🟥 MAFIA e APPALTI cronologia

 

 

 

 


🟧 1990

2 luglio 1990 TESTO

22 giugno 1990  Commissione Parlamentare AntimafiaMafia e appalti. Dichiarazioni del dottor Giovanni Falcone in audizione, illustra gli elementi che lo inducevano a riscontrare l’esistenza di una centrale unica per il controllo illecito sulle procedure di appalto in Sicilia con cui Cosa Nostra si assicurava un’ingente mole di proventi finanziari. – XI_Leg_miss_PA_22 giu. 1990_parte Falcone e magistrati

Da pag. 81 –  Falcone: “A me sembra che cercare di stabilire se questo comitato d’affare sia isolano o nazionale urti contro i presupposti del ragionamento, cioè la TERRITORIALITA’ dell’organizzazione mafiosa, che controlla le opere pubbliche eseguite nella zona.
Alcune opere vengono aggiudicate altrove. Il problema sarà ampiamente chiarito, ma non posso farlo completamente in questo momento perché non credo sia opportuno. Ma il punto è sempre lo stesso: il presupposto dell’intervento dell’organizzazione mafiosa sta nel controllo del territorio: altrimenti non vi sarebbe alcuna possibilità di intervenire.
Qualsiasi impresa, italiana o anche straniera, che operi in queste zone è sicuramente soggetta agli stessi problemi: questo è sicuro. Per quanto riguarda quello che diceva il senatore Calvi, io credo che noi non dovremmo dire altro se non che a nostro giudizio – confortato dalle decisioni del giudice per le indagini preliminari – sono emersi elementi di responsabilità a carico di certi funzionari dell’amministrazione pubblica e di certi imprenditori. Tutto il resto, a mio avviso, NON deve essere oggetto di valutazione da parte del magistrato.

 

🟧 1991

 

15 marzo 1991 – Le infiltrazioni della criminalità organizzata negli appalti – di Giovanni Falcone SEGUE


16 febbraio 1991 – RAPPORTO R.O.S CARABINIERI     SEGUE


23 agosto 1991 – Ministro Giustizia MARTELLI restituisce a Procuratore GIAMMANCO dossier coperto da segreto Mafia e Appalti   SEGUE

 

🟧 1992

 

25 maggio 1992 ANTONIO DI PIETRO: “Ero ai funerali di Giovanni Falcone. Paolo Borsellino mi si avvicinò e mi disse: Tonì, facciamo presto, abbiamo poco tempo.”  SEGUE

 

19 giugno 1992 Richiesta e Decreto di Archiviazione  SEGUE

 

 

25 giugno 1992 – Provvedimento di Distruzione Intercettazioni SEGUE

 

25 giugno 1992 L’incontro segreto di Borsellino con i ROS alla Caserma Carini   SEGUE

 

 

13 luglio 1992 Richiesta e Decreto di archiviazione  SEGUE

… A partire dal 1989, i Carabinieri del Raggruppamento Operativo
Speciale, Reparto Criminalità Organizzata, iniziavano indagini volte a verificare la sussistenza di infiltrazioni mafiose nel sistema degli appalti nel territorio della provincia di Palermo.
… dette intercettazioni, che si attuavano nel periodo compreso fra il 20/12/1988 e il 5/6/1989, sebbene non utilizzabili ai fini processuali, offrivano spunti concreti per ulteriori indagini giudiziarie, poiché ponevano in luce una fitta sequenza di contatti del Siino con imprenditori, tale da far sorgere fondati indizi di una attività di costui, finalizzata ad interferire nello svolgimento di gare di appalto indette sia da enti pubblici, sia, particolarmente dalla SIRAP. s.p.a. (una società a capitale misto che aveva, o avrebbe indetto con fondi pubblici gare di appalto per la realizzazione di 20 aree attrezzate per importi di circa 50 miliardi ciascuna)

 

14 luglio 1992 QUELLA INFUOCATA RIUNIONE DEL 14 LUGLIO  SEGUE

 

 

 

 

18 luglio 1992 Borsellino, l’omicidio Ranieri e il fascicolo 5261/90 prelevato da BORSELLINO il giorno prima di morire– Servizio tratto da RAI 2 LINEA di CONFINE  a cura di Claudia Aldi  VIDEO

 

19 luglio 1992 Strage di Via D’Amelio  SEGUE

 

29 luglio 1992 GOZZO – Borsellino, 5 giorni prima della strage, ai colleghi: «Approfondite mafia-appalti!».  SEGUE 

 

 

Luglio 1992 AUDIZIONI CSM degli ex PM GIAMMANCO, PIGNATONE, NATOLI, SCARPINATO e LO FORTE    SEGUE

 

🟧 1997

 

1997. MAFIA e APPALTI – LIANA MILELLA: ecco cosa pensava il dottor FALCONE della gestione della Procura di Palermo  SEGUE

 

 

12 novembre 1997 INGROIA,  NELL’AGENDA DI FALCONE APPUNTI SU MAFIA E APPALTI   Nell’agenda elettronica di Giovanni Falcone erano stati annotati alcuni appunti riguardanti, tra l’altro, le indagini su mafia e appalti condotte dai carabinieri del Ros, su Gladio e la P2. Proprio quegli appunti avevano attirato l’ attenzione del procuratore aggiunto di Palermo Paolo Borsellino.  Lo ha sostenuto stamane ANTONIO INGROIA, uno dei magistrati piu’ vicini a Borsellino, deponendo davanti alla Corte d’ Assise di Caltanissetta, nel processo-bis per la strage di via D’ Amelio.  Il teste ha ricordato che dopo la strage di Capaci Borsellino ritenne che le ”piste” per capire chi avesse ordinato l’ assassinio di Giovanni Falcone potevano essere cercate proprio negli appunti trascritti sull’agenda elettronica.  Falcone annotava soltanto le cose importanti – ha detto Ingroia – e quegli appunti avevano colpito l’attenzione di Borsellino”.  Il magistrato ha precisato che Borsellino aveva chiesto di essere  sentito dagli investigatori sulla strage di Capaci, dopo una valutazione di indizi ed ipotesi. Il magistrato ha anche affermato che la strage di via D’Amelio era ”prevedibile” e che non furono prese ”misure adeguate” per proteggere Borsellino nei luoghi che abitualmente frequentava, come la strada in cui abitava la madre. SEGUE

 

🟧 1998

 

1998 – MAFIA E APPALTI –  Giancarlo Caselli interroga Antonio Di Pietro e la signora Agnese Borsellino.  SEGUE

12 novembre 1998 MAFIA – APPALTI e i “Memoriali Nicolosi”  SEGUE

 

🟧 1999

 

  • 24 gennaio 1999 Borsellino, Brusca, Riina e mafia appalti – L’Unità   SEGUE

3 febbraio 1999  Il procuratore GIANCARLO CASELLI  deposita in Commissione Parlamentare Antimafia la “Relazione sulle modalità di svolgimento delle indagini mafìa-appalti negli anni 1989 e seguenti” in occasione dell’audizione presso la commissione Parlamentare Antimafia   SEGUE

