiglio
(dall’inviata Elvira Terranova adnkronos ) – Non risparmia attacchi ai magistrati Antonino Di Matteo, oggi consigliere al Csm, e ad Annamaria Palma, oggi Avvocato generale di Palermo, che si occuparono per un periodo dell’indagine sulla strage di via D’Amelio. E neppure agli imputati, tre poliziotti, che “non hanno reso onore alla divisa”. Parla anche di “ignominia del depistaggio” sulla strage. E di “diritto alla verità, dopo 30 anni. Anche se ormai il danno è fatto ed è irreparabile”. In poco meno di un’ora l’avvocato Fabio Trizzino, legale dei figli di Paolo Borsellino, nonché marito di Lucia, la figlia maggiore del giudice ucciso il 19 luglio del 1992, lancia accuse precise nel corso delle repliche della penultima udienza del processo sul depistaggio sulla strage che vede alla sbarra tre poliziotti accusati di concorso in calunnia aggravata dall’avere favorito Cosa nostra. Secondo l’accusa, Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, che facevano parte del Gruppo Falcone e Borsellino, avrebbero indotto il falso pentito Vincenzo Scarantino, a dire il falso e ad accusare degli innocenti, che poi furono condannati all’ergastolo. Oggi quegli innocenti sono parte civile nel processo di Caltanissetta che è alle battute finali. Per Bo la Procura ha chiesto 11 anni e 10 mesi, per Ribaudo e Mattei 9 anni e mezzo ciascuno.
Quella di oggi è stata la penultima udienza del processo. La prossima udienza è stata fissata per il 12 luglio per le controrepliche dei difensori e poi i giudici si ritireranno in Camera di consiglio per emettere la sentenza. Potrebbe essere emessa già in serata oppure all’indomani.
“Se pensate che la vittima di questo depistaggio è Paolo Borsellino, insieme con i suoi angeli custodi, un uomo che ha fedelmente servito le istituzioni. Io non riesco a vedere una confine, una misura all’ignominia di tutta quest vicenda”, dice Trizzino. Poi sferra un attacco all’ex pm Antonino Di Matteo che “nel 2009 fece una dichiarazione sul collaboratore Gaspare Spatuzza senza averne alcuna competenza”. E spiega: “L’elemento incredibile è che in quell’anno Di Matteo da pm di Palermo non aveva alcuna competenza per entrare nei processi Borsellino uno e Borsellino bis, a meno che temesse qualcosa che potesse compromettere la sua carriera professionale…. Bisogna avere il coraggio di dirle queste cose”. “Si doveva occupare di dare il proprio parere su Spatuzza? – dice Trizzino- Cosa gli interessava del Borsellino uno e bis? Non è uno schizzo di fango al magistrato ma una analisi critica e non possiamo fare finta di niente. Solo perché uno fa il magistrato o il poliziotto non deve parlare? No. Non ci sto”.
‘Dell’agenda rossa non si doveva parlare fin dall’inizio’
Poi, l’avvocato della famiglia Borsellino punta la lente di ingrandimento sull’agenda rossa, scomparsa dalla borsa del giudice Borsellino. Secondo una sentenza non sarebbe stato un capitano dei Carabinieri ad allontanarsi con quella borsa contenente l’agenda. La borsa del magistrato fu poi ritrovata ma senza l’agenda. “Abbiamo una teste oculare, Lucia Borsellino, che ha detto quando il 19 luglio il padre lasciò la villa al mare a Villagrazia di Carini, la sua scrivania era pulita. E l’agenda non c’era. A ciò si aggiunga che è stato accertato che il giudice Borsellino aveva tre agende: una marrone, una grigia e una rossa, bene, le prime due sono state ritrovate mentre l’agenda rossa non si è mai trovata”. “Non si può superare il dato della testimonianza diretta di Lucia Borsellino. Una testimonianza molto qualificata, di quello che accadde la mattina del 19 luglio, compresa la telefonata del dottor Giammanco e la reazione del padre”, aggiunge.
Poi critica le difese. “Hanno detto nel corso della discussione che qui si processano i morti che non possono difendersi”. Come Arnaldo La Barbera, l’ex capo della Mobile, che guidava il gruppo investigativo con i tre polziotti oggi imputati. Nel frattempo La Barbera è morto. “Ah come avrei voluto chiedere al dottor Arnaldo La Barbera il motivo di quel comportamento nei confronti di Lucia Borsellino. Un atteggiamento irriguardoso nei confronti della figlia del giudice sull’agenda rossa, perché questa chiusura? Di questa agenda rossa da subito non si doveva parlare”. Le “indagini sulla scomparsa dell’agenda si fanno solo nel 2006 e tutti fanno finta di niente -dice ancora Trizzino- Il pm Di Matteo dice ‘Ce ne siamo occupati quando si è riaperto il procedimento su Bruno Contrada’ ma non è vero, Di Matteo ricorda male. La prima indagine la fa il pm Liguori e non ci vengano a raccontare altro”, aggiunge il legale della Famiglia Borsellino.
‘Storicamente è tutto abbastanza chiaro, ora tocca ai giudici’
‘Sapete perché mi accaloro tanto? Perché non voglio arrivare al processo Borsellino 28, perché Paolo Borsellino e tutti gli agenti della scorta hanno diritto di riposare in pace. E non mi interessa più a questo punto, perché questo lo dovete valutare come ragione di danno del depistaggio messo in atto dal Gruppo Falcone e Borsellino. Hanno bisogno di riposare”, dice poi Trizzino. “Storicamente ricostruiremo quello che è accaduto e la vostra sentenza sarà, spero, auspicabilmente, un momento di partenza. Non mi interessa un Borsellino 28, perché non ce la facciamo più, non ce la fanno più le parti civili: ma storicamente ormai è tutto abbastanza chiaro. Perché il danno fatto con questo depistaggio e con l’insipienza e l’incapacità professionale di quei magistrati non lo può elidere nessuno. Ma ora lasciamoli riposare in pace”. dice poi rivolgendosi al Tribunale. L’avvocato trizino ricorda poi la sentenza del processo Borsellino Ter.
“La corte d’assise del processo Borsellino Ter, quando parla del collaboratore Vincenzo Scarantino è tranciante e dice che “è da prendere e buttare”. Ora io mi chiedo: i pm a cui queste parole vengono rivolte sono i pm Annamaria Palma e Antonino Di Matteo, gli stessi pm del Borsellino bis. Anche qui c’è un cattivo ricordo da parte dei magistrati. Quando ci dicono ‘non credevamo a Scarantino’ si dimenticano di dire che hanno chiesto la condanna nei confronti di Vernengo, di La Mattina e di Scotto oltre che di Natale Gambino (condannati ingiustamente ndr) facendo quindi propria la collaborazione dei tre falsi collaboratori”. “Quando ho detto che hanno difeso pervicacemente il depistaggio mi sono limitato a dati di fatto assolutamente incontestabili”, dice ancora. E parla di “debole e claudicante costrutto accusatorio” dei pm Palma e Di Matteo. “Se la Corte di assise, specie dopo le testimonianze di Bo e Mattei avesse avuto a disposizione il brogliaccio sottratto ai giudici naturali, altro che trasmissione di verbali. A quel punto la corte di assise avrebbe indicato nominativamente i soggetti da mettere sotto indagine e da processare”, conclude.
“Ormai il danno fatto dalla incapacità professionale di quei magistrati non si può elidere. Ma ora lasciamo riposare Paolo Borsellino e gli agenti di scorta in pace. Dopo 30 anni quale verità andiamo ancora cercando, quando il redde rationem? Io non ho paura di niente e di nessuno, quando la verità in questo Paese è stata data a persone che a mio giudizio sono in conflitto di interessi”, prosegue il legale di Lucia, Fiammetta e Manfredi Borsellino.
