SALVATORE BORSELLINO: Libera discrimina le vittime delle stragi, la Commissione Antimafia é infiltrata e depista. Se nell’agenda rossa si parlasse di “mafia e appalti” si sarebbe già ritrovata

 
 
Il semplice elenco dei nomi delle vittime innocenti delle mafie che viene fatto ogni anno al 21 di marzo da Libera, seppure ammirevole, ma senza specificarne l’età, la città di provenienza e la circostanza in cui sono stati uccisi non basta certo a fissare nelle nostre menti, come sarebbe giusto, le loro storie e i loro stessi nomi.
Tanti, troppi di quei nomi, restano pertanto purtroppo sconosciuti alla maggior parte della gente.
Inoltre, tra quei nomi, non vengono citati i nomi delle vittime che non sono, in base a non so quali criteri di valutazione, considerati vittime innocenti delle mafie.
Non sono così considerati e nominati i nomi delle vittime della maggior parte delle stragi che dalla fine della Seconda guerra mondiale ad oggi hanno insanguinato l’Italia.
Mi chiedo se quelli non nominati non sono delle vittime innocenti o se bisogna ricordare solo le vittime delle stragi di mafia e non delle vittime delle stragi di Stato.
Mi chiedo quale sia il criterio adoperato per discriminare tra una strage di mafia e una strage di altro, quando troppo spesso la mafia, i servizi segreti, l’eversione nera sono solo gli strumenti adoperati per mettere in atto queste stragi volte in passato a mantenere l’indirizzo politico e la posizione internazionale del nostro paese e poi, in seguito al crollo del precedente sistema, a trovare un nuovo equilibro e imporre un nuovo sistema di potere, cioè quello che oggi ci governa.
Basta pensare a Portella della Ginestra che non fu di certo soltanto una strage di mafia.
Basta pensare alla strage di Via D’Amelio in cui la divisa indossata da chi ha asportato la borsa di Paolo da cui è stata rubata la sua Agenda Rossa e i depistaggi di Stato che a trentatré anni di distanza ancora perdurano, bastano a far capire che non soltanto di una strage di mafia si tratta.
E’ per questo che abbiamo voluto, nei giorni di memoria del 19 luglio di quest’anno, creare un percorso visivo che, attraverso i quadri di Gaetano Porcasi, seguisse e illustrasse il percorso delle stragi e degli attentati che hanno fatto parte di quel progetto eversivo che ha portato all’instaurazione del sistema di potere che oggi ci governa e che oggi, attraverso il controllo dei mezzi di informazione, uno dei punti contemplati nel manifesto di rinascita democratica della P2 di Licio Gelli, sta tentando di riscrivere la storia del nostro paese cancellandole le responsabilità, oltre che dei servizi, soprattutto dell’eversione nera.
Abbiamo voluto con questo anche opporci al depistaggio “istituzionale” messo in atto da una commissione parlamentare antimafia, la cui presidenza è stata affidata ad una persona che ha esibito sui social i suoi atteggiamenti “affettuosi” con un terrorista assassino, componente dei N.A.R. e condannato in via definitiva per la sua partecipazione alla strage della Stazione di Bologna.
Questa commissione pretende di restringere le sue indagini soltanto alla strage di Via D’Amelio, come se si trattasse di una strage isolata dalle altre, banalizzandone le cause ad un fantomatico dossier mafia appalti, che, seppure conosciuto da Paolo Borsellino, non avrebbe mai potuto giustificare la repentina accelerazione di quella strage.
La strage di Via D’Amelio, infatti, fu messa in atto in un momento in cui non era certamente nell’interesse della mafia compierla.
La sua esecuzione provocò infatti, per la reazione a quella strage da parte dell’opinione pubblica l’approvazione, ad un solo giorno della sua scadenza, di un decreto che non sarebbe mai diventato legge a causa di una maggioranza “garantista” presente in parlamento.
Quel decreto, studiato da Giovanni Falcone quando lavorava all‘ufficio degli Affari Penali a Roma, prima di essere ucciso, riguardava il 41 bis, l’ergastolo ostativo, il trattamento dei collaboratori di Giustizia, punti questi che tutti erano compresi nel “papello” che Riina aveva presentato, nel corso della “trattativa” con lui intavolata dagli ufficiali del ROS, come condizioni per fermare le stragi.
Sarebbe bastato quindi per lui aspettare solo qualche giorno perché quei punti, compresi nel decreto-legge, decadessero e le sue pretese venissero automaticamente confermate.
Qualcuno invece, come si evince da alcune intercettazioni e rivelazioni di collaboratori, gli disse che quella strage doveva essere fatta in fretta e quella strage venne compiuta così come gli era stato richiesto.
A Paolo Borsellino non doveva essere consentito in alcun modo di andare, come aveva richiesto nel suo ultimo discorso pubblico al 25 di giugno, davanti ai magistrati di Caltanissetta per dire quello che sapeva e quello che aveva scoperto in quei giorni sulla strage di Capaci in cui aveva perso la vita Giovanni Falcone.
E non bastava uccidere Paolo, doveva sparire anche la sua Agenda Rossa nella quale Paolo queste cose aveva sicuramente scritto.
Se nell’Agenda Rossa si parlasse di mafia e appalti questa Agenda sarebbe già venuta sicuramente alla luce, dato che a nasconderla sono sicuramente quelle stesse persone che hanno infiltrato la commissione parlamentare direttamente e tramite propri consulenti perché potesse indirizzarsi soltanto su questa pista del tutto inconsistente.
Perché tutto non restasse limitato soltanto a questi giorni di memoria abbiamo voluto stampare una edizione speciale dell’Agenda Rossa nella quale non soltanto sono riprodotti i 61 quadri e quindi i 61 tra stragi e attentati che, da Portella della Ginestra fino all’assassino, nel 2004, di Attilio Manca, hanno fatto parte di questo percorso, e ognuno di questi è accompagnato da una nota esplicativa, ma anche riportare i nomi e l’età delle singole vittime perché, per quanto possibile, restino impresse nella nostra memoria o almeno siano facilmente consultabili.
Abbiamo voluto così unificare i due filoni, quello della denuncia della lotta politica attraverso il terrorismo nero e le sue stragi e quello della memoria delle stragi e degli attentati di mafia, anche perché non sempre sono facilmente distinguibili.
A questa edizione speciale dell’Agenda Rossa vogliamo dare la massima diffusione, speriamo di farla arrivare nelle scuole perché costituisca un riferimento per quello che nelle scuole purtroppo non viene contemplato dai programmi ministeriali, ed è per questo che ne abbiamo affidato la diffusione, oltre che alle Associazioni “Le Agende Rosse” e “La Casa di Paolo”, anche alla società editrice IOD che, oltre a stamparla, ci ha aiutati e supportati nella sua preparazione.
dal profilo FB 4.7.2025
 