 

10 febbraio 1999 – Appalti, ecco perché fu ucciso Borsellino SEGUE

 

Luglio 1999 – Ordinanza di archiviazione Giammanco, Lo Forte, Pignatone, De Francisi    

 

🟧 2006

 

Nel 2006 il boss pentito Antonino Giuffrè dichiarava a verbale:

(…) “Un motivo è da ricercarsi, per quanto io so, nel discorso degli appalti.
Perchè si sono resi conto che il dottor Borsellino era molto addentrato in questa branca, cioè in questo discorso mafia, politica e appalti. E forse alla pari del dottor Falcone”.
“Il dottor Borsellino stava diventando più pericoloso di quello che addirittura si era pensato, in particolare per quanto riguarda il discorso degli appalti”.Nelle motivazioni  del Borsellino quater:“L’inquietante scenario descritto dal collaboratore (Giuffrè, ndr) trova precisi riscontri negli elementi di prova emersi nell’ambito del presente procedimento, che evidenziano l’isolamento creatosi intorno a Borsellino e la sua convinzione che la sua esecuzione sarebbe stata resa possibile dal comportamento stesso della magistratura”.
“Falcone e Borsellino erano pericolosi nemici di Cosa Nostra per la loro persistente azione giudiziaria svolta contro l’organizzazione mafiosa e in particolare con riguardo al disturbo che recavano ai potentati economici sulla spartizione degli appalti”

 

🟧 2017

 

 

12 luglio 2017 ALESSANDRA CAMASSA, magistrato …Quando uscì la vicenda del rapporto mafia- appalti dopo la morte del dottor Falcone sembrava che questo rapporto fosse una cosa segretissima, invece per la verità il rapporto mafia-appalti alla procura di Marsala era a tutti noto perché il dottor Borsellino lo fece leggere subito a tutti i sostituti come un rapporto fondamentale per conoscere alcune dinamiche di strategia di cosa nostra a livello imprenditoriale, anche se poi non ho seguito io le indagini, quindi non ho ricordi precisi, ricordo soltanto che il filone di Pantelleria con il sindaco Petrillo lo seguirono il dottor Borsellino e poi il dottor Ingroia in particolare, ma non so dirvi altro del rapporto mafia-appalti.
Ripeto: mi stupì il fatto che tutti considerassero questo rapporto segreto (quello che lo teneva nella cassaforte, l’altro che raccontava…) mentre io l’ho letto sul mio tavolo e avevo appena ventotto anni, non mi era stato neanche dato come segreto, comunque sono dinamiche che a volte sfuggono nelle procure di provincia rispetto alle procure più grandi. 🟥 Dall’audizione in Commissione Parlmentare Antimafia

 

🟧 2019

 

4 novembre 2019  Mafia: Violante, ‘per Procuratore Giammanco rapporto mafia e appalti era inconsistente(Adnkronos) – Il rapporto tra mafia e appalti del Ros dei Carabinieri del 1991 “era inconsistente”. Così lo avrebbe definito, nel corso di un incontro, l’ex Procuratore capo di Palermo Pietro Giammanco con Luciano Violante, che non era ancora stato nominato Presidente della Commissione antimafia. A raccontarlo in aula, per la prima volta, è lo stesso ex Presidente della Camera Violante, nel corso della sua deposizione nel processo d’appello sulla trattativa Stato-mafia. SEGUE

 

🟧 2021

 

 

 

 

27 maggio 2021 VITTORIO TERESI: “Falcone e Borsellino dissero che Lima fu ucciso per il dossier mafia-appalti»      SEGUE

 

 

Fiammetta ok

FIAMMETTA BORSELLINO E IL RAPPORTO MAFIA E APPALTI

 

🟧 2022

Borsellino, 5 giorni prima della strage, ai colleghi: «Approfondite mafia-appalti!»

 

  • 29.7.2022 AUDIZIONE DOMENICO GOZZO AL CSM
  • Il verbale del dr Gozzo è molto esplicativo sulla famosa riunione del 14 luglio 92 in procura.
    Una riunione in cui Borsellino chiede notizie sull’indagine prodotta dal dossier mafia appalti presentato dai Carabinieri del ROS nel febbraio ‘91. “C’è stata questa riunione il 14 luglio (che è stata l’ultima a cui ha partecipato Paolo BORSELLINO, era seduto due sedie dopo di me)..” Su “mafia e appalti”, quindi, c’era il collega PIGNATONE (se non ricordo male) e doveva esserci anche il collega SCARPINATO che però non potè venire per problemi di famiglia.
    Ho visto proprio questo contrasto più che latente, visibile, perchè proprio BORSELLINO chiese e ottenne che fosse rinviata, perché al momento aveva dei problemi, la discussione su questo processo e fece degli appunti molto precisi: come mai non fossero inserite all’interno del processo determinate carte che erano state mandate …

    • SANTORO: Quale processo?
    • GOZZO: “Mafia-appalti”, quello- SINO per intenderci. Fece queste affermazione: come mai non fossero contenute queste carte all’interno del processo e, poi, disse anche che c’era..
    • RUGGIERO: Di che carte si trattava?
    • GOZZO: Si trattava di carte che erano state inviate (quello che ho sentito là, chiaramente, posso riferire) alla Procura di Marsala – e nella fattispecie dal collega INGROIA, che adesso è anche lui alla Procura di Palermo – che era lo stesso processo però a Marsala. C’erano degli sviluppi e, quindi, erano stati mandati a Palermo e lui si chiedeva come mai non fosse stata seguita la stessa linea (insomma credo di aver capito dal …) e, poi, diceva che c’erano dei nuovi sviluppi (in particolare un pentito di questi che ultimamente aveva parlato), e sono rimasto sorpreso perché dall’altra parte si rispose: “ma vedremo”. Cioè, di fronte ad un offerta così importante (io riferisco i fatti): “Ma vedremo, se è possibile, ma è il caso di acquisirlo”.
    • RUGGIERO
    • GOZZO: Cioè da parte del relatore …Dott….Il collega PIGNATONE era il relatore.
    • SANTORO :Relatore e anche titolare del processo?
    • GOZZO: Titolare del processo insieme a SCARPINATO dovrebbe essere se non ricordo male (però, ripeto, SCARPINATO non era presente alla riunione).”

 

11 ottobre 2022 ‘MAFIA E APPALTI’ / LE AMNESIE DEL GIUDICE GUIDO LO FORTE

Ros”

 

 


 

0Le cave, la mafia e Borsellino. L’inchiesta torna d’attualità. La ricostruzione dell’indagine dell’avvocato Trizzino

 

Il 14 luglio 1992 c’è stata una riunione alla Direzione Distrettuale di Palermo e Borsellino chiese conto e ragione a Lo Forte ha affermato l’avvocato FabioTrizzino, legale dei figli di Borsellino,– perchè tra l’altro Giammanco è nella storia della Repubblica, primo e unico procuratore costretto a dimettersi per un ammutinamento dei suoi sostituti: io credo che non ci siano precedenti del genere. 