E alla fine rivolgendosi ai giudici, dice: “Avete la possibilità, a mio giudizio, di scrivere una vicenda processuale. Questa è l’ultima occasione per Restituire dignità, alla polizia in primis. Perché, è lo dico con dolore, gli imputati non sono stati dei buoni poliziotti, hanno dimostrato la Loro Incapacità e pervicacia. Per questo non posso che concordare con la Procura e chiedere la condanna per tutti i capi di imputazione”. Prima di Trizzino ha parlato il pm Stefano Luciani. Anche lui è stato critico con le difese: “Non c’è stato alcun atteggiamento schizofrenico da parte del pm e nessun mutamento nella valutazione che questo ufficio di Procura ha sempre fatto sulle dichiarazioni dei falsi collaboratori Scarantino, Andriotta e Candura. Abbiamo sempre detto che quelle fonti da sole non erano utilizzabili e lo sforzo è stato quello di portare all’attenzione del Tribunale elementi di prova che servissero a puntellare elementi di prove”, dice.
“Lo sforzo che si è fatto è stato quello di dimostrarvi che le vicende che sono state portate alla vostra attenzione – dice al Tribunale presieduto da Francesco D’Arrigo -sono vicende che questi signori hanno portato sempre uguali nel tempo. Non so se è sufficiente. Ma non c’è nessun mutamento nella valutazione che il pm ha compiuto da sempre sui collaboratori di giustizia”. E aggiunge: “In questo processo c’è un materiale complesso da maneggiare. E materiale complessissimo il materiale del Borsellino Quater. Bisogna essere applicati su questo tema per anni”. Poi parla dell’archiviazione del procedimento a carico di Mario Bo, uno dei tre imputati del processo, insieme con altri due poliziotti. “Dal 2011 c’è stato un lavoro enorme fino al 2017, basta ricordare che c’è un giudice che ha riaperto le indagini. Altrimenti il gip non avrebbe mai consentito la riapertura delle indagini”. Nelle arringhe difensive i legali avevano criticato il pm Luciani che in passato aveva chiesto l’archiviazione della posizione di Bo, mentre adesso, per le stesse accuse, chiede la condanna a 11 anni e 10 mesi di carcere. “E’ una archiviazione tecnica – dice il pm Luciani- si chiude un processo sulla base di alcuni elementi, se una richiesta di archiviazione arriva nel 2015 e le indagini si fanno tra 2009 e 2011 quello che si scopre dopo è inutilizzabile”. E il pm legge le conclusioni dell’archiviazione: “Non c’è alcun atteggiamento schizofrenico da parte del pm”. “Nel corso delle arringhe della difesa ho sentito parlare più volte di ‘schizzi di fango’ gettati sui tre imputati e all’inizio non sono riuscito a comprendere chi fosse il soggetto che avrebbe gettato questi schizzi di fango, fino a quando, con molto rammarico, sono arrivato a una parte nella quale nel silenzio è stato detto che è stato il pm a infangare i poliziotti del Gruppo Falcone e Borsellino’, in relazione alla vicenda della videocassetta a Studio aperto (con l’intervista a Vincenzo Scarantino ndr). Ho compreso che sostenere una tesi significa infangare qualcuno”, aggiunge poi. “Se ho apprezzato l’elogio che è stato fatto del dottor Gianni Tinebra (ex Procuratore di Caltanissetta, moro ndr), su cui non ho nulla da dire, il magistrato che “ha fatto tremare tutta Italia”, come dice la difesa, io non posso consentire che attraverso le tesi sostenute delle difese si possa infangare un magistrato come Sergio Lari”, cioè l’ex Procuratore capo di Caltanissetta, oggi in quiescenza. “Perché sostenere che il Processo Borsellino quater sarebbe incorso in errori per la mancanza di elementi prodotti dal pm significa che o quegli elementi non li si è acquisiti volutamente o per indagini approssimative, non so cosa sia peggio”, conclude il pm Luciani. ADNKKRONOS
28.6.2022 Borsellino, processo depistaggio: il 12 luglio i giudici in camera di consiglio
Il 12 luglio i giudici del processo sul depistaggio sulla strage Borsellino si ritireranno in camera di consiglio per emettere la sentenza. Lo ha annunciato a fine udienza il presidente Francesco D’Arrigo. A inizio udienza, le difese dei tre poliziotti imputati (Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo) faranno le controrepliche e subito dopo i giudici si ritireranno in camera di consiglio. La sentenza sarà emessa tra il 12 luglio sera e il 13 luglio. La procura ha chiesto 11 anni e dieci mesi per Bo e nove anni e mezzo ciascuno per Ribaudo e Mattei.
Oggi, sono intervenuti il pubblico ministero Stefano Luciani e l’avvocato Fabio Trizzino, legale della famiglia Borsellino. “Ho sentito a più riprese dalle difese, nel corso delle discussioni – ha detto il magistrato – argomenti secondo cui sia in questo processo ma soprattutto nel Borsellino quater il pm avrebbe fatto un processo agli assenti senza curarsi di portare elementi a discapito di questo o di quello. Bene, il pm ha effettuato un corposo supplemento di istruttoria nell’ambito del Quater perché era doveroso. Non si è inventato le prove per fare un processo agli assenti. Francamente accetto ben poche lezioni nei confronti della procura che ha scoperto il depistaggio in relazioni alle indagini su via D’Amelio”.
Stefano Luciani ricorda che “la procura di Caltanissetta ha scoperto anche la calunnia di Angelo Fontana sull’attentato all’Addaura a Giovanni Falcone, così come il mendacio di Maurizio Avola sulla strage di via D’Amelio. E’ la storia della procura di Caltanissetta degli ultimi anni che parla – dice il magistrato – non le chiacchiere di chi ora sta parlando”.
L’avvocato Trizzino, il marito di Lucia, ha ricordato il contributo della moglie alla ricerca della verità: “Abbiamo una teste oculare, Lucia Borsellino, che ha detto quanto vide il 19 luglio, nel momento in cui il padre lasciò la villa al mare a Villagrazia di Carini: la sua scrivania era pulita. A ciò si aggiunga che è stato accertato che il giudice Borsellino aveva tre agende: una marrone, una grigia e una rossa, bene, le prime due sono state ritrovate mentre l’agenda rossa non si è mai trovata”.
“Sapete perché mi accaloro tanto? – prosegue il legale – Perché non voglio arrivare al processo Borsellino 28, perché Paolo Borsellino e tutti gli agenti della scorta hanno diritto di riposare in pace”.
L’intervento dell’avvocato di parte civile mira su alcuni ex magistrati di Caltanissetta: “La corte d’assise del processo Borsellino Ter, quando parla del collaboratore Vincenzo Scarantino è tranciante e dice che ‘è da prendere e buttare’. Ora io mi chiedo – dice Fabio Trizzino – : i pm a cui queste parole vengono rivolte sono i pm Annamaria Palma e Antonino Di Matteo, gli stessi pm del Borsellino bis. Anche qui c’è un cattivo ricordo da parte dei magistrati. Quando ci dicono ‘non credevamo a Scarantino’ si dimenticano di dire che hanno chiesto la condanna nei confronti di Vernengo, di La Mattina e di Scotto oltre che di Natale Gambino facendo quindi propria la collaborazione dei tre falsi collaboratori”.
“Quando ho detto che hanno difeso pervicacemente il depistaggio mi sono limitato a dati di fatto assolutamente incontestabili”, aggiunge il legale. E parla di “debole e claudicante costrutto accusatorio” dei pm. “Se la Corte di assise, specie dopo le testimonianze di Bo e Mattei avesse avuto a disposizione il brogliaccio sottratto ai giudici naturali, altro che trasmissione di verbali. A quel punto la corte di assise avrebbe indicato nominativamente i soggetti da mettere sotto indagine e da processare”, conclude.
“Il pm Antonino Di Matteo nel 2009 fece una dichiarazione sul collaboratore Spatuzza senza averne alcuna competenza – è un altro passaggio dell’intervento del legale riportato dall’AdnKronos – L’elemento incredibile è che in quell’anno Di Matteo da pm di Palermo non aveva alcuna competenza per entrare nei processi Borsellino uno e Borsellino bis, a meno che temesse qualcosa che potesse compromettere la sua carriera professionale. Bisogna avere il coraggio di dirle queste cose”.
