È quanto emerge dal report sulla presenza mafiosa in Lombardia presentato dalla Commissione antimafia regionale che spiega come sia necessario tenere alta l’attenzione sul territorio della provincia di Sondrio, oggi tra le meno toccate dalla presenza delle criminalità organizzate, in vista degli investimenti per le Olimpiadi invernali del 2026
Il report di Regione Lombardia
Melillo, armi da guerra intrecciano interessi terrorismo e mafie
Come ha spiegato il responsabile del progetto di ricerca, il professor Nando Dalla Chiesa, il report esamina le principali dinamiche evolutive dell’infiltrazione della criminalità organizzata nelle attività economiche in Lombardia nel periodo 2018-2021, anni in cui la crisi senza precedenti di interi comparti del commercio e del turismo prodotta dal lockdown e dalla “rivoluzione passiva” delle relazioni sociali, ha aperto varchi veloci e inaspettati in aree vitali dell’economia lombarda.
La presidente della Commissione: “Documento essenziale per prevenzione e contrasto”
Milano-Cortina: Dia, rischio infiltrazione mafie in appalti
Si tratta di un aggiornamento, ha spiegato la presidente della commissione Monica Forte, “che rappresenta un documento essenziale per il lavoro di prevenzione e di contrasto della criminalità organizzata nella regione. Siamo orgogliosi di prepararci al passaggio di testimone lasciando in eredità anche questo enorme patrimonio conoscitivo che in questa legislatura è stato supporto fondamentale e in alcuni tornanti ha orientato l’azione della Commissione”. “Non è un’analisi fine ha sé stessa”, ha aggiunto Marco Alparone, sottosegretario alla presidenza di Regione Lombardia, “ma parte di un processo di costruzione di un modello che deve essere operativo sul territorio e richiede quindi analisi di contesto reali ed attualizzate”. La presidente Forte ha quindi informato che è allo studio una revisione della legge regionale sul contrasto alla criminalità organizzata, per attualizzarla e renderla uno strumento ancora più efficace, rinforzando, fra l’altro, la lotta all’usura e le buone pratiche di tracciabilità e trasparenza degli
La mafia avanza in tutta Lombardia. Estorsioni e usura, boom di minacce
Un’avanzata non sempre silente e pacifica, segnata da un fenomeno di intimidazione strisciante e di violenza a bassa intensità: così la Lombardia è diventa la seconda regione di ‘ndrangheta d’Italia. “Ma lo Stato non sta a guardare”, sottolinea il professor Nando Dalla Chiesa, direttore dell’Osservatorio sulla Criminalità Organizzata dell’Università degli Studi di Milano che, per conto della Regione e in collaborazione con Polis, ha elaborato il nuovo Monitoraggio della presenza mafiosa in Lombardia basato su inchieste giudiziarie e delle forze dell’ordine ed interviste, aggiornato al 2021.
Oltre alla ‘ndrangheta, si nota un ritorno, che gli inquirenti ritengono significativo, di Cosa nostra siciliana, mentre si colgono tendenze a emulare il modello mafioso da parte di alcune organizzazioni criminali straniere. Gli analisti hanno attribuito un rating alle varie province, da 1 a 5, dove 1 rappresenta la massima minaccia mafiosa, definita in relazione alle caratteristiche proprie della realtà settentrionale. Si nota subito che nessuna provincia lombarda ha il punteggio minimo, 5, che denota la quasi inesistenza della minaccia.
Sondrio e Lodi sono a 4: la mafia non è assente, ma c’è un tessuto pronto a denunciare. Si accentua, invece, un forte dinamismo mafioso tra Varese, Lecco e Como: quest’ultima passa dal livello 2 a 1, il massimo. “La loro funzione – scrivono i ricercatori – sembra diventare via via più importante negli anni. Senz’altro per il livello di radicamento raggiunto e la ormai conclamata stabilità delle ‘famiglie’ calabresi che le presidiano, con evidenti processi di ricambio generazionale. Ma anche per una nuova funzione di cerniera operativa da esse svolta (specialmente da Varese e Como) verso la Svizzera: meta, quest’ultima, di nuovi e rapidi spostamenti da parte dei clan, vuoi per meglio sfuggire alla repressione sul territorio lombardo vuoi per innestare nuove ‘colonie’ nel complessivo tessuto della propria diffusione europea”. All’attenzione degli investigatori e degli analisti si impone il ruolo dell’area sud-orientale della regione, in particolare di Cremona e di Mantova, che sta dimostrando segni di permeabilità. IL GIORNO
LA NUOVA MAPPA DELLE MAFIE IN ITALIA
Riciclaggio, infiltrazione del tessuto economico-imprenditoriale, massicci investimenti di capitali di provenienza illecita nel circuito legale: è questo il modello di business privilegiato dalle mafie nostrane nelle regioni del Nord e del Centro Italia, dove la “piovra” risulta sempre più radicata. Lo ha fotografato l’ultima relazione della Direzione Investigativa Antimafia (Dia), riferita al secondo semestre del 2021, da cui emerge nitidamente come il combinato disposto fra pandemia e crisi economica abbia contribuito al rafforzamento dell’azione pervasiva delle mafie «colonizzatrici», sempre più proiettata verso logiche di «mimetizzazione» e inquinamento dell’economia sana.