Borsellino voleva sapere a che punto fosse quel rapporto Mafia e Appalti e non gli dicono che il 13, il giorno prima, era stata fatta una richiesta di archiviazione, che venne ratificata il 14 agosto 1992”.
Lo Stato deve sapere che è stato lasciato solo da molti suoi colleghi, da qualcuno che voleva prendere delle iniziative senza consultarsi e quindi uccidendolo Riina ebbe la formidabile occasione di potere dar conto a quella parte di Cosa Nostra fatte da strane commistioni di massoni e imprenditori e dall’altra proseguire con la sua strategia stragista condivisa con Messina Denaro”

  • Estratto dalla memoria dell’Avv. Trizzino al processo MMD.  Borsellino gli disse che stava seguendo delle indagini sull’omicidio di Falcone e che aveva un’ipotesi. Quale? «Pensava che potesse esistere una connessione tra l’omicidio di Salvo Lima e quello di Falcone, e che il trait d’union fosse una questione di appalti, in cui Lima era stato in qualche modo coinvolto e che Falcone stava studiando».

 

 


 

 

 


 

 

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CSM – L’audizione di Maria  Falcone

fa comprendere lo stato di isolamento del fratello e i motivi per cui decise di andare via ma, soprattutto, vi sono le parole di BORSELLINO quando raccomanda alla signora Maria di evitare dichiarazioni pubbliche e aspettare perché ” lui potesse acquisire quelle prove…acquisire tutte quelle prove, tutti quei documenti che.. sa come vanno da voi le cose, è chiaro tutti i magistrati non fanno illazioni, non si basano…ma è chiaro che quando si vogliono fare riferimenti a determinate cose ci vogliono delle prove. 

BORSELLINO sapeva che doveva competere con un leone, e quindi doveva portare delle prove, delle cose inconfutabili, verso la fine mi ha anche detto, nel trigesimo della morte di Giovanni, durante la messa, che era molto vicino a scoprire delle cose tremende, delle cose terribili, che avrebbero fatto saltare parecchie cose.”

 

«Con Giovanni passavamo qui interi pomeriggi» mi racconta. Poi si fa serio, mi abbraccia e a bassa voce mi fa una promessa: «Devi credere in me, Maria, perché io alla verità ci arrivo». Resto senza parole, sorpresa dal tono grave: «Sto scoprendo cose che non puoi immaginare» mi sussurra. «Altro che Tangentopoli.» Capisco in quel momento che ciò che ha intuito indagando sulla morte di mio fratello in quella manciata di giorni lo ha sconvolto. Conosco Paolo, ha sempre pesato le parole e rifuggito l’enfasi. E, come Giovanni, non ha mai parlato delle indagini cui stava lavorando. Perciò non faccio domande, ma il dubbio sul significato di quelle rivelazioni solo accennate non mi ha mai lasciato. Tante volte negli anni mi sono chiesta a quali scenari alludesse, a quali sconvolgenti verità si fosse avvicinato, dove sarebbe potuto arrivare se non lo avessero fermato.” Estratto dal libro di Maria Falcone e Lara Sirignano “L’eredità di un giudice”



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  • 3.7.2024 Mafia e appalti, si indaga anche sull’ex procuratore Giammanco
  • Tanti anni fa, era il 2011, il tenente Carmelo Canale raccontò: «Dopo la strage Falcone, Paolo Borsellino mi disse che voleva arrestare il procuratore Giammanco».  SEGUE
  • 12 maggio 2021 Claudio Martelli rivela: “L’ex procuratore GIAMMANCO mi inviò l’inchiesta sugli appalti: una folliaSEGUE

 


 

Il funzionamento della gestione degli affari della S.I. R.A. P., è ben spiegato dalle dichiarazioni rese da Li Pera nel verbale del 14 giugno 1992:

 