“Si doveva occupare di dare il proprio parere su Spatuzza? – prosegue Trizzino- Cosa gli interessava del Borsellino uno e bis? Non è uno schizzo di fango al magistrato ma una analisi critica e non possiamo fare finta di niente. Solo perché uno fa il magistrato o il poliziotto non deve parlare? Non ci sto”.
‘PM DI MATTEO E PALMA HANNO DIFESO PERVICACEMENTE DEPISTAGGIO‘- “La corte d’assise del processo Borsellino Ter, quando parla del collaboratore Vincenzo Scarantino è tranciante e dice che “è da prendere e buttare”. Ora io mi chiedo: i pm a cui queste parole vengono rivolte sono i pm Annamaria Palma e Antonino Di Matteo, gli stessi pm del Borsellino bis. Anche qui c’è un cattivo ricordo da parte dei magistrati. Quando ci dicono “non credevamo a Scarantino” si dimenticano di dire che hanno chiesto la condanna nei confronti di Vernengo, di La Mattina e di Scotto oltre che di Natale Gambino (condannati ingiustamente ndr) facendo quindi propria la collaborazione dei tre falsi collaboratori”. E l’atto di accusa dell’avvocato Fabio Trizzino, legale della famiglia di Paolo Borsellino, nonché il marito di Lucia Borsellino, figlia maggiore del giudice, nel corso delle repliche al processo sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio, in corso a Caltanissetta. “Quando ho detto che hanno difeso pervicacemente il depistaggio mi sono limitato a dati di fatto assolutamente incontestabili”, dice ancora. E parla di “debole e claudicante costrutto accusatorio” dei pm Palma e Di Matteo. “Se la Corte di assise, specie dopo le testimonianze di Bo e Mattei avesse avuto a disposizione il brogliaccio sottratto ai giudici naturali, altro che trasmissione di verbali. A quel punto la corte di assise avrebbe indicato nominativamente i soggetti da mettere sotto indagine e da processare”, conclude. Alla Sbarra ci sono tre poliziotti: Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. Accusati di concorso in calunnia aggravata dall’avere favorito Cosa nostra. Secondo l’accusa i poliziotti avrebbe indotto, con le minacce, il falso pentito Scarantino a mentire sulla strage di via D’Amelio.
‘PERCHE’ DI MATTEO PARLO’ DI SPATUZZA? TEMEVA PER SUA CARRIERA?‘ “Il pm Antonino Di Matteo nel 2009 fece una dichiarazione sul Collaboratore Spatuzza senza averne alcuna competenza. L’elemento incredibile è che in quell’anno Di Matteo da pm di Palermo non aveva alcuna competenza per entrare nei processi Borsellino uno e Borsellino bis, a meno che temesse qualcosa che potesse compromettere la sua carriera professionale. Bisogna avere il coraggio di dirle queste cose”. E l’atto di accusa dell’avvocato Fabio Trizzino che prosegue la sua replica al processo sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio. In quella occasione Di Matteo si era opposto alla richiesta di protezione nei confronti dell’allora neo collaboratore Gaspare Spatuzza che aveva totalmente smentito il falso pentito Vincenzo Scarantino. “Si doveva occupare di dare il proprio parere su Spatuzza? – dice Trizzino- Cosa gli interessava del Borsellino uno e bis? Non è uno schizzo di fango al magistrato ma una analisi critica e non possiamo fare finta di niente. Solo perché uno fa il magistrato o il poliziotto non deve parlare? Non ci sto”.
‘DELL’AGENDA ROSSA NON SI DOVEVA PARLARE FIN DA SUBITO’ “Le difese hanno detto che qui si processano i morti che non possono difendersi. Ah come avrei voluto chiedere al dottor Arnaldo La Barbera (ex capo Mobile Palermo, morto ndr) il motivo di quel Contegno, il perché quest’atteggiamento irriguardoso nei confronti dell’agenda rossa perché questa chiusura? Di questa agenda rossa da subito non si doveva parlare”. Sono le parole dell’avvocato Fabio Trizzino, legale della Famiglia Borsellino nelle repliche alle difese nel corso del processo sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio. Le “indagini sulla scomparsa dell’agenda si fanno solo nel 2006 e tutti fanno finta di niente -dice ancora Trizzino, che è anche il marito di Lucia Borsellino, figlia maggiore del giudice- il pm Di Matteo dice ‘Ce ne siano occupati quando si è riaperto il procedimento su contrada’ ma non è vero, Di Matteo ricorda male. La prima indagine la fa il pm Liguori e non ci vengano a raccontare altro”, aggiunge il legale della Famiglia Borsellino.
‘NON C’E’ MISURA ALL’IGNOMINIA DEL DEPISTAGGIO SULLA STRAGE’ “Se pensate che la vittima di questo depistaggio è Paolo Borsellino con i suoi angeli custodi, un uomo Che ha fedelmente servito le istituzioni. Io non riesco a vedere una confine, una misura all’ignominia di tutta quest vicenda”. Sono le parole dell’avvocato Fabio Trizzino, Legale della famigli Borsellino nelle repliche del processo sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio.
‘PM DI MATTEO E PALMA HANNO DIFESO PERVICACEMENTE DEPISTAGGIO’ “La corte d’assise del processo Borsellino Ter, quando parla del collaboratore Vincenzo Scarantino è tranciante e dice che “è da prendere e buttare”. Ora io mi chiedo: i pm a cui queste parole vengono rivolte sono i pm Annamaria Palma e Antonino Di Matteo, gli stessi pm del Borsellino bis. Anche qui c’è un cattivo ricordo da parte dei magistrati. Quando ci dicono “non credevamo a Scarantino” si dimenticano di dire che hanno chiesto la condanna nei confronti di Vernengo, di La Mattina e di Scotto oltre che di Natale Gambino (condannati ingiustamente ndr) facendo quindi propria la collaborazione dei tre falsi collaboratori”. E l’atto di accusa dell’avvocato Fabio Trizzino, legale della famiglia di Paolo Borsellino, nonché il marito di Lucia Borsellino, figlia maggiore del giudice, nel corso delle repliche al processo sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio, in corso a Caltanissetta. “Quando ho detto che hanno difeso pervicacemente il depistaggio mi sono limitato a dati di fatto assolutamente incontestabili”, dice ancora. E parla di “debole e claudicante costrutto accusatorio” dei pm Palma e Di Matteo. “Se la Corte di assise, specie dopo le testimonianze di Bo e Mattei avesse avuto a disposizione il brogliaccio sottratto ai giudici naturali, altro che trasmissione di verbali. A quel punto la corte di assise avrebbe indicato nominativamente i soggetti da mettere sotto indagine e da processare”, conclude. Alla Sbarra ci sono tre poliziotti: Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. Accusati di concorso in calunnia aggravata dall’avere favorito Cosa nostra. Secondo l’accusa i poliziotti avrebbe indotto, con le minacce, il falso pentito Scarantino a mentire sulla strage di via D’Amelio.
‘FIGLIA LUCIA TESTIMONE OCULARE SU AGENDA ROSSA SPARITA’ “Abbiamo una teste oculare, Lucia Borsellino, che ha detto quando il 19 luglio il padre lasciò la villa al mare a Villagrazia di Carini, la sua scrivania era pulita. A ciò si aggiunga che è stato accertato che il giudice Borsellino aveva tre agende: una marrone, una grigia e una rossa, bene, le prime due sono state ritrovate mentre l’agenda rossa non si è mai trovata”. Lo ha detto l’avvocato Fabio Trizzino, legale di parte civile dei tre figli della famiglia di Paolo Borsellino, nelle repliche del processo sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio. “Non si può superare il dato della testimonianza diretta di Lucia Borsellino. Una testimonianza molto qualificata, di quello che accadde la mattina del 19 luglio, compresa la telefonata del dottor Giammanco e la reazione del padre”, aggiunge.