La Lombardia, dove sono presenti 25 locali di ‘ndrangheta, è la regione che si classifica al primo posto per il numero di transazioni e movimentazioni finanziarie anomale in funzione del rischio di riciclaggio. II modello delle ‘ndrine, storicamente improntato al controllo «militare» del territorio, è ora maggiormente orientato al paradigma imprenditoriale, mentre l’elemento della violenza è contemplato solo nei casi di extrema ratio. Accanto alle attività criminali tradizionali, come estorsioni, usura, corruzione e traffico di stupefacenti, spiccano infatti quelle «a basso rischio» sul piano della sanzione penale, tra cui lo smaltimento dei rifiuti e il relativo traffico illecito, in cui anche la camorra gioca un ruolo significativo.
In Piemonte, la mafia calabrese esercita la propria supremazia lasciando margine di manovra anche alle cellule criminali riconducibili a Cosa nostra in nome di una «reciproca accettazione». L’attitudine degli affiliati alle ‘ndrine, che da decenni si spartiscono il controllo sulle province della regione (si contano ben 16 locali), è ancora una volta quella di agire «sotto traccia» per non suscitare la reazione delle forze dell’ordine. La medesima strategia è adottata anche in Liguria, ponte tra le regioni del Nord, la Versilia e la Costa Azzurra, dove la ‘ndrangheta è presente in maniera capillare in ragione del rigoglioso tessuto economico-imprenditoriale del territorio e trova la prima fonte di guadagno nel traffico e nello spaccio di stupefacenti. I calabresi sono ormai radicati anche in Valle d’Aosta, dove i Nirta-Scalzone, dediti al «lavaggio» del denaro sporco, hanno costituito una locale. In Veneto spadroneggia la cosca dei Grande-Aracri ed è molto influente la compagine dei Casalesi. Presente Cosa nostra, le cui cellule sono operative nel riciclaggio di capitali attraverso investimenti immobiliari, in particolare nella città di Venezia, e nella commissione di rilevanti frodi fiscali. L’allarme è suonato anche nel resto del Nord-Est, terreno fertile per il riciclaggio e «ponte» per il traffico di droga.
Nel centro Italia, Lazio ed Emilia-Romagna risultano le regioni più esposte agli interessi delle consorterie criminali. La «torta» della Capitale è spartita tra varie organizzazioni: oltre alla ‘ndrangheta, ci sono i camorristi degli Amato-Pagano e dei Contini, operosi nella gestione di numerosi esercizi commerciali (in particolare nel settore della ristorazione); c’è la mafia brindisina, attiva nel narcotraffico; c’è Cosa nostra, rappresentata da soggetti riconducibili alle famiglie Graviano e Santapaola. A dividersi il potere sul litorale sono invece i calabresi, gli agrigentini della famiglia Triassi e i gruppi autoctoni Spada e Fasciani. Nella provincia di Viterbo la ‘ndrangheta scende a compromessi coi Casamonica, mentre il basso Lazio, in cui l’indice di permeabilità si attesta sui livelli più alti, è tradizionalmente terra di conquista dei clan di camorra, sebbene la mafia calabrese abbia ampliato anche qui il suo raggio d’azione. Anche in Emilia-Romagna lo scettro criminale appartiene alla ‘ndrangheta, che con i Grande Aracri fa affari nelle province di Bologna (dove si sono installati anche i Molè-Piromalli) e Reggio Emilia. Presenti anche i Casalesi e gli Zagaria, attivi nell’ambito del riciclaggio e delle truffe in danno di società assicurative, dell’esercizio abusivo del credito e dell’intestazione fittizia di beni.