La gestione di tutti gli affari della S.I. R.A. P. è avvenuta e avviene secondo un meccanismo operativo complesso e articolato, ben collaudato, che ha consentito e consente di pilotare opportunamente tutti appalti in questione, assicurando la tutela degli interessi di lucro privato di tutti i protagonisti di queste operazioni. Questo meccanismo cli gestione si fonda su un triplice asse di rapporti. Su un triangolo (per usare un’espressione figurata) i cui tre vertici sono costituiti dai politici interessati, dagli imprenditori e dai funzionari dei vari enti appaltanti e finanziatori. Quanto al ruolo dei referenti politici, va detto innanzitutto che la S. I. R.A.P.  è un ente voluto da alcuni personaggi politici al fine di gestire una certa fetta cospicua dei finanziamenti derivanti dalla legge 64/1986. Proprio per perseguire tale fine, i politici hanno fatto in modo che la S. I. R.A. P. abbia di fatto l’esclusiva e il monopolio nella gestione di tutti appalti dello specifico settore relativo agli insediamenti artigianali in Sicilia. Il ruolo dei politici è consistito, innanzitutto, nel creare la S.I.R.A.P. È consistito e consiste, poi, nell’ adoperarsi perché un determinato progetto di opera pubblica possa superare i vari passaggi dell’iter amministrativo-burocratico necessari e fare approvare il progetto, approvare e stanziare il Finanziamento e fare accreditare le relative somme alla S. I. R.A. P. che poi le gestisce secondo una logica corrispondente’ alla composizione delle aspettative dei tre centri interessi di cui ho detto con I ‘esempio del triangolo. La storia di qualunque opera pubblica fra quelle rientranti nell’ ampissimo programma S.I R.A. P. inizia con la scelta, da parte di uno dei politici che partecipano all’”operazione”, di un progettista di loro fiducia, al quale la S.I.R.A.P. affida l’incarico di redigere un progetto di insediamento artigianale da realizzare in un determinato paese, La legge 64/1986 prevede per ciascun anno una serie di finanziamenti suddivisi per destinazione. Ogni anno, quindi, vi è una certa somma di denaro destinata per legge a certi tipi di investimenti pubblici. Quando è stata promulgata la legge 64/1986, un certo gruppo di politici si è interessato alla “gestione “delle somme che sarebbero state destinate alla realizzazione degli di insediamenti artigianali. Questi politici hanno fatto costituire la S.I. R.A. P. e hanno invitato gli amministratori di molti Comuni della Sicilia (nell’ambiente si parlava di circa 120 Comuni) a presentare alla S. I. R.A. P. stessa domanda per l’ammissione al finanziamento per la realizzazione di un’area artigianale nel proprio territorio. Alcuni Comuni che non lo avevano previsto sono stati invitati a modificare loro strumenti urbanistici, prevedendo in essi la costituzione di un’area destinata specificamente a insediamenti artigianali. La S. I. R.A. P., poi, provvedeva a scegliere i Comuni dove realizzare questi insediamenti e ad affidare relativi incarichi per la progettazione degli insediamenti medesimi. La scelta del professionista da incaricare della redazione del progetto relativo a ciascun insediamento costituisce per diverse ragioni uno dei passaggi più importanti (per certi decisivo) dell’intera operazione.   Il progettista, infatti, è colui che, successivamente, compiuto l’iter burocratico della pratica e passati alla realizzazione dell’opera, assume l’incarico di direttore dei lavori. Ho già detto sopra come sia essenziale il ruolo del direttore dei lavori, che gestisce dal punto di vista tecnico-esecutivo l’appalto dall’inizio alla fine e la cui complicità, quindi, è indispensabile per pilotare la gestione dell’affare da parte della o delle imprese che si accordano con i politici e i funzionari responsabili dell’appalto stesso. Il progettista-direttore dei lavori è, nei fatti, il “garante” dei politici nella gestione dell’”operazione” sotto un duplice profilo.  Sotto un primo profilo. infatti, la certezza preventiva della Complicità del direttore dei lavori consente a chi deve aggiudicare l’appalto e all’ Impresa che lo deve vincere di accordarsi fra loro per assicurare un determinato esito alla gara d’ appalto medesima. Ciò perché solo la certezza preventiva della complicità del direttore dei lavori consente ad un’impresa di fare delle offerte vincenti nelle quali (come è avvenuto per i COSTANZO a Trecastagni) si impegna a cose che sona tecnicamente e/o commercialmente insostenibili alle quali si sa preventivamente che ci si riuscirà a sottrarre con strumenti per così dire di recupero successivo, quali, nella vicenda di Trecastagni, le perizie di variante. Le imprese che sono estranee all’accordo trilaterale politici -imprese-funzionari e che, quindi,  non possono contare sulla compiacenza certa a priori del direttore dei lavori possono fare, invece, solo offerte tecnicamente e commercialmente praticabili, perché, diversamente, il direttore dei lavori non complice esigerebbe da loro il rispetto degli impegni assunti , non consentendo loro né varianti né altro e costringendole a subire, quindi, i danni di un’ offerta temeraria perché non remunerativa (nella vicenda di Trecastagni, senza la complicità del direttore dei lavori l ‘ impresa dei COSTANZO non riuscirebbe ad onorare I ‘ impegno assunto a proposito dei termini di consegna dell’opera). Al direttore dei lavori compete, come ho già detto la redazione delle perizie di variante. Sotto un secondo profilo, il progettista-direttore dei lavori garantisce i politici perché compete a lui l ‘approvazione del lavoro fatto dalle Imprese e la redazione degli stati di avanzamento dei Lavori, grazie ai quali le imprese possono materialmente riscuotere i compensi per il loro lavoro. Ed egli firma gli stati di avanzamento dei lavori solo quando ha la certezza che l’impresa ha versato le tangenti pretese dai politici. Diversamente, blocca gli stati di avanzamento e trova una serie di cavilli da contestare all’impresa stessa. A riprova della importanza “strategica” della scelta del progettista-direttore dei lavori, segnalo che la progettazione e la direzione dei lavori di tutti i lavori della S. I. R.A. P. sono state assegnate sempre alle stesse persone. In particolare, la progettazione allo studio professionale “SASI PROGETTI” e la direzione dei lavori sempre all’ ing. Gaspare BARBARO, che è uno dei titolari dello stesso studio “SASI PROGETTI”, Non so se formalmente, nella progettazione, a “SASI PROGETTI venissero affiancati altri. Ciò che certo è che BARBARO c’è sempre. Il BARBARO è stato scelto con tutta evidenza per il prestigio che gli deriva dall’essere figlio del prof. Domenico BARBARO (noto e affermatissimo docente universitario e progettista di fama) e per il fatto dj essere contitolare dello studio del quale è consocio anche l’ing. Giuseppe ZITO. Quest’ultimo, cioè, opera accanto al BARBARO, in maniera ancora più decisiva, anche se apparentemente (e solo apparentemente) meno rilevante. Lo ZITO è il principale referente e protagonista di tutto il sistema di accordi di cui sto parlando. È lui il principale mediatore fra le imprese e i politici. E a riprova di ciò sta il fatto che era interlocutore e mediatore fra le imprese – per quanto i riguarda, la RIZZANT DE ECCEER – e la S.I.R.A.P. Con lui negoziavamo e concordavamo tutte le iniziative e soluzioni da adottare nella gestione degli affari che avevamo con la S.I.R.A.P.  Altro momento strategico importante è anche la nomina dell’ingegnere capo e dei collaudatori dell’opera. Il primo avrebbe per legge il compito di controllare il direttore dei lavori e il secondo di verificare che l’opera sia stata costruita nel rispetto dei parametri tecnici e amministrativi stabiliti contrattualmente. Anche costoro, dei quali pure si deve avere la previa certezza della complicità, sono scelti dai politici. Nel caso dei lavori di S. Cipirello l’ingegnere capo era l’ing. Giovanni CRIMAUDO, che mi risulta avere avuto lo stesso incarico anche in altri appalti della S.I.R.A.P. Quanto ai collaudatori, ciascuno di essi faceva capo ad una corrente politica. Questo emergeva addirittura in maniera palese quando capitava di assistere a delle discussioni fra loro. Essi, infatti, parlavano come portatori degli interessi dei partiti dei quali erano espressione. Ciascuno di essi era espressione di un determinato partito e tutti i partiti dei politici interessati erano “rappresentati’ nella commissione di collaudo. Fra tanti, ricordo il prof. COSTA, che era democristiano, e un architetto che all’epoca aveva i baffi e del quale non ricordo il nome che era socialista. Quanto fin qui ho detto, illustra, sia pure in estrema sintesi, il ruolo dei politici, nel “triangolo” a cui ho fatto riferimento. A riprova della artificiosità del sistema (o di una parte cospicua del sistema) con cui opera la S.I. R.A. P., voglio segnalare che i criteri di scelta del Comuni nei quali realizzare gli insediamenti artigianali non sono ispirati a esigenze effettive del territorio, ma sono connessi soltanto alla possibilità di realizzare con riferimento ai singoli progetti l’accordo trilaterale di interessi di cui ho parlato. A riprova di questo, si pensi che fino a quando io sono stato arrestato non c’era ancora una legge che stabilisse i criteri per l’assegnazione delle installazioni agli artigiani e alle piccole industrie né una legge che individuasse i soggetti deputati alla gestione di queste installazioni e dettasse i criteri di tale gestione. Mentre noi della RIZZANI DE ECCHER stavamo costruendo l’insediamento relativo al Comune di S. Cipirello (PA) l’ingegnere capo dell’ufficio tecnico della S. I.R.A.P. Maurizio MOSCOLONI, mi disse, tra serio e il faceto, che l’amministratore delegato della S. I.R.A. P. stessa, Nino CIARAVINO, gli aveva detto di raccomandarmi di non correre troppo nella realizzazione del lavoro, perché ancora non sapevano a chi e come assegnare le strutture che noi stavamo realizzando. Domanda: Chi erano i politici protagonisti di queste vicende? Rrisposta: Per quello che mi consta, Claudio DE ECCHER si rivolse all’ on. Salvo LIMA, al quale si fece presentare dall’ on. Vito BONSIGNORE, per entrare a far parte del gruppo di imprese che faceva parte del “comitato di affari” che ho descritto con l’immagine del triangolo. Era notorio a tutti nell’ ambiente che il referente politico principale del “‘sistema” S. I R. A.P. era l’on. Salvo LIMA. Claudio DE ECCHER ne parlò con me e convenimmo sul fatto che non potevo essere io a prendere contatti con l’on. LIMA. Claudio, allora, chiese all’ on. Vito BONSIGNORE, deputato al Parlamento e capo della corrente andreottiana in Piemonte, di prendergli un appuntamento con l’on. LIMA. Claudio DE ECCHER conosceva l’on. BONSIGNORE perché 1a RIZZANI DE ECCHER opera a Torino (dove il BONSIGNORE vive) da molti anni. Il BONSIGNORE è presidente del Consorzio deli ‘ autostrada Torino-Savona e di un’altra che adesso non ricordo. Il BONSIGNORE ottenne effettivamente a Claudio DE ECCHER l’appuntamento con l’on. Salvo LIMA. Claudio mi disse di avere chiesto a LIMA di entrare a fare parte del gruppo di imprese che partecipavano ai lavori S. I. R.A. P. e alle grandi opere pubbliche che sarebbero state appaltate in Sicilia, e, in particolare, ai lavori relativi alla sopraelevata di Palermo. Per avere un lavoro della S. I. R.A. P. le imprese dovevano pagare una tangente pari all’a 8 % circa del valore deli appalto. Queste somme servivano a pagare politici e i funzionari coinvolti nell’’affare. D.R. Non ero io ad occuparmi del pagamento di queste tangenti. Questi pagamenti avvenivano ad un livello superiore a quello nel quale operavo io. Le trattavano direttamente i titolari – Claudio e Marco DE ECCHER – oppure, talvolta, l’ingegner DEFENDI. Ciò so perché quando nella gestione di un affare veniva fuori questo problema i DE ECCHER o il DEFENDI (quando toccava a lui) mi dicevano “Non ti preoccupare, che di questo problema ci occupiamo noi” Da costoro ho saputo che l‘ammontare della tangente era di circa l’8%, ma, comunque si trattava di fatto noto a tutte le imprese che operavano nel settore e del quale si parlava fra noi come di cosa notoria. Quello che mi risulta con certezza, perché aveva risvolti che riguardavano anche il mio lavoro di responsabile dei cantieri, è che il denaro necessario a pagare queste tangenti veniva recuperato dalle imprese anche con un sistema di fatturazioni maggiorate. Si trattava delle fatture relative all’ acquisto dei materiali impiegati per la realizzazione delle opere appaltate.