‘HA DIRITTO DI RIPOSARE IN PACE, SENTENZA MOMENTO PARTENZA‘ ”Sapete perché mi accaloro tanto? Perché non voglio arrivare al processo Borsellino 28, perché Paolo Borsellino e tutti gli agenti della scorta hanno diritto di riposare in pace. E non mi interessa più a questo punto, perché questo lo dovete valutare come ragione di danno del depistaggio messo in atto dal Gruppo Falcone e Borsellino. Hanno bisogno di riposare”. Lo ha detto l’avvocato Fabio Trizzino, legale della famiglia Borsellino nonché marito di Lucia Borsellino proseguendo le repliche nel processo sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio. “Storicamente ricostruiremo quello che è accaduto e la vostra sentenza sarà, spero, auspicabilmente, un momento di partenza. Non mi interessa un Borsellino 28, perché non ce la facciamo più, non ce la fanno più le parti civili: ma storicamente ormai è tutto abbastanza chiaro. Perché il danno fatto con questo depistaggio e con l’insipienza e l’incapacità professionale di quei magistrati non lo può elidere nessuno. Ma ora lasciamoli riposare in pace”.
‘QUESTA E’ L’ULTIMA OCCASIONE PER RESTITUIRE DIGNITA’ A POLIZIA‘ “Avete la possibilità, a mio giudizio, di scrivere una vicenda processuale. Questa è l’ultima occasione per Restituire dignità, alla polizia in primis. Perché, è lo dico con dolore, gli imputati non sono stati dei buoni poliziotti, hanno dimostrato la Loro Incapacità e pervicacia. Per questo non posso che concordare con la Procura e chiedere la condanna per tutti i capi di imputazione”. Con queste parole l’avvocato Fabio Trizzino Ha concluso le Sue repliche al processo sul depistaggio sull’ strage di via D’Amelio. Alla Sbarra tre poliziotti: Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, accusati di avere i sotto il falso pentito Vincenzo Scarantino a ld accusare falsamente degli innocenti.
DOPO 30 ANNI QUALE VERITA’ ANDIAMO CERCANDO, IL DANNO E’ FATTO‘ “Ormai il danno fatto dalla incapacità professionale di quei magistrati non si può elidere. Ma ora lasciamo riposare Paolo Borsellino e gli agenti di scorta in pace. Dopo 30 anni quale verità andiamo ancora cercando, quando il redde rationem? Io non ho paura di niente e di nessuno, quando la verità in questo Paese è stata data a persone che a mio giudizio sono in conflitto di interessi”. Lo ha detto l’avvocato Fabio Trizzino proseguendo la sua replica nel processo sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio.
PM, ‘IN QUESTO PROCESSO E AL QUATER MATERIALE COMPLESSO DA ARMEGGIARE‘ “In questo processo c’è un materiale complesso da maneggiare. E materiale complessissimo il materiale del Borsellino Quater. Bisogna essere applicati su questo tema per anni”. Sono le parole del pm Stefano Luciani che prosegue le repliche alle difese nel corso delle discussioni del processo sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio. Poi parla dell’archiviazione del procedimento a carico di Mario Bo, uno dei tre imputati del processo, insieme con altri due poliziotti. “Dal 2011 c’è stato un lavoro enorme fino al 2017, basta ricordare che c’è un giudice che ha riaperto le indagini. Altrimenti il gip non avrebbe mai consentito la riapertura delle indagini”. Nelle arringhe difensive i legali avevano criticato il pm Luciani che in passato aveva chiesto l’archiviazione della posizione di Bo, mentre adesso, per le stesse accuse, chiede la condanna a 11 anni e 10 mesi di carcere. “E’ una archiviazione tecnica – dice il pm Luciani- si chiude un processo sulla base di alcuni elementi, se una richiesta di archiviazione arriva nel 2015 e le indagini si fanno tra 2009 e 2011 quello che si scopre dopo è inutilizzabile”. E il pm legge le conclusioni dell’archiviazione: “Non c’è
alcun atteggiamento schizofrenico da parte del pm”.
PM, ‘NON ‘C’E’ ALCUN ATTEGGIAMENTO SCHIZOFRENICO DELLA PROCURA SUI FALSI PENTITI’ “Non c’è stato alcun atteggiamento schizofrenico da parte del pm e nessun mutamento nella valutazione che questo ufficio di Procura ha sempre fatto sulle dichiarazioni dei falsi collaboratori Scarantino, Andriotta e Candura. Abbiamo sempre detto che quelle fonti da sole non erano utilizzabili e lo sforzo è stato quello di portare all’attenzione del Tribunale elementi di prova che servissero a puntellare elementi di prove”. E’ quanto ha detto il pm Stefano Luciani proseguendo la replica alle difese nel corso delle discussioni del processo sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio. Imputati sono tre poliziotti: Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei. “Lo sforzo che si è fatto è stato quello di dimostrarvi che le vicende che sono state portate alla vostra attenzione – dice al Tribunale presieduto da Francesco D’Arrigo -sono vicende che questi signori hanno portato sempre uguali nel tempo. Non so se è sufficiente. Ma non c’è nessun mutamento nella valutazione che il pm ha compiuto da sempre sui collaboratori di giustizia”.
PM A DIFESA, ‘NON ACCETTO LEZIONI, PROCURA HA SCOPERTO DEPISTAGGIO VIA D’AMELIO “Ho sentito a più riprese dalle difese, nel corso delle discussioni, argomenti secondo cui sia in questo processo ma soprattutto nel Borsellino quater, il pm avrebbe fatto un processo agli assenti senza curarsi di portare elementi a discapito di questo o di quello. Bene, il pm ha effettuato un corposo supplemento di istruttoria nell’ambito del Quater perché era doveroso. Non si è inventato le prove per fare un processo agli assenti. Francamente accetto ben poche lezioni nei confronti della Procura che ha scoperto il depistaggio in relazioni alle indagini su via D’Amelio”. Inizia con queste parole la replica alle difese del pm Stefano Luciani nel processo sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio del 19 luglio 1992. Alla sbarra ci sono tre poliziotti: Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, tutti accusati di concorso in calunnia aggravata dall’avere favorito Cosa nostra. Oggi è l’ultima udienza e il Presidente Francesco D’Arrigo, alla fine della giornata dovrebbe far sapere quando sarà emessa la sentenza. La Procura ha chiesto pene molto alte per i tre imputati: undici anni e dieci mesi per Mario Bo e nove anni e mezzo ciascuno per Mattei e Ribaudo. “Il ha scoperto anche la calunnia di Angelo Fontana sull’attentato all’Addaura a Giovanni Falcone, così come il mendacio di Maurizio Avola sulla strage di via D’Amelio, allora dobbiamo guardare a tutto. E’ la storia della Procura di Caltanissetta degli ultimi anni che parla, non le chiacchiere di chi ora sta parlando”.
Le pesanti accusate L’avvocato di Borsellino contro Di Matteo: “Ha difeso il depistaggio di Scarantino screditando Spatuzza”
LA PARTE PIÙ SEVERA DELL’ARRINGA DI TRIZZINO È STATA RISERVATA PROPRIO A DI MATTEO, CHE OGGI È UN AUTOREVOLISSIMO MEMBRO DEL CSM. HA DETTO TESTUALMENTE TRIZZINO: «IL PM DI MATTEO NEL 2009 FECE UNA DICHIARAZIONE SUL COLLABORATORE DI GIUSTIZIA SPATUZZA SENZA ALCUNA COMPETENZA. L’ELEMENTO INCREDIBILE È CHE DI MATTEO, QUELL’ANNO, DA PM DI PALERMO, NON AVEVA ALCUNA COMPETENZA PER ENTRARE NEI PROCESSI BORSELLINO UNO E BORSELLINO DUE, A MENO CHE NON TEMESSE QUALCOSA CHE POTESSE COMPROMETTERE LA SUA CARRIERA PROFESSIONALE. BISOGNA AVERE IL CORAGGIO DI DIRLE QUESTE COSE.»