 
 

 


Dichiarazioni varie di SALVATORE BORSELLINO in proposito 


…”da essi (i figli di Paolo Borsellino) mi divide una posizione processuale che si è venuta a differenziare nel corso di tanti processi arrivando purtroppo, e con mio grande dolore, ad influire anche sui rapporti personali.

…”ho ascoltato con sconcerto le dichiarazioni fatte in questa sede nei confronti di due magistrati, o meglio di un magistrato e di un ex magistrato, oggi senatore della Repubblica, mi riferisco a Nino Di Matteo (???) Roberto Scarpinato, ai quali mi sento invece di dovere manifestare pubblicamente, e in questa stessa sede, la mia stima e la mia gratitudine per avere in questi lunghi anni, ricercato con tutte le loro forze quella Verità e quella Giustizia per le quali continuo a combattere,  in nome di quella Agenda Rossa che ho scelto a simbolo della mia lotta.”

…”Perplesso mi ha lasciato anche, nella ricostruzione dell’avvocato dei figli di Paolo, il diverso peso dato ad alcune parole di Paolo e ad altre parole e circostanze riferite da sua moglie, Agnese Piraino. Sono state messe quasi sullo stesso piano parole per me evidentemente ironiche come “Quei due non me la raccontano giusta” con parole pesanti, terribili, come quelle riferite ad avere appreso che il Generale Subranni era “punciuto” o sulla raccomandazione di chiudere le finestre perché qualcuno, da una postazione situata nel Castello Utveggio poteva spiarlo.”