 

 

 

 


L’audio inedito di Borsellino: “La sera, senza scorta, libero di essere ammazzato”


27.11.2022 – La riunione sul dossier “Mafia e Appalti” e i (presunti) contrasti fra i pm

I) i sostituti Teresi, Morvillo e De Francisci dovevano relazionare sulle indagini scaturite dal rinvenimento del c.d. libro mastro dei Madonia e sul racket delle estorsioni, indagini per le quali era stato avanzato il sospetto, tra l’altro, di una colpevole inerzia che avrebbe propiziato l’omicidio di Libero Grassi;

2) il sostituto Pignatone era chiamato a relazionare sulle indagini per la cattura di grossi latitanti (avuto riguardo alle notizie di stampa che parlavano di occasioni sfumate per la cattura di Riina;

3) i sostituti Lo Forte e Scarpinato avrebbero invece dovuto relazionare sull’indagine mafia e appalti.

Quest’ultima era giunta in effetti ad uno stadio conclusivo, poiché da un lato era alle viste l’inizio del dibattimento, fissato per ottobre, nell’ambito del procedimento stralcio a carico di Siino Angelo e altri; dall’altro era già pronta, ma non ancora depositata, la richiesta di archiviazione per le posizioni residue dell’originario procedimento nr. 2789/90 N.R. (Il dott. Pignatone ricorda che i colleghi Lo Forte e Scarpinato l’avessero già completata e depositata, e in effetti è così, poiché la richiesta è datata 13 luglio; ma prima della trasmissione al GIP doveva essere vistata dal procuratore Capo che appose la sua firma solo in data 22 luglio 1992). Nel corso della riunione effettivamente tenutasi alla data prefissata, sull’indagine mafia e appalti relazionò solo il dott. Lo Forte, essendo il dott. Scarpinato assente per sopravvenuti impedimenti familiari.