COSA GLI INTERESSAVA DEL PROCESSO BORSELLINO UNO E DEL BORSELLINO BIS? NON È QUESTO UNO SCHIZZO DI FANGO SU DI MATTEO, È UNA ANALISI CRITICA E NON POSSIAMO FAR FINTA DI NIENTE. SOLO PERCHÉ UNO FA IL MAGISTRATO O IL POLIZIOTTO NON DEVE PARLARE? NON CI STO.” POI TRIZZINO HA AGGIUNTO: “IL DANNO PROVOCATO DALL’INCAPACITÀ DI ALCUNI MAGISTRATI È FATTO. NON SI PUÒ RIPARARE. QUALE VERITÀ STIAMO CERCANDO ORA? LA RICERCA DELLA VERITÀ, A MIO GIUDIZIO, IN QUESTO PAESE È STATA AFFIDATA A PERSONE CHE ERANO IN CONFLITTO DI INTERESSE”.
L’ACCUSA DI TRIZZINO, CIOÈ DELLA FAMIGLIA DEL MAGISTRATO BORSELLINO È PESANTISSIMO. CONFLITTO DI INTERESSE, PER DI MATTEO, NELLE INDAGINI E NELLE RICHIESTE DEL MAGISTRATO. OLTRETUTTO TRIZZINO, OLTRE AD ESSERE L’AVVOCATO DELLA FAMIGLIA È ANCHE IL MARITO DI UNA DELLE FIGLIE DI PAOLO BORSELLINO.NEL PROCESSO IN CORSO LA QUESTIONE DI MATTEO PUÒ ANCHE ESSERE TRALASCIATA, VISTO CHE GLI IMPUTATI SONO SOLO TRE POLIZIOTTI, PERCHÉ I GIUDICI HANNO DECISO DI ARCHIVIARE LA POSIZIONE DI DUE MAGISTRATI CHE ERANO STATI INDAGATI (NON DI MATTEO). PERÒ IL PROBLEMA POSTO DA TRIZZINO È GRANDE COME UNA CASA. L’ACCUSA È SANGUINOSA: CONFLITTO DI INTERESSE E SULLA BASE DI QUESTO CONFLITTO ERRORE GIUDIZIARIO CLAMOROSO CON CONSEGUENZE DEVASTANTI PER LA RICERCA DELLA VERITÀ. C’È UN PEZZO DI MAGISTRATURA CHE HA SCOMMESSO TUTTA LA PROPRIA CREDIBILITÀ E LA PROPRIA CARRIERA SULL’IPOTESI DELLA TRATTATIVA STATO MAFIA, IPOTESI IN CONTRASTO CON ALTRE IPOTESI, CHE ERANO QUELLE GIUSTE, CHE PERÒ ERANO STATE OSCURATE DAL DEPISTAGGIO.
IL RIFORMISTA 29.6.2022 Piero Sansonetti
L’avvocato Trizzino e la replica di veleni e falsità contro Nino Di Matteo
Al processo depistaggio il legale dei figli di Borsellino continua a mistificare i fatti con un solo obiettivo: colpire il magistrato
Ieri, davanti al Tribunale di Caltanissetta, era il giorno di repliche per il processo sul depistaggio della strage di via d’Amelio, che vede imputati i poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, accusati di avere indottrinato il falso pentito Vincenzo Scarantino per accusare degli innocenti. Prima è stata la volta della Procura con il pm Stefano Luciani, quindi è stata la volta delle parti civili.
Ed è qui che si è consumata l’ennesima ondata di mistificazioni e falsità volte a colpire e demolire un unico uomo: il magistrato Nino Di Matteo.
Un attacco diretto che è provenuto dall’avvocato Fabio Trizzino, legale dei figli di Borsellino, che ieri ha anche sostituito la parte civile di Gaetano Murana, ovvero l’avvocato Rosalba Di Gregorio.
Se in passato, commentando l’arringa, avevamo solo pensato alla cattiva fede, oggi è chiaro ed evidente il livore che accompagna determinate considerazioni del legale.
In cinquantasei minuti di replica il nome di Nino Di Matteo è stato ripetuto quasi come un mantra.
E non è molto chiaro il motivo nel momento in cui le difese dei poliziotti, nelle arringhe, quando parlavano di “schizzi di fango” si riferivano in particolare a chi oggi non è più in vita come il Procuratore capo di allora, Gianni Tinebra, e l’ex capo della Squadra Mobile Arnaldo La Barbera. Su di loro, giustamente, non sono mancati gli appunti, ma è Di Matteo il “bersaglio grosso” da colpire.
E così ancora una volta si è tornati ad usare le dichiarazioni della riunione del 22 aprile 2009 davanti la Direzione nazionale antimafia, in cui i magistrati delle Procure di Firenze, Caltanissetta e Palermo erano stati convocati per una prima valutazione su quella collaborazione e per esprimere un parere sull’inserimento di Spatuzza nel programma di protezione.
Stavolta però sono state fatte considerazioni più infamanti, che il solitoRiformista, quotidiano del “comunista” Piero Sansonetti, ha usato a proprio piacimento per colpire a sua volta il consigliere togato.
“La verità in questo paese è stata data a persone che a mio giudizio sono in conflitto di interessi. Il pm Antonino Di Matteonel 2009 fece una dichiarazione sul collaboratore Spatuzza senza averne alcuna competenza – ha detto Trizzino – L’elemento incredibile è che in quell’anno Di Matteo da pm di Palermo non aveva alcuna competenza per entrare nei processi Borsellino uno e Borsellino bis, a meno che temesse qualcosa che potesse compromettere la sua carriera professionale. Bisogna avere il coraggio di dirle queste cose. Si doveva occupare di dare il proprio parere su Spatuzza? Cosa gli interessava del Borsellino uno e bis? Non è uno schizzo di fango al magistrato ma una analisi critica e non possiamo fare finta di niente. Solo perché uno fa il magistrato o il poliziotto non deve parlare? Non ci sto”.
Nella replica si è nuovamente omesso che in quella riunione Di Matteo intervenne dando un momentaneo parere negativo al programma di protezione, solo perché ci si stava misurando con sentenze che comunque erano definitive.
Ed è stato gravemente taciuto che nel 2010 proprio Di Matteo si espose in più sedi proprio per difendere e promuovere il programma di protezione e l’attendibilità di Spatuzza, nel momento in cui la Commissione centrale del Viminale per la definizione e applicazione delle misure speciali di protezione, allora presieduta da Alfredo Mantovano, non stava ammettendo Spatuzza nel programma di protezione definitivo.
Se fosse stato responsabile del depistaggio si sarebbe opposto a Spatuzza in ogni sede. Così non è stato.
Perché la storia va raccontata per intero ed è ovvio che per i denigratori di Di Matteo è sconveniente parlare di certi argomenti.
Il direttore de “Il Riformista” Piero Sansonetti ne ha subito approfittato anche per tirare in ballo il processo trattativa Stato-mafia per poi chiedere addirittura un intervento del Csm. “C’è un pezzo di magistratura che ha scommesso tutta la propria credibilità e la propria carriera sull’ipotesi della trattativa stato mafia, ipotesi in contrasto con altre ipotesi, che erano quelle giuste, che però erano state oscurate dal depistaggio”. E poi ancora ha aggiunto in un altro passaggio: “Lo stesso Csm può far finta che le parole di Trizzino non siano mai state pronunciate? La logica dice che o si dimostra che non è vero che Di Matteo chiese di levare la protezione a Spatuzza, e allora che Trizzino ha detto cose non vere, oppure occorre intervenire”. La storia, raccontata per intero, ha già risposto sul punto. Dimostrando che Trizzino racconta il falso.
Ma tutto è utile per denigrare il magistrato ed il processo scomodo di cui attendiamo tutti di leggere le motivazioni della sentenza.
Al momento sappiamo solo che i fatti, cioè la trattativa, c’è stata e che gli unici che hanno commesso il reato di attentato a corpo politico dello Stato sarebbero stati i mafiosi. Capiremo il perché la Corte d’Assise d’Appello di Palermo ha assolto, diversamente dal primo grado, i rappresentanti istituzionali.