“Io immagino che ci sia anche qualcuno che consiglia i miei nipoti e l’avvocato Trizzino, probabilmente tra i Ros, che invece io ho sempre condannato, perché hanno grosse responsabilità morali nonostante le assoluzioni.”

“…sinceramente non comprendo come mai dopo trent’anni loro (i figli di Borsellino) abbiano deciso di consegnare una scansione (della agenda marrone di Paolo Borsellino) alla Commissione antimafia, e cosa pensano che si possa trovare.”

…”Dicono che la mafia non può essere diretta da nessuno? (Avvocato Trizzino legale dei figli di Paolo Borsellino) Io invece dico che è stata utilizzata anche da pezzi deviati dello Stato, il cosiddetto “deep-State”, responsabile del “golpe” avvenuto tra il 1992 e il 1993 con il cambio degli equilibri politici.”

 

Le CAUSE della STRAGE

Secondo i figli di Paolo Borsellino, l’elemento acceleratore della strage fu l’interessamento del giudice, nell’ultima fase della sua vita, al dossier dei ROS su “mafia-appalti”.
Di tutt’altro avviso è Salvatore Borsellino, il quale in Commissione Antimafia ha sostenuto che occorre invece partire «dal furto di quell’Agenda, compiuto, ne sono certo, proprio da quelle stesse mani che hanno voluto la morte di mio fratello, e non sto parlando della mafia, ma di pezzi deviati dello Stato […]
È proprio da questo che si dovrebbe ripartire e non da un dossier “mafia-appalti” che, se pure può essere considerato una concausa, non è sicuramente la vera causa dell’improvvisa accelerazione di una strage che, a quel punto, non poteva più essere rimandata.  
Occorreva eliminare, e in fretta, chi rappresentava un ostacolo insormontabile per un disegno criminoso, teso, con l’ausilio anche dell’organizzazione mafiosa e dell’eversione nera, a cambiare gli equilibri di questo nostro disgraziato Paese
che da queste stragi, che io ho chiamato e continuerò sempre a chiamare “stragi di Stato”, è stato sempre segnato».

Precedenti…

“Io sono convinto che mio fratello è morto perché si è opposto a una scellerata trattativa, che tra l’altro abbiamo appreso in un’altra sentenza recente non essere neanche un reato.” MENTI IN FUGA 20.7.2022

“Le “menti raffinatissime” hanno accelerato, hanno voluto la morte del giudice Paolo Borsellino. 57 giorni dopo la strage di Capaci. Una «strategia della tensione» per mettere sotto scacco un intero Paese. Per l’ennesima Trattativa tra Cosa nostra e pezzi deviati delle Istituzioni. Non gli è bastata la morte violenta del giudice Giovanni Falcone, l’amico fraterno di Paolo Borsellino. Serviva un’altra dimostrazione di forza. Si doveva eliminare l’ostacolo più grande, più ingombrante. E nemmeno hanno trovato pace. Il piano prevedeva altri obiettivi: come l’Agenda Rossa (prelevata dalla borsa del magistrato in via D’Amelio subito dopo il botto, con i corpi martoriati e ancora caldi). Ma nemmeno davanti a questa vigliaccata si sono fermati.” 24.8.2020 WordNews

“Mio fratello morto ucciso perché si è opposto alla trattativa”AVANTI LIVE 25.9.2020

…”Paolo si era reso conto che un pezzo dello Stato stava tramando contro lui per eliminarlo, perché era di ostacolo a quella scellerata trattativa. Per questo è stato ucciso”. A dirlo, stamane, nel corso del convegno “La storia dell’antimafia come materia a scuola” è stato Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ucciso nel luglio del ’92 a Palermo.” ansa 26.5.2017

“Sono passati vent’anni da quando l’autostrada di Capaci veniva sventrata da tonnellate di esplosivo che facevano strazio dei corpi del giudice Giovanni Falcone, sua moglie Franca Morvillo e degli uomini della scorta. Poco più di un mese dopo, un’autobomba piazzata in via D’Amelio a Palermo mieteva la vittima di Paolo Borsellino. La mafia aveva alzato il tiro, reclamava il rispetto di quei patti presi da una classe politica -quella della Prima Repubblica- ormai giunta sull’orlo del collasso. Il sistema stava per mutare e Cosa Nostra pretendeva prepotentemente di avere un posto d’onore nel nuovo assetto che si andava a delineare.” FANPAGE  27.5.2012