I ricordi del pm Gozzo

A memoria del dott. Gozzo, fu subito evidente un certo dissenso da parte del dott. Borsellino (“Ho visto questo contrasto più che latente, visibile”), che formulò dei rilievi specifici e in particolare lamentò che non fossero stati acquisiti alcuni atti che erano stati trasmessi o dovevano essere trasmessi dalla procura di Marsala, e che non si rinvenivano all’interno del fascicolo (“Fece questa affermazione: come mai non fossero contenute questa carte all‘interno del processo si trattava di carte che erano state inviate.. alla procura di Marsala — e nella fattispecie dal collega Ingroia, che adesso è anche lui alla procura di Palermo — che era lo stesso processo però a Marsala. C‘erano degli sviluppi e quindi erano stati mandati a Palermo e lui si chiedeva come mai non fosse stata seguita la stessa linea”).
Sosteneva poi che si profilavano nuovi sviluppi, in relazione alle dichiarazioni di un nuovo pentito, e chiese quindi di rinviare la discussione (in sostanza, per quanto sembra di capire, chiese di differire ogni determinazione finale in ordine a quel procedimento, nelle more di possibili nuove risultanze: e in effetti, la richiesta di archiviazione, già alla firma del procuratore Giammanco, rimase in stand by fino al 22 luglio).
Non è chiaro se il nuovo pentito di cui fece cenno il dott. Borsellino fosse proprio Gaspare Mutolo, oppure Leonardo Messina, al cui primo interrogatorio Borsellino aveva proceduto lo stesso giorno dell’interrogatorio di Mutolo, e cioè l’1 luglio 1992, e che in effetti avrebbe fatto ulteriori rivelazioni sul sistema degli appalti e relative ingerenze mafiose, ma anche sul coinvolgimento di politici e le connivenze che facevano prosperare quel sistema.
Ma anche la dott.ssa Sabbatino ricorda che, durante quella riunione, alla domanda che gli fece se fosse in procinto di andare in ferie, Paolo rispose che doveva prima risolvere il problema di un nuovo pentito. Non sapeva se avrebbe potuto andare a interrogarlo, e se sentirlo da solo o insieme ad altri colleghi: una situazione che richiama le incertezze e le ambasce che affliggevano il dott. Borsellino in relazione al caso Mutolo, posto che non era cambiata la formale assegnazione (ad altri) del relativo fascicolo, e che si manifestarono nel corso dell’interrogatorio di Mutolo effettivamente assunto due giorni dopo quella riunione dal dott. Borsellino, insieme ai colleghi Lo Forte e Natoli, come confermato da entrambi.
Ed entrambi confermano di avere sostenuto un’interpretazione della disposizione impartita da Giammanco di coordinarsi con Borsellino per le attività relative agli interrogatori di Mutolo assolutamente rassicurante quanto alla sua piena legittimazione a coordinare altresì le indagini che ne fossero scaturite.
La dott.ssa Consiglio, presente pure lei alla riunione del 14 luglio, ha dichiarato che a svolgere la relazione sull’indagine mafia e appalti furono i colleghi che se ne erano occupati (e fa i nomi del dott. Lo Forte e del dott. Pignatone), i quali illustrarono le ragioni che li avevano condotti a richiedere i provvedimenti cautelari che erano stati accolti.
Ha confermato altresì che il dott. Borsellino si era lamentato del fatto che non fossero state inserite talune carte nel fascicolo del procedimento a carico di Siino Angelo e altri. Ma non può essere più precisa perché non conosceva i fatti cui Paolo si riferiva; tuttavia, notò che l’unico a prendere parte attiva a quella discussione a cui noi eravamo solo dei meri spettatori era Paolo Borsellino.
Né poteva essere altrimenti perché si parlava di un’informativa di 800 pagine sconosciuta a quasi tutti loro (non a lei, però, avendo studiato quel rapporto per la sua connessione con i fatti oggetto di un grosso procedimento per associazione mafiosa, istruito al Tribunale di Termini Imerese, e avente ad oggetto varie vicende e reati di c.o. tra cui anche illeciti relativi ad appalti nei territori di Termini Imerese e Madonie: territori che rientravano appunto nella zona d’influenza di Angelo Siino e nella sua giurisdizione quale ministro dei LL.PP. di Cosa nostra).
Sulle osservazioni formulate dal dott. Borsellino in relazione alla mancata acquisizione al fascicolo del procedimento a carico di Siino e altri di alcuni atti, una spiegazione dettagliata è stata fornita dal dott. Pignatone nel corso della sua audizione.
Era accaduto che i carabinieri, prima ancora che venissero emessi i provvedimenti restrittivi a carico di Siino e altri, avevano informato i magistrati di Palermo titolari dell’indagine (all’epoca, se ne occupava anche il dott. Pignatone) che il dott. Borsellino, n.q. di procuratore a Marsala, aveva indagini in corso su presunti illeciti commessi nella gare di aggiudicazione di alcuni appalti di opere pubbliche da realizzare in Pantelleria, che rientrava nella giurisdizione del Tribunale e quindi della procura di Marsala.

Borsellino disse loro di rivolgersi al dott. Ingroia, che era stata assegnatario di quel fascicolo, per avere le carte che chiedevano. Ma il dott. Ingroia replicò che in quel momento quelle carte non potevano essere rese pubbliche perché – in quel di Marsala – stavano per emettere ordinanze di custodia cautelare in carcere nei riguardi tra gli altri anche del Sindaco di Pantelleria.

Alla fine, non ravvisando elementi specifici di connessione con l’ipotesi di reato di associazione mafiosa per cui si stava procedendo a carico del Siino, fu la procura di Palermo, ovvero i sostituti Lo Forte e Scarpinato, rimasti titolari del procedimento, a trasmettere gli atti in proprio possesso in ordine a quelle gare d’appalto (che erano costituiti essenzialmente da intercettazioni telefoniche tra soggetti cointeressati all’aggiudicazione di quelle gare) all’omologo Ufficio di Marsala, dove si procede(va) per il reato di associazione a delinquere semplice.
Di tale vicenda v’è traccia anche nell’audizione del dott. Borsellino dinanzi alla Commissione Antimafia (in visita agli uffici giudiziari di Trapani), nella seduta del 24 settembre 1991. È lo stesso Borsellino a richiamare l’inchiesta sfociata nell’arresto del Sindaco di Pantelleria e nello scioglimento del consiglio comunale, annoverandola come una delle indagini di maggiore successo condotte dal suo ufficio — e lo dice senza vanagloria personale, ascrivendone il merito ad un mio giovanissimo sostituto — in materia di reati amministrativi di notevole spessore che riguardano gli appalti o l’attribuzione di incarichi professionali; e sottolinea che al riguardo che «tutte queste non sono attività di mafia a sono attività attraverso le quali la mafia usufruisce di facili veicoli di profitto». Il dott. Pignatone ha precisato invero che Borsellino non formulò rilievi specifici, ma si limitò a chiedere chiarimenti; e poi prese atto della spiegazione fornita da Lo Forte.