La compresenza di ‘ndrangheta e camorra riguarda anche l’Umbria, in cui le consorterie mafiose concentrano i propri interessi nella ristorazione e nell’edilizia. Stesso scenario in Toscana, dove le mafie incamerano denaro con il racket della prostituzione e il traffico di rifiuti o prodotti contraffatti per poi reinvestirlo nel settore immobiliare, del turismo e della ristorazione. Anche nelle Marche, dove operano affiliati di ‘ndrangheta, camorra e Sacra corona unita, la criminalità organizzata punta ad essere «mimetica», investendo sulla connivenza con la cosiddetta «borghesia mafiosa» dei white collar.
La ‘ndrangheta si conferma la consorteria più potente e pericolosa: la sua capacità di infiltrare la «zona grigia» di pubblici dipendenti infedeli e professionisti compiacenti – in particolare grazie agli ingenti proventi del narcotraffico internazionale – è pienamente dimostrata dalle recenti operazioni di polizia e dalle risultanze processuali. Camorra e Cosa nostra, dal canto loro, non stanno a guardare, conquistando nuove fette di mercato. Intanto, sullo sfondo, si staglia l’erogazione dei fondi del Pnrr, che già da mesi ha calamitato gli appetiti delle cosche.
NAPOLI La città in mano all’Alleanza e ai Mazzarella
II territorio di Napoli è controllato da due grandi cartelli criminali. II più potente è l’Alleanza di Secondigliano, di cui fanno parte i clan Contini, Licciardi e Mallardo, che esercita la sua influenza in quasi tutte le zone della città partenopea. Gli si oppone quello guidato dalla famiglia Mazzarella,
presente soprattutto nel centro e nella zona orientale del capoluogo. L’Alleanza ha il controllo della gran parte delle attività economiche, sia nell’ambito della ristorazione che in interi settori commerciali e del terziario. Capaci di instaurare fruttuosi rapporti collusivi con frange compiacenti della pubblica amministrazione, i Mazzarella concentrano invece il proprio business sull’imposizione di tangenti sui grossi appalti. I gruppi più violenti di Napoli sono in realtà clan “minori”, presenti in gran numero, la cui azione rientra comunque sotto l’egida dei due macro-cartelli, rispetto a cui finiscono quindi per assumere un ruolo strumentale.
PALERMO Così Cosa Nostra infiltra gli appalti
La città di Palermo continua a essere suddivisa in 8 mandamenti, composti in totale da 33 famiglie. Negli ultimi anni, la “competenza territoriale” dei mandamenti e dei clan è risultata sempre meno rigida rispetto al passato: essendosi “orizzontalizzata” la logica strutturale della consorteria, si assiste spesso ad accordi inter-mandamentali, che variano a seconda degli equilibri di potere in atto. Gli interessi delle famiglie mafiose sono concentrati nel settore del racket (l’imposizione del pizzo resta “necessaria”, in particolare per il sostentamento delle famiglie dei detenuti), del traffico degli stupefacenti e del riciclaggio. Infiltrando la Pubblica Amministrazione mediante la sua potenza corruttiva, Cosa nostra risulta ancora molto abile nel condizionare l’iter procedurale in materia di appalti pubblici e nel controllo del ciclo dei rifiuti. Rimane poi centrale l’interesse dell’organizzazione verso la gestione delle scommesse illegali, trampolino per il controllo della filiera del gioco lecito.
FOGGIA Le batterie criminali si ricompattano
A Foggia continuano a convivere tre storiche “batterie” criminali. La più forte è senz’altro quella dei MorettiPellegrino-Lanza, attiva nel traffico di droga, nelle estorsioni e nel riciclaggio di denaro in attività commerciali; i suoi alleati sono i Sinesi-Francavilla, operosi nel settore dell’usura e delle estorsioni; in decrescita, invece, l’influenza dei Trisciuoglio-PrencipeTolonese, svantaggiati dai nuovi assetti di potere, sebbene il regime detentivo domiciliare recentemente accordato in favore di figure di rilievo del gruppo potrebbe presto rinforzarne le ambizioni criminali. Fortemente indebolite dalla stretta investigativa e giudiziaria e, di conseguenza, dalle condanne di quasi tutti i loro personaggi di vertice, le compagini della “società foggiana” stanno rimodulando il proprio impianto strutturale e relazionale, mirando a ricompattarsi in maniera organica e a costituire un organismo comune di vertice di tipo collegiale.