Torniamo però alle repliche dell’avvocato dei figli di Borsellino. Perché se da una parte sull’Agenda Rossa di Borsellino ha correttamente bacchettato i difensori dei poliziotti, che si erano appellati alla sentenza della Cassazione del 2009, in cui si dichiara inammissibile il ricorso della Procura di Caltanissetta dopo il “non luogo a procedere” contro l’allora capitano Arcangioli, finito sotto accusa per il furto dell’Agenda, in cui viene messo in dubbio l’esistenza del documento, dall’altra ecco che è caduto nella solita ricostruzione maligna dei fatti.
Ed è sempre Di Matteo, in maniera sprezzante, a finire nel mirino:“Le indagini sulla scomparsa dell’agenda, mirate, si fanno nel 2006. Anche se la signora Agnese ne parla nel marzo 1995. Tutti fanno finta di niente. Il dottore Di Matteo dice che dell’agenda rossa si sono occupati quando si è riaperto il procedimento nei confronti di Contrada. Non è vero. Ricorda male. Era Canale che insisteva su quell’aspetto. Il procedimento su Contrada era incentrato sulla presenza di Contrada. Altro depistaggio fondamentale su cui andrebbero fatti i dovuti approfondimenti perché Contrada viene messo lì, ma non è lì e riesce a dimostrarlo. Ma non è vero che si occuparono dell’agenda rossa, la prima indagine la fa il pm Liguori. E non ci vengano a raccontare altro”.
Ma cosa spiegò Di Matteo alla Corte quando fu sentito nel febbraio 2020?
Il magistrato raccontò proprio i motivi che portarono alla riapertura delle indagini su Contrada.
“Fu aperta un’indagine molto spinta sui Servizi Segreti – spiegò Di Matteo – Fui io a riaprire le indagini su di lui sulla base delle dichiarazioni del pentito Elmo che ci aveva detto di averlo visto allontanarsi dal teatro dell’attentato con una borsa, o dei documenti in mano. A quel punto lessi tutto il vecchio fascicolo, acquisii le sue agende”. “Vedendo quegli atti mi accorsi che c’era stato un ufficiale del Ros, Sinico, che era andato in procura a Palermo e aveva riferito ad alcuni magistrati di aver saputo che la prima volante accorsa dopo l’esplosione aveva constatato la presenza di Contrada. E raccontava anche di una relazione di servizio che attestava la presenza di Contrada in via d’Amelio e che poi sarebbe stata strappata in Questura – spiegò ancora -. Quel che mi fece trasalire è che quando fu sentito dalla collega Boccassini, nel 1992, mise a verbale quella circostanza dicendo di averlo saputo da un suo amico carissimo, non un confidente, di cui voleva tutelare l’identità. Andai a interrogarlo e ribadì le medesime parole. Quando io stavo per chiedere il rinvio a giudizio del carabiniere lui venne in Procura e depositò una memoria della quale avrebbe parlato con il colonnello Mori, facendo il nome della sua fonte: il funzionario di polizia Roberto Di Legami. Ricordo anche il momento dei confronti che fu drammatico. Di Legami negò tutto, fu anche rinviato a giudizio perché avevamo due militari contro uno. Dell’esito di quel processo appresi successivamente, quando già ero a Palermo e seppi che il funzionario fu assolto”. E’ nell’ambito di quelle indagini che, di fatto, si apriva il filone investigativo sull’agenda rossa prima ancora del rinvenimento della fotografia del capitano Arcangioli: “Il mio impegno – spiegò Di Matteo – era finalizzato a capire per mano di chi fosse sparita. Abbiamo fatto il possibile per accertarlo, anche scontrandoci con reticenze bestiali sulla presenza di esponenti delle istituzioni nel luogo dell’attentato. Da qui sarei voluto ripartire per tante altre cose”.
Alfa e Beta (Berlusconi e Dell’Utri)
Del resto sempre Di Matteo, assieme a Luca Tescaroli, si era occupato delle indagini su Alfa e Beta, ovvero Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri, indagati come mandanti esterni alle stragi. Un’inchiesta che traeva origine dalle dichiarazioni di Cancemi e che incontrò delle fortissime opposizioni. “Resistenze o no, io e i colleghi siamo andati avanti per la nostra strada – riferì Di Matteo in più occasioni – Sulle indagini su Contrada e la eventuale presenza di personaggi dei servizi nessuno mi disse mai nulla. Le indagini le facevamo noi e nessuno mi pose mai un freno. Per quanto riguarda invece i mandanti esterni alle stragi e il coinvolgimento di Berlusconi e Dell’Utri fu diverso: ci fu una riunione della Dda e fu imbarazzante. Già si sapeva che la riunione era stata convocata per valutare l’eventuale iscrizione di Berlusconi e Dell’Utri nel registro degli indagati. Il procuratore di allora Giovanni Tinebra dopo una lunga e animata discussione diede l’ok anche se non era d’accordo, ma disse anche che dovevamo procedere con nomi di fantasia e che lui non avrebbe sottoscritto nessun atto. Certamente nelle indagini sui mandanti esterni non ci fu vicino. Posso dire che può essere questo un modo di non sostenere e non partecipare, prendendo le distanze all’interno e all’esterno. Quando chiedevamo accertamenti alla Dia di Roma e alle altre Procure partivano le deleghe ma le sole firme erano la mia e quella del collega Tescaroli, ovvero di due sostituti. E questo certo non deponeva bene a favore dell’indagine”.
E’ noto che poi l’indagine su Berlusconi e Dell’Utri fu archiviata. Certo è che le indagini sui mandanti esterni sono in qualche maniera andate avanti anche con l’impegno di più procure italiane. Di queste indagini, del resto, Di Matteo si stava occupando alla Procura nazionale antimafia, prima di essere illogicamente estromesso dal Procuratore capo di allora Federico Cafiero de Raho, per poi essere reintegrato nel pool stragi il 23 settembre 2020 con “effetto immediatamente
Proprio alla luce di questo costante impegno nella ricerca della verità e dei mandanti a volto coperto di quella terribile stagione di attentati si evince la differenza tra chi può essere responsabile del depistaggio, che certamente ha avuto luogo, o meno.
Ma Trizzino, con disonestà intellettuale, non sembra voler mai tener conto di questi elementi. Così dapprima ha parlato di “inesperienza” ed “incapacità professionale” poi ha alluso a qualcosa di ben peggiore.
Così ancora una volta si è parlato del ritardato deposito dei confronti tra Vincenzo Scarantino ed i collaboratori di giustizia Mario Santo Di Matteo, Salvatore Cancemi e Gioacchino La Barberache non furono immediatamente depositati.
Si è detto della trafila di denunce e contro denunce tra i pm e gli avvocati, Di Gregorio, Scozzola e Marasà nonostante il Gip di Catania, che archiviò l’inchiesta sugli allora sostituti procuratori di Caltanissetta, denunciati da parte di tre legali, valutò l’operato dei pm come privo di “comportamento omissivo”.
Ormai l’intento dei figli di Borsellino, in particolare la dott.ssa Fiammetta Borsellino, e di Trizzino, è chiaramente quello di puntare il dito a priori contro il magistrato. Ed anche per questo viene ripresa la parte della sentenza del Borsellino ter, laddove si dice che Scarantino non può essere assolutamente preso in considerazione.
Ma non si sottolinea che proprio i pm Antonino Di Matteo ed Anna Maria Palma decisero di non far entrare nel processo il “picciotto” della Guadagna.
Carmelo Zuccaro, al tempo Presidente della Corte d’Assise ed oggi Procuratore capo a Catania, da noi intervistato qualche anno addietro disse in maniera chiara di non credere che “a Di Matteo si possano rimproverare errori importanti in questa vicenda” e che la “‘costruzione’ della falsa collaborazione dello Scarantino” fosse “espressione di gravi scorrettezze poste in essere da taluni investigatori per ottenere con mezzi illeciti dei risultati immediati nell’individuazione di alcuni dei responsabili della strage di via d’Amelio”.