Un “diverso” metro di valutazione

Tuttavia, avuto riguardo a quanto dichiarato dal dott. Gozzo sulla perplessità espressa dal dott. Borsellino per il fatto che non si fosse seguita la stessa linea, è lecito ipotizzare che persistesse il dissenso del procuratore Aggiunto per avere – i colleghi che si erano occupati dell’inchiesta – adottato un diverso metro di valutazione, ovvero una linea interpretativa e di qualificazione dei fatti ascrivibili ai vari soggetti indagati per le medesime vicende che rimandavano al contesto criminoso in cui era emerso il ruolo di Siino quale artefice degli accordi collusivi tra cordate di imprenditori, esponenti politici e cosche mafiose per la spartizione degli appalti.
E da qui la richiesta di aggiornare la discussione, ovvero di differire le determinazioni finali da adottare, prospettandosi la possibilità di ulteriori sviluppi in relazione alle rivelazioni di un nuovo pentito.
In effetti, tale lettura sembra trovare conforto nelle dichiarazioni del dott. Patronaggio.
Questi, infatti, rammenta che il dott. Borsellino, facendosi portavoce di lamentele da parte dei carabinieri che avevano condotto l’indagine mafia e appalti per l’esiguità dei risultati raggiunti sul piano giudiziario rispetto alle loro aspettative (in assemblea lo disse espressamente che i carabinieri si aspettavano da questa informativa dei risultati di maggiore respiro”), chiese spiegazioni in ordine al procedimento a carico di Siino e altri: «perché lui aveva percepito che vi erano delle lamentele da parte dei carabinieri: verosimilmente, e chiese delle spiegazioni che non erano tanto di carattere tecnico, cioè e era stata fatto o non era stata fatta una cosa, ma più che altro era il contesto generale del procedimento, chi c‘era e chi non c‘era, perché poi in buona sostanza la relazione sul processo Siino fu fatta, sinceramente, esclusivamente per dire che non vi erano nomi di politici rilevanti all‘interno del processo, o se vi erano nomi di politici di un certo peso, vi entravano solo per mero accidente».
In altri termini, le spiegazioni chieste da Borsellino non riguardavano singoli fatti o singoli atti istruttori ma l’impostazione generale dell’indagine e le sue direttrici. Il dott. Lo Forte, però, sempre a dire del dott. Patronaggio, si sforzò di spiegare che il vero nodo dell’indagine, semmai, concerneva il ruolo specifico degli imprenditori.
E anche le doglianze dei carabinieri traevano origine dall’aspettativa, andata delusa, di esiti più cospicui, non si riferivano tanto alle posizioni di uomini politici che entravano nell’indagine solo incidentalmente, bensì alle posizioni degli imprenditori coinvolti (o di taluno di loro): «In realtà no, non è solo nei confronti dei (politici), anche nei confronti degli imprenditori, perché lì il nodo era, il nodo era valutare a fondo la posizione degli imprenditori, e su questo punto peraltro il collega Lo Forte si dilungò spiegando il delicato meccanismo e la delicata posizione dell‘imprenditore in questo contesto, queste furono le spiegazioni date, chieste e date ecc.» (cfr. verbale n. 46, pag. 81).
Ciò posto, non v’è chi non veda che il “dissenso” del dott. Borsellino rispecchiava e denotava il convincimento da tempo maturato che l’indagine su mafia e appalti costituisse un filone investigativo “aureo” nel quadro dell’azione di contrasto alla criminalità organizzata perché puntava – e poteva condurre – ai più inaccessibili santuari del potere mafioso che aveva il suo cuore pulsante nella creazione e nel consolidamento di legami sinergici con pezzi dell’imprenditoria e della politica, oltre a ricavare dalla partecipazione attiva al sistema di spartizione degli appalti un formidabile strumento di controllo dei flussi di ricchezza.
Tale intuizione è il connotato saliente, ed anche il principale merito ascrivibile all’ipotesi investigativa alla base del dossier mafia e appalti, che, come si legge testualmente nella “Relazione sulle modalità di svolgimento delle indagini mafia e appalti negli anni 1989 e seguenti”, «segnava un salto di qualità nelle conoscenze sino ad allora acquisite sui rapporti tra Cosa nostra e il mondo imprenditoriale. Ed infatti emergeva che l’associazione mafiosa non si limitava più a svolgere un ruolo di sfruttamento meramente parassitario delle attività economico-imprenditoriali, concretantesi nell’imposizione di tangenti, di subappalti, di assunzione di manodopera, ma mirava a realizzare un controllo integrale e un pesante condizionamento interno del modo imprenditoriale e del settore dei lavori pubblici in Sicilia, mediante complesse ed articolate metodologie che nel loro insieme costituivano l’espressione più sofisticata e moderna di una strategia di assoggettamento degli operatori economici al prepotere delle organizzazioni facenti capo a Cosa nostra». Sentenza della Corte d’Appello 27 novembre 2022 • La serie sulla trattativa stato-mafia EITORIALE DOMNI.IT


22.8.2020 Perché fu ucciso Paolo Borsellino, ora lo sappiamo ma non perché non si indagò

Molti tasselli adesso si incastrano e comincia a diventare abbastanza chiaro il motivo per il quale fu ucciso Paolo Borsellino. Fu ucciso perché voleva indagare sul dossier mafia-appalti, probabilmente l’atto di accusa più documentato e clamoroso di sempre sui rapporti tra economia mafiosa (e potere mafioso) ed economia legale. Forse è lo stesso motivo per il quale è stato ucciso Giovanni Falcone, ma questo non è sicuro. Occorrerebbero delle indagini. Fin qui la Procura di Palermo (diciamo in questi quasi trent’anni), non ha ritenuto di doverle svolgere. Si è limitata a cadere nella trappola tesagli da un falso pentito (Vincenzo Scarantino) che – come si dice – l’ha mandata pe’ campi per parecchi anni, con l’aiuto (o il mandato) di diversi uomini delle istituzioni; e poi a mettere in piedi quel processo un po’ farsa, quello sulla presunta trattativa Stato-mafia, dove l’imputato principale, paradossalmente, è il generale Mori, cioè l’uomo che ha raccolto il dossier mafia-appalti, cioè l’amico di Falcone e Borsellino, cioè l’uomo che, dopo Borsellino e Falcone, ha dato di più nella lotta a Cosa Nostra.
Per ora noi giornalisti non possiamo fare altro che raccogliere gli elementi di assoluta evidenza. Quelli che risultano dai documenti, dalle dichiarazioni, dalle testimonianze, comprese quelle che sono state ignorate dalla magistratura. Un giornalista che fa questo con molto impegno da diversi anni è Damiano Aliprandi, del Dubbio, che ieri ha pubblicato stralci della testimonianza pronunciata nel 1992 davanti al Csm da uno dei magistrati palermitani, Domenico Gozzo, che in quei giorni era sulla piazza. Gozzo parla di una riunione di tutti i Pm della Procura di Palermo, convocati dal procuratore Giammanco, il 14 luglio del 1992, una cinquantina di giorni dopo l’assassinio di Falcone. Era presente Paolo Borsellino in qualità di Procuratore aggiunto. Da sola questa testimonianza dimostra che Paolo Borsellino, dopo l’uccisione di Falcone, voleva che si lavorasse sul dossier mafia- appalti e mostrava di conoscere bene quel dossier, e rimproverava i suoi colleghi di averlo sottovalutato.
Non poteva sapere che, proprio il giorno prima, i sostituti procuratori Roberto Scarpinato e Guido Lo Forte avevano firmato la richiesta di archiviazione del dossier. Nessuno glielo disse. Alla riunione, secondo il ricordo di Gozzo, del dossier parlò Pignatone, che era uno dei sostituti procuratore che erano incaricati di seguirlo. Pignatone però non era tra quelli che il giorno prima aveva firmato la richiesta di archiviazione. Possibile che non sapesse niente? E poi, alla riunione pare ci fosse anche Lo Forte (Scarpinato aveva problemi a casa): perché quando Borsellino chiese del dossier e pretese anche che fosse fissata una riunione ad hoc per discuterne, Lo Forte non avvertì che era stata già chiesta l’archiviazione? Timidezza, paura dell’ira di Borsellino? O un modo per evitare una seccatura, o strategia?
La riunione chiesta da Borsellino non si tenne mai. Perché nel frattempo Borsellino fu ucciso. Forse si potrebbe anche scrivere: Borsellino fu ucciso perché quella riunione non si tenesse mai. E chi lo uccise raggiunse lo scopo. Perché a nessun magistrato che ne aveva il potere e la competenza venne in mente di convocare la riunione, dopo la morte di Borsellino. Preferirono ascoltare Scarantino… Per capire bene che non mi sto inventando niente, ricopio le frasi più importanti della deposizione del magistrato Domenico Gozzo, riportate ieri da Aliprandi sul Dubbio (il verbale della deposizione al Csm è del 29 luglio del 1992, appena 10 giorni dopo l’uccisione di Borsellino). Alla fine della descrizione mi limiterò a ricordarvi alcune date, la cui successione fa impressione.
Ecco le parole di Gozzo: «Alla Procura di Palermo c’è questa consuetudine di fare delle assemblee in cui si discute di vari temi… La riunione del 14 luglio è stata l’ultima a cui ha partecipato Paolo Borsellino, era seduto due sedie dopo di me, era una riunione… in cui i vari colleghi erano chiamati a riferire sui processi che avevano gestito… su mafia e appalti, quindi, c’era il collega Pignatone (se non ricordo male) e doveva esserci anche il collega Scarpinato che però non poté venire per problemi di famiglia. Ho visto proprio questo contrasto più che latente, visibile, perché proprio Borsellino chiese e ottenne che fosse rinviata – perché al momento aveva dei problemi – la discussione su questo processo e fece degli appunti molto precisi: come mai non fossero inserite all’interno del processo determinate carte che erano state mandate…». Gozzo specifica che il processo è quello relativo a mafia- appalti e, alla domanda di quali carte si trattasse, risponde: «Si trattava di carte che erano state inviate (quello che ho sentito là, chiaramente, posso riferire) alla procura di Marsala – e nella fattispecie dal collega Ingroia, che adesso è anche lui alla Procura di Palermo – che era lo stesso processo, però a Marsala. C’erano degli sviluppi e, quindi, erano stati mandati a Palermo e lui (Borsellino, ndr.) si chiedeva come mai non fosse stata seguita la stessa linea. E, poi, diceva che c’erano dei nuovi sviluppi (in particolare un pentito di questi che ultimamente aveva parlato), e sono rimasto sorpreso perché dall’altra parte si rispose: “ma… vedremo”… Cioè, di fronte ad una offerta così importante (io riferisco i fatti): “Ma, vedremo se è possibile… ma, è il caso di acquisirlo?”». Benissimo. Ora un occhio alle date, perché qualcosa dicono. 13 luglio. Scarpinato e Lo Forte firmano la richiesta di archiviazione del dossier mafia-appalti. 14 luglio.
Si tiene l’assemblea dei Pm nella quale Borsellino parla di mafia-appalti senza evidentemente sapere che è stata già avanzata la richiesta di archiviazione. 19 luglio. Borsellino viene ucciso insieme alla scorta
.
22 luglio.
La richiesta di archiviazione del dossier mafia-appalti viene depositata formalmente. 14 agosto. Mafia-appalti è archiviata e non se ne parlerà più. Nel dossier erano indicate tutte le aziende dell’Italia continentale che trattavano con la mafia.
P.S. 1 – La domanda è questa: il processo sull’ipotesi di trattativa tra stato e mafia è stato messo in piedi per dare una spiegazione all’uccisione di Borsellino diversa dalla ragione che ora appare in tutta la sua evidenza e sulla quale non si è voluto indagare?
P.S. 2 – Un ricordo: nei verbali di interrogatorio della moglie di Borsellino, dopo la sua uccisione, si legge questa frase: «Ricordo perfettamente che il sabato 18 luglio 1992 andai a fare una passeggiata con mio marito sul lungomare di Carini, senza essere seguiti dalla scorta. Paolo mi disse che non sarebbe stata la mafia a ucciderlo, della quale non aveva paura, ma sarebbero stati i suoi colleghi e altri a permettere che ciò potesse accadere. In quel momento era allo stesso tempo sconfortato, ma certo di quello che mi stava dicendo».
Dopo aver letto queste parole, c’è qualcuno che può restar tranquillo?
22 Agosto 2020 IL RIFORMISTA 
 

2020 -CLAUDIO MARTELLI: “L’ex procuratore Giammanco mi inviò l’inchiesta sugli appalti: una follia”

 

“Ricordo che ricevetti al ministero della Giustizia un plico che conteneva la sintesi dell’indagine del Ros di Palermo sugli appalti, inviato dal procuratore Giammanco, per sapere come doveva comportarsi. E Falcone, con cui ci davamo del tu, mi disse: ‘Non aprirlo neanche, ti metti nei guai’. Conteneva l’indagine su cui Falcone aveva chiesto come proseguire al procuratore capo. Era una follia che un procuratore inviasse al ministro gli atti di un’indagine per sapere come comportarsi”. L’ex ministro della Giustizia Claudio Martelli ripercorre i mesi convulsi del 1992 durante l’audizione alla commissione antimafia della Regione Siciliana sulla strage di via D’Amelio.
“Sono ancora turbato oggi se penso a ciò che è stato omesso di fare da tutte le autorità dello Stato in quel di Palermo nonostante le segnalazioni ricevute ripetutamente da me e dai miei uffici, in ordine a una particolare tutela e sorveglianza che doveva essere messa in atto a protezione del dottore Borsellino“. Martelli dice senza mezzi termini: “Ritenevamo che Borsellino fosse certamente il nuovo bersaglio della mafia dopo l’assassinio di Falcone, che io non ho mai smesso di imputare all’ottenimento delle sentenze di condanna a numerosi ergastoli per la la cupola mafiosa, ma anche all’imminenza molto probabile della sua nomina a procuratore nazionale antimafia nonostante l’opinione diversa del Csm che peraltro avevo respinto”.
L’ex ministro della Giustizia ribadisce che la mancata sorveglianza davanti casa dell’abitazione della madre di Borsellino, in via D’Amelio “fu inammissibile e inaccettabile, prova di colpevole incuria o di qualcosa di peggio”. Martelli non vede però una “trattativa fra Sto e mafia” dietro le bombe del 1992. “Credo che le iniziative stragiste di Cosa nostra non rientrino in un piano di destabilizzazione politica dello Stato, ma come tutti i piani della mafia riguardano interessi privati”. E ancora: “Conso, a chi gli domandava del perchè avesse revocato il 41 bis per centinaia di mafiosi, rispondeva ‘volevamo dare un segnale di disponibilità all’ala moderata di Cosa nostra ai fini di evitare ulteriori stragì’. Io non capisco allora perchè poi ci sia arrovellati su processi quando la verità era lì spiattellata: si è pensato di dare una segnale di disponibilità, di fare delle concessioni. Ho sempre pensato a un cedimento dello Stato, ma non a una trattativa”.

 

 

 

 

 

MAFIA e APPALTI di Damiano Aliprandi

 

 

Strage di Via D’Amelio – In COMMISSIONE ANTIMAFIA le audizioni dei famigliari di Paolo Borsellino e dei testimoni

 

Connessioni BUSCEMI – Gruppo FERRUZZI: smagnetizzazione intercettazioni e distruzione brogliacci e audizione dottor Natoli

 

 

ANTONINO GIUFFRÉ: mafia e appalti dietro l’eliminazione di Borsellino. Era diventato più pericoloso di quello che si pensasse

 

Cosa nostra e gli appalti pubblici in Sicilia