CATANZARO Usura e droga: le ‘ndrine puntano a rigenerarsi
A Catanzaro rimane solida la presenza dei clan “storici” della città, ovvero i Grande Aracri di Cutro, i Gaglianesi e gli Zingari (di cui fanno parte le famiglie Costanzo Di Bona, Abbruzzese-Bevilacqua, Passalacqua e Berlingeri). L’attività criminale dei clan catanzaresi risulta incentrata sull’usura, che costituisce spesso lo strumento utile alla successiva rilevazione di attività economiche in sofferenza e al conseguente affidamento ai prestanome dell’organizzazione. Le famiglie mafiose, che stanno vivendo una intensa fase di “rigenerazione” causata dalle inchieste e dagli arresti che ne hanno colpito le figure di vertice e affiliati di notevole caratura, risultano sempre più abili nella penetrazione dei contesti economici, politico amministrativi e sociali della città. Potentissime nel business della droga, le ‘ndrine della città conservano un ruolo di prim’ordine nell’importazione e nella distribuzione di marijuana, hashish, cocaina ed eroina.
Mafia in Lombardia, il rapporto: “È la seconda regione della ‘ndrangheta in Italia. Interesse dei clan per il Pnrr e i fondi delle Olimpiadi”
Il metodo del rating –Il metodo usato nella ricerca è quello “delle agenzie di rating” spiega il professore Nando Dalla Chiesa, presidente di Cross. Attraverso l’analisi di diversi parametri i ricercatori hanno assegnato un punteggio da 1 a 5 alle singole province lombarde dove 1 rappresenta la “massima minaccia mafiosa”. Dalla mappa emerge una “dorsale” costituita dalle province di Milano, Monza Brianza e Como. Ed è proprio in quest’ultima area che negli ultimi anni si sono moltiplicati i “segni eterogenei di una particolare effervescenza dei clan”. Da Mariano Comense a Cantù dove nel corso di un processo i famigliari e gli amici degli imputati hanno fischiato e disturbato il pubblico ministero durante il dibattimento. E poi c’è una questione legata alla posizione geografica. La provincia comasca ha acquisito un nuovo ruolo cerniera nei rapporti tra Italia e Svizzera registrando movimenti mafiosi in entrambe le direzioni e “aumentando indubbiamente in quantità e in qualità la presenza di mafia evidenziata”.
La provincia vergine e le Olimpiadi –Ma l’attenzione dei ricercatori si è concentrata anche su quelle zone dove in passato non si era registrata una presenza radicata delle organizzazioni mafiose, come Sondrio. Una provincia “praticamente vergine” ma che negli ultimi anni ha visto manifestarsi dei segnali pericolosi. “Attenzione al movimento terra e alle estorsioni in questa zona – avverte il professor Dalla Chiesa – chi pensa che non sia più una mafia predatoria vada a guardare i dati sulle estorsioni”. La provincia di Sondrio ha registrato negli ultimi anni il tasso più alto di crescita delle denunce per estorsione. Un segnale da non sottovalutare se si pensa che proprio in questa zona arriveranno i fondi pubblici destinati alle infrastrutture in vista delle Olimpiadi del 2026. “È verosimile che l’arrivo di importanti finanziamenti legati al Pnrr prima e alle Olimpiadi invernali poi, indurrà le organizzazioni mafiose e, in particolar modo, la ‘ndrangheta a tentare di ‘allungare il passo’ verso l’economia legale del territorio”, si legge nel rapporto.
La mimetizzazione – La situazione in Lombardia è “allarmante” secondo la procuratrice aggiunta Alessandra Dolci che coordina la Dda di Milano. “Questo processo di mimetizzazione e di ricerca del consenso sociale da parte della ‘ndrangheta è pericoloso per la nostra economia perché rischia di alterare le regole del mercato”. I fondi in arrivo del Pnrr rimangono “al centro dell’attenzione” dell’attività investigativa. Uno sforzo che però non sempre è corrisposto dalle istituzioni locali. “La ‘ndrangheta beneficia spesso della mancanza di consapevolezza di segmenti della classe dirigente – conclude il professor Dalla Chiesa – ogni tanto ci sono dei comuni che vivono con fastidio l’osservazione del fenomeno mafioso sul proprio territorio. Le amministrazioni dovrebbero cercare di capire e di chiederci cosa fare, non querelarci. Anche io sono stato querelato”.
di Simone Bauducco| 28 Ottobre 2022 FQ
DOCUMENTAZIONE
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COMMISSIONE PARLAMENTARE DI INCHIESTA SUL FENOMENO DELLA MAFIA IN SICILIA 1976: LA RELAZIONE DI MINORANZA DI PIO LA TORRE E CESARE TERRANOVA
COMMISSIONE PARLAMENTARE ANTIMAFIA AUDIZIONI DOTTOR BORSELLINO – AUDIO E TESTI
COMMISSIONE ANTIMAFIA CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA
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