Sempre sul punto si tralasciano le considerazioni del Borsellino quater che hanno messo in evidenza tutti i punti di contatto tra il dichiarato del falso pentito Scarantino e quello del collaboratore di giustizia di Brancaccio, Gaspare Spatuzza.
Il falso mescolato assieme a un po’ di vero
Proprio la Corte d’Assise del processo Borsellino quater (presidente Antonio Balsamo) in primo grado aveva dedicato una cospicua parte delle motivazioni a quelle dichiarazioni dello Scarantino che, “pur essendo sicuramente inattendibili, contengono elementi di verità”. “Sin dal primo interrogatorio reso dopo la manifestazione della sua volontà di ‘collaborare’ con la giustizia, in data 24 giugno 1994 – avevano scritto i giudici – lo Scarantino ha affermato che l’autovettura era stata rubata mediante la rottura del bloccasterzo, e ha menzionato l’avvenuta sostituzione delle targhe del veicolo. Nel successivo interrogatorio del 29 giugno 1994 egli ha specificato che, essendo stato rotto il bloccasterzo dell’autovettura, il contatto veniva stabilito collegando tra loro i fili dell’accensione. Nelle sue successive deposizioni, lo Scarantino ha sostenuto che la Fiat 126 era stata spinta al fine di entrare nella carrozzeria (circostanza, questa, che presuppone logicamente la presenza di problemi meccanici tali da determinare la necessità di trainare il veicolo). Egli, inoltre, ha aggiunto di avere appreso che sull’autovettura erano state applicate le targhe di un’altra Fiat 126, prelevate dall’autocarrozzeria dello stesso Orofino, e che quest’ultimo aveva presentato nel lunedì successivo alla strage la relativa denuncia di furto”. Ebbene tutte queste circostanze sono “del tutto corrispondenti al vero ed estranee al personale patrimonio conoscitivo dello Scarantino, il quale non è stato mai coinvolto nelle attività relative al furto, al trasporto, alla custodia e alla preparazione dell’autovettura utilizzata per la strage”. Queste circostanze, che saranno anche raccontate da Gaspare Spatuzza (l’ex boss di Brancaccio che si è autoaccusato del furto dell’auto, ndr), come potevano essere note dai cosiddetti suggeritori? Secondo i giudici “E’ del tutto logico ritenere che tali circostanze siano state a lui suggerite da altri soggetti, i quali, a loro volta, le avevano apprese da ulteriori fonti rimaste occulte”.
Per questo motivo, dunque, si può giungere alla conclusione che le dichiarazioni di Scarantino non erano totalmente da buttare nella sostanza.
Ciò che non si dice
Tornando al processo sul depistaggio e le false accuse mosse contro i magistrati.
E ancora non si dice quasi mai che furono gli stessi pm di allora, Nino Di Matteo e Anna Maria Palma per alcuni degli ingiustamente condannati, a chiedere ed ottenere le assoluzioni per il delitto di concorso in strage. Parliamo di Giuseppe Calascibetta, Gaetano Murana e Antonino Gambino. Soggetti poi condannati in successivi gradi di giudizio. Si preferisce solo evidenziare che fu chiesta la condanna nei confronti di Vernengo, di La Mattina e di Gaetano Scotto oltre che di Natale Gambino.
E spesso si dimentica che i processi istruiti da Di Matteo sulle stragi hanno portato alla condanna definitiva di decine e decine di capomafia della Cupola di Cosa nostra tra i quali Riina, Provenzano, Santapaola, Biondino ed altri. Con sentenze e condanne mai messe in discussione e non interessate dal processo di revisione.
Trizzino, che accusa i magistrati di aver “difeso pervicacemente il depistaggio”, ha sostenuto di essersi limitato “a dati di fatto assolutamente incontestabili”. Altrettanti dati di fatto sono stati sistematicamente boicottati o non considerati nelle sue ricostruzioni, dimostrandone la non buona fede.
Di Matteo viene tirato assurdamente in ballo anche quando lo stesso non è mai stato neanche indagato dalla Procura di Messina (che per competenza ha condotto l’inchiesta sui magistrati Anna Maria Palma e Carmelo Petralia. Un’indagine archiviata dal Gip in quanto venivano considerati “insussistenti gli elementi probatori certi e univoci tali da consentire la sostenibilità in un eventuale futuro dibattimento dell’accusa di calunnia a carico degli indagati”.
In questi anni è stato chiarito di fronte più sedi (Commissione parlamentare antimafia, Csm, processo Borsellino quater ed anche in questo processo), carte alla mano, dallo stesso Di Matteo come fu valutata la vicenda Scarantino.
Ma l’attacco nei confronti del magistrato, la costante delegittimazione e denigrazione è proseguita in maniera costante.
A questo punto è evidente che vi è un altro scopo che supera la ricerca della verità.
Mentre risentimento ed accanimento pervadono mente e cuore del legale rappresentante dei figli di Borsellino, a godere sono le solite menti raffinatissime. Quelle stesse che non vogliono che magistrati come Nino Di Matteo indaghino su stragi, sistemi criminali e trattative Stato-mafia.
Una ricerca della verità sui generis da parte dell’avvocato Trizzino, e di eventuali suggeritori, che non potrà mai essere possibile e concreta se si è accecati da quei personalissimi desideri di vendetta per qualcosa che non ha a che fare né con la strage di via d’Amelio né con il caso Scarantino.
Un grande filosofo e saggio disse: “La vendetta e il fanatismo sono credere in ciò che non esiste”.
15 dicembre 1998 – CALTANISETTA – Processo bis per la strage di Via D’Amelio (omicidio del giudice Paolo Borsellino)
Contrariamente a quanto sostenne il dottor Antonino Di Matteo, la ritrattazione dello Scarantino verrà poi confermata nel merito dal pentito Gaspare Spatuzza,condizionerà gli esiti del Borsellino Quater,produrrà l’annullamento delle condanne all’ergastolo erogate e provocherà l’avvio del c.d. “Processo depistaggio”
- Questo ufficio ritiene che l’attività processuale scaturita e originata dalla ritrattazione dello SCARANTINO abbia finito per avvalorare ancor di più le sue precedenti dichiarazioni o meglio gran parte delle sue precedenti dichiarazioni nei confronti di molti degli odierni imputati
- La ritrattazione di SCARANTINO che poi spiegheremo perché deve considerarsi falsa è innanzitutto una ritrattazione indotta. Non siamo in presenza di un atteggiamento processuale scaturito dalla volontà del protagonista della scena dibattimentale, siamo in presenza di un risultato di una complessa attività posta in essere per costringere il pentito a cambiare versione
- Cioè la ritrattazione è stata indotta innanzitutto indotta poi vedremo perché falsa. Dovete pure prendere in considerazione quel compendio probatorio scaturito essenzialmente dalle intercettazioni ambientali effettuate in casa Scotto del latitante Gaetano Scotto nostro imputato
- La ritrattazione di Vincenzo Scarantino non è stata frutto di una scelta di coscienza di una volontà talmente spontanea da manifestarsi attraverso comportamenti che non tenessero conto di garanzie precauzioni assistenza economica assistenza legale
- … oltre ad un giudizio di complessivi inattendibilità e la ritrattazione di Scarantino vi stiamo smontando punto per punto queste dichiarazioni …
- Io credo che il buonsenso comune ed una normale capacità di valutare la personalità altrui ci consente ci consenta di escludere questa possibilità che Scarantino abbia per tanto tempo finto e solo ultimamente detto la verità
- Scarantino ha voluto accreditare l’ipotesi di pubblici ministeri e poliziotti che lo hanno indottrinato continuamente indottrinato dolosamente istruito giungendo al punto di falsificare le carte di giocare sporco pur di trovare dei finti colpevoli della strage giungendo al punto di manomettere nastri e registrazioni