 

22.6.2018 “Ti chiedo scusa per le incaute affermazioni di un membro della mia famiglia”

 

26 novembre 2015

VIDEO


22.7.2014 Salvatore Borsellino: “L’abbraccio a Ciancimino? Lo rifarei”

“Si lo so quell’abbraccio a Massimo Ciancimino in via D’Amelio, nel giorno delle celebrazioni per la strage, ha creato polemiche, a molti non è piaciuto qualche giornalista ci ha scritto sopra. Ma io lo rifarei. Quell’uomo è il principale testimone del processo sulla trattativa. Non sono per nulla pentito”. Lo dice Salvatore Borsellino, fratello del procuratore aggiunto di Palermo, Paolo, ucciso nella strage del 19 luglio 1992 con cinque agenti della polizia di Stato che lo scortavano.
Borsellino aggiunge: “Ho manifestato solidarietà a Ciancimino per le scelte che ha fatto, che paga e pagherà, perchè non vuole che il suo cognome pesi sul figlio così come ha pesato su di lui. Il giudizio penale lo dà la giustizia. So che è stato condannato in via definitiva per riciclaggio. Ma a un uomo che mi chiede di venire in via D’Amelio con suo figlio bambino non posso dire di no. E ho sentito di salutarlo così come ho fatto. Non sono pentito e lo rifarei anche dopo aver letto le critiche”.
“Prima della creazione del movimento delle agende rosse – prosegue – in via D’Amelio venivano anche gli ‘sciacalli’ persone che moralmente sono responsabili della morte di Paolo. Ciancimino ha permesso lo svolgimento del processo Stato-mafia. E’ uno dei principali testimoni se non il principale. Non si è tirato indietro. Questa città, la cosiddetta Palermo bene, che prima affollava le sue feste e accorreva ai suoi inviti ora lo evita e gli volta le spalle. Io no e apprezzo la sua scelta di collaborazione con la giustizia”. LA REPUBBLICA


20.7.2014 Quell’abbraccio da cancellare in via D’Amelio

La maschera di disperata rabbia che disegna il volto di Salvatore Borsellino impone il massimo rispetto per le scelte e le azioni di quest’uomo. In quel suo sguardo spaesato e deciso insieme, si legge il dolore incancellabile per la morte del fratello Paolo e per il gioco a rimpiattino sulla verità che si cela dietro la strage di via D’Amelio condotto da mafie e pezzi deviati dello Stato. Lui, oltre che un cittadino come noi ansioso di sapere finalmente chi e perché ha deciso le stragi del ’92, è anche il fratello del giudice ucciso in via D’Amelio.
Insomma, se per noi le bombe che uccisero prima Falcone e poi Borsellino, insieme alle loro scorte, sono un inquietante mistero di Stato, per lui quel pezzo di storia d’Italia è anche un dolore carnale, ineliminabile. Quell’uomo cerca la verità non solo su un servitore dello Stato ucciso, forse, con la complicità di settori dello Stato (c’è il processo Trattativa, ma non dimentichiamo il depistaggio con arresto di innocenti messo in atto da poliziotti e “avallato” da giudici all’indomani della strage), ma su suo fratello cancellato agli affetti dal tritolo in una strada di Palermo domenica 19 luglio del 1992.
Eppure, neppure quella maschera dolorosamente spaesata può giustificare l’abbraccio tra lui, Salvatore Borsellino, fratello di Paolo e leader del movimento delle Agende rosse e Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo, Vito, testimone chiave del processo Trattativa (molti uomini di Stato hanno risposto alle domande dei pm solo dopo alcune sue rivelazioni), ma anche condannato per riciclaggio e, con ogni probabilità, ancora custode dei segreti sulla effettiva consistenza del patrimonio, costruito sul sangue e sulla violazione delle leggi, lasciatogli dal padre. Intanto, colpisce l’intensità di quell’abbraccio.
Nelle fotografie, si vede Salvatore Borsellino che quasi si abbandona tra le braccia del figlio di don Vito. 
A quella maschera di rabbia disperata che cerca la verità sulla morte del fratello si può perdonare tutto, ma la ragione impone di valutare gli atti e i simboli che essi disegnano. Se proprio si doveva accogliere Massimo Ciancimino nel giorno della commemorazione in via D’Amelio, poteva bastare una stretta di mano. Perché, sarà anche vero- come ricordano le Agende rosse- che il figlio di don Vito ha “donato” trecento euro per una loro campagna pubblicitaria, ma quell’uomo è pur sempre uno condannato per aver riciclato i soldi del padre, che ne conserva ancora segreti, bancari e non, che nel 2013 (era già teste nel processo Trattativa) fu intercettato al telefono con il suo commercialista, uomo tra l’altro legato alla ‘ndrangheta.
I due parlavano di affari in termini quantomeno inquietanti e Massimo Ciancimino si vantava di poter fare tutto proprio perché era diventato “un’icona dell’antimafia” e, dunque, godeva di una sorta di impunità.  Così, giusto per ricordare che qualcuno- nei giorni successivi a quel 19 luglio del 1992- scrisse sui muri di Palermo, con felice intuizione: “Meglio un giorno da Borsellino che cento da Ciancimino”. E che a Palermo, più che altrove, è sempre bene tener distinti i ruoli e le storie personali. Soprattutto quando queste non sono del tutto chiare.  LA REPUBBLICA 