- Certamente non è in grado Scarantino di inventare reggere il gioco su tutto questo di estremamente articolato e complesso …
- … questa non è a nostro parere non può essere solo farina del sacco di Scarantino costituisce una riprova logica di una induzione ad una ritrattazione sicuramente falsa e prospettata al solo scopo di provocare in un modo o nell’altro il crollo dell’impostazione accusatoria di questo processo
- (Scarantino) … ha dipinto un quadro assolutamente inverosimile. Ha dipinto un quadro fosco e ridicolo
- (Scarantino nella ritrattazione) poco abile, forse mal consigliato
- (La ritrattazione) risulta intrensicamente non credibile
- Siamo in presenza di un clamoroso autogol (ritrattazione)
BORSELLINO BIS – Trascrizione automatica requisitoria PM Di Matteo
16 novembre 2015 – DI MATTEO racconta SCARANTINO
13 settembre 2017 – AUDIZIONE del PM Nino Di Matteo in Commissione Antimafia
3 febbraio 2020 – ANTONINO DI MATTEO depone al “processo depistaggio”
‘Non mi sono mai occupato dei primi due processi Borsellino’ Sono arrivato a Caltanissetta nel novembre del 1994. E non mi occupavo delle indagini su via D’Amelio. Lo feci solo due anni e 4 mesi dopo dall’arresto di Vincenzo Scarantino. Non mi sono mai occupato del cosiddetto Borsellino 1 e neanche del bis, che seguii solo in dibattimento. Ho seguito tutto l’iter del Borsellino-ter”. “Il primo incarico mi fu dato ufficiosamente. Mi chiamò l’allora capo della procura Giovanni Tinebra dicendomi che sarebbe stato opportuno che sentisse un magistrato che non si era occupato di questi fatti, leggendo i verbali di Scarantino, che al quarto o quinto verbale, aveva aggiunto i nomi di alcuni collaboratori che non avevano mai parlato di questi fatti“. E ribadisce: “Non mi sono mai occupato del processo Borsellino uno, una sola volta che si sapeva che l’udienza sarebbe stata rinviata, così come non mi sono mai occupato del Borsellino bis, nelle indagini preliminari. Io inizio a occuparmene dopo il giudizio e lo seguii per tutto il dibattimento, mentre l’uico dei processi celebrati che io seguii dall’inizio delle indagini è il Borsellino ter”. Adnkronos
C’erano dubbi molto seri sulla credibilità di Vincenzo Scarantino”
⇒ La deposizione di Di Matteo (audio) . “C’erano dubbi molto seri sulla credibilità di Vincenzo Scarantino”. A dirlo è il consigliere del Csm Nino Di Matteo deponendo al processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di Via D’Amelio che vede alla sbarra tre poliziotti, Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei. I dubbi su Scarantino, secondo Di Matteo, che fece parte del pool sulle stragi, “non era tanto riferito ai primi verbali” resi, ma “sulla concretezza su quanto dichiarato” in riferimento a collaboratori come Mario Santo Di Matteo e Salvatore Cancemi. “Io non ho mi partecipato a una riunione, a un incontro tra colleghi in cui si facesse riferimento sulle indagini, di cui sapevo solo dalle cronache dei giornali, fino al novembre 1994. Siamo a due anni e sei mesi dalla strage di via D’Amelio, quello che io considero l’inizio di un possibile depistaggio con il furto dell’agenda rossa”. “Due anni e 4 mesi dopo l’arresto di Scarantino che come sapete è venuto dopo altre indagini, mi è stato detto di occuparmi anche delle stragi. In particolare di quella di via d’Amelio”. “Nel mio ricordo ad occuparsi delle indagini e della gestione di Vincenzo Scarantino c’era sicuramente Mario Bo e due ispettori, molto bravi, Ricerca e Maniscalchi. Ribaudo e Mattei, nel mio ricordo avevano un ruolo marginale”. Di Matteo ricorda di avere indagato “fondo sulla presenza di Bruno Contrada in via D’Amelio dopo la strage”. Dice: “Fui io a riaprire le indagini su di lui sulla base delle dichiarazioni del pentito Elmo che ci aveva detto di averlo visto allontanarsi dal teatro dell’attentato con dei documenti in mano. A quel punto lessi tutto il vecchio fascicolo, acquisii le sue agende”. Contrada era il numero tre del Sisde, il servizio segreto civile. A dicembre, venne arrestato dai pm di Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa. “Vedendo quei vecchi atti mi accorsi che c’era stato un ufficiale del Ros, Sinico, che era andato in procura a Palermo e aveva riferito ad alcuni magistrati di aver saputo che la prima volante accorsa dopo l’esplosione aveva constatato la presenza di Contrada – I poliziotti aveva fatto una relazione che poi era stata strappata in questura. I colleghi avevano preso a verbale Sinico e mandato tutto a Caltanissetta, dove Sinicosi era rifiutato di rivelare la sua fonte”. “Si avviò una indagine molto spinta sui servizi segreti. Io stavo per chiedere il rinvio a giudizio del carabiniere che, poi, si decise a fare il nome della sua fonte che indicò in Roberto Di Legami, funzionario di polizia. Di Legami negò tutto. Rinviato a giudizio fu poi assolto”. Di Matteo parla anche delle indagini del pool di Caltanissetta: “Seppi delle note della Boccassini e delle sue osservazioni critiche sulla gestione del pentito Scarantino solo tra il 2008 e il 2010. Con la collega Boccassini non ho mai avuto la possibilità e la fortuna di parlare non solo delle stragi ma di indagini in generale. Per me era ed è un un magistrato da stimare moltissimo, ma con la quale la conoscenza si limitava a incontri al bar”. “All’epoca delle indagini sulle stragi i collaboratori di giustizia vedevano nell’ufficio del pubblico ministero il luogo a cui rivolgersi per risolvere problemi spesso logistici. In quel periodo mi è capitato che mi chiamassero Mutolo e Cancemi ma nessuno si è mai sognato di dirmi cose inerenti alle dichiarazioni. L’attività di preparazione dei collaboratori di giustizia significava solo dare indicazioni ad esempio sul contegno da tenere in aula, sull’evitare polemiche coi legali, questo era preparare ed era una prassi seguita da tutti”. LA REPUBBLICA 3 febbraio 2020
6 febbraio 2020 – DI MATTEO non convince FIAMMETTA BORSELLINO sul depistaggio di Via d’Amelio
- Il dottor ANTONINO DI MATTEO e VIA D’AMELIO
- DI MATTEO: “il capo del Sisde di Caltanissetta tra il 1995 e il 1996 frequentava tribunale di Caltanisetta”
- 19 dicembre 2018 Via D’Amelio, la rabbia di FIAMMETTA BORSELLINO: “Vergognoso il silenzio di DI MATTEO”
- FIAMMETTA BORSELLINO all’attacco: “DI MATTEO distantissimo da mio padre”
- 20 giugno 2020 Depistaggio Borsellino: i dubbi di Fiammetta sui pm PALMA E DI MATTEO
- 17 settembre 2018 Audizione al CSM del PM ANTONINO DI MATTEO – ““Siamo ad un passo della verità anche grazie a me e ad altri magistrati“
- IL DURO COMMENTO DI FIAMMETTA BORSELLINO “NESSUN VUOL FARE EMERGERE VERITÀ”
- DI MATTEO e BOCCASSINI al “Borsellino Quater”
- Via D’Amelio: “Tante anomalie sui pm PALMA, PETRALIA e DI MATTEO”
- DI MATTEO sulla strage di Via d’Amelio: «Mai entrato nelle indagini». DI MATTEO e la voglia matta di certa politica e certi analisti di guardare al dito (Scarantino) anziché alla luna (depistaggi e trattative)
- Processo depistaggio, l’accusa di FIAMMETTA BORSELLINO: “Delusa dalla deposizione del pm DI MATTEO”
- DI MATTEO: «No alla protezione a SPATUZZA, rimette in discussione le stragi»
- DI MATTEO: su Via D’Amelio “Siamo ad un passo della verità anche grazie a me e ad altri magistrati“
- 1998 – Secondo il PM DI MATTEO la ritrattazione di SCARANTINO era “sicuramente falsa”
- FIAMMETTA BORSELLINO, LIVORE E ACCANIMENTO CONTRO NINO DI MATTEO