 

Anche Asparinu in Via D’Amelio invitato da Salvatore Borsellino


13 giugno 2023 Salvatore Borsellino: “Berlusconi sapeva la verità sulla morte di mio fratello, non la conosceremo mai”

 

A Fanpage.it, dopo la morte di Silvio Berlusconi, parla Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo ucciso da Cosa Nostra con una bomba in via D’Amelio a Palermo il 19 luglio del 1992: “Berlusconi sapeva la verità sulla strage”.

 

A Fanpage.it, dopo la morte di Silvio Berlusconi, parla Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo ucciso da Cosa Nostra con una bomba in via D’Amelio a Palermo il 19 luglio del 1992.

Che ricordo ha di Silvio Berlusconi? Non sono cristiano. Ma se dovessi dire qualcosa preferirei sperare che non riposi in pace così come non riposeranno in pace tutte le vittime delle stragi di mafia nel nostro Paese e sul quale c’è ancora un forte punto interrogativo. Berlusconi era ancora indagato dalla Procura di Firenze (insieme a Dell’Utri) come mandante esterno delle stragi del 1992 e del 1993. Purtroppo non potrò confidare in una giustizia.

Secondo lei Berlusconi che segreti non ha mai rivelato sulle stragi? I segreti riguardano la verità sulle stragi del ’92 e del ’93. Ora con la sua morte si chiuderanno probabilmente le inchieste per morte dell’indagato e quindi la verità non la sapremo mai.

Secondo lei Berlusconi sapeva la verità sulla strage di via d’Amelio? Assolutamente sì.

Ora per arrivare alla verità su cosa bisogna sperare?  Con la morte di Berlusconi ora possiamo sperare che i Graviano decidano di collaborare con la magistratura.

Perché dice così? Perché i Graviano speravano che Berlusconi li potesse aiutare a uscire dal carcere. Speravano in un aiuto dalla politica. Ora spero che, siccome non possono più sperare di essere ascoltati da Berlusconi, decidano di collaborare. Anche se questo sarà molto difficile.

Berlusconi non ha mai incontrato negli anni voi familiari di Paolo Borsellino?  No, non avrei mai neanche voluto incontrarlo. Solo una volta Berlusconi, era appena diventato presidente del Consiglio, ha citofonato al campanello di mia sorella quando ancora abitava in via D’Amelio. Le ha chiesto di essere ricevuto: era in visita a Palermo. Ma mia sorella non l’ha fatto entrare. Avrei fatto lo stesso anche io.

Secondo lei cosa avrebbe detto Berlusconi a sua sorella? Avrebbe manifestato la sua solidarietà e vicinanza. Null’